Il Cesare Paolo

di Dario Carcano

Non sono uso a scrivere in prosa, oltretutto in questa modalità; tuttavia, ritengo che, vista la natura della storia che mi accingo a narrare, uno stile asciutto sia quello più adeguato.

Sono nato in Abruzzo nel 1863, in una famiglia di modeste condizioni economiche, presso Aterno Pescarese; fin da bambino ho avuto una grande passione per le lettere e la scrittura, e un grande piacere nello studio della letteratura latina. Tuttavia, la povertà della mia famiglia spinse i miei genitori a prendere l’unica decisione che una famiglia povera possa prendere per far studiare un figlio dotato nelle lettere: farmi entrare in seminario.

Avevo dodici anni quando entrai nel seminario della diocesi di Penne, e ci rimasi per cinque anni, fino a quando ebbi completato gli studi; per essere ordinato sacerdote avrei dovuto studiare teologia per altri tre anni, ma rinunciai perché sentivo che non era la mia strada.

Infatti non mi sentivo adeguato al sacerdozio, e non ero interessato alla cura spirituale delle anime; la mia ambizione era – ed è tuttora – diventare un grande artista, passare alla Storia per i miei scritti e i miei poemi.

Già negli anni in cui studiavo in seminario avevo inviato alcune mie poesie a delle riviste letterarie, riuscendo a farmele pubblicare, e subito dopo la mia uscita dal seminario un editore si offrì di pubblicare una raccolta di mie poesie. Accettai, e le mie poesie furono date alle stampe, col titolo "Primo Vere".

Il "Primo Vere" mi diede varie soddisfazioni: ottenne un buon successo di critica e fu apprezzato dal pubblico, dandomi dei discreti guadagni che mi permisero di trasferirmi a Roma, la capitale imperiale.

A Roma speravo non solo di trovare opportunità di carriera, ma anche un pubblico più colto, capace non solo di apprezzare il mio lavoro, ma di darmi nuovi stimoli.

Arrivai a Roma nel 1881, mentre erano in corso i festeggiamenti per i vent’anni di regno di sua Maestà Imperiale, l’Imperatore dei Romani Giovanni Pio I, sempre Augusto. La capitale era addobbata a festa, e ad ogni angolo veniva offerto vino con cui brindare alla salute dell’Imperatore; ogni giorno c’era una strada su cui l’esercito sfilava in parata, e ogni sera una processione religiosa che ringraziava Dio per il regno saggio e illuminato dell’Imperatore, e chiedeva di avere la grazia di altri dieci anni di questo regno; alcune di queste processioni erano guidate dal vescovo di Ostia, ma in una occasione fu Sua Santità, il patriarca di Aquileia Silvestro V, a guidare la processione dopo essere venuto appositamente nella capitale.

Le celebrazioni oltretutto erano più fastose del solito, perché in quegli stessi giorni le truppe imperiali avevano riconquistato Algeri, ponendo fine a settecento e ventidue anni di dominio arabo e musulmano sulla città; anche per questo il fervore patriottico era alle stelle.

Tuttavia, non si potevano non notare le contraddizioni della capitale: Roma è l’unica città dell’Impero ad avere ogni singola strada illuminata da lampade a gas (nelle altre città solo le strade principali sono illuminate), ma ci sono molte famiglie che non hanno combustibile per cucinare o scaldarsi, e si vedono donne e bambini poveri andare in cerca di legna da ardere; a Roma ci sono fontane ornamentali in ogni strada, e giochi d’acqua in ogni giardino pubblico, ma l’acqua potabile è un problema per molte famiglie. Quella portata dagli acquedotti è monopolio della potente Società Anonima Acque Urbane, azienda di proprietà dei principi Scipioni, che ne fornisce una quota per uso pubblico al governo imperiale e alla prefettura urbana; tuttavia, per avere accesso come privato all’acqua degli acquedotti è necessario pagare alla SAAU un canone annuale.

I cittadini poveri sono costretti a bere l’acqua del Tevere, piena di fango e di ogni altra melma; la prassi è di lasciare decantare queste acque melmose dentro delle caraffe, e aspettare che si depositi la parte solida, bevendo poi la parte liquida. Tuttavia, a coloro che non ci sono abituati quest’acqua causerà la diarrea.

Lo scoprii a mie spese, perché nei primi mesi in cui vissi a Roma dovetti vivere in povertà; quello che avevo lo avevo speso per acquistare casa, un appartamento in zona Trastevere, in un edificio senza ascensore e senza gabinetti in casa, per cui dovetti pagare comunque un prezzo esagerato. Quei primi mesi furono tremendi: senz’acqua pulita, senza riscaldamento, e per mangiare dovevo andare in una mensa diocesana.

Poi, dopo circa quattro mesi, le cose cambiarono. Nonostante la povertà avevo continuato a pubblicare poesie, e una di queste catturò l’attenzione del principe Filippo Anastasio II Sallustio, capo di una delle più antiche e ricche casate nobiliari di Roma, risalente addirittura al I secolo a.C.

Questo quello che dicono i genealogisti pagati dalla famiglia, in realtà le origini dei principi Sallusti sono molto più recenti, e risalgono al XV secolo, da un cambiavalute proprietario di un podere in Umbria denominato pomposamente Castel Sallustio, che durante l’anarchia dei trent’anni divenne oscenamente ricco grazie all’usura e al contrabbando, e che ottenne il titolo principesco pagando una cospicua tangente all’Imperatore Paolo IV.

Tornando a noi, grazie al principe Filippo Anastasio entrai dentro i circoli della nobiltà romana, e conobbi lui, il vero protagonista di questa Storia, sua Altezza Imperiale, il Cesare Porfirogenito Paolo Giovanni Stefano Pio, Despota Imperiale ed erede al trono.

Io avevo diciotto anni, lui venticinque; ci conoscemmo a palazzo Scipioni, durante una delle feste date dal principe Cornelio XIII Scipioni. Le feste dei principi Scipioni già all’epoca erano considerate leggendarie: le voci popolari parlavano di intere piscine piene di vino francese dove si combattevano battaglie navali, nelle quali gli equipaggi delle navi erano scimmie ammaestrate e armate con armi vere; di intere stanze e corridoi piene di opere d’arte, il cui contenuto era stato distrutto per trasformare quegli ambienti in enormi piste da ballo.

Rispetto a queste descrizioni, la festa a cui partecipai io era sottotono: fui portato da un cameriere – che inizialmente dalla cadenza nella parlata credetti sardo, salvo poi scoprire essere di Cartagine – fino ad una stanza spoglia, piena di gente e dove stava suonando un’orchestrina da osteria. Tutta l’attenzione era rivolta verso una finestra da cui era stato rimosso l’infisso.

Seduto sul davanzale di quella finestra c’era un uomo, sui venticinque anni, che senza toccare il muro con le mani e sedendosi come su una altalena stava tracannando una intera bottiglia di spumante; eravamo al terzo piano, sarebbe stato sufficiente un movimento brusco perché quell’uomo cadesse di sotto.

Tutti guardavano in silenzio, anche l’orchestrina per la tensione stava perdendo il ritmo; poi l’uomo tirò dietro di sé la bottiglia vuota, che si ruppe sul pavimento di marmo, senza usare le mani si mise in piedi sul davanzale, si girò di scatto e urlò “Ho vinto bastardi! Datemi un’altra bottiglia!”

L’intera sala scoppiò a ridere e applaudì entusiasticamente; all’uomo fu portata un’altra bottiglia e fu allora che riconobbi in lui il Cesare Paolo.

La bottiglia che gli fu portata non era spumante, ma acquavite; tuttavia, il Cesare ne bevve metà come se fosse acqua, e poi disse:

“A chiunque avrà il coraggio di fare quello che ho appena fatto io, pagherò dieci solidi d’oro. Chi si offre volontario?”

La somma in palio era grossa, ma il rischio dietro quell’impresa non era indifferente. Nessuno si fece avanti.

Il Cesare, frustrato, puntò il dito a caso tra gli spettatori, dicendo:

“Tu, perché non ti offri volontario?”

Dall’altra parte del dito c’ero io, e inizialmente non seppi cosa rispondere al Cesare, ma incalzato dovetti per forza farmi avanti.

Il principe prese un’altra bottiglia di spumante, la stappò coi denti e mi disse:

“Per fare questo gioco bisogna saper bere, saper stare in equilibrio, e saper fare l’una mentre si è sotto l’effetto dell’altra.”

Presi la bottiglia e salii sul davanzale. Provai una prima volta a mettermi a sedere senza usare le mani, ma rischiai di cadere di sotto; la vista del vuoto sotto di me mi fece venire le vertigini, ma riuscii a mettermi a sedere.

Iniziai a bere, sorso dopo sorso. Era un vino dolce, si beveva molto facilmente; a metà mi fermai perché le bollicine pretesero di venire fuori, poi però ricominciai a bere fino a vuotare tutta la bottiglia.

Euforico per l’alcool, buttai la bottiglia di sotto senza curarmi se passasse qualcuno, mi rimisi in piedi sul davanzale senza usare le mani, e mi girai mentre dal basso giungeva una bestemmia ai miei danni da parte di qualcuno che si era visto piovere davanti una bottiglia vuota.

Io ridevo, il Cesare rideva, e tutti i presenti ridevano; sceso dal davanzale, il Cesare Paolo mi invitò a prendere un sorso dalla sua bottiglia, cosa che dopo mi fu spiegato essere un grande onore, mi pagò i dieci solidi e mi diede un’altra bottiglia di spumante, che bevvi praticamente subito.

Venuto a sapere dal principe Sallustio che ero un poeta esperto nel latino, iniziò a declamare versi latini, in parte di autori classici in parte improvvisati sul momento da lui, sfidandomi a fare altrettanto. A causa dell’alcool non ho molti ricordi di quella serata, però devo essermela cavata bene perché il Cesare Paolo rimase molto impressionato da me, e mi permise addirittura di dargli del tu, evitando di chiamarlo Altezza Imperiale.

