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Apre le danze William Riker:
Mi sia permesso di fare un po' di « metafantastoria », cioè di vera e propria esegesi della fantastoria medesima, e contemporaneamente di aprire un nuovo filone ucronico, in aggiunta alle lista delle nostre ucronie, basate sulla nostra « storia reale », le quali presuppongono tutte la creazione di Imperi, Regni o Repubbliche di dimensioni mondiali. Uno dei visitatori di questo sito mi ha infatti fatto notare: e chi l'ha detto, che le ucronie devono partire per forza dai libri di storia? Non possono per caso partire dai capolavori della Letteratura?
È un'idea che io giudico a dir poco grandiosa. Sono possibili tre sviluppi:
1) interpretazione "evemeristica" dell'opera letteraria, per renderla apparentemente storica;
2) sviluppo sulla stessa linea (continuazione della narrazione, precisazione di particolari taciuti);
3) fantaletteratura (si propone che un determinato fatto narrato non sia avvenuto - oppure si sia svolto diversamente - e si "calcola" che cosa ne potrebbe conseguire nell'ipotesi di non aggiungere nuovi elementi di fantasia) Ad esempio, che succede se Lucia lascia Renzo e cede alle profferte di don Rodrigo? (una storia un po' torbida, immagino...) O se Ulisse non torna ad Itaca, sposa la maga Circe e col suo aiuto crea una talassocrazia extraegeica? (E Penelope? Altra storia torbiduccia?) O se Gregor Samsa anziché in scarafaggio si trova mutato in farfalla, bellissima ma dalla breve vita? (drammatica e autosublimante!)
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Facciamo un esempio, partendo dalla
seconda ipotesi. Penelope,
piantata da Ulisse che le ha preferito la figlia del dio Sole, sposa  Agamennone che è tornato a  Micene 
 ma, avendo creduto
una volta tanto alle profezie di Cassandra, ha fatto fuori la moglie
Clitemnestra e l'amante Egisto e, riconoscente, lascia libera la figlia di
Priamo. Quest'ultima se ne va ad  Eea da  Ulisse e
 Circe e diventa l'indovina
ufficiale della corte del laertide. Si crea così una contrapposizione tra la
geocrazia micenea, una vera società spartana ante litteram, e la
talassocrazia eeica (sia detto per inciso, Eea io la identifico con il promontorio del
Circeo: NOMINA SVNT OMINA!), che anticipa e di fatto sostituisce Roma ed Atene. Eea
crea un impero da  Tartesso all'Egitto, mentre Micene uno da
 Creta alla Colchide. Poi
Agamennone ed Ulisse passano tra i più, e quest'ultimo è
assunto tra gli dei come Enea, il quale invece non ha lasciato la Troade ed
è rimasto a regnare sui superstiti troiani così come argomenta l'Iliade, il
resto l'ha inventato poi Virgilio. Ad Agamennone succede Oreste, ad Ulisse
Telemaco, ma siccome al padre è andata bene sotto le mura di Troia, Oreste
decide di andare a distruggere Eea, creando materiale per nuovi poemi
omerici.
 ma, avendo creduto
una volta tanto alle profezie di Cassandra, ha fatto fuori la moglie
Clitemnestra e l'amante Egisto e, riconoscente, lascia libera la figlia di
Priamo. Quest'ultima se ne va ad  Eea da  Ulisse e
 Circe e diventa l'indovina
ufficiale della corte del laertide. Si crea così una contrapposizione tra la
geocrazia micenea, una vera società spartana ante litteram, e la
talassocrazia eeica (sia detto per inciso, Eea io la identifico con il promontorio del
Circeo: NOMINA SVNT OMINA!), che anticipa e di fatto sostituisce Roma ed Atene. Eea
crea un impero da  Tartesso all'Egitto, mentre Micene uno da
 Creta alla Colchide. Poi
Agamennone ed Ulisse passano tra i più, e quest'ultimo è
assunto tra gli dei come Enea, il quale invece non ha lasciato la Troade ed
è rimasto a regnare sui superstiti troiani così come argomenta l'Iliade, il
resto l'ha inventato poi Virgilio. Ad Agamennone succede Oreste, ad Ulisse
Telemaco, ma siccome al padre è andata bene sotto le mura di Troia, Oreste
decide di andare a distruggere Eea, creando materiale per nuovi poemi
omerici. 
Uno scenario favoloso, non è vero? (Anche perché pure Micene, come -crazia, é un po' talasso-) Prima di ogni altra considerazione bisogna riordinare le idee: la talassocrazia eeica comprende un discreto retroterra di Tartesso, le grandi isole del Mediterraneo occidentale (Baleari, Corsica, Sardegna, Sicilia), perlomeno tutta la Penisola Appenninica, immagino le Isole Ionie, disgraziatamente non Creta ma spero almeno Cipro (visto che ha l'Egitto), forse la Fenicia, sicuramente l'Egitto (e quindi anche la Palestina), a questo punto la Libia e l'Africa (almeno Cartagine); la valle dell'Eridano? Oppure é micenea? E gli Arcadi sul Palatino sono filomicenei o prendono ordini dal Circeo?
Sull'altro lato: "Micene" sta per tutto il Peloponneso, l'Attica, la Beozia, Locride e Focide, Etolia e Tessaglia? Anche la Macedonia? Penso le Isole dell'Egeo, visto che arriva in Colchide e, in quanto geocrazia, ci deve arrivare attraverso un itinerario il più possibile continentale quindi anatolico? Ma Troia con chi sta? Con Ulisse suo espugnatore o con Agamennone di Elena? Gli alleati anatolici dei Troiani in che rapporti sono con la geocrazia micenea?
Se Eea ha l'Egitto, Micene deve indispensabilmente arrivare prima a conquistare la Mesopotamia ("da mare a mare e dal fiume fino ai confini della terra") e se possibile arrivare fino alla Valle dell'Indo. In questo modo le due sfere economiche - egizia e mesopotamica - otterrebbero una coesione politica molto anzitempo, sotto guida occidentale anziché centroasiatica (iranica).
molto solleticante curiosare nelle possibilità che - come avveniva tra Micenei e Protoitalici / Protolatini in Italia - potesse sussistere qualche forma di intercomprensibilità (non credo immediata, ma con qualche sforzo) tra Protogreci e altri popoli indoeuropei linguisticamente in una fase protolinguistica comparabile (escludo ovviamente l'Anatolia, dove la differenziazione linguistica era ormai pronunciatissima).
I due imperi non possono stare a guardarsi e quindi, se Oreste muove contro Eea, Telemaco avrebbe fatto il contrario entro non molto tempo. Onore al merito a Oreste per il coraggio di affrontare direttamente il cuore dell'impero rivale. Storicamente l'Egitto é sempre stato incomparabilmente più ricco e potente dei vicini, anche se militarmente forti ("Il miserabile Paese di Hatti"), ma sono sempre state le potenze in possesso della Mezzaluna Fertile a conquistare l'Egitto e mai viceversa.
iò suggerirebbe una vittoria micenea contro Eea, ma si scontra con la costante storica che una potenza non ottiene conquiste durature al di là del mare (a meno di possedere vantaggi teconologici incolmabili, come gli Spagnoli in America). Tutto filerebbe più liscio se Micene avesse una vasta e sicura base nella Valle dell'Eridano, magari congiunta da un corridoio terrestre adriatico orientale (su una delle vie degli Iperborei taciuti da Omero), ma concedere questo significherebbe schierarsi apertamente a fianco dei Micenei.
In effetti, nei poemi che gli ascoltatori degli aedi conoscevano, Ulisse dopo non molto tempo lascia Itaca e va in un paese dove la navigazione é sconosciuta e là terminerà la propria vita (quella sotto la luce del sole). Anche il nome della Terra di Circe (Eea: 'Aiaíê) viene dato come stranoto agli uditori. Le probabilità che la terra dove Ulisse si trasferisce sia Eea sono però inversamente proporzionali al numero di terre citate nel poema come note e queste terre, anche sottraendo quelle di navigatori (come i Feaci), non sono poche.
Già però il ritorno a Itaca doveva costituire un colpo di scena, perché per nove anni Ulisse resta a Ogigia da Calipso. Forse ha vissuto con Calipso più a lungo che con Penelope e gli sarà pur venuta nostalgia di lei, che fra l'altro non gli ha mai fatto niente di male. Non si può dire che Calipso non conosca la navigazione, ma si può ipotizzare che i discendenti suoi e di Ulisse evitassero il mare. Anche l'incontro del maturo Ulisse coi proprî figli Ogigî dovrebbe essere molto commovente.
Se tornasse a Ogigia, non é però escluso che prima passi da Eea e lì sistemi insieme a Circe la questione della talassocrazia (altrimenti improponibile a un popolo di non navigatori). Qualunque talassocrazia avrebbe dovuto fare i conti con la potenza marittima dei Feaci, ma la via più naturale e diretta per sedere sul trono dei Feaci sarebbe sposare Nausicaa. Piuttosto che eliminare una delle due (Nausicaa o Circe), preferirei che entrambe fossero compartecipi dell'amato itacese e si rendessero conto anche dei suoi doveri nei confronti di Calipso.
 (Ci si potrebbe pensar su per una decina d'anni mentre fanno l'assedio?)
(Ci si potrebbe pensar su per una decina d'anni mentre fanno l'assedio?)
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Per un po' il discorso è rimasto interrotto; poi, dopo l'uscita del film "Troy" l'amico aNoNimo ci ha mandato questo messaggio:
Menelao che muore ucciso da Ettore, Aiace idem, Briseide e Criseide che sono una persona sola, Cassandra che non c'è, Agamennone che viene ucciso a Troia invece che a Micene... quante ucronie in un film a tratti spettacolare e a tratti un po' "americanata". Ma se davvero Menelao fosse morto sotto le mura di Troia...?
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William ha continuato così il suo suggerimento:
Dunque, Menelao muore sotto le mura di Troia per mano di Ettore. Scartando l'idea che la coalizione degli Ahhiyawa si sfasci, perché il vero capoccia della spedizione era Agamennone ed aveva insistito lui per vendicare l'onore familiare, ci sono tre possibilità:
1) la guerra viene portata avanti comunque, Ettore è ucciso da Achille, Achille da Paride, Paride da Filottete, Ulisse realizza l'inganno del cavallo, Troia viene presa lo stesso. Seguono tre sottocasi:
1a) Elena si uccide perché non vuole ritornare con i Greci che le vogliono dare un nuovo marito. Troia è stata presa ma nessuno degli obiettivi iniziali dettati dall'Eros sono centrati, perché i protagonisti del triangolo sono tutti morti.
1b) Elena fugge con Enea e scappa con lui in Italia dove fonderà un regno greco senza componenti latine, una 'Roma greca' insomma.