Credo di non aver mai bevuto così tanto come quella serata; uscito da palazzo Scipioni vomitai due volte sulla strada verso casa, e per i successivi due giorni ebbi dei postumi tremendi che mi impedirono di scrivere.

Tuttavia, il Cesare Paolo rimase bene impressionato da me, e mi fece cercare. Due settimane dopo quella festa, ero nel suo seguito come segretario.

Nella mia vita ho dimenticato molte cose, ma non dimenticherò mai quello che è successo il 17 novembre 1884; quel giorno è impresso a fuoco nella mia memoria, e continuerò a ricordarmelo finché vivrò.

La relazione tra il Cesare Paolo e Cesarina ormai andava avanti da quasi un anno, ed era passato un anno e mezzo da quando l’Imperatore Giovanni Pio I aveva mandato il Cesare in Ciociaria; la competenza e lo zelo mostrato dal Cesare nel comando del proprio reggimento avevano convinto l’Imperatore che Paolo poteva tornare a Roma. Di lì a poco, infatti, il Cesare avrebbe lasciato la Ciociaria per tornare nella capitale, dove suo padre gli avrebbe conferito un incarico di governo.

Quel giorno a Roma si teneva un trionfo in onore del principe Claudio VIII Silla, Proconsole generale tornato vincitore dall’Africa, dove aveva sconfitto la resistenza algerina e riconquistato Ceuta e Tangeri; l’Imperatore avrebbe voluto la presenza del figlio ed erede, per dare un segnale di unità dinastica e familiare, ma il Cesare Paolo aveva già deciso di dare buca, adducendo a impegni inderogabili che lo trattenevano in Ciociaria presso il reggimento.

Gli impegni inderogabili in questione erano il fatto che il Cesare Paolo non aveva intenzione di separarsi da Cesarina, e stava escogitando un modo per portarsela a Roma, senza che il padre venisse a sapere del suo amore. Nei giorni precedenti avevamo vagliato alcune ipotesi, ma non si era deciso nulla di concreto.

Quel 17 novembre come sempre mi ero alzato prima del Cesare, e nella mia camera mi ero messo a scremare la posta, mettendo da parte le lettere degli scocciatori; poi, ogni fine del mese, aprivo quelle lettere per accertarmi che non ci fossero soldi o assegni, e bruciavo il tutto dentro la stufa.

Terminato quel lavoro, presi la posta e passai all’ingresso dell’albergo dove presi una copia de "L’osservatore Imperiale" già preparata dal portiere, e andai nel corridoio dove si trovava la camera del Cesare, dove il cameriere con la colazione mi aspettava affinché gli dessi anche la posta e il giornale; non facevo mai entrare da solo il cameriere, lo facevo sempre aspettare finché non arrivavo io.

Entrato nella camera con la colazione, fui sorpreso nel trovare il Cesare già vestito e pronto per uscire; anche Cesarina – che di solito trovavo ancora nuda – era già pronta, e salutò il Cesare con un bacio prima di andare via.

Il Cesare mangiò in fretta la colazione, e non toccò né la posta né il giornale, che rimasero lì nella stanza; pensai che il Cesare Paolo ci avesse ripensato, e avesse deciso di andare a Roma per partecipare al trionfo del principe Silla, ma fu lo stesso Cesare a far decadere questa teoria, quando mi disse:

“Oggi mi sento molto zingaro. Ho voglia di uscire.”

“Per andare dove, Paolo? Hai in mente un posto dove andare?”

“No, nessun piano prestabilito. Oggi si improvvisa. Gli altri sono pronti?”

Gli altri in questione erano i principi Salvio, Messalla, Sallustio e Andrea Volpi.

“Andrea l’ho visto uscire per andare a prendere il tabacco, il principe Messalla ieri sera era con una donna che ancora non ho visto andare via, il principe Salvio l’ho visto nel salone mentre faceva colazione col principe Sallustio.”

“Beh, allora radunali perché tra un quarto d’ora si esce.”

Eseguii l’ordine, e quando Cesare scese nell’atrio i quattro erano tutti lì insieme a me; il principe Sallustio, che era quello che conosceva meglio il Cesare Paolo, disse:

“So cos’hai in mente, e se permetti avrei una mezza idea su cosa fare.”

Cosa proponi?”

“A tempo debito Paolo, fuori c’è una carrozza che ci aspetta.”

Il principe Sallustio nei suoi giri nella zona si era imbattuto in un paesino mezzo diroccato, di quattro case più una chiesetta, abitato da contadini e pecore; più pecore che contadini.

Pensò quindi che fosse una buona idea spaventare a morte gli abitanti del villaggio fingendosi impiegati della potente SONAFER (Società Nazionale Ferrovie); guidai io la carrozza, dopo circa un’ora arrivammo al villaggio, e dalla carrozza prendemmo vari strumenti che il principe Sallustio aveva preparato, nel caso avesse effettivamente attuato i suoi propositi.

Il Cesare Paolo prese un telemetro con cui si mise a valutare le distanze, il principe Sallustio e il principe Messalla si finsero rispettivamente un ingegnere e il suo assistente, mentre io, Andrea Volpi e il principe Salvio facevamo misurazioni con un metro a nastro, e ogni tanto con un gesso marchiavamo degli edifici a caso.

Subito quel movimento attirò l’attenzione degli abitanti del villaggio, e uno di loro, forse l’anziano del villaggio, venne a chiedere cosa stessimo facendo. Il principe Messalla rispose:

“Siamo della SONAFER, l’ingegnere qui presente è venuto a studiare il terreno su cui dovrà passare la nuova ferrovia Roma-Bari, e le case che stiamo marcando dovranno essere demolite per far passare i binari.”

Sentita quella notizia, immediatamente intorno a noi si formò una piccola folla di gente, molti impauriti e preoccupati, altri arrabbiati. Quando vedemmo dei contadini tirare fuori delle doppiette, capimmo fosse il caso di cambiare aria; in fretta caricammo gli strumenti sulla carrozza e ce ne andammo di corsa mentre dietro di noi sentivamo degli spari.

Poco più avanti trovammo una sorgente d’acqua, e ci fermammo per abbeverarci. Lì il principe Salvio disse:

“Uno dei cavalli ha un nuovo buco per cagare.”

E indicò uno dei cavalli che tiravano la carrozza, che aveva una ferita ad una natica. Niente di serio per fortuna, la ferita era superficiale; ci mettemmo a ridere, la lavammo e proseguimmo il viaggio.

Stavolta eravamo davvero senza meta e senza idee, finché il Cesare Paolo non sentì il bisogno di scendere dalla carrozza a pisciare.

Ci fermammo nei pressi di quella che ci sembrò un'edicola votiva; tuttavia, nonostante ci fossero fiori e piccole candele, non c’era nessuna traccia di immagini mariane o devozionali. C’era solo una scritta, resa però illeggibile dalla muffa.

Il Cesare pensò di mettersi a pisciare davanti a quell’edicola, e intanto che pisciava arrivò un omino anziano, vestito dignitosamente ma coi colori del lutto, e che aveva con sé un mazzetto di fiori.

L’omino guardava il Cesare con un misto di perplessità e stupore, e il Cesare Paolo, resosi conto dello sguardo dell’anziano, gli chiese brutalmente:

“Che fai, guardi, zozzone?”

“No, è che non potete mettervi lì a pisciare.”

“E perché? Non si può più pisciare?”

“Ma piscia dove ti pare, però non davanti alla tomba di mia figlia.”

“Beh, allora curala meglio questa tomba, che non si capisce che qua c’è sepolto qualcuno.”

Il Cesare, che intanto aveva finito di urinare, si rimise a posto i pantaloni e risalì in carrozza; l’omino lo lasciammo lì, davanti all’edicola, a osservare impietrito la chiazza lasciata dalla minzione del Cesare Paolo.

Riprendemmo il viaggio, e ci mettemmo a parlare di quello che era successo a Roma negli ultimi mesi, e specialmente dei fatti del suo belmondo. Raccontai di quando, due settimane prima, essendomi separato dal Cesare per alcuni giorni, avessi preso parte ad un’asta benefica organizzata dal principe Leone IV Porcio in favore dei poveri della capitale.

“E cos'ha di speciale quell’asta?” chiese il Cesare Paolo.

“Beh, la cosa speciale erano i premi in palio. Un esempio: 50 solidi d’oro per poter bere champagne dalla stessa coppa in cui aveva bevuto la principessa Teodora Nevia, lasciando il bordo macchiato di rossetto.”

“Le cose si fanno interessanti!” commentò il principe Messalla pensando alla principessa Nevia.

“Oppure 200 solidi d’oro per un sigaro toccato dalle cosce della principessa Elena Licinia.”

“Beh, mi sembra un prezzo ragionevole.” disse ridendo il Cesare Paolo.

“Ma c’è di più: il principe Cornelio XIII Scipioni ha offerto 500 solidi d’oro affinché il sigaro fosse toccato dalle labbra della vagina.”

“Che spreco…” disse Volpi.

La nostra conversazione si interruppe lì, perché la nostra attenzione fu attirata da un gruppo di donne che bloccavano la strada. Erano operaie di una vicina fabbrica tessile, che erano in sciopero contro la proprietà della loro fabbrica e per protesta stavano picchettando la strada.

Dovetti fermare la carrozza perché non potevamo passare, e una delle operaie venne da me a chiedermi se volessi comprare un giornale socialista; per quieto vivere accettai, e iniziai a fare inversione di marcia con la carrozza. Mentre ero impegnato in questa operazione, gli altri erano scesi e a bordo della strada osservavano le operaie, ogni tanto lasciandosi scappare commenti sull’aspetto delle ragazze.

Una di queste dovette sentire uno dei commenti, e ci urlò contro “Porci!”, tirando all’indirizzo del Cesare Paolo quello che a prima vista credetti essere un sasso, ma in realtà era un uovo marcio. Anche le altre si unirono alla loro compagna, e dovemmo fuggire in fretta e furia.

Rimontati in carrozza, lo sguardo di Andrea Volpi capitò sul giornale socialista che mi aveva dato l’operaia, e sul suo titolo “Contro la guerra imperialista!” Volpi lo prese e iniziò a leggere ad alta voce l’articolo:

“La guerra in Algeria e in Marocco deve essere condannata con la massima forza dal movimento operaio etc. etc. come disse Carlo Marx nel libro tal dei tali etc. etc. trattandosi dell’ennesimo esempio di guerra imperialista tra morti di fame contro altri morti di fame etc. etc. il nostro governo si rifiuta di fornire cure mediche alle migliaia di persone che ogni anno muoiono di malaria, morbillo e pellagra, ma trova i soldi per una guerra coloniale e così via.

Ci vorrebbe il bastone per canaglie simili. Anche nelle mie fabbriche avevo questi problemi coi rossi, poi ho assunto delle squadre di mazzieri per rimetterli al loro posto; da lì in poi non ho mai più visto un sindacalista.”

“Anche voi industriali dovete essere rimessi a posto” disse ridendo il Cesare Paolo.

Ormai era sera, e con la carrozza tornammo verso l’albergo. Arrivammo che il sole era già tramontato, e siccome per tutto il giorno non avevo mangiato nulla, andai verso il salone nella speranza che la cucina fosse ancora aperta, e di poter prendere qualcosa da mangiare. Gli altri mi imitarono, a parte il Cesare Paolo.

Nell’atrio aveva trovato Cesarina ad aspettarlo, ci aveva detto di non avere fame ed era salito in camera insieme a lei.

Dopo un po’, mentre mangiavamo, sentimmo un urlo provenire dalle camere. Ebbi subito una sensazione orrenda, e corsi su di sopra, fino alla camera del Cesare.

Entrai e trovai il Cesare sconvolto a fissare Cesarina; lei era nuda, intorno al collo aveva un laccio rosso. Mi avvicinai e vidi che non respirava, e che il polso non aveva battito. Era morta.

Nel frattempo, erano saliti anche gli altri, e fu il principe Messalla a prendere in mano la situazione; ci disse di rivestirla, e subito lo aiutammo a rimettere i vestiti al cadavere. Poi prendemmo il corpo, lo portammo fuori dalla stanza del Cesare, assicurandoci che nessuno ci vedesse, e lo portammo fino ad un punto dove c’era una finestra. Aprimmo la finestra, e buttammo giù il cadavere.

“Ora non è più omicidio, ma suicidio.” disse il principe Messalla.

Il Cesare Paolo era ancora sconvolto, e gli altri pensarono fosse il caso di portarlo a Roma e fargli cambiare aria per qualche giorno.

Io rimasi lì, ad aspettare che arrivasse la polizia e i genitori della povera Cesarina. Non sospettavano nulla della relazione della figlia col Cesare, e per loro quel suicidio era inspiegabile; rimasi con loro e gli offrii anche del denaro, che loro però rifiutarono. La loro unica preoccupazione era dare un degno funerale alla figlia.

Siccome ufficialmente quella morte era un suicidio, la Chiesa non poteva dare un funerale cristiano a Cesarina, ma i due coniugi sapevano già a chi chiedere aiuto.

Nell’Impero ci sono circa ventimila famiglie nobili. Di queste, duecento posseggono fortune multimiliardarie, e duemila hanno rendite dignitose; le altre diciassettemila e ottocento sono povere in canna, e campano con rendite più misere del salario di un operaio.

Una di queste famiglie erano i conti Sanseverini, che avevano il loro palazzo a poca distanza dall’albergo dove era morta Cesarina; il padre della sciagurata si presentò di fronte al palazzo col cadavere della figlia e due polli, chiedendo al conte la cortesia di allestire un funerale per la figlia, e offrendo i due polli come ringraziamento.

Il conte era magrissimo, persino più magro di molti contadini che ho visto, e la sua testa mi sembrò un teschio con attaccati dei capelli bianchi; il conte accettò di fare quel favore al padre di Cesarina, e dopo essersi scusato per il fatto che la servitù era già stata congedata per la sera (in realtà i conti Sanseverini non potevano permettersi di pagare nemmeno un cameriere), chiamò la contessa e la figlia.

Le due donne immediatamente si misero al lavoro sul cadavere, mentre il conte portava i polli in cucina; la contessa vestì il cadavere con uno dei propri abiti da sera (l’unico abito buono che possedesse), mentre la figlia truccava il cadavere per nascondere le ferite e i lividi.

Sentii il conte dire al padre di Cesarina che il funerale sarebbe stato celebrato il giorno successivo, dal cappellano della famiglia, e che la carrozza di famiglia sarebbe stata usata come carro funebre, poi uscii.

Presi una carrozza, diedi una buona mancia al cocchiere per il servizio notturno, e andai anch’io a Roma. Arrivai a palazzo Silio che albeggiava, e fui subito raggiunto dal principe Sallustio, che mi chiese:

“Ma non sai cos’è successo?”

“No, sono stato a Frosinone fino a poche ore fa. Cos’è successo?”

Mi disse che, quando loro e il Cesare erano tornati a palazzo, trovarono dentro gli ufficiali della Guardia Palatina; pensarono che l’Imperatore avesse scoperto tutti i loro giochetti e li avesse mandati ad arrestarli, ma in realtà quando videro il Cesare si inginocchiarono di fronte a lui e gli giurarono fedeltà.

Infatti, durante il trionfo di quel giorno, l’Imperatore Giovanni Pio I era stato assassinato da un anarchico, tale Giovanni Passannante, subito arrestato e imprigionato in attesa della condanna a morte.

Il Cesare Paolo non era più l’erede al trono, era diventato Sua Maestà Imperiale Paolo VII, Imperatore dei Romani.

Rimasi al servizio dell’Imperatore per cinque anni, fino alla mia caduta in disgrazia; come in tutte le cadute in disgrazia nella corte imperiale, tutto avvenne senza una ragione precisa.

Uno dei miei amici dentro la polizia mi avvertì che mi stavano venendo ad arrestare, così riuscii a prendere con me una borsa piena d’oro e a fuggire.

Persi tutto: il mio palazzo, le mie ville, le mie fabbriche e i miei terreni, i miei cavalli, le mie opere d’arte; tutto quanto fu sequestrato e venduto all’asta.

Dovetti cercare rifugio in un paese di barbari: gli Stati Uniti d’America.

Un tempo avevo tutto, e se volevo qualcosa me lo prendevo. Ora sono di nuovo una nullità che deve fare la coda per avere da mangiare, ed è così che dovrò vivere il resto dei miei giorni.

Dario Carcano

L'Imperatore dei Romani Giovanni Pio I (creata con openart.ai)

L'Imperatore dei Romani Giovanni Pio I (creata con openart.ai)

Nota: Questo racconto nasce dalla lettura de "Il piacere" di D'Annunzio, dove il Vate descrive la decadente e dissoluta nobiltà della Roma umbertina, attraverso le vicende amorose di Andrea Sperelli.
Leggendo quel romanzo mi sono chiesto:
"E se questa nobiltà fosse la classe dirigente di un Impero Romano sopravvissuto fino al XIX secolo?"
E quella è stata l'idea da cui è nato questo racconto.
Due parole su questa TL: il PoD principale è quello che avevo teorizzato qualche tempo fa per una sopravvivenza dell'Impero Romano limitata all'Italia, ossia la vittoria di Antemio nella guerra civile contro Ricimero.
Antemio quindi instaura una sua dinastia che governa l'Italia tra V e VI secolo, in luogo di Odoacre e sovrani ostrogoti; la dinastia antemiana viene poi deposta e sostituita da una nuova dinastia, sempre romana. Questa nuova dinastia non viene però riconosciuta da Costantinopoli, e l'inimicizia tra le due corti imperiali fa sì che lo scisma tricapitolino causi - con cinque secoli di anticipo - una rottura tra cristianità greca e cristianità latina; il papa di Roma tuttavia riconosce il II Concilio di Costantinopoli, e sarà costretto dall'Imperatore d'occidente a lasciare Roma per andare in esilio a Costantinopoli, dove i successivi papi continueranno a risiedere in esilio. Lo scisma causa un conflitto tra i due imperi, con Giustiniano che cerca di reinsediare il papa con la forza, tuttavia la guerra si conclude in un nulla di fatto e ha l'unico effetto di stremare entrambi gli Imperi (soprattutto quello d'Oriente).
Nei territori dell'Impero d'Occidente l'Imperatore favorisce il Patriarca di Aquileia come capo della Chiesa, e per evidenziare questo ruolo la diocesi di Roma viene completamente soppressa, e la sua giurisdizione ripartita tra le diocesi suburbicarie.
Gli arabi mettono alle strette l'Impero d'Oriente, ma quello d'Occidente riesce a tenere, anche se la Tripolitania sarà persa e riconquistata più volte, ma intanto l'Impero deve affrontare la pressione dei Longobardi, degli Ungari e degli Slavi, che premono per entrare nel bacino del Danubio, che nei secoli VII-X sarà una frontiera caldissima per l'Impero, con numerose incursioni barbare che penetreranno fino in Italia.
Nell'XI secolo Cartagine viene brevemente conquistata dagli arabi, alleatisi coi berberi, ma sarà rapidamente riconquistata, tuttavia questa conquista apre la strada all'espansione araba nel Maghreb, e - complice un periodo di instabilità e guerra civile - i possedimenti africani dell'Impero si ridurranno a Cartagine e alla costa tunisina, con l'odierna Algeria che sarà completamente persa in favore degli arabi, così come Ceuta e Tangeri.
Nonostante queste perdite, tra XI e XIII secolo l'Impero d'Occidente vive una nuova età dell'oro, durante la quale una serie di vittorie contro Longobardi, Croati e Ungheresi permettono all'Impero di riportare la frontiera al Danubio, e di estendere l'influenza romana anche sugli altri regni cristiani (Francia e Spagna visigota); in questo periodo c'è anche un tentativo di una spedizione in Terrasanta per conquistare Gerusalemme, che avrà un iniziale successo per poi fallire entro poche decadi (non ci sono invece le crociate come ci sono state in HL, quindi non c'è il sacco di Costantinopoli del 1204).
Il XV e il XVI secolo rappresentano invece un periodo di crisi per l'Impero, scosso da controversie religiose, instabilità dinastica e crisi economica, il tutto culminato nell'Anarchia dei trent'anni, uno dei punti più bassi della storia imperiale, durante il quale nel 1527 un esercito francese sceso in Italia ad appoggiare uno dei molti pretendenti al trono, poté saccheggiare impunemente la città di Roma.
L'Impero, anche a causa di questi fallimenti, perderà la finestra di opportunità per colonizzare massicciamente le Americhe, che saranno invece dominate da spagnoli, inglesi e francesi.
L'Impero riesce a riprendersi nel XVII secolo grazie alla dinastia dalmata, che farà delle riforme che permetteranno a Roma di tornare competitiva con le altre potenze, tuttavia l'estinzione della suddetta dinastia alla fine del XVIII secolo e una serie di rovesci militari contro la Francia rivoluzionaria (che riesce addirittura ad occupare momentaneamente la pianura padana) causano un nuovo periodo di instabilità, che ha termine nel 1801, con l'ascesa al trono di un generale corso di umili origini, che ribalta le sorti della guerra contro la Francia, riportando Marsiglia e l'intera Provenza sotto controllo imperiale. Con la dinastia corsa ha inizio un nuovo ciclo espansivo, sia da un punto vista militare che economico, ma è un epoca caratterizzata anche da molte contraddizioni e molte disuguaglianze, che prima o poi potrebbero esplodere...
Più che Dumas e Hugo credo che nel mio racconto ci sia Curzio Malaparte, spero che lo abbiate apprezzato.