1c) Elena si riconcilia con i Greci aprendo la camera del nuovo marito Deifobo che è trucidato da Agamennone. Allora si aprono ulteriori possibilità:
1c i) Elena è data in sposa a Neottolemo, figlio di Achille, e dopo la morte di Agamennone per mano di Clitemnestra, Ftia si sostituisce a Micene come potenza egemone achea (civiltà ftiatica anziché micenea)
1c ii) Elena è presa come sposa da Agamennone che ripudia Clitemnestra lasciandola al cugino Egisto. Agamennone diventa re anche di Sparta e riunifica la Grecia e la Troade in una grande nazione che si scontra con l'Egitto e la Mesopotamia per l'egemonia nel mondo antico.
1c iii) Elena è presa come sposa da Ulisse che dimentica Penelope, va a cercare gloria nel Mediterraneo, sconfigge Lestrigoni, Ciclopi e la maga Circe e fonda una talassocrazia che diventa egemone nel Mediterraneo Occidentale (così rientriamo nell'ucronia che ho già delineato).
1c iv) Elena resta zitella ma diventa regina di Sparta che dà inizio ad una società matriarcale che rivoluziona la concezione femminile nella Grecia Classica.
2) la guerra viene portata avanti comunque, Ettore è ucciso da Achille ma Achille è ucciso da Paride che con Deifobo prende il comando delle operazioni. Due casi:
2a) Ulisse cambia bandiera perché hanno dato le armi di Achille ad Aiace e non a lui, con uno stratagemma libera Troia e provoca il massacro degli altri Greci. La Grecia diventa parte dell'impero di Tarwisa, Ulisse ottiene il governo di Micene per conto dei troiani; resa dei conti tra Paride e Deifobo che provoca una nuova guerra civile. Deifobo è sconfitto e ripara nell'Egitto di Ramses III aizzandolo contro Ilio. Guerra marittima tra le due potenze per il controllo del Mediterraneo. Vince Ilio grazie alla flotta dei Feaci condotta da Telemaco figlio di Ulisse, e si ha la fondazione di un impero stile Alessandro Magno ante litteram.
2b) Ulisse non cambia bandiera ma i Troiani vincono lo stesso, come sopra però la flotta feacia-itacense non si affianca alle navi micenee e vince l'Egitto. Troia è espugnata dagli egizi anziché dagli Ahhiyawa, ed il re Paride muore nella catastrofe. E' Iulo figlio di Enea a far vela verso il Lazio e a fondare la stirpe romana. L'Egitto abbandona agli Ebrei di Giosuè i possessi in Asia e preferisce fondare una talassocrazia che si scontrerà con i Feaci, guidati da Telemaco che ha sposato Nausicaa, per il controllo del Mediterraneo occidentale.
3) Sostanziale pareggio. Morti Menelao, Ettore, Achille, Paride ed Aiace i due eserciti, rimasti senza campioni, decidono di fare la pace ma nei loro annali lasceranno scritto di aver vinto lo stesso la guerra. Omero scrive lo stesso l'Iliade asserendo che Zeus in persona è sceso in campo per ordinare la pace alla vigilia del trionfo greco, analogo poema in lingua frigia viene composto a Tarwisa. Enea, nuovo re di Ilio, permette ai Danai il libero passaggio attraverso i Dardanelli e conquista ciò che era stato l'impero ittita, la Mesopotamia e la Fenicia, facendo alleanza con Sansone, giudice degli Ebrei. Agamennone unifica i regni achei del Peloponneso rimasti senza re e comincia l'espansione ad occidente, fondando con l'aiuto di Ulisse un impero esteso a Spagna, Italia e Nordafrica. Scontro futuro tra le due potenze (Troiani con i Semiti sottomessi e Greci con gli Italici ed i Celti) con l'Egitto come ago della bilancia stile Lorenzo il Magnifico nell'Italia del quattrocento. L'ascesa della Cartagine di Didone, che ha sposato Enea, farà crollare entrambi gli imperi; ma questa, come diceva Michael Ende ne « La Storia Infinita », è tutta un'altra storia, ed andrà raccontata un'altra volta.

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Fanta-Promessi Sposi!
Lasciamo alla fantasia di qualche navigatore la continuazione dell'epopea achea, e passiamo ora ad esaminare la proposta dei fanta-Promessi Sposi nei quali Lucia lascia Renzo e cede alle profferte di don Rodrigo. Come potrebbe continuare la storia? Il nostro amico *BhriHskwo-bhlôukstrôy propone che Lucia si trasferisca in Spagna con Rodrigo e faccia invaghire di sé qualche regnante, che scrive per lei un poema in lecchese...Un feuilleton in grande stile! Altro che "Piccolo Mondo Antico"! Ebbene, il nostro vulcanico amico (cliccate qui per scrivergli) propone una successione del genere: la famiglia é lombarda (v. il conte Attilio e il Conte Zio), ma la madre é spagnola (Quitacercano) e ha scelto il nome del bimbo Rodrigo, il quale fin da piccolo va periodicamente in Castiglia dai nonni ed é ammesso a corte; conquistata Lucia la porta a corte, dove il Re se ne invaghisce e scrive il suddetto poema in milanese; intanto Lorenzo (o, come dicevan tutti, Renzo) si arruola tra i Bravi del Nibbio a servizio dell'Innominato e lo induce a muovere contro le proprietà di Don Rodrigo; il conte Attilio, il Conte Zio e Don Rodrigo si appellano all'Asburgo di Spagna, l'Innominato (in quanto feudatario diretto dell'Impero) all'Asburgo d'Austria imperatore del Sacro Romano Impero; i due Asburgo si accordano sulle teste dei nobili litiganti e in particolare progettano di far incorporare nell'Austria la Signoria dell'Innominato; questi si appella al Tribunale dell'Impero e aderisce alla Lega Grigia (che fino al 1648 farà parte dell'Impero); l'Innominato si inserisce nell'alleanza franco-veneto-elvetica in funzione antiasburgica e chiama le truppe di Richelieu vittoriose in Piemonte; Don Rodrigo viene nominato a capo degli Spagnoli che assediano Casale e dei Lanzichenecchi che assediano Mantova (1631) e ne approfitta per muovere in forze contro le terre dell'Innominato, che nel frattempo ha sconfitto la spedizione punitiva inviatagli contro dal Governatore del Ducato di Milano, Gómez-Suárez de Figueróa duque de Feria; l'Innominato passa alla Riforma e si reca a Lipsia dove si unisce ai principi protestanti tedeschi alleati di Gustavo II Adolfo di Svezia; Don Rodrigo, dopo un periodo passato con il conte Tilly, viene inviato da Wallenstein come vicario imperiale e referente degli Irlandesi; l'Innominato, che in quanto Pallavicino vanta diritti sull'eredità Obertenga incluso il Milanese (in realtà sull'intera Lombardia storica), dichiara decaduta l'unione personale tra corona spagnola e dignità arciducale borgognona e di conseguenza proclama reciso il legame tra Ducato di Milano e Spagna e offre a Gustavo Adolfo, che accetta, la sovranità sulla Lombardia; il 16/11/1632 l'esercito sassone-svedese e quello imperiale si affrontano a Lützen; l'Innominato e Don Rodrigo comandano schieramenti opposti, Lucia é nella tenda di Don Rodrigo, Renzo a fianco dell'Innominato... E così, "qualche anno" dopo la guerra conclusa con un marchingegno dalle parvenze equine, una donna cambia la storia del mondo...
Ma la storia non è finita qui. Lucia vede Renzo in battaglia dalla tenda... Sa che sta combattendo per lei...Solo che se sia Don Rodrigo che il Conte del Sagrato restano senza la bella Lucia, come possono consolarsi? Don Rodrigo, in quanto (metà) castigliano, può recarsi con l'amico di sempre Attilio nella Nuova Spagna e lì si ricostruiscono una vita (e un impero personale) in California; il Conte del Sagrato, dopo aver rotto con Richelieu a causa degli Ugonotti ed essersi perciò accostato agli Inglesi (anche per la paura avuta alla visione degli Irlandesi di Wallenstein), ripercorre le rotte di Sir Francis Drake e si (re)insedia nella Nuova Albione, sul Golden Gate. Così, sul futuro sito di San Luis Obispo (de Tolosa) corre il confine tra il Nuovo Sagrato e la Tierra Reina Lucía.
Intanto, in Lombardia si é creato qualche paciugo feudale, perché il Ducato fa parte della Corona Svedese (in quanto parte integrante della Germania Gustavina), le terre avite del Conte Pallavicino (vero nome dell'Innominato) sono invece la Quarta Lega dei Grigioni e i beni di Don Rodrigo gli erano stati confiscati dall'Imperatore per tramite del Re di Spagna e allora ancora Duca di Milano e costituiti in Feudo Imperiale diretto di cui Ferdinando II d'Austria investe Doña Lucía su preghiera di Filippo IV di Spagna. Dato che questi é da diciassette anni sposo di Isabella figlia di Enrico IV di Francia, i due Asburgo convengono che, anziché rinnovare le ostilità tra i due signori d'Oltreoceano, sia preferibile che alla Contessa Palatina si associ come Principe Consorte Lorenzo (o, come dicevan tutti, Il Principe).
Il punto a cui volevamo arrivare era che Gustavo Adolfo non morisse a Lützen e che tutta la Germania centro-settentrionale (e Milano) restassero svedesi (nell'Impero): non ci sarebbe stato uno sviluppo - o almeno non uno militaristico - della Prussia. Comunque la promiscuità Tridentino-Riformata a Milano e in Valtellina sconvolge l'equilibrio dei Grigioni e induce Gustavo Adolfo a emanare a sua volta un Editto di Tolleranza col quale si abolisce il principio "Cuius Regio Eius (et) Religio". In realtà il Re mira con questo ad assicurarsi la successione al trono polacco, dopo la morte di Sigismondo III Wasa - già Re di Svezia quarant'anni prima - nell'aprile di quell'anno e promettendo al Re Ladislao VII, salito al trono tre giorni prima della battaglia di Lützen, un appoggio decisivo nella rivendicazione del trono di Zar di Russia - già suo vent'anni prima - contro Michail Fëdorovic Romanov.
Ladislao accetta e Gustavo Adolfo chiama il Principe Lorenzo
accanto a sé nella Campagna di Russia, ma Lorenzo gli suggerisce di proporre allo
stesso Romanov un compenso maggiore dell'Impero per il quale combatterebbe.
Gustavo Adolfo si accorda quindi con Michail Fëdorovic per una Crociata
contro  Murad IV il Prode, promettendo l'aiuto proprio, dei Polacchi, degli
Irlandesi e degli Imperiali guidati da Wallenstein per riconquistare
Costantinopoli.  Urbano VIII (Maffeo Barberini) benedice i Crociati, indice
un Giubileo straordinario e sospende il procedimento contro  Galileo Galilei
se questi pone le proprie conoscenze al servizio della Causa.
(P.S. Qual é l'atteggiamento di Fra Cristoforo di fronte alla
Crociata?)