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In seguito, Dario ha scritto altri racconti, ambientati nello stesso universo:

Epistola ai Sovietici

Ai compagni dell’Internazionale Comunista.

Sono stato mandato in Italia ormai nel lontano 1921, da Lenin in persona, con il compito di riferire sullo stato del movimento operaio all’interno dell’Impero Romano, e di essere il tramite tra l’Unione Sovietica e il suo partito comunista e l’allora neonato Partito Comunista dei Romani. Da oltre quindici anni non metto più piede in Unione Sovietica, sia per gli impegni che mi sono derivati da questa responsabilità, sia per le frequenti incarcerazioni da parte del governo imperiale.

Mi sono trovato a essere molto più di un semplice ambasciatore del partito bolscevico: essendo un italiano che si è formato politicamente a Mosca, all’interno del Partito bolscevico e dell’Internazionale Comunista, ero uno dei dirigenti più esperti sia nella teoria marxista-leninista che nella prassi rivoluzionaria del partito bolscevico. Per questo, nell’arco di pochi anni, da semplice emissario di Mosca sono diventato prima consigliere della Segreteria, poi dirigente di rilievo, e infine Segretario generale del Partito.

In questo incarico sono sempre stato leale a Mosca, e ho sempre dato il massimo per seguire le direttive dell’Internazionale comunista; tuttavia, dopo quasi vent’anni spesi in Italia a fare lotta politica e attività organizzativa, a coordinare scioperi e occupazioni di fabbrica, e dopo otto anni spesi nelle carceri imperiali sotto il regno dell’imperatore Giovanni Battista Giraldini, devo dire qualcosa che potrebbe causare tensione tra Mosca e i comunisti italiani, ossia che i dirigenti dell’Internazionale Comunista mancano delle conoscenze necessarie a capire la situazione particolare dell’Impero Romano, e le ragioni per cui una rivoluzione proletaria in Italia è improbabile, se non totalmente impossibile.

L’Impero Romano è un paese estremamente arretrato, un relitto del Medioevo che per ragioni a noi incomprensibili è ancora in piedi. Un paese nel quale un vero proletariato industriale esiste solo nel Lazio – escludendo però Roma – in Liguria, nel Milanese e nel Veneto; un paese in cui la maggioranza della popolazione è composta non da operai o braccianti, ma da piccoli proprietari terrieri veterani dell’esercito. Un paese in cui ci sono disuguaglianze economiche enormi, e non ci si fa troppi problemi a deporre e uccidere brutalmente un imperatore se incapace, ma in cui il sistema imperiale gode di un consenso enorme presso il popolo, perché nel sistema il popolo vede una garanzia di benessere.

Eppure, nonostante tutte queste contraddizioni, proprio l’arretratezza dell’Impero è ciò che lo rende impermeabile ad una rivoluzione proletaria.

Innanzitutto, nell’Impero è molto forte la devozione religiosa verso la Chiesa Cattolica Aquileiana: quasi tutti i romani sono credenti, gli atei – o anche solo gli agnostici – sono pochissimi e oggetto di scherno da parte della popolazione. I membri del clero godono di enorme considerazione presso le masse popolari, e nelle città è frequente imbattersi nelle clausure, celle abitate da individui che rinunciano al contatto col mondo esterno per avvicinarsi a Dio, tenuti in vita dalla carità delle persone che abitano vicino a loro.

Nessuno mette in discussione la Chiesa, e nemmeno Leone IV Bonaparte, l’imperatore che lanciato le riforme più audaci, è riuscito a scalfire il potere della Chiesa.

Tuttavia, per il popolo ciò non è affatto un male: la Chiese riceve donazioni da individui di ogni ceto, e queste donazioni sono usate per tenere operativi ricoveri per i senzatetto, mense comuni, ospedali.

L’istruzione oltre l’educazione elementare non è garantita dallo Stato, perciò per le famiglie di modeste condizioni economiche l’unica opzione per far studiare i figli, senza indebitarsi o dilapidare il proprio modesto patrimonio, sono i seminari ecclesiastici, che oltretutto aprono la possibilità di una carriera all’interno della Chiesa.

Inoltre, l’Impero Romano è un paese fortemente corporativo, ossia ci sono categorie sociali che sono tenute in una considerazione più alta da parte dello Stato. Dall’epoca di Leone IV i veterani, al termine del loro servizio nell’esercito, ricevono dallo stato un lotto di terra coltivabile di cui diventano proprietari; questi lotti sono ricavati dal demanio pubblico, ma più spesso sono frutto della divisione delle proprietà espropriate ai nobili caduti in disgrazia presso l’Imperatore.

Gli operai, tramite i sindacati, hanno passato decenni a richiedere miglioramenti nelle loro condizion sia salariali che contrattuali. Molto astutamente, l’Imperatore Marciano VI Giraldini accolse gran parte delle richieste degli operai, creando anche tavoli di contrattazione collettiva tra sindacati e industriali mediati dallo Stato; facendo ciò, l’Imperatore puntava a spaccare il movimento proletario e comunista, avvicinando a sé i sindacati e integrandoli nel sistema corporativo, e allontanando gli operai da Mosca e dalle influenze comuniste.

Noi come PCdR ci siamo opposti a questi tentativi, ma i sindacati hanno ceduto alle sirene imperiali, e ora la Confederazione Generale del Lavoro, il principale sindacato dell’Impero, che fino a vent’anni fa era l’organo attraverso cui organizzavamo la lotta proletaria, è diventato una colonna del sistema Imperiale.

Ho visto troppi compagni del Partito arrestati su segnalazione dei sindacalisti della CGdL; perciò, verso il sindacato ho solo fiele e parole al veleno. Mi dispiace, perché molti sindacalisti sono stati compagni di lotta per molti anni, ma non posso dimenticare come quegli stessi volti poi siano passati a urlare "Viva l’Imperatore!" negli anniversari dell’ascesa al trono dell’imperatore Marciano.

Forse è solo la stanchezza a parlare, e a rendermi così pessimista verso le prospettive del movimento operaio nell’Impero; avevamo grandi speranze nel 1935, quando riuscimmo a deporre l’imperatore Giovanni Battista assieme ai militari. Tuttavia, questi ultimi salvarono l’istituzione imperiale, restaurando il deposto Marciano VI, e la CGdL organizzò una grande manifestazione con cui celebrò il ritorno di Marciano, l’imperatore buono che ascoltava i sindacati e pensava agli operai.

Una rivoluzione deve avvenire sia dal basso che dall’alto; è così per tutte le rivoluzioni della Storia. Se il popolo contesta la classe dirigente, hai una rivolta; se la classe dirigente vuole sostituire il regime, hai un colpo di Stato. Una rivoluzione avviene solo quando contro il regime si mobilitano contemporaneamente il popolo e pezzi del ceto dirigente, con un movimento che è sia dal basso verso l’alto che dall’alto verso il basso. Neanche la Rivoluzione russa fa eccezione a questa regola: la rivoluzione del 1905 fu repressa perché avvenne quando il ceto dirigente russo non metteva in discussione l’istituto imperiale; quando lo zar fu deposto dai suoi stessi ufficiali e la monarchia rimpiazzata dal governo provvisorio, segnale di come lo stesso ceto dirigente esigesse un cambiamento, si aprì la finestra di opportunità che permise a Lenin di guidare la Rivoluzione di Ottobre.

Ebbene, in questo momento nell'Impero non c’è alcuno spiraglio per una rivoluzione; il popolo sostiene l’Imperatore e l’istituto imperiale, l’esercito può mettere in discussione un imperatore (e a volte un’intera dinastia) ma mai la monarchia in sé, gli industriali non sono abbastanza potenti da costituire un pericolo per l’imperatore, e alla nobiltà è concesso arricchirsi finché rimane leale alla corona. Tutti, in un modo o nell’altro, beneficiano dal sistema imperiale, per questo nessuno lo mette in discussione.