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A questo punto l'amica Eowyn ci ha scritto:
Per quanto riguarda la torbida e intrigante storia tra Lucia Mondella e Don Rodrigo de I Promessi Sposi non credo che possa avere un seguito per le caratteristiche peculiari del personaggio maschile e la differenza di ceto sociale. In pratica Don Rodrigo tratterebbe Lucia Mondella come un Kleenex (usa e getta).
Dico, ma te l'immagini Don Rodrigo e Lucia passeggiare mano nella mano nei giardini del castello (aveva poi un castello Don Rodrigo? mi pare di si ma non ricordo bene) con Don Rodrigo che le recita poesie in castigliano mentre lei, che non ne capisce un accidente di castigliano, ne intuisce il solo trasporto amoroso?
No, questo è il matrimonio che non si deve fare né ora né mai. Non si capirebbero e non solo linguisticamente. Lucia si sentirebbe sempre un pesce fuor d'acqua. Finita la tempesta ormonale, Don Rodrigo si stancherebbe di lei e le farebbe fare comunque una brutta fine. Però potrebbe essere il Griso a farci un pensierino su Lucia... questo è già più probabile.
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Così le risponde William Riker:
Tutto condivisibile, Eowyn. Ricorda, però, che tante "popolane" sono diventate dei veri capi di stato ombra. Certo, come amanti dei re (e non come regine)... ma conta di più la regina o l'amante di un re assoluto?
Eppoi Don Rodrigo (che poi era spagnolo di Iberia o lecchese?) non era che un signorotto, e non aveva neppure problemi di morganatici e cose varie...
Io sono un accanito tolkieniano e, come Tolkien, penso che certe letture, più che far evadere dalla realtà, aiutino a reggerla...
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Ma ecco giungere un altro commento da parte di Eowyn:
Non sono d'accordo. Colui che ha più chance di tutti nella storia potrebbe essere
l'Innominato. Perchè:
1. è uno dei pochi uomini (oltre ai religiosi e a quel farloccone di
Renzo) che vede Lucia da vicino e avrebbe la possibilità di conoscerla
abbastanza bene dato che l'ha rapita ed è lì "a portata di mano".
2. Il pentimento cristiano gli ha fatto guadagnare punti agli occhi di Lucia.
3. Secondo me l'Innominato è molto più umano di Don Rodrigo e
capace di sentimenti forti e veri.
4. L'Innominato nella storia non muore.
Mancherebbe, a questo punto, che scocchi la classica scintilla. È una storia simile a quella della Bella e La Bestia: la Bestia rapisce Belle. I due si conoscono e scoprono di amarsi e a questo punto l'amore trasforma la Bestia in un uomo. Lucia, oltre che ammansire la Bestia/Innominato, potrebbe benissimo innamorarsene come fa Belle. Sicuramente Lucia avrebbe un destino migliore nello sposare l'Innominato che nello sposare Renzo o diventare l'amante di Don Rodrigo. Nella storia potrebbero dare una mano anche Fra Cristoforo e il Card. Borromeo, chissà?
Oppure potrebbe essere una storia drammatica con l'Innominato che, dopo aver sposato Lucia muore di peste (al posto di Don Rodrigo). A questo punto Lucia diventerebbe una ricca ma infelice vedova e potrebbe farsi avanti Don Rodrigo. é qui che la storia diventa intrigante: Lucia, vedova dell'Innominato accetterebbe o no di sposare Don Rodrigo?
Don Rodrigo ha molte meno chance dell'Innominato:
1. Intravede Lucia mentre va alla Filanda. Non riesce quindi a vederla
bene, a conoscerla.
2. Secondo me Don Rodrigo è il classico signorotto bello, presuntuoso e
privo di qualsiasi sentimento che non riguardi la cura di sé e dei suoi
divertimenti. Non si pente mai se non quando sta per morire.
3. Insisto: Don Rodrigo è uno che va dove lo portano gli ormoni.
Vista l'irreprensibilità di Lucia non credo che lei possa diventare
l'amante di Don Rodrigo. Se lo diventasse avrebbe vita breve, lui
si stancherebbe presto e lei non ha le caratteristiche di "donna
fatale" tale per diventare una "Madame de Pompadour".
Per fare l'amante di un potente bisogna avere grandi capacità:
fascino, furbizia e intelligenza non comuni per una popolana qualsiasi. Una donna così è una che fa cadere in trance una pletora di uomini e
che suscita invidia nelle altre donne, inoltre deve saper gestire con
furbizia il potere che ha. Non è decisamente il caso di Lucia.
4. Muore giovane e per l'amante di un signorotto in genere è la fine.
A meno che non si è quel genere di donna descritto al punto 3...

Don Rodrigo alle prese con i Bravi visto da Marcello Toninelli
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Invece Enrica S. ha avuto tutt'altra idea:
Com'è ben noto, Perpetua consigliò al pavido don Abbondio, che certamente non era un cuor di leone, di avvisare il cardinale Federigo Borromeo dopo che i Bravi di Don Rodrigo lo avevano minacciato; e lo stesso Federigo, tempo dopo, gli rimproverò di non averlo informato, anziché piegarsi alle prepotenze di quel signorotto. Il curato di Olate rifiutò nel timore che Don Rodrigo, saputolo, mandasse il Griso a fargli la festa. Ma supponiamo che Perpetua sia più convincente, e praticamente costringa il tremebondo parroco a scrivere una lettera all'Arcivescovo per informarlo di tutto.
La mattina dopo, quando Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo si reca dal curato per fissare l'ora del matrimonio, è da questi informato delle minacce da don Abbondio, il quale lo implora di non lasciarsi sfuggire parola, altrimenti lui è un uomo morto. Anziché tornare da Lucia per spiegarle tutto, però, il focoso Renzo si reca immediatamente al palazzaccio di Don Rodrigo per fare i conti con lui e risolvere la cosa da uomo a uomo. Ovviamente i bravi non lo lasciano passare, ma scoppia una rissa e Renzo uccide il Griso. A questo punto Don Rodrigo ha buon gioco ad accusare Renzo Tramaglino di omicidio premeditato, dato che il Conte Zio siede nel Senato di Milano, e, dopo l'arringa accusatrice dell'avvocato Azzeccagarbugli, il filatore è sommariamente condannato a morte. Tuttavia egli nel frattempo ha incontrato Padre Cristoforo che, saputo cosa il giovane ha fatto, rivede in lui se stesso quando ancora si chiamava Lodovico e, dopo averlo confessato ed averlo convinto a pentirsi, lo aiuta a mettersi in salvo, non nel bergamasco, perchè la strada verso oriente è sbarrata dai birri del Conte Zio, ma a nord, in Svizzera, attraversando in barca il Lago di Como prima e il Lago di Lugano poi.
A questo punto il cardinale Federigo Borromeo, giunto ad Olate per sposare i due giovani e gastigare Don Rodrigo, si trova di fronte il Conte Zio che gli rinfaccia di proteggere un assassino, e che ha già ottenuto di far trasferire Padre Cristoforo a Rimini per aver aiutato Renzo a fuggire. Don Rodrigo avrebbe la strada spianata per costringere Lucia ad essere sua, ma naturalmente Federigo prende la giovane sotto la sua protezione e la porta con sé a Milano, bypassando l'infida Monaca di Monza e affidandola subito a Don Ferrante e a Donna Prassede; anche don Abbondio (con Perpetua) segue il cardinale a Milano, perchè ad Olate non vuole più rimanere, certo che là i bravi di Don Rodrigo gli farebbero la pelle. Ma Don Rodrigo non vuole pagare la scommessa a suo cugino, il Conte Attilio, e così, dopo aver spedito quest'ultimo in Svizzera sulle tracce di Renzo, con il compito di vendicare il Griso, cerca un espediente per mettere le mani su Lucia nonostante la protezione assicurata dal Cardinale. Quale? Chiederà aiuto, come nella HL, a Bernardino Visconti, il potente Conte del Sagrato, il quale potrebbe approfittare del grande casino combinato dalla calata dei Lanzichenecchi nello Stato di Milano per tentare di rapire Lucia Mondella.
Ma tra i lanzi che piombano in Lombardia c'è anche Renzo, arruolatosi tra i mercenari svizzeri al soldo di Ernest Egon di Fürstenberg-Heiligenberg: l'ex filatore è divenuto un combattente spietato, ha liquidato Attilio e ora si prepara a regolare i conti con Don Rodrigo in persona, sullo sfondo della peste (in realtà una disastrosa epidemia di carbonchio). I "Promessi Sposi" finiranno, come l'"Eneide" e l'"Orlando Furioso", con un duello all'ultimo sangue tra i due principali antagonisti? O Lucia e Padre Cristoforo convinceranno Renzo a risparmiare Don Rodrigo, riuscendo a farlo tornare il ragazzo timorato di Dio che abbiamo conosciuto all'inizio del romanzo? Ai posteri / l'ardua sentenza, nui / chiniam la fronte al Massimo / Fattor, ché grazie a Lui / poterono i due giovani / dir "Sì" presso l'altar...
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Non possiamo non riportare l'osservazione di Enrico Pizzo:
Stavo pensando a quale poteva essere la prossima "informazione che voglio condividere con voi" quando, non so nemmeno io dire il perchè, mi è apparso davanti agli occhi Tonio che, ricorderete, nei Promessi Sposi è esposto verso Don Abbondio per la cifra di Lire Milanesi 25 avute dando in garanzia la collana della moglie e che lui avrebbe "barattato con tanta polenta".
Preso dalla curiosità ho controllato sul libro del Maestro quale fosse il cambio del 1630 tra la Lira Milanese e quella Veneta ed ho calcolato che le 25 Lire di Tonio corrispondevano a 36 Lire e 12 Soldi Veneti.
Cifra interessante se consideriamo che il Podestà di Montagnana riceveva mensilmente 16 Lire e 13 Soldi...
Che razza di collana aveva dato Tonio in garanzia...?
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E Tommaso Mazzoni aggiunge:
Soprattutto, stupisce la disponibilità monetaria del Curato!
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Anche Iacopo dice la sua:
Adesso voglio sapere quanta polenta ci si compra...
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Enrico gli replica:
Non è così facile rispondere a questa domanda!!
Non dispongo di nessun dato relativo ai prezzi delle granaglie nel Milanese...
Ho solo un, labile, dato relativo alla Bassa Padovana, ricavato dal libro di Aldo Pettenella "Storie Euganee".
A pagina 25 riporta che Francesco Gusella da Valle di Sotto, odierna Valle San Giorgio, uccise Francesco Gomiero nelle Valli Sagrede, odierna Via Sagrede tra Lozzo Atestino e Vò, dietro compenso di Lire Venete 10, interamente corrisposte in natura sotto forma di un sacco di mais.
Ipotizzando che di un sacco vicentino, equivalente a 4 staia o a 64 quartarole, si tratti, i territori in cui venne ucciso il Gomiero allora erano appartenenti al Vicentino, ed ammettendo che io non abbia commesso errori con Excel, ricavo che le 25 Lire Milanesi di Tonio corrispondono a 36 Lire, 13 Soldi e 5 Piccoli Veneti, con cui poteva acquistare al mercato 3 sacchi, 2 staia e 10 quartarole di mais.
Dato che il sacco vicentino corrisponde a 108,17 litri, Tonio avrebbe potuto comprare 395,5 litri di mais, praticamente
260 Kg di mais. Davvero tanta polenta...

Alessandro Manzoni ritratto nel 1841 da Francesco Hayez (1791-1882)
.
Fanta-Promessi Sposi altrove!
E ora, la parola a William Riker, che ha voluto proporci alcune "ambientazioni alternative" del capolavoro di Manzoni:
E Spuse Prummise
"Chella parte d'o Gorfo 'e 
Nnapule, che guarda verso 'o Sud, nmiezo a ddoje fil'e muntagne, tutte fatte a 
cimm'e gorfe…" Non è facile riambientare il Romanzo di Manzoni a Napoli, ma io 
ci voglio provare. Dunque, siamo nel 1647 e Lucia è una popolana del quartiere 
Pendino che deve sposare Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo, un pescatore di 
Amalfi. Il giorno delle nozze però Don Abbondio, Arciprete della Basilica della 
Santissima Annunziata Maggiore, mena il can per l'aia sostenendo che ci sono 
degli impicci. Renzo lo costringe a parlare e viene a sapere che il Vicerè 
spagnolo di Napoli, Don Rodrigo Ponce de León, Duca d'Arcos, descritto dai 
contemporanei come un uomo dedito alla vita mondana, frivolo e senza esperienza 
di governo, ha fatto una scommessa con suo cugino, il Conte Attilio, e ha fatto 
minacciare Don Abbondio affinché non celebri il matrimonio ("'Stu spusalizje nun 
s'agge a fa'!"). Il prete, anziché rivolgersi all'Arcivescovo di Napoli, 
Cardinale Ascanio Filomarino, che ha fama di sant'uomo, ha scelto di piegarsi al 
prepotente di turno. Lucia si rivolge allora al suo confessore Fra Giuseppe da 
Copertino, futuro santo famoso per le visioni mistiche e i suoi "voli", il quale 
tenta invano di convincere con le buone don Rodrigo Ponce de León a lasciare in 
pace i due giovani; il Duca d'Arcos lo caccia via in malo modo e ottiene il suo 
trasferimento al convento di Osimo, nelle Marche. Dopo un fallito tentativo di 
matrimonio a sorpresa davanti a Don Abbondio e un altrettanto fallito tentativo 
di Don Rodrigo di far rapire Lucia, questa viene messa in salvo nel convento 
napoletano di Monteoliveto, sotto la protezione di una Madre Superiora che è 
stata monacata a forza e intrattiene una relazione clandestina con Juan Alfonso 
Enríquez de Cabrera, predecessore di Don Rodrigo e suo amico. Renzo invece il 6 
giugno 1647 viene mandato verso un convento presso la Chiesa di Sant'Eligio 
Maggiore, ma resta invischiato nella rivolta di Masaniello. Domata questa, è 
creduto un facinoroso e arrestato, ma riesce a scappare e dopo una fuga 
rocambolesca si rifugia a Roma presso il cugino Bortolo che là è emigrato per 
lavorare nei cantieri dell'architetto Francesco Borromini, cantieri in cui anche 
Renzo si impiega. Intanto Don Rodrigo si accorda con Don Giulio Genoino, 
ispiratore di Masaniello, promettendogli l'impunità se convincerà la Monaca di 
Monteoliveto a farla uscire dal convento con una scusa. Don Juan Alfonso 
Enríquez de Cabrera, detto anche il Conte del Sagrato, ne approfitta per farla 
rapire e portare nel suo palazzo di campagna fuori Napoli, ma qui le preghiere 
della ragazza ottengono di insinuare dei dubbi nel suo animo di peccatore. 
Incontratosi con il Cardinale Ascanio Filomarino, in visita pastorale nelle 
campagne, il signorotto spagnolo si pente, decide di cambiare vita e di liberare 
Lucia. Questa però ha fatto voto a San Gennaro di non sposarsi se fosse stata 
liberata. Intanto infuria l'ultima fase della Guerra dei Trent'Anni e i 
Lanzichenecchi protestanti, dopo aver inutilmente assediato Roma, scendono fino 
a Napoli mettendola a ferro e fuoco, e portano in Italia la peste. Renzo, 
guarito dal contagio, torna a Napoli a cercare l'amata e vi trova Fra Giuseppe 
da Copertino che ha ottenuto di tornare per stare vicino agli appestati. Questi 
prima gli mostra Don Rodrigo morente di peste, convincendolo a perdonarlo, e 
infine lo fa incontrare con Lucia, sciogliendola dal voto (in cambio chiamerà 
Gennaro il suo primo figlio). Scoppia a piovere, la pestilenza ha fine, e 
finalmente Renzo e Lucia sono sposi. Che ne dite? Spero di non avervi annoiato, 
amici, ma se ci sono riuscito, credete che non s'è fatto apposta!
The Betrothed
"That coast of the English 
Channel, which turns toward the south between two unbroken chains of mountains, 
presenting to the eye a succession of bays and gulfs, formed by their jutting 
and retiring ridges..." Proviamo ora ad ambientare i Promessi Sposi in 
Inghilterra. Siamo stavolta nel 1642, nel pieno dello scontro tra Sovrano e 
Parlamento, e in un villaggio poco fuori Londra, a quei tempi non ancora la 
megalopoli in cui la avrebbe trasformata la Rivoluzione Industriale, vive la 
popolana Lucy Mondale, che dovrebbe sposare l'amato Lawrence Tremaine, 
allevatore di pecore. La ragazza tuttavia viene adocchiata da Ralph Hopton, I 
Barone di Hopton, uomo di fiducia del Re Carlo I e condottiero delle armate 
realiste, con le quali ha da poco inflitto alle Teste Rotonde, i seguaci di 
Oliver Cromwell, la sconfitta di Lansdowne. Questi, galvanizzato dalla vittoria, 
crede di poter fare il bello e il cattivo tempo con le sue milizie private, e 
minaccia il parroco anglicano del villaggio di Lucy affinché eviti di celebrare 
il suo matrimonio con Lawrence. Questi è di religione cattolica e si rivolge al 
suo confessore, il gesuita Henry Morse (uno dei famosi Santi Quaranta Martiri di 
Inghilterra e Galles), affinché sblocchi la situazione, ma il sant'uomo non 
riesce a cavare un ragno dal buco e viene addirittura minacciato da Lord Hopton 
di impiccagione come "papista". Il fallito tentativo di Lawrence di forzare la 
mano al parroco anglicano costringendolo a celebrare il matrimonio contro la sua 
volontà costringe i giovani a separarsi e a fuggire. Lucy, in quanto 
perseguitata da un realista, viene presa sotto la propria protezione dai 
puritani e affidata in custodia proprio ad Elizabeth Bourchier, moglie di 
Cromwell, mentre Lawrence si reca a Londra per chiedere aiuto ad alcuni amici. 
Vi arriva però quando i Puritani stanno effettuando il primo tentativo di 
conquistare la città e rimane invischiato negli scontri. Quando Hopton scaccia 
gli uomini di Cromwell dalla città, Lawrence è accusato di essere una Testa 
Rotonda e, per sfuggire al capestro, è costretto a fuggire a Dover e da qui in 
Francia, presso un parente che lavora come pescatore sulle coste francesi della 
Manica. Hopton intanto si rivolge all'amico ammiraglio Edward Montagu, I Conte 
di Sandwich, il quale sa che la moglie di Cromwell ha una relazione clandestina 
con un nobile inglese, e farebbe una brutta fine se il marito puritano lo 
venisse a sapere. Ricattando la donna, Montagu ottiene che questa lasci uscire 
di casa con una scusa Miss Lucy Mondale, quindi la fa rapire dai suoi uomini e 
portare nel suo castello. Tuttavia il Benedettino Alban Roe (lui pure nella HL 
uno dei Santi Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles), nominato segretamente 
da Papa Urbano VIII Arcivescovo cattolico di Westminster, venuto a sapere della 
cosa, si reca al castello e riesce a convertire il Conte di Sandwich, già 
tormentato dai rimorsi, che libera Lucy permettendole di tornare a casa sua. 
Intanto però i Puritani, guidati da Henry Grey, primo Conte di Stamford, hanno 
conquistato Londra dopo furiosi combattimenti, e le pessime condizioni igieniche 
causano lo scoppio della peste. Lawrence Tremaine rientra dall'esilio, timoroso 
che Lucy sia morta a causa del contagio, e dopo aver ritrovato Henry Morse che 
cura gli appestati, incontra anche Lucy, che è guarita dal morbo. Questa ha 
promesso di non sposarsi se fosse stata salvata dalle grinfie di Lord Montagu, 
ma Morse, che durante la pestilenza la ha convertita al cattolicesimo, modifica 
il suo voto in quello di chiamare il suo primo figlio Thomas come San Thomas 
Beckett e San Thomas More. Cessato il contagio, che ha colpito soprattutto le 
forze realiste dando inizio ad una serie di vittorie dei Parlamentari fino al 
loro successo finale, Lucy e Lawrence si sposano e vanno a vivere in Francia, 
mentre Morse verrà fatto giustiziare da Cromwell e in seguito sarà proclamato 
Santo. Anche stavolta spero di non avervi annoiati, ma credetemi: "if we were 
made to bore you, believe that it was not done on purpose!"