Noi comunisti siamo l’unica vera opposizione al regime imperiale. Nonostante le incarcerazioni di dirigenti e militanti, il Partito resta comunque molto presente nelle città, ma purtroppo nelle campagne e nei villaggi rurali – dove abita la grande maggioranza dei sudditi dell’imperatore – praticamente non esistiamo. È difficile spiegare ai veterani, che hanno avuto dall’Imperatore il pezzo di terra che coltivano, le ragioni della rivoluzione proletaria.

Ho sentito che a Mosca molti dirigenti dell’Internazionale si stupiscono di come il PCdR non sia stato formalmente messo al bando, e io stesso sia libero di muovermi e pubblicare articoli su giornali. Ma mettere al bando il partito semplicemente non è necessario, l’Imperatore può semplicemente ignorarci.

Spero che questa mia lettera chiarisca le ragioni del fallimento della lotta operaia nell’Impero Romano.

Saluti, compagni. W la Rivoluzione! W l'Internazionale!

Dario Carcano

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L'intervista

Sono arrivato in Romania nel 1979. All’epoca ero già famoso come giornalista e Martin Scorsese, all’epoca regista emergente, mi aveva chiesto – ovviamente dietro compenso economico – di andare in Italia a studiare la Roman Connection, ossia la rete internazionale del traffico dell’eroina che partiva dalle fabbriche clandestine in Grecia, passava per Taranto con la complicità di ufficiali corrotti della Marina Romana, giungeva ai clan mafiosi della Sicilia, della Campania e della Calabria, e arrivava negli Stati Uniti d’America, a New York.

Martin Scorsese voleva fare un film incentrato su questo traffico, così mi inviò in Romania a raccogliere informazioni e dati che poi sarebbero confluiti nella sceneggiatura del film. Quel progetto, dopo varie modifiche, sarebbe diventato Goodfellas, uscito nelle sale americane nel 1990.

Tuttavia, questa non è la storia di Goodfellas e della sua scrittura. Questa è la storia del mio viaggio in Italia, e della scoperta di uno dei fatti più raccapriccianti nella storia della Romania.

Come dicevo, sono arrivato in Italia nel 1979, a settembre. Quando uscii dall’aeroporto pioveva a dirotto, e sul taxi che mi doveva portare all’albergo trasmettevano una canzone che recitava “Chist’è ‘o paese d’ ‘o sole!”; passai le prime due giornate a Roma in albergo, non solo per organizzare le interviste che dovevo fare, ma anche perché speravo di poter vedere le meraviglie della capitale imperiale. Il terzo giorno, mentre stavo uscendo dall’albergo, trovai nell’albergo due ufficiali della guardia imperiale che, con mia sorpresa, mi stavano aspettando. Mi chiesero se fossi io il giornalista americano vincitore di un premio Pulitzer che collaborava con Martin Scorsese; gli risposi di sì e mi dissero che l’imperatore Paolo VIII voleva conoscermi e mi stava aspettando al Quirinale, nel Gran Palazzo, dove quel giorno avremmo pranzato insieme.

Non mi aspettavo che fossi così famoso anche in Romania, poi però mi ricordai che l’imperatore Paolo VIII era notoriamente appassionato di cinema, tanto che si diceva che i film prodotti dal Ministero per l’Educazione e la Propaganda Imperiale fossero diretti da lui usando pseudonimi. Probabilmente – pensai – l’imperatore era rimasto impressionato da Taxi Driver, e quando aveva sentito che lavoravo con Scorsese si era incuriosito e aveva voluto conoscermi; così, durante il tragitto dall’albergo al palazzo, mi preparai a rispondere a domande su Scorsese e sul suo cinema.

Arrivai al Gran Palazzo che era passato mezzogiorno, e un cameriere in livrea mi accompagnò dall’ingresso alla sala dove l’Imperatore mi attendeva.

Mi aspettavo una sala gigantesca con un tavolo enorme, invece era una saletta abbastanza intima, con un tavolo che per quattro persone sarebbe stato piccolo; l’imperatore era già seduto e mi stava aspettando per iniziare a mangiare. Quando mi vide mi venne incontro per stringermi la mano, e mi salutò con grande cordialità. Non ero a disagio, anzi: le gigantografie e i ritratti della propaganda che ovunque tappezzavano i muri di Roma, mi avevano abituato all’Imperatore e alla sua fisionomia; per cui non mi sembrava di essere assieme ad uno degli uomini più potenti del pianeta, ma di trovarmi assieme ad un vecchio amico.

La conversazione tra noi partì praticamente subito, e durò ben oltre la durata reale del pranzo; come previsto, la conversazione partì dal cinema; tuttavia, l’imperatore parlò soprattutto di come lui, durante il suo regno, avesse creato dal nulla un’industria cinematografica capace di sfidare Hollywood. Sembrava di parlare con Samuel Goldwyn, e non con un imperatore romano.

Ma del resto, l’imperatore Paolo era un intellettuale rinascimentale. Poteva parlare di cinema come un produttore di Hollywood, di Storia romana come un docente universitario, della marina e delle sue navi come un ingegnere navale, di religione come un teologo, e di politica come un sociologo.

Non era uno stupido, l’imperatore: se pensate che il cinema fosse per lui un gioco sbagliereste di grosso. L’imperatore si rendeva conto che il cinema, come anche la televisione, era il veicolo ideale per far passare la propria agenda politica, e si rendeva conto che, se l’Impero non fosse stato in grado di competere col cinema americano, avrebbe perso la più importante delle battaglie. Quella culturale.

A un certo punto della conversazione, quando il pranzo era già finito, l’imperatore disse: “So qual è il vero motivo della sua visita in Romania. L’incarico di Scorsese le ha dato un pretesto, ma lei ha una ragione personale per trovarsi nel mio impero. Suo padre.”

Credevo che l’aver cambiato cognome ottenuta la cittadinanza americana mi avrebbe evitato che qualcuno riconoscesse in me il figlio di mio padre, ma evidentemente mi sbagliavo.

Mio padre, il conte Anastasio Sampaoli, era stato diplomatico e ministro sotto numerosi imperatori, ed era sparito nel nulla durante il regno dell’imperatore Giovanni Battista Giraldini, lo zio dell’imperatore Paolo.

Non c’era stato un processo, e a me e mia madre non risultava fosse stato detenuto in carcere. Semplicemente un giorno era sparito nel nulla, e né io né mia madre avevamo mai più avuto sue notizie; non era nemmeno l’unico caso, molti altri ministri e funzionari erano spariti nel nulla durante il regno di Giovanni Battista.

Mio padre, che forse aveva intuito la fine che stava per fare, pochi mesi prima della sua scomparsa aveva spedito me, mia madre e i miei fratelli negli Stati Uniti, dove siamo cresciuti. Poi, dopo qualche settimana dal nostro arrivo, smettemmo di ricevere sue lettere, e gli amici rimasti in Romania ci confermarono che anche loro non avevano più sue notizie.

L’imperatore, dopo una pausa di silenzio, riprese a parlare e disse: “Lei probabilmente immagina qual è stata la fine di suo padre, il conte Anastasio, e devo informarla che i suoi timori purtroppo sono fondati. Suo padre è stato arrestato con l’accusa di tradimento, detenuto per tre anni nel campo di lavoro di Atella, e poi giustiziato. Non so dirle se sia stato seppellito, ma visti gli usi dell’epoca ne dubito.”

“Cosa intende dire con usi dell’epoca?”

“Il regno di mio zio è stato un periodo diciamo… complicato. Forse lei non è a conoscenza, avendo vissuto fuori dalla Romania, ma in quel periodo nessuno era al sicuro e molte persone sono state trasformate in fertilizzante per piante. Anch’io ho rischiato la vita in quel periodo.”

“Anche lei? Un principe di sangue reale?”

“Gliel’ho detto, nessuno era al sicuro. Il potere di mio zio era assoluto, e anche la sua paranoia era assoluta; tutti i giorni mio zio sottoponeva me e mio padre ad un rituale che chiamava ‘la mezz’ora’.”

“E in cosa consisteva?”

“Beh, in pratica faceva entrare me e mio padre nel suo studio, un ambiente gigantesco fatto apposta per intimorire, dove appesi al soffitto c’erano dei lampadari di cristallo talmente enormi che, se uno di questi si fosse staccato e qualcuno si fosse trovato sotto di esso, sarebbe finito spiaccicato.

In questo ambiente c’erano lui e tutta la sua corte di adulatori ed esecutori; la mezz’ora iniziava effettivamente quando mio zio poneva al suo segretario la domanda ‘Cosa si dice oggi nelle strade?’ e il segretario gli rispondeva “Il popolo è insoddisfatto del governo di sua maestà imperiale, e vorrebbe il ritorno sul trono dell’imperatore Marciano”. Dopo questo scambio rituale iniziava la mezz’ora, e mio zio si alzava in piedi e di fronte a tutta la corte faceva un elenco di tutte le malefatte compiute da mio padre durante il suo regno; omicidi politici, tangenti, accordi diplomatici svantaggiosi per l’impero, appalti truccati, sconfitte militari, nulla veniva risparmiato, vero o falso che fosse. Poi ci congedava sempre con la stessa frase: ‘Io vi compatisco per la fine che vi farò fare. Ora andate, ma ricordate che domani questa fine potrebbe arrivare.’

“Tutti i giorni era così?”

“Ogni singolo giorno sottoponeva me e mio padre a quel rituale. Sapeva che mio padre era troppo popolare per poterlo uccidere impunemente, così lo umiliava ogni giorno con la mezz’ora. Poi, quando compii sedici anni, fui allontanato dalla corte e mandato nel campo di lavoro di Atella, sotto falso nome, cosicché non ricevessi trattamenti di favore. Avevo paura che mio padre non mi avrebbe mai più rivisto, né vivo né morto.

Rimasi ad Atella finché mio zio fu deposto e mio padre restaurato sul trono.”

“Atella? Ma non è dove c’era anche mio padre?”