Les Fiancés
E ora, non può mancare 
un'ambientazione relativa alla più grande pestilenza di tutti i tempi, cambiando 
anche il secolo in cui il Romanzo per antonomasia e ambientato. « Ce bras de la 
Manche qui se dirige vers le midi entre deux chaînes non interrompues de 
montagnes, en formant autant de petits golfes et de petites baies... » Siamo in 
Francia nel 1347 ed infuria la Guerra dei Cent'Anni. La prima fase del 
conflitto, con il quale Re Edoardo III d'Inghilterra, sbarcato sul continente 
nel 1337, mira ad impossessarsi del trono francese, è stata totalmente a sfavore 
dei Valois: l'esercito inglese di re Edoardo III, dominato dai Longbowmen, i famosi arcieri muniti 
di arco lungo, ha inflitto alla cavalleria pesante francese di Re Filippo VI, 
meglio equipaggiata ma indisciplinata, una dura sconfitta nella battaglia di Crécy 
e ha conquistato Calais (1347), per cui ora spadroneggia nel nord della Francia. In un paesino 
della Normandia occupata dagli inglesi vive Lucie Mondelle, giovane ed avvenente popolana che deve sposare il focoso contadino Laurent Tramallin, ma il 
parroco del paese si rifiuta di celebrare le nozze perchè minacciato dagli 
sgherri britannici del Principe Nero, alias Edoardo di Woodstock, Principe di 
Galles e figlio di re Edoardo III, il trionfatore di Crécy, che ha messo gli 
occhi sulla ragazza. Quest'ultima si rivolge al suo direttore spirituale Rocco di 
Montpellier (il futuro e popolarissimo San Rocco), il quale incontra il Principe 
Nero nel suo quartier generale di Calais ma non riesce a convincerlo a lasciare 
in pace i due giovani; anzi, viene cacciato via in malo modo, e l'arrogante 
inglese ottiene che il suo confessore gli ingiunga di andare in pellegrinaggio a 
Roma, per levarselo dai piedi. Prima di partire, Rocco fa in modo che Lucie 
venga presa in custodia da Flora di Beaulieu, badessa dell'omonimo monastero 
(lei pure futura Santa), mentre Laurent vada a Parigi, ospite di un altro 
convento. Quando vi arriva, però, è in corso una Jacquerie, un'insurrezione 
popolare partita dalle campagne (Jacques Bonhomme è il soprannome dato ai 
contadini dai nobili), fomentata da Étienne Marcel, rappresentante del Terzo 
Stato e capo della borghesia parigina, in seguito agli altissimi costi della 
sconfitta militari francese di Crécy, che ha fatto lievitare fino alle stelle le 
tasse e il prezzo del pane. I fornai vengono presi d'assalto, e Laurent trova 
forme di pane perse dagli insorti in giro per le strade della capitale; siccome 
i rivoltosi assediano Giovanni il Buono, futuro Re di Francia, nel palazzo 
reale, il nostro eroe contribuisce a liberarlo. Tuttavia, essendo stato preso 
per un rivoltoso, viene arrestato e corre il rischio di essere impiccato. 
Liberato dal popolo inferocito, riesce a salvare la pelle mettendosi al sicuro in 
Borgogna. Intanto il Principe Nero, che ha scoperto dove si è rifugiata Lucie, 
la fa rapire con la forza dagli uomini di Carlo II il Malvagio, conte d'Évreux e 
re di Navarra, formalmente alleato del Re di Francia, ma che in realtà complotta 
contro di lui perchè egli pure aspira al trono. Carlo il Malvagio fa portare 
Lucie nel suo castello difeso da centinaia di sgherri a lui fedelissimi, ma le 
disperate preghiere della ragazza fanno sorgere in lui degli scrupoli. 
Incontratosi con il vescovo carmelitano Pierre de Salignac de Thomas, futuro 
Santo, si converte improvvisamente e decide di liberare Lucie, che il vescovo 
prende sotto la sua protezione, senza sapere che ha fatto voto a San Martino di 
Tour di non sposarsi se fosse stata liberata. Improvvisamente però scoppia 
l'epidemia di peste nera, la più devastante pandemia che ha colpito l'Europa 
negli ultimi duemila anni, causando la morte di un terzo della sua popolazione. 
Laurent, guarito dal morbo, si arrischia a tornare in una Parigi spettrale e 
piena di cadaveri insepolti, e vi ritrova Rocco di Montpellier, rientrato di 
corsa in patria per assistere gli appestati. Questi gli mostra il Principe Nero 
che sta morendo di peste e, dopo che Laurent lo ha perdonato, lo porta da Lucie, 
guarita miracolosamente dal morbo, e commuta il suo voto in quello di chiamare 
Martino il suo primo figlio. I due innamorati si sposano, e da loro discenderà 
una certa Santa Giovanna d'Arco. « Si cette histoire ne vous a pas tout à fait 
déplu, sachez-en gré à celui qui l'a écrite, et un peu aussi à celui qui l'a 
raccommodée. Mais, si par malheur nous n'avions fait que vous ennuyer, veuillez 
croire que ce n'a pas été à dessein. »
De Sponsis Promissis
Un'altra pestilenza che mise 
in ginocchio il mondo conosciuto al suo tempo fu la cosiddetta Peste Antonina, e 
così mi è venuta l'idea di trasporre il Romanzo di Manzoni nell'Antica Roma. Io 
ci provo. Siamo nel 165 dopo Cristo, e sull'Impero Romano regna Marco Aurelio, 
l'imperatore filosofo. Il sovrano dei Parti Vologase IV ha approfittato della 
recente morte di Antonino Pio, padre adottivo di Marco Aurelio, per attaccare 
l'Armenia e la Siria romane, e così Marco Aurelio ha inviato in oriente suo 
fratello adottivo nonché co-imperatore Lucio Vero, che ha ottenuto notevoli 
successi conquistando l'Armenia e la Mesopotamia ed occupando la capitale nemica 
Ctesifonte. Mentre la storia racconta questi grandi eventi, in un villaggio 
degli attuali Castelli Romani vive Lucilla, avvenente fanciulla figlia della 
contadina Agnese, che dovrebbe celebrare gli Sponsali con il falegname Lorenzo 
davanti all'Aruspex, dopo che questi ha esaminato le interiora di una pecora per 
trarne auspici sulla felicità o meno del connubio. L'Aruspex tuttavia, a 
sorpresa, afferma che ha già eseguito il rito e che l'esame delle interiora ha 
parlato di un matrimonio infelicissimo, che perciò è meglio non celebrare. 
Lorenzo sente puzza di bruciato, afferma che l'esame delle interiora non è 
valido se non è fatto davanti a dei testimoni, e minaccia l'Aruspex di morte. 
Messo con le spalle al muro, questi è costretto a confessare che Avidio Cassio, 
potente generale romano che è appena tornato dall'Oriente per celebrare 
solennemente il trionfo dopo aver conquistato il paese dei Medi al di là del 
fiume Tigri, ha messo gli occhi sulla giovane Lucilla e gli ha ingiunto, pena la 
vita, di non celebrare gli Sponsali. Lorenzo, furibondo, si appella inutilmente 
alla Legge Romana: il giurista Aulo Gellio, famoso autore delle "Notti Attiche", 
si rifiuta di aiutarlo e lo caccia via perchè ha paura del potente Avidio 
Cassio. A questo punto Lucilla rivela di essere di religione cristiana e si 
rivolge al suo direttore spirituale, il sacerdote Erma, noto autore del testo 
"Il Pastore di Erma", che in gioventù ha conosciuto San Policarpo di Smirne, a 
sua volta discepolo di San Giovanni Apostolo. Erma, che a Roma è uno scrittore 
piuttosto noto, si fa ricevere da Avidio Cassio e prova a convincerlo a non 
importunare Lucilla, ma non ottiene nulla ed anzi viene fatto esiliare a 
Carnunto, sul Danubio, in quanto cristiano (Marco Aurelio ha ripreso le 
persecuzioni, dopo la pausa con Adriano ed Antonino Pio). I correligionari di 
Lucilla tuttavia la mettono in salvo presso Annia Aurelia Galeria Faustina, 
figlia dell'Imperatore Marco Aurelio che si è segretamente convertita al 
Cristianesimo, anche se in pubblico per timore continua a fingere di praticare 
la religione pagana. Invece Lorenzo viene spedito a Roma, ma quando vi arriva è 
in corso un tumulto popolare perchè i Marcomanni hanno superato il danubio ed 
invaso la Rezia e il Norico, Marco Aurelio sta organizzando una spedizione 
contro di loro, e la plebe romana non ne può più di vedere i suoi figli mandati 
a morire ai confini del mondo, dopo il tributo di sangue richiesto dalle guerre 
in oriente. Il tumulto è sedato con la forza da Gaio Aufidio Vittorino, Console 
ed amico di Marco Aurelio, ma Lorenzo è scambiato per un rivoltoso e deve 
fuggire per non finire decapitato; riesce fortunosamente a mettersi in salvo 
nella Gallia Cisalpina, sulle rive del Lago di Como (« Hic bracchius Larii qui 
ad meridione vertit, intra duo catenas montum ininterruptas, cunctum sinis et 
gulfis, secundum eminentiam et contractionem ipsorum, advenit ad quasi repentine 
restringendum et ad cependum cursum et figuram fluminis, intra promunturium 
dextera et opposite latam oram... ») Intanto Avidio Cassio convince Publio Elvio 
Pertinace, generale dell'Impero e futuro imperatore, a ricattare Annia Aurelia 
Galeria Faustina: per evitare di essere denunciata come cristiana deve lasciar 
uscire Lucilla dalla sua domus con un pretesto. La fanciulla è così sequestrata 
dai pretoriani di Pertinace, che la porta nella sua villa di Baia, nei Campi 
Flegrei. Qui Lucilla lo implora di lasciarla andare, in nome del suo Dio e degli 
déi in cui lui crede; Pertinace rifiuta, ma resta scosso dalla fede della 
ragazza. In quei giorni è in visita in Campania Papa Aniceto, il Vescovo di Roma 
dodicesimo successore di San Pietro, e Pertinace, incuriosito, va a parlare con 
lui. Il Papa riesce a convertirlo e a convincerlo a consegnargli Lucilla, che 
però ha fatto voto di consacrarsi a Maria e di non sposarsi se fosse stata 
liberata dalle grinfie di Avidio Cassio. A questo punto le truppe di 
 Lucio Vero 
tornano dall'oriente e portano a Roma la peste. Lorenzo torna nell'Urbe, temendo 
che Lucilla sia rimasta vittima del contagio, e la trova traboccante di cadaveri 
insepolti. A un tratto incontra Erma, rientrato dall'esilio per assistere i 
malati e i moribondi, e questi prima gli mostra Avidio Cassio che è in fin di 
vita a causa del morbo, e poi Lucilla che è prodigiosamente guarita. Erma 
commuta il voto di Lucilla in quello di chiamare Maria la loro prima figlia, e i 
due giovani possono finalmente sposarsi, dopo che anche Lorenzo si è fatto 
battezzare; essi vanno a vivere proprio sulle rive del Lago di Como, e non mi 
stupirebbe se, 1600 anni dopo, da loro due fosse disceso davvero un certo 
Alessandro Manzoni...
Lucio Vero 
tornano dall'oriente e portano a Roma la peste. Lorenzo torna nell'Urbe, temendo 
che Lucilla sia rimasta vittima del contagio, e la trova traboccante di cadaveri 
insepolti. A un tratto incontra Erma, rientrato dall'esilio per assistere i 
malati e i moribondi, e questi prima gli mostra Avidio Cassio che è in fin di 
vita a causa del morbo, e poi Lucilla che è prodigiosamente guarita. Erma 
commuta il voto di Lucilla in quello di chiamare Maria la loro prima figlia, e i 
due giovani possono finalmente sposarsi, dopo che anche Lorenzo si è fatto 
battezzare; essi vanno a vivere proprio sulle rive del Lago di Como, e non mi 
stupirebbe se, 1600 anni dopo, da loro due fosse disceso davvero un certo 
Alessandro Manzoni...
Οι αρραβωνιασμένοι
Sicuramente non è semplice 
trasporre i Promessi Sposi (Οι αρραβωνιασμένοι) nell'Antica Grecia, 
con un mutamento totale di mentalità e di religione, ma val la pena di fare un tentativo. 
Siamo naturalmente in Attica, in un villaggio a poca distanza da Atene, nel 430 
a.C. La giovane contadina Fotina deve sposare il viticoltore Laurento, ma quando 
quest'ultimo si reca dal sacerdote di Apollo affinché celebri il gamos, cioè il 
rito del matrimonio, che deve culminare nell'anakalupteria, cioè la rimozione 
del velo della sposa, il sacerdote accampa scuse e chiede di rimandare la 
cerimonia per motivi di salute. Laurento tuttavia è un tipo dai modi spicci: gli 
mette il pugnale alla gola e lo costringe a rivelargli che il ricco ed influente 
commediografo ateniese Ermippo, più volte vittorioso agli agoni comici e in 
particolare alle Grandi Dionisie, si è invaghito della fanciulla, ha scommesso 
con suo fratello, il comico Mirtilo, che sarebbe riuscito a conquistarla, e ha 
mandato alcuni suoi amici pocodibuono a minacciare il sacerdote: "Questa 
proteleia non s'ha da fare!" (la proteleia era il sacrificio prematrimoniale 
agli dei per benedire i due sposi). La madre di Fotina suggerisce di appellarsi 
a Pericle in persona, sommo stratego di Atene, in quanto Ermippo anni prima 
aveva intentato un processo contro l'etera Aspasia di Mileto, compagna di 
Pericle, accusandola di empietà per colpire lui nei suoi affetti più cari. 
Laurento preferisce assoldare alcuni amici per piombare nel tempio di Apollo e 
costringere il sacerdote a celebrare le nozze, ma Ermippo manda a sua volta un 
manipolo di bravacci a rapire Fotina, e i due promessi sposi si salvano solo 
perchè il filosofo Anassagora, amico della famiglia di Fotina dalla quale è 
stato spesso ospitato in campagna, li fa rifugiare entrambi nella sede della 
propria scuola filosofica. Visto vano ogni tentativo di convincere Ermippo a 
lasciare in pace Fotina, visto che con il suo oro può avere tutte le donne che 
vuole, il filosofo convince i due giovani a fuggire separatamente; Ermippo, 
furibondo perchè Fotina è sparita, accusa Anassagora di empietà per aver 
sostenuto che il Sole è un corpo celeste incandescente e non un dio, e lo fa 
esiliare a Lampsaco, nell'Ellesponto. Intanto Fotina viene ospitata da un'etera 
amica di Anassagora nel Demo di Anfitrope (Attica meridionale), mentre Laurento 
è mandato ad Atene. Vi arriva però proprio il giorno in cui un araldo annuncia 
lo scoppio della Guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta, in seguito 
all'assedio della città di Potidea che ha respinto l'ultimatum della Lega 
Delio-Attica. Gli animi degli ateniesi si dividono tra i seguaci di Pericle, che 
vorrebbero regolare una volta per tutte i conti con i nemici Lacedemoni, e i 
suoi oppositori che chiedono invece la pace. Laurento è scambiato per una spia 
spartana, arrestato e farebbe una brutta fine se alcuni popolani non lo 
aiutassero a fuggire. Dopo varie avventure egli riesce a mettersi in salvo a 
Tebe, storica rivale di Atene ed alleata di Sparta, dove va a lavorare 
nell'impresa di suo cugino, che vi ha aperto una bottega di vasaio. Nel 
frattempo Ermippo si rivolge a Tucidide, appartenente alla potente famiglia 
aristocratica dei Filaidi e parente di Cimone, dopo la morte del quale gli è 
successo come principale oppositore di Pericle, affinché gli permetta di mettere 
le mani sulla povera Fotina. Pagando l'etera che dovrebbe tenerla sotto la 
propria protezione, Tucidide la convince ad allentare la sorveglianza, cosicché 
la fanciulla è brutalmente sequestrata e portata nella villa di campagna dei 
Filaidi nel demo di Alopece. Le preghiere di Fotina però smuovono l'animo di 
Tucidide, fin qui rotto ad ogni nequizia. Recatosi ad ascoltare un discorso del 
famosissimo filosofo Socrate, lui pure originario del demo di Alopece, il 
politico ateniese è da questi convinto a cambiare vita e a consegnargli Fotina, 
che affida ad Ipparete, moglie del suo giovane allievo e futuro stratego 
Alcibiade. Intanto però gli Spartani invadono l'Attica, e Pericle decide di 
evacuarne l'intera popolazione, mettendola al sicuro tra le Lunghe Mura che 
congiungono Atene al Pireo. Pessima idea: la promiscuità e la scarsa igiene 
provocano lo scoppio della peste, della quale anche Pericle resta vittima. 
Laurento decide allora di rientrare in città per cercare l'amata, e vi ritrova 
il filosofo Anassagora che è rientrato a sua volta per curare e confortare gli 
appestati. È quest'ultimo a mostrare a Laurento Ermippo che sta morendo a causa 
del morbo, e poi a propiziare l'incontro tra lui e Fotina. La ragazza, che è 
guarita dalla peste, ha fatto voto ad Asclepio di non sposarsi se fosse 
sopravvissuta, ma Anassagora la convince che non poteva disporre con il proprio 
voto anche della volontà dell'amato, e le propone di commutare il voto con 
l'offerta di un gallo in sacrificio ad Asclepio. I due innamorati finalmente si 
sposano e, lasciata la Guerra del Peloponneso dietro di sé, si trasferiscono a 
vivere in Magna Grecia, a Taranto, all'apice del suo splendore; dal loro amore 
nascerà Archita, celebre matematico ed esponente della scuola pitagorica, « 
magnum in primis et praeclarum virum » come lo definirà Cicerone. E se anche 
questa volta vi ho annoiato senza volerlo, non è colpa mia, ma della mia 
fantasia troppo sbrigliata...
Sposi Stellari
Dato che è un gioco, 
giochiamo. Finora ci siamo mossi nel passato, ma è possibile trovare 
un'ambientazione futuribile, e quindi fantascientifica, per il capolavoro di 
Manzoni? Tenterò un ardito crossover con una delle saghe più fortunate della 
Fantascienza di ogni tempo. Molto tempo fa, in una galassia lontana lontana, e 
precisamente sul desertico pianeta Tatooine, su quel ramo del lago disseccato 
che volge a mezzogiorno, vive l'orfano diciannovenne Luke Skywalker, cresciuto 
dagli zii Owen Lars e Beru Whitesun, che dovrebbe sposare la coetanea Mara Jade 
(vedi il romanzo "L'erede dell'Impero" di Timothy Zahn), soprannominata Lucy. 
Quando però Luke si reca dal Sindaco di Mos Eisley, la città nel deserto che 
rappresenta il principale spazioporto del pianeta, si sente rispondere che non 
può ratificare le nozze perchè la promessa sposa è sospettata di essere una 
contrabbandiera. L'accusa è palesemente falsa, ma Mos Eisley è un luogo così 
malfamato e in preda al crimine che tutti possono crederci. Con l'aiuto del 
droide protocollare C-3PO, da lui appena acquistato, Luke riesce a scoprire che 
il mostruoso mafioso gasteropode Jabba the Hutt, padrone del pianeta, ha messo gli occhi su 
Mara Jade alias Lucy, e ha ordinato al Sindaco di non celebrare le nozze. Luke è 
furioso, ma che può fare contro il padrone di un così vasto impero criminale? 
Dopo un fallito tentativo di costringere il Sindaco a celebrare comunque le 
nozze, e dopo un altrettanto fallito tentativo di Jabba di far rapire dai suoi 
Gamorreani la promessa sposa, quest'ultima si rivolge all'anziano e saggio 
Obi-Wan Kenobi, il quale, non riuscendo a convincere Jabba a lasciare in pace i 
ragazzi, manda Lucy sul pianeta Naboo, ospite della Principessa Leia Organa, sua 
vecchia amica, quindi chiede al contrabbandiere spaziale Han Solo e al suo 
navigatore wookie Chewbecca di portare con loro Luke sul pianeta Alderaan. 
Per questo Obi-Wan Kenobi è esiliato da Jabba sull'inospitale pianeta ghiacciato 
Hoth, mentre i genitori adottivi di Luke sono brutalmente uccisi. Quando i tre 
eroi 
giungono su Alderaan a bordo del mitico "Millennium Falcon", però, sul pianeta è in corso 
una violenta rivolta della Resistenza contro le forze armate dell'Impero. Luke, 
Han e Chewbacca vengono catturati dagli stormtrooper imperiali, ma con uno 
stratagemma riescono a fuggire, pochi minuti prima che la Morte Nera disintegri 
il pianeta. Inseguiti da un ordine di cattura, 
i tre sono 
costretti a rifugiarsi su Dagobah, un mondo selvaggio coperto da paludi e alberi 
pietrificati, dove abita il vecchio Maestro Jedi Yoda. Nel frattempo Jabba the Hutt chiede aiuto a Darth Vader, generale 
dell'Impero Galattico e braccio destro del malvagio imperatore Palpatine, che 
occupa brutalmente il pianeta Naboo e sequestra Mara Jade/Lucy portandola nella 
sua fortezza spaziale, la Morte Nera. Ma le preghiere della ragazza smuovono 
qualcosa nel suo animo rotto ad ogni nequizia e schiavo del Lato Oscuro della 
Forza. E così, quando sulla Morte Nera giunge il suo antico maestro Yoda, 
partito da Dagobah dopo aver parlato con Luke e lasciatosi catturare apposta dai suoi stormtroopers per incontrarlo, egli si 
pente, abbandona il Lato Oscuro e decide di liberare Lucy, che può tornare sul 
pianeta Naboo sotto la protezione delle sue truppe. Ma la guerra tra Resistenza 
e Impero infuria più che mai dopo il voltafaccia di Darth Vader, e giunge anche su Naboo dove la senatrice Leia Organa si è unita a coloro che combattono il 
malvagio imperatore Sith. Gli scontri portano distruzione, miseria e lo scoppio 
di una terribile pestilenza. Allora Luke convince Han Solo e Chewbecca a 
portarlo su Naboo, dove ritrovano Obi-Wan Kenobi, giuntovi per soccorrere gli 
appestati. Questi gli mostra Jabba the Hutt che, recatosi su Naboo per 
riprendersi Lucy, è morto miseramente di peste, e poi lo fa incontrare 
finalmente con la sua fidanzata. Questa, unitasi a sua volta alla Resistenza, 
aveva promesso di non sposarsi per non lasciare Luke vedovo e solo se fosse 
caduta in combattimento, ma Obi-Wan la convince a cambiare idea e lui stesso 
sposa i due giovani con rito Jedi. Egli inoltre rivela a Luke che Leia è sua 
sorella e che Darth Vader, alias Anakin Skywalker, in realtà è il suo vero 
padre. Obi-Wan Kenobi muore di peste, ma Luke e Mara/Lucy si gettano nel 
combattimento e, dopo che Darth Vader e l'Imperatore Palpatine si sono uccisi a 
vicenda, distruggono la Morte Nera e abbattono l'Impero Galattico, restaurando 
la Repubblica Jedi. Han Solo invece sposa la Principessa Leia, e tutti vivranno 
felici e contenti. O no? Forse i Sith riproveranno a restaurare l'Impero, 
guidati da Kylo Ren, figlio di Ian e Leia? Meglio che mi fermi qui, prima di 
riuscire ad annoiarvi sul serio con i miei strani crossover!