“Infatti, io ad Atella ho incontrato tuo padre, dormivamo anche nella stessa baracca. Ricordo benissimo il giorno in cui arrivò al campo, perché mio zio aveva predisposto una cerimonia ‘di benvenuto’, per umiliarlo.”

“Addirittura?”

“Sì, mio zio era un sadico che traeva piacere dall’umiliare il prossimo, e spesso si recava ad Atella per umiliare i prigionieri politici. Secondo alcune voci non faceva solo quello…”

“E cosa consistette la ‘cerimonia’ con cui umiliò mio padre?”

“Io vidi tutto dalla finestra della mia baracca, assieme agli altri prigionieri. Quando arrivò il treno su cui aveva viaggiato tuo padre, mio zio lo separò dal resto dei prigionieri, che furono messi in fila nel piazzale del campo a fare da pubblico. Mio zio nel piazzale aveva fatto preparare un palco, attorno a cui erano disposte le guardie del campo, e alcuni membri della sua scorta personale. Ora che ci ripenso, mi rendo conto che mio zio quel giorno aveva la stessa faccia gelida, e al tempo stesso piena di disprezzo, che aveva Klaus Kinski in ‘Aguirre, furore di Dio’.

Tornando a noi, tuo padre fu portato nel piazzale, di fronte a mio zio. Tuo padre era ancora vestito in borghese, così mio zio ordinò che gli fossero strappati tutti i vestiti, e tuo padre rimase nudo, senza neanche le mutande, solo con un paio di occhiali. Vidi mio zio avvicinarsi a tuo padre, togliergli gli occhiali, buttarli a terra e schiacciarli coi suoi stivali, e poi sputare in faccia a tuo padre. Fecero venire il barbiere del campo, che rasò tuo padre a zero, e poi gli misero in mano la divisa a righe del campo e due scarpacce di legno.

Tuo padre non fu l’unico a essere umiliato quel giorno, dopo di lui fu la volta di un'altra mezza dozzina di ex ministri e industriali. Come ho detto prima, mio zio si divertiva a umiliare il prossimo, e circolano molte leggende secondo cui nelle sue visite nei campi non faceva solo quello.”


“A questo punto glielo devo chiedere: cosa dicono queste leggende?”

“Mi sorprende che lei non sappia davvero nulla, evidentemente agli americani queste storie non piacciono; secondo le leggende, mio zio nei campi non solo umiliava i prigionieri, e non solo partecipava direttamente alle torture sui prigionieri – che ad Atella si facevano eccome, e non solo per estorcere confessioni – ma teneva banchetti a base di carne umana dei prigionieri del campo, a cui partecipavano membri di un culto segreto di cui era membro.”

“E secondo lei, queste leggende sono vere?”

“Guardi, che io sappia mio zio non era membro di nessun culto segreto. Però è vero che lo zio era membro di alcune organizzazioni… strane, che negli anni del suo regno hanno avuto una forte influenza sul governo.”

“E quali sarebbero queste organizzazioni?”

“La principale di cui sono a conoscenza era la Fratellanza degli Ottimi Perfetti, che, come ho detto, era… strana. L’ordine venerava una versione idealizzata dell’Impero Romano, nella fattispecie l’Impero dell’epoca augustea, ritenendo che da lì in poi sia iniziata una decadenza irreversibile che poteva essere arrestata solo restaurando l’Impero di Augusto. Lo zio, influenzato da quest’ordine, riteneva di essere la reincarnazione di Germanico, il vendicatore di Teutoburgo, e di essere stato mandato nel mondo per arrestare il declino dell’Impero e riportarlo alla sua antica gloria.”

“Ah.”

“Se già questo le sembra strano, si prepari al resto. Lo zio prese alla lettera il compito di restaurare l’Impero di Augusto; abolì il sistema delle prefetture creato da Leone IV e reintrodusse il sistema amministrativo dell’epoca augustea. Il problema è che anche gli storici non sanno con esattezza quale fosse questo sistema, così l’amministrazione dell’Impero divenne un caos di organi locali che si pestavano i piedi a vicenda. Fu abolita anche la monetazione decimale, e venne reintrodotto il sistema monetario bimetallico dell’epoca alto-imperiale, col risultato che anche solo per avere una moneta che avesse senso molti cittadini dovettero iniziare a ricorrere al mercato nero, dove si sviluppò una vera e propria valuta parallela a quella legale. Questo a cascata ebbe conseguenze disastrose sulle entrate fiscali, ulteriormente aggravate dalla decisione di reintrodurre l’appalto ai privati dell’esazione delle imposte, con tutta la corruzione e le ruberie sulle spalle dei cittadini che ne conseguivano. La cosa paradossale è che le azioni di mio zio scontentarono una platea così vasta di gruppi di potere e ceti sociali, che solo dopo undici anni riuscirono a mettere da parte le proprie divergenze e coalizzarsi per deporre mio zio e restaurare mio padre.”

“E poi, una volta restaurato suo padre cosa fece?”

“Ovviamente la prima cosa fu venire ad Atella a cercarmi; la seconda fu un editto con cui dichiarò ‘nulli, illegittimi e mai avvenuti’ gli atti di mio zio come imperatore.”

“E suo zio?”

“La fine di mio zio è un segreto, e tale deve restare. Posso però dirle che, a differenza sua, siamo stati magnanimi e non lo abbiamo giustiziato.”

Poi l’imperatore si alzò, andò verso un mobile e da un cassetto tirò fuori un faldone pieno di documenti su mio padre, e sulla sua prigionia. Me lo diede e mi disse:

“Si è fatto tardi, e purtroppo la devo lasciare. Questi documenti renderanno molto più semplice la ricerca su suo padre. Se vuole potrà scrivere di questo nostro colloquio, e della sua ricerca.”

Per poi andare via. Solo due mesi dopo, ultimato l’incarico ricevuto da Scorsese, mi avventurai nella ricerca sulla prigionia di mio padre e sulla fine dei suoi resti.

Purtroppo, quest’ultima parte è stata infruttuosa, perché l’imperatore Paolo non esagerava quando parlava di persone trasformate in concime. Come molte altre persone che hanno perso dei cari durante il regno di Giovanni Battista Giraldini, non ho una tomba su cui piangere mio padre, ma dal mio viaggio in Italia mi sono portato dietro una busta del terreno del campo di Atella, dove mio padre ha incontrato il suo destino.

Prima di lasciare Roma, mentre prendevo la metropolitana che mi avrebbe portato in aeroporto, dove avrei preso l’aereo per New York, un uomo attirò la mia attenzione. Era un uomo di circa novant’anni, che indossava una divisa da guardiano dei gabinetti della metropolitana; fu la sua faccia a catturare la mia attenzione, perché mi ricordava moltissimo Klaus Kinski in Aguirre, solo molto più anziano. Mentre lo guardavo stava pulendo il pavimento in marmo della stazione con un mocio, e ad un certo punto anche lui iniziò a guardarmi, e mi guardò come se in me avesse riconosciuto qualcuno che conosceva. Guardò me, lanciandomi saette con gli sguardi, e poi si voltò alla mia destra, dove vidi due uomini in impermeabile che lo tenevano d’occhio.

Poi arrivò il treno, io salii, le porte si chiusero e il treno partì. E mentre il treno si allontanava vedevo che continuava a guardare verso di me, e che i due uomini in impermeabile gli si erano avvicinati e avevano iniziato a rimproverarlo.

Non tornai mai più in Romania.

Dario Carcano

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A questo punto, la parola a William Riker:

Ispirato dalle suggestive novelle di Dario, anch'io ho voluto provare a scrivere un racconto ambientato in un universo in cui l'impero romano è sopravvissuto fino ad oggi e in cui Gabriele d'Annunzio ha una sua parte di rilievo. Io però. anzichè a un Impero Romano ristretto all'Italia o poco più, ho pensato a un Impero divenuto padrone dell'Europa Occidentale, Germania e Polonia incluse, e divenuto una superpotenza mondiale, coinvolgendo personaggi che non ti aspetti (comunque diversi dai loro corrispondenti nella HL). Chi vuole leggerlo, può scaricarlo cliccando qui. Se lo leggete, fatemi sapere che ne pensate scrivendomi a questo indirizzo.

Questa è una mappa del mondo al momento in cui il racconto è ambientato (il 1908 AD):

Ed ecco a voi la:

Successione ininterrotta degli Imperatori Romani

Dinastia Giulio-Claudia
1) Augusto (27 a.C.-14 d.C.)
2) Druso (14-41)
3) Britannico (41-54)
4) Nerone (54-68)

Imperatori non dinastici eletti dall'esercito
5) Galba (giugno 68-gennaio 69)
6) Otone (gennaio-aprile 69)
7) Vitellio (aprile-dicembre 69)

Dinastia Flavia
8) Vespasiano (69-79)
9) Tito (79-98)

Principato Adottivo
10) Traiano (98-117)
11) Adriano (117-138)
12) Antonino Pio (138-161)
13-14) Marco Aurelio (161-180) con Lucio Vero (161-169)
15) Commodo (180-192)

Imperatori non dinastici eletti dall'esercito
16) Elvio Pertinace (gennaio-marzo 193)
17) Didio Giuliano (marzo-giugno 193)

Dinastia dei Severi
18) Settimio Severo (193-211)
19-20) Settimio Bassiano detto Caracalla (211-217) con Settimio Geta (febbraio-dicembre 211)
21) Macrino (217-218)
22) Avito Bassiano detto Eliogabalo (218-222)
23-24) Alessandro Severo (222-268) con la parentesi dell'usurpatore Decio (249-251)

Imperatori non dinastici eletti dall'esercito
25) Claudio il Gotico (268-270)
26) Aureliano (270-275)
27) Tacito (275-276)
28) Floriano (giugno-agosto 276)
29) Probo (276-282)
30) Caro (282-283)
31-32) Numeriano (283-284) con Carino (283-285)

Dinastia Erculea
33) Massimiano (285-305)
34) Massenzio (305-312)

Dinastia Costantiniana
35) Costantino I il Grande (312-337)
36-38) Costanzo (337-361) con Costantino II (337-340) e Costante I (337-350)
39) Giuliano (361-363)
40) Gioviano (363-364)

Dinastia Valentiniana
41) Valentiniano I (364-375)
42-43) Valentiniano II (375-392) con Valente (375-383)
44) Teodosio I il Grande (383-408)
45) Teodosio II il Giovane (408-450)

Principato Elettivo
46) Flavio Ezio (450-457)
47-48) Valerio Maggioriano (457-480) con la parentesi dell'usurpatore Basilisco (475-476)
49) Ambrosio Aureliano (480-501)
50) Quinto Simmaco (501-525)
51) Severino Boezio (525-546)
52) Flavio Belisario (546-565)
53) Longino (565-575)
54) Maurizio (575-602)
55) Foca (602-610)

Dinastia Eracleana
56) Eraclio I (610-641)
57) Costantino III (febbraio-maggio 641)
58) Eraclio II (maggio-settembre 641)
59) Costante II il Barbuto (641-668)
60) Costantino IV (668-711)
61) Giustiniano (settembre-dicembre 711)

Imperatore Visigoto
62) Roderico (711-737)

Dinastia Carolingia
63) Carlo I Martello (737-741)
64) Pipino I il Breve (741-768)
65-67) Carlo II il Grande (768-814) con Carlomanno (768-771) e Pipino II (781-810)
68) Ludovico I il Pio (814-840)
69) Lotario I (840-855)
70) Ludovico II il Giovane (855-875)
71) Carlo III il Calvo (875-877)
72) Carlo IV il Grosso (877-887)
73) Arnolfo di Carinzia (887-899)
74) Ludovico III il Fanciullo (899-911)

Imperatore della Casa di Tuscolo
75) Teofilatto (911-921)

Dinastia Sassone
76) Enrico I l'Uccellatore (921-936)
77) Ottone I il Grande (936-973)
78) Ottone II (973-983)
79) Ottone III (983-1002)
80) Enrico II il Santo (1002-1014)

Dinastia di Franconia (Salica)
81) Corrado I il Salico (1024-1039)
82) Enrico III il Nero (1039-1056)
83) Enrico IV (1056-1105)
84) Enrico V (1105-1125)

Imperatori non dinastici eletti dall'esercito
85) Lotario II di Supplimburgo (maggio-settembre 1125)
86) Stefano Árpád (settembre-dicembre 1125)
87) Alfonso Sanchez il Nobile (1125-1137)

Dinastia di Svevia
88) Corrado II (1137-1152)
89) Federico I Barbarossa (1152-1190)
90) Enrico VI il Crudele (1190-1197)
91-92) Federico II lo Stupor Mundi (1197-1250) con Ottone IV di Brunswick (1198-1218)
93) Corrado III (1250-1254)
94) Manfredi (1254-1266)

Dinastia d'Asburgo
95) Rodolfo I (1266-1291)
96) Alberto il Bello (1291-1308)

Imperatore della Casa di Lussemburgo
97) Enrico VII il Santo (1308-1329)

Imperatore della Casa di Wittelsbach
98) Ludovico IV il Bavaro (1329-1331)

Dinastia di Savoia
99) Aimone (1331-1343)
100) Amedeo I l'Imperatore Verde (1346-1383)
101) Amedeo II l'Imperatore Rosso (1383-1391)
102) Amedeo III (1391-1453)

Dinastia d'Asburgo
103) Federico III (1453-1493)
104) Massimiliano I (1493-1519)
105) Carlo V (1519-1556)
106) Ferdinando I (1556-1564)
107) Massimiliano II (1564-1576)
108) Rodolfo II (1576-1612)
109) Mattia (1612-1619)
110) Ferdinando II (1619-1637)
111) Ferdinando III (1637-1657)
112) Leopoldo I l'Imperatore Sole (1658-1705)
113) Giuseppe I (1705-1711)
114) Carlo VI (1711-1740)
115-117) Maria Teresa (1740-1780) con Ludovico V di Borbone il Beneamato (1740-1774) e con la parentesi di Francesco I di Lorena (1742-1745)

Dinastia d'Asburgo-Borbone
118) Giuseppe II (1774-1790)
119) Leopoldo II il Martire (1790-1792)

Seconda Repubblica Romana (1792-1805)

Dinastia Buonaparte
120) Napoleone I il Grande (1805-1815)
121) Napoleone II l'Aquilotto (22 giugno-7 luglio 1815)

Dinastia d'Asburgo-Borbone
122) Francesco II (1815-1835)
123) Ferdinando IV (1835-1848)
124) Francesco III Giuseppe (1848-regnante)

Linea di successione al trono
125) Carlo VII (nato il 17 agosto 1887)
126) Ottone V (nato il 20 novembre 1912)
127) Carlo VIII (nato l'11 gennaio 1961)
128) Ferdinando V (nato il 21 giugno 1997)

Alcune note a margine: in questa Timeline vi sono DUE imperi romani rivali tra loro, perchè Caterina II ha conquistato Costantinopoli, ha rifondato l'Impero Romano d'Oriente (la continuità è assicurata dal fatto che Mehmet II si era proclamato, tra gli altri titoli, Imperatore dei Romani) e anche la Russia/Romania ha iniziato una sua politica coloniale, per quanto più limitata. E poi anche il terzo incomodo, l'impero britanno, si può proclamare erede di Roma per via del lungo dominio romano sull'isola e di una presunta continuità con l'effimero Impero delle Gallie.
Faccio notare che, sempre in questa Timeline, fa parte della storiografia romana ufficiale la versione di Fredegario, secondo cui Astianatte, figlio di Andromaca e del suo secondo marito Eleno, unico dei figli di Priamo a sopravvivere alla Guerra di Troia (ha lo stesso nome del defunto figlio di Andromaca ed Ettore, e secondo alcuni ne è la reincarnazione voluta dagli déi), dopo aver lasciato Butroto, è diventato re dei Cimmeri. Dopo la loro sconfitta da parte degli Assiri, un ramo della sua discendenza è migrato a nord, ha dato vita ai Sicambri e poi ai Franchi, stanziati sulla riva destra della Vistola e poi migrati nell'attuale bacino del Reno e del Weser dopo il volkwanderung degli Unni, per poi raggiungere la sede definitiva dell'odierna Gallia del nord. Ora, Borboni sono un ramo laterale dei Capetingi, e questi dei Robertingi, il cui capostipite Cariberto, figlio illegittimo di Clotario I, discende a sua volta dai Merovingi. Siccome il primo sovrano storico di questi ultimi, Faramondo, discende in linea maschile da Astianatte, ne consegue che il Cesare Carlo è il legittimo erede al trono di Troia! E non solo: discende direttamente da Zeus e dalla pleiade Elettra, a sua volta figlia di Atlante e di Pleione. Mica tutti possono vantarsi di discendere da... una stella!
Visto che il Cesare Carlo discenderebbe da Atlante, secondo alcuni cortigiani particolarmente esperti in piaggeria egli sarebbe addirittura il legittimo erede al trono di Atlantide! Peccato che quegli svampiti hanno confuso il Titano Atlante padre di Elettra, figlio di Giapeto e di Asia o di Climene, con Atlante primo Re di Atlantide, figlio di Poseidone e di Clito, che è una figura mitologica ben diversa! Ma se Napoleone I Buonaparte, nato ad Ajaccio il 15 agosto 1769, fece sostituire San Nabonide di Roma, ricordato dal Martirologio Romano il giorno di Ferragosto, con San Napoleone, sostenendo che si trattava di un'errata lettura del suo nome, figuratevi se a Roma si fanno scrupoli a sostituire il titano Atlante con un suo omonimo!!
(Questo vuole essere un esempio di Storiografia ucronica, genialmente introdotta da Iacopo...)

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Questo è il commento in proposito di Bhrghowidhon:

"Il Cesare Paolo" è un’ucronia notevolmente distopica e mi fa impressione che questo sia il prodotto di un Ucronista che non ha mai fatto mistero del proprio interesse per la Romanità. Invece, presa per quanto dichiara, l’ucronia del Cesare Paolo è una (forse involontaria) dimostrazione che uno dei miti più popolari, la nostalgia di Roma come occasione perduta per la Nazione Italiana, quando viene svolto in dettaglio produce effetti molto distanti dalle quasi messianiche attese che ha spesso suscitato. Per contro, "il Cesare Carlo" è, fra il molto altro, la prova concreta del realismo inerente all’ucronica continuità romano-asburgica estesa a mezzo Mondo (e ne sono gratificato); fuori programma, quindi, partecipo per più ragioni personali alla soddisfazione per questo tuo grande lavoro!
Un appunto: Atlantide era il Doggerland e i suoi discendenti linguistici sono i Britanni, di cui è rimasto come Stato autonomo solo il Galles. Di conseguenza sarà Re Edoardo VII di Hohenzollern-Stuart il legittimo erede al trono di Atlantide (il nome della sua casata deriva dal gaelico scozzese Stiùbhart), checché pensino gli storici di corte del Cesare Carlo.