I Promessi Sposi al 
giorno d'oggi
Non posso non concludere il 
mio gioco con la partita più difficile di tutte: ambientare il capolavoro di 
Manzoni ai nostri giorni. Siamo in un sobborgo di una città lombarda e la maestra elementare Lucia Mondella deve sposare l'impiegato di banca 
Renzo Tramaglino. Quando quest'ultimo va a prendere accordi con Don Abbondio, il 
Parroco dell'Unità Pastorale in cui Lucia abita, per fissare il giorno delle 
nozze, il reverendo afferma che la sua chiesa è occupata almeno per i prossimi 
sei mesi, e consiglia di posticipare il matrimonio almeno fino all'inizio 
dell'anno successivo. 
Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo si infuria e va in Municipio per prenotare 
nozze civili, ma Lucia è una cattolicissima Focolarina e non ne vuole sapere. 
Allora Renzo si rivolge al suo amico Tonio, che ha la fama di hacker, e 
intrufolandosi nella casella di posta elettronica di Don Abbondio, legge le mail 
da questi spedite a un suo ex compagno di seminario per sfogarsi, e viene a 
sapere che il Sindaco, esponente di punta del Partito di maggioranza relativa e 
già deputato per due legislature, nonostante in TV continui a tuonare contro le 
unioni LGBT e a favore della famiglia tradizionale, ha messo gli occhi su Lucia, 
maestra di suo figlio, e, vistosi respinta ogni avance ed ogni offerta di 
denaro, ha ricattato Don Abbondio minacciando di non fargli avere i fondi 
europei per ristrutturare la sua chiesa un po' pericolante, se celebrerà il 
matrimonio tra Renzo e Lucia. Renzo si rivolge alle forze dell'ordine, ma queste 
negano di poter procedere contro il Sindaco in assenza di prove certe, dal 
momento che egli ha dalla sua il fior fiore degli avvocati lombardi, ed allora 
pensa di costringere Don Abbondio a celebrare il matrimonio con un altro 
ricatto, fabbricando false prove che egli avrebbe molestato dei chierichetti e 
minacciando di darle in pasto alla stampa se egli non ottempererà al suo dovere. 
Lucia invece chiede aiuto al suo amico e confessore Don Virginio Colmegna, 
fondatore della Casa della Carità e in prima linea nella difesa dei diritti dei 
più deboli e degli immigrati. Questi si reca dal Sindaco e prova a convincerlo 
con le buone a lasciare in pace Lucia, ma l'uomo politico nega tutto, anche 
l'evidenza, gli chiede di andarsene se non vuole che lo quereli, e poi ottiene 
di far spedire Don Virginio in Repubblica Centrafricana come mediatore nella 
guerra civile in quel paese, così da levarselo dai piedi. In seguito il Sindaco 
chiede aiuto ad alcuni amici mafiosi affinché sequestrino Lucia, ma prima di 
partire Don Virginio ha fatto in modo che ella sia ospitata sotto falso nome 
dalla sua amica Chiara Amirante nella sua Comunità Nuovi Orizzonti dedita al 
disagio sociale. Invece Renzo va a Milano a chiedere appoggio ad alcuni 
oppositori politici del Sindaco, ma vi capita mentre sono in atto furibondi 
scontri tra militanti di CasaPound da un lato e Autonomi dall'altro, causati dal 
problema dell'ospitalità data ai migranti giunti in barcone a Lampedusa. Renzo, 
coinvolto suo malgrado negli scontri, è arrestato perchè creduto uno dei capi 
degli Autonomi, ma riesce a sfuggire alla Polizia con uno stratagemma e a 
riparare in Svizzera presso suo cugino, stabilitosi laggiù anni prima. Intanto 
il Sindaco ha scoperto dove Lucia si è rifugiata e chiede aiuto all'Innominato, 
superboss indiscusso nella 'Ndrangheta in Lombardia, che gli deve molti favori 
politici: gli uomini d'onore del gangster, dopo aver attirato lontano Chiara Amirante con una scusa, fanno irruzione nella Comunità Nuovi Orizzonti e 
sequestrano Lucia, che è legata come un salame e portata nella villa bunker dell'Innominato, nelle 
campagne intorno a Varese. Quest'ultimo, che già da tempo sente il peso di una 
vita di crimini, è scosso dalle preghiere di Lucia e, dopo una notte insonne nel 
letto divenuto un covile di pruni, sente suonare le campane a distesa perchè 
Papa Francesco è in visita pastorale al Sacro Monte di Varese, e tutta la Chiesa 
Ambrosiana è in festa. Decide allora, quasi per sfida, di andare ad incontrarlo. 
Quando il Santo Padre sente il nome di chi vuole parlargli, pianta tutti in asso 
e gli va incontro, invitandolo a pentirsi perchè Dio gli ha toccato il cuore, e 
vuole salvarlo. "Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov'è questo 
Dio?" sbotta il mafioso. "E comunque, se anche ci fosse, che può fare di uno 
come me?" Il Papa gli risponde: "Da lei vuole una gloria che nessuno gli può 
dare. Chi è lei, pover'uomo, per credere di poter concepire opere così 
grandi nel male, che Egli non possa fargliene compiere di più grandi nel bene?" E 
lo abbraccia. Sopraffatto da quell'impeto di carità, il gangster scoppia in 
pianto, decide di cambiare vita, si costituisce alle forze di Polizia, confessa 
tutti i propri crimini e fa in modo che Lucia venga liberata e ospitata 
nell'Arcivescovado di Milano da Monsignor Mario Delpini. Lucia però ha fatto 
voto a Chiara Lubich di non sposarsi, se fosse stata salvata dalle mani del 
Sindaco voglioso. Come se non bastasse, un gruppo terroristico legato ad 
Anonymous infetta tutti i 
computer di Milano con un potentissimo virus informatico, la Borsa va in tilt e 
con essa l'intera rete Internet, i telefoni e i mezzi di comunicazione, cosicché 
Milano è temporaneamente isolata. Renzo Tramaglino rientra allora sotto falso 
nome a Milano per ritrovare l'amata della quale non ha più notizie, trova la 
città in preda al caos e all'anarchia perchè ogni dispositivo elettronico è 
saltato, per sfuggire a una banda di neonazisti si rifugia in un centro della Caritas e qui ritrova Don Virginio Colmegna, appena rientrato dalla Repubblica 
Centrafricana. "Se ritrovo quel bandito del Sindaco la farò io, la giustizia!" 
esclama Renzo accecato dalla rabbia, ma Don Virginio gli mostra il Sindaco che 
sta morendo perchè durante una delle sue mille scappatelle amorose si è preso 
l'AIDS e non vi sono negli ospedali macchinari funzionanti né medicinali per 
salvarlo, quindi a sorpresa lo fa incontrare con Lucia, che ha convinto a 
commutare il voto in quello di chiamare Francesco e Chiara i suoi futuri figli. 
Intanto il virus informatico viene debellato dagli esperti 
dell'antiterrorismo, Milano torna alla normalità, Lucia e Renzo finalmente si 
sposano e, dietro consiglio di Don Colmegna, si trasferiranno a vivere nella 
Repubblica Centrafricana dove lei insegnerà ai bambini resi orfani dalla guerra 
civile e lui lavorerà per una ONG a favore dei più poveri tra i poveri. E, 
soprattutto, non avranno mai più a che fare con Sindaci e politicanti di sorta. 
E se non vi ho annoiato neppure stavolta, vorrà dire che non ho lavorato invano. 
Grazie a tutti, vostro...
.
Il grande Bhrihskwobhloukstroy commenta:
Guarda, sai bene che preferisco mille volte la Grecia, Roma, la Francia, l'Inghilterra &c. (lo stesso Seicento, ovviamente) ai desolati tempi moderni nelle nostre martoriate terre, ma mi alzo in piedi (letteralmente) per l'entusiasmo alla lettura del Tuo ultimo capolavoro sui Promessi Sposi al giorno d'oggi. Non è solo un gioco, è una profezia, le parole che hai usato mi sembrano ispirate da una mente che vede tutta la Storia. Vale più il Tuo racconto che interi volumi di denunce circostanziate (e fa vedere che dal Seicento manzoniano – dipinto a tinte forse più fosche del dovuto – a oggi la situazione è peggiorata). Peccato che la serie sia conclusa...
P.S. riguardo agli "Sposi Stellari", anche nella Tóruigheacht Dhiarmada agus Ghráinne (il romanzo irlandese omologo della fonte folklorica valsassinese del Manzoni) il corrispettivo dell'Innominato è il padre di Gráinne (l'equivalente di Lucia), e infatti la Serva dell'Innominato lo sospetta (si chiede se sia una Principessa)!
.
Gli risponde anche Enrico Pellerito:
La fantasia di
William è sempre encomiabile, io mai 
avrei immaginato le trasposizioni che sono state ideate qui sopra, e le 
sue sono particolarmente fantasiose, ma plausibili ed affascinanti.
Il fatto che a posteriori ci siano interpretazioni storico-scientifiche su 
racconti, favole, tradizioni culturali di qualsiasi tipo rende abbastanza 
complicato ma sempre interessante questi aspetti.
Penso che molto faccia anche l'approccio personale dei singoli studiosi nel 
proporre una decifrazione dei suddetti generi.
Ad esempio, ho letto che la favola di Hänsel e Gretel, checché ne possa dire 
qualcuno di noi con il suo impenitente ottimismo (anch'esso sempre 
assolutisticamente arroccato e altrettanto assolutisticamente esposto), non 
soltanto secondo alcuni trova le sue radici nel periodo storico delle grandi 
carestie medievali europee, con tutti i risvolti ancorati all'infanticidio e 
all'antropofagia, per altri farebbe invece riferimento ad un caso storicamente 
accertato di omicidio avvenuto nel 1647 da parte di due fratelli, Hans e Greta 
Metlzer, nei confronti di Katharina Schraderin, per questioni di concorrenza 
mercantile nel campo della pasticceria.
Probabilmente l'aver dato un'interpretazione modificata, addirittura ribaltando 
intenzioni e responsabilità, da parte dei Grimm spiega bene la favola, mentre è 
altrettanto probabile che la più antica favola di Pollicino sia effettivamente 
da inquadrare nei ricordi della Grande Carestia del 1315-1317!