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Ma attenzione, c'è anche la:

Successione ininterrotta degli Imperatori Russo-Bizantini

Dinastia Rjurik
1) Ivan I il Grande (1462-1505), già Ivan III come Principe di Mosca, assunse per primo il titolo di Car’ (Cesare) di Tutte le Russie
2) Vasilij I (1505-1532), figlio di Ivan I e di Sofia Paleologa, nipote dell'ultimo governatore romano di Costantinopoli, Costantino Paleologo
3) Ivan II il Terribile (1533-1584), figlio di Vasilij I e di Elena Glinskaja, avviò la conquista della Siberia
4) Ivan III il Crudele (1584-1605), figlio di Ivan II e di Anastasija Romanova
5) Vasilij II (1606-1610), figlio di Ivan III e di Virginia Vasa, morì in battaglia senza eredi

Dinastia Romanov
6) Michail (1610-1645), figlio di Filarete, Patriarca di Mosca, e di Ksenija Ivanovna Šestova, e cugino di Vasilij II
7) Aleksej I il Tranquillo (1645-1676), figlio di Michail e di Evdokija Luk'janovna Strešnëva
8) Fëdor (1676-1682), figlio di Aleksej e di Marija Il'inična Miloslavskaja
9) Ivan IV (1682-1696), figlio di Aleksej e di Marija Il'inična Miloslavskaja, fratello monore di Fëdor
10) Pëtr I il Grande (1696-1725), figlio di Aleksej e di Natal'ja Kirillovna Naryškina, fratellastro di Fëdor e di Ivan IV
11) Ekaterina I (1725-1727), figlia di Samuil Skavronski e di Elisabeth Moritz, seconda moglie di Pëtr I
12) Pëtr II (1727-1730), figlio dello Zarevic Aleksej Romanov (figlio di Pëtr I il Grande e della sua prima moglie Evdokija Lopuchina) e di Carlotta Cristina (figlia del duca Luigi Rodolfo di Brunswick-Lüneburg e cognata dell'imperatore romano Carlo VI d'Asburgo)
13) Anna (1730-1740), figlia di Ivan IV e di Praskovia Feodorovna Saltykova, nipote di Pëtr I il Grande
14) Ivan V (1740-1741), pronipote di Anna da questa adottato come figlio, salì al trono a due mesi di vita e fu detronizzato un anno dopo
15) Elizaveta I (1741-1762), figlia di Pëtr I e di Ekaterina I
16) Pëtr III (gennaio-luglio 1762), figlio di Anna Romanova (figlia di Pëtr I e di Ekaterina I) e del duca Carlo Federico di Holstein-Gottorp (nipote di Elizaveta I), fu detronizzato in una congiura di palazzo
17) Ekaterina II (1762-1801), nata Sofia Federica Augusta di Anhalt-Zerbst, moglie di Pëtr III, abbatté l'Impero Ottomano, conquistò Costantinopoli dove spostò la capitale ribattezzandola Čargrad e fondò l'Impero Russo-Bizantino
18) Konstantin I il Beato (1801-1825), figlio di Pavel (figlio di Ekaterina II e del suo amante Sergej Vasil'evič Saltykov) e di Sofia Dorotea di Württemberg, sconfisse l'imperatore romano Napoleone I Buonaparte (prese questo nome ritenendosi erede dell'imperatore romano Costantino I e del suo antenato Costantino Paleologo)
19) Nikolaj I (1825-1855), fratello minore di Konstantin I
20) Konstantin II il Conquistatore (1855-1881), figlio di Nikolaj I e di Carlotta di Prussia, avviò una politica coloniale ma fu assassinato da Ignatij Grinevickij
21) Konstantin III il Pacificatore (1881-1894), figlio di Konstantin II e di Maria d'Assia
22) Nikolaj II il Riformatore (1894-regnante), figlio di Konstantin III e di Gisella di Asburgo-Borbone (secondogenita dell'imperatore romano Francesco III Giuseppe di Asburgo-Borbone e di Elisabetta di Wittelsbach), introdusse la monarchia costituzionale e trasformò la Duma in un parlamento elettivo

Linea di successione al trono
23) Aleksej II, nato il 12 agosto 1904, figlio di Nikolaj II e di Anastasia d'Assia (figlia della Regina Vittoria del Regno Unito), malato di emofilia, fu assassinato da Vladimir Il'ič Ul'janov
24) Ekaterina III, nata il 15 novembre 1895, figlia primogenita di Nikolaj II e di Anastasia d'Assia, sorella maggiore di Aleksej II (nata con il nome di Olga)
25) Nikolaj III, nato il 26 settembre 1922, figlio di Ekaterina III e di suo cugino Kirill Vladimirovič Romanov (cugino di secondo grado di Konstantin III e pronipote di Konstantin II), anch'egli malato di emofilia, ma in forma meno grave
26) Elizaveta II, nata il 7 agosto 1956, figlia di Nikolaj III e di Sveva della Gherardesca
27) Konstantin IV, nato il 2 febbraio 1993, figlio di Elizaveta II e di suo cugino Aleksej Andreevič Romanov (nipote di Michail, fratello minore di Nikolaj II)
28) Konstantin V, nato l'8 ottobre 2023, figlio di Konstantin IV e dell'attrice italiana Matilda de Angelis

Che ne dite? Notate che ho dato a Napoleone il cognome con cui, stando a Tolstoj, effettivamente lo chiamavano gli Carí, che con snobistico spregio rimarcavano la "U" (chiaro che qui è perché la u non se ne è mai andata, e probabilmente i Buonaparte non hanno mai lasciato Sarzana). E' possibile anche che in questo universo Napoleone si sia imparentato con i Romanov anziché con gli Asburgo, uno dei cui imperatori è stato ghigliottinato dai sanculotti. Di certo l'Impero Russo-Bizantino, per quanto ancora arretrato, ha già visto nel 1908 la concessione di una Costituzione e l'elezione di una Duma, ha avviato una (seppur limitata, essendosi mosso in ritardo) politica coloniale, e ha iniziato un abbozzo di industrializzazione. La guerra del 1905 non c'è stata, non è scoppiata la Prima Rivoluzione e dunque non ci sono i presupposti per una Rivoluzione Bolscevica. I Menscevichi possono arrivare al governo, ma con libere elezioni e non in un clima di guerra e di tragedia nazionale.

Aspettate un momento, c'è anche la:

Successione dei Re di Britannia dal 1603 a oggi

Dinastia Stuart
Giacomo I Stuart (1603-1625), figlio di Enrico Stuart e di Maria Stuart, pronipote di Enrico VII Tudor per parte di entrambi i genitori, cugino di Elisabetta I Tudor, le succedette sul trono d'Inghilterra essendo la regina morta senza eredi diretti
Carlo I Stuart (1625-1649), figlio di Giacomo I e di Anna Sofia di Brandeburgo, fu detronizzato e giustiziato per ordine del puritano Oliver Cromwell, che instaurò un regime centrato sulla sua persona

Commonwealth (1649-1659), fu egemonizzato da Oliver Cromwell. Alla morte di questi il Parlamento rifiutò la successione di suo figlio Richard, considerato inetto al governo, e offrì la corona a Carlo, figlio del defunto Carlo I

Dinastia Stuart
Carlo II (1660-1685), figlio di Carlo I e di Anna di Danimarca, morì senza figli
Giacomo II (1685-1688), fratello minore di Carlo II, fu detronizzato da un colpo di stato organizzato dai cattolici (Gloriosa Rivoluzione)
Guglielmo III di Orange-Nassau (1688-1702), già governatore della provincia romana di Frisia e marito di Maria, figlia cattolica di Giacomo II, la spuntò alla fine della Gloriosa Rivoluzione e fu incoronato Re di Britannia, Caledonia e Ivernia con l'appoggio dell'imperatore romano Leopoldo I d'Asburgo, detto l'Imperatore Sole. Fu però malvisto dai Britanni perchè, essendo di religione cattolica, favorì i sudditi Cattolici a discapito dei Riformati
Giorgio I (1702-1766), figlio di Giacomo II e di Enrichetta Maria di Borbone, si vide offrire il trono a soli 14 anni alla morte senza eredi di Guglielmo III, dopo che il parlamento ebbe rifiutato la successione di Anna, figlia di Giacomo II e sorella minore di Maria, perchè anch'ella di religione cattolica. Con lui la dinastia Stuart tornò definitivamente sul trono britanno. Nel 1707 l'Atto d'Unione unificò le sue tre corone nel Regno Unito di Britannia, Caledonia e Ivernia
Giorgio II (1766-1788), figlio di Giorgio I e di Sofia Dorotea di Brunswick, sotto di lui fu stroncato il tentativo delle Tredici Colonie della Nuova Britannia di rendersi indipendenti con l'appoggio dell'Impero Romano
Giorgio III (1788-1807), fratello minore di Giorgio II, nato con il nome di Enrico
Giorgio IV (1807-1830), figlio di Giorgio III e di Carlotta di Meclemburgo-Strelitz, si ammalò di mente e nel 1821 le sue funzioni regali furono trasferite a suo fratello Guglielmo con il titolo di Reggente
Guglielmo IV (1830-1837), fratello minore di Giorgio IV, morì senza figli
Vittoria (1837-1901), figlia di Edoardo, fratello minore di Giorgio IV e di Guglielmo IV, e di Vittoria di Sassonia-Coburgo-Saalfeld. Il suo lunghissimo regno vide la nascita dell'Impero Britannico con la conquista britanna dell'India e fu un periodo di sviluppo industriale, culturale, politico, scientifico e militare per il Regno Unito, ma anche di morale puritana e bacchettona, noto come Età Vittoriana

Dinastia di Hohenzollern-Stuart
Edoardo VII (1901-1910), secondogenito di Vittoria Stuart e di Carlo Antonio di Hohenzollern-Sigmaringen
Giorgio V (1910-1936), figlio di Edoardo VII e di Alessandra di Danimarca
Edoardo VIII (20 gennaio - 11 dicembre 1936), figlio di Giorgio V e di Jelena Petrović-Njegoš, abdicò per sposare l'attrice romana Francesca Bertini (vero nome Elena Seracini Vitiello), di religione cattolica e senza alcun titolo nobiliare
Giorgio VI (1936-1952), fratello minore di Edoardo VIII, nato con il nome di Alberto
Elisabetta II (1952-2002), figlia di Giorgio VI e di Elizabeth Bowes-Lyon, il suo regno è il più lungo della storia britanna
Carlo III di Schleswig-Holstein-Stuart (2002-regnante), figlio di Elisabetta II e di Filippo di Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg

Linea di successione al trono
Guglielmo V, nato il 21 giugno 1982, figlio di Carlo III e di Camilla Rosemary Shand
Giorgio VII, nato il 22 luglio 2013, figlio di Guglielmo V e di Catherine Middleton

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