.
Cinque anni dopo, William Riker ha voluto rimettere mano a questo gioco ucronico per colmare quella che riteneva una sua importante lacuna:

ovvero: E se Manzoni fosse stato Ebreo?
Capitolo 1
Il matrimonio negato
1 Quell'ansa del lago di Genesaret, che 
volge a mezzogiorno, tra due filari non interrotti di colli, vien, quasi a un 
tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un monticello a 
destra, e un'ampia costiera dall'altra parte [Luca 5,1];
2 e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile 
all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e il 
Giordano ricomincia. Questa è la porta d'ingresso alla Galilea per chi 
viene dall'arsura del deserto orientale.
3 Sefforis, la città principale della Galilea, ai 
tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, già considerabile, 
era anche un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un comandante, e una stabile guarnigione di sgherri 
della milizia privata al soldo della dinastia erodiana,
4 che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan 
di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir 
dell'estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l'uve, e 
alleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia.
5 Dall'una all'altra di quelle terre, dall'alture alla riva, da un poggio 
all'altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o men ripide, 
o piane, che congiungono tra di loro tutti i villaggi e le città della Galilea;
6 e per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso 
casa, sulla sera del giorno 3 del mese di Chisleu dell'anno 3751 dalla Creazione 
del mondo, l'anno diciannovesimo dell'impero di Cesare Augusto, il rabbino della 
Sinagoga di Nazaret, un certo Zaccaria.
7 Questi non era certo un cuor di leone, ed aveva scelto la professione di rabbino 
perchè, sentendosi un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro, pensava che lo 
scialle e i filatteri lo avrebbero protetto dai pericoli dei tempi difficili in 
cui si era trovato a vivere.
8 Quella sera purtroppo egli incontrò due soldatacci inviati da Aristobulo, 
secondo figlio di 
Erode il Grande e della sua sposa Mariamne [Giuseppe 
Flavio, Antichità Giudaiche 15,10,1 e 16,1,2].
9 Essi lo minacciarono affinchè non 
celebrasse le nozze tra Giuseppe, giovane carpentiere appartenente alla 
Casa di Davide, e la sua fidanzata Maria, di stirpe sacerdotale
[Luca 1,27]: "Questo matrimonio non s'ha da 
fare, né ora, né mai!" [Promessi Sposi I]
10 Terrorizzato dalle minacce dei due sgherri, che gli promisero di impalarlo se 
avesse sposato i due giovani, Zaccaria decise di piegarsi alla prepotenza del 
giovane rampollo reale:
11 il giorno dopo Giuseppe, figlio di Giacobbe, figlio di Mattan, discendente di 
Zorobabele [Matteo 1,12-16], si recò dal rabbino per 
prendere accordi sulle nozze, con quella cert'aria di festa, e nello stesso 
tempo di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti,
12 ma Zaccaria inventò delle scuse e lo convinse a 
rinviare il matrimonio, citando delle norme della Torah in ebraico, lingua che 
Giuseppe non conosceva, esprimendosi solo in aramaico.
13 Irritato dal comportamento evasivo e saccente del rabbino Zaccaria, Giuseppe 
se ne andò, ma in piazza presso la fontana trovò Salome
[Protovangelo di Giacomo 19,3], la ciarliera moglie 
del rabbino Zaccaria, e la interrogò.
14 Questa gli disse che non poteva rivelargli nulla, ma si lasciò sfuggire 
l'esistenza di persone malvagie che si opponevano al suo matrimonio con Maria.
15 Furente, tornò dal rabbino e lo costrinse a rivelargli la verità. Allora si 
recò a casa di Maria, dove tutto era pronto per le nozze, e narrò a lei e ai 
suoi genitori Anna e Gioacchino 
[Protovangelo di Giacomo 1,1 e 2,3] la vigliaccheria di Zaccaria che si 
era rifiutato di sposarli [Promessi Sposi II].
16 Allora Maria scoppiò in un pianto dirotto e raccontò che, nel corso del suo 
recente pellegrinaggio a Gerusalemme, Aristobulo figlio di Erode la aveva notata 
e aveva cercato di sedurla, ma ella era fuggita. Lo aveva allora sentito dire a 
suo fratello maggiore Alessandro, ribaldo quanto lui: "Scommettiamo?"
17 I due promessi sposi e i genitori di lei capirono allora che l'empio 
Aristobulo aveva scommesso di possedere la giovane così come aveva posseduto 
mille altre fanciulle in Giudea.
18 Ciò avvenne perchè si realizzasse la parola della Scrittura: « Le nozze 
furono mutate in lutto e i suoni delle loro musiche in lamento. »
[1Mac 9,41]
19 Gioacchino, padre di Maria, propose di chiedere consiglio ad Anania ben 
Hezekiah ben Garon, grande conoscitore della Torah, autore tra l'altro della 
Megillat Taanit [Talmud Babilonese, Trattato Shabat, 13b]; 
questi aveva fondato la sua scuola a Sefforis.
20 Di certo infatti Anania sarebbe riuscito a far condannare l'operato del 
figlio del Re come contrario ai precetti di Mosè. Giuseppe allora si recò a 
Sefforis per incontrarlo ed esporgli il suo caso.
21 Quando però gli chiese "Vorrei sapere se a minacciare un rabbino, perchè non 
faccia un matrimonio, c'è pena", il Maestro Anania prese un granchio e credette 
che fosse stato Giuseppe a commettere quel crimine.
22 In quanto tale, si disse disposto ad aiutarlo, ma quando Giuseppe gli rivelò 
che lui era la parte offesa, e che era venuto a chiedergli giustizia nei 
confronti di Aristobulo, figlio di Erode, il Dottore della Legge si impaurì e lo 
scacciò in malo modo.
23 Giuseppe così, con le pive nel sacco, fece ritorno a Nazaret, e Gioacchino 
dovette riconoscere di averlo mandato dall'uomo sbagliato [Promessi Sposi 
III].
24 A questo punto Maria decise di rivolgersi a Gionata Ben Uzziel 
[Sukkah 28a; Bava Batra 133b; Megillah 3a], che era stato suo maestro in 
gioventù. Un tempo uomo violento che disprezzava la Legge di Mosè, si convertì 
dopo aver ucciso un uomo e si dedicò allo studio della Legge.
25 Gionata Ben Uzziel, chiamato da Maria, venne a Nazaret, ascoltò il racconto 
di quanto era accaduto e, ben deciso a compiere il proprio dovere di proteggere 
i più deboli dai soprusi dei potenti, vagliò il da farsi.
26 Scartata l'idea di cercare di ricondurre il codardo rabbino Zaccaria alla 
ragione, e quella di avvisare il suo maestro Hillel perchè ciò avrebbe richiesto 
troppo tempo, e il tempo stringeva, Gionata decise di affrontare lo stesso 
Aristobulo che si trovava allora nel suo palazzo di Sefforis [Promessi Sposi 
IV].
27 Arrivato al palazzo, il saggio Maestro viene introdotto alla presenza di 
Aristobulo, che in quel momento era intento a pranzare insieme al fratello 
Alessandro, al tribuno della guarnigione romana in città e ad Anania ben 
Hezekiah ben Garon, a noi già ben noto.
28 Aristobulo lo accolse con malumore, intuendo il motivo della sua visita, ma 
lo lasciò parlare. Quando però Gionata lo implorò in nome di Dio di lasciare in 
pace Maria, egli, con aria di scherno, replicò: "Ebbene, consigliale di venirsi 
a mettere sotto la mia protezione. Non le mancherà più nulla, e nessuno ardirà 
inquietarla!"
29 Acceso d'indignazione, Gionata abbandonò ogni prudenza, l'uomo d'armi d'un 
tempo tornò a galla e gli si rivolse con ira: "Ho compassione di questa casa: la 
maledizione le è sopra sospesa. Stai a vedere che la giustizia di Dio avrà 
rispetto a quattro pietre e a quattro scherani!
30 Tu hai creduto, o Aristobulo, che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine 
per darti il diletto di tormentarla! Tu hai creduto che Dio non saprebbe 
difenderla! Tu hai disprezzato il suo avviso! Ebbene, o figlio di Erode, ti sei 
giudicato da solo.
31 Il cuore del Faraone era indurato quanto il tuo, e Dio ha saputo spezzarlo. 
Maria di Nazaret è sicura da te, te lo dico io povero rabbino; e quanto a te, o 
superbo Asmoneo, senti bene quello che io ti prometto. Verrà un giorno..."
32 Furibondo di collera e ad un tempo atterrito dalla maledizione che l'Uomo di 
Dio gli aveva scagliato contro, Aristobulo scacciò Gionata: "Villan rifatto! Tu 
mi tratti da par tuo, io che sono figlio di Re e discendente dei Maccabei!
33 Ma ringrazia il mantello che ti copre codeste spalle di poltrone, e ti salva 
dalle carezze che si fanno ai pari tuoi, per insegnar loro a parlare. Esci colle 
tue gambe, per questa volta: e la vedremo!"
34 Gionata Ben Uzziel se ne andò, ma venne fermato da un vecchio servitore, il 
quale gli rivelò di aver udito, origliando a una porta, che si stava preparando 
un colpo gobbo ai danni della povera Maria. Il dottore della legge allora lasciò 
Sefforis rincuorato [Promessi Sposi V-VI].

I birri di Aristobulo minacciano Rabbi Zaccaria (immagine creata con BING)
Capitolo 2
Addio, colli...
1 Intanto Anna, la madre di 
Maria, propose ai due fidanzati un matrimonio un po' irrituale: mettere il 
rabbino davanti al fatto compiuto, pronunciando 
davanti a lui le frasi di rito alla presenza di due testimoni.
2 Gioacchino e Giuseppe accettarono subito la proposta, ma Maria si oppose, 
ritenendo che non fosse giusto estorcere il matrimonio con un inganno, poiché 
nella Torah è scritto: « Non userete inganno o menzogna a danno del prossimo. 
» [Levitico 19,11]
3 Quando però Rabbi Gionata tornò ed 
annunciò il fallimento del suo tentativo di convincereAristobulo a recedere dai 
suoi propositi, Giuseppe convinse Maria che quella del matrimonio forzato fosse 
l'unica soluzione possibile.
4 Così, la sera dopo due amici di Giuseppe bussarono alla porta di Zaccaria con 
la scusa di pagare un vecchio debito. Anna distrasse la moglie del rabbino con 
una scusa, e Maria e Giuseppe ne approfittarono per intrufolarsi di nascosto in 
casa sua, mentre Gioacchino fungeva da palo in fondo alla via.
5 Nello stesso momento, Aristobulo decideva di rapire Maria e farla portare nel 
suo palazzo di Sefforis, e i suoi sgherri facevano irruzione in casa sua, ma la 
trovarono deserta poiché tutti erano a casa di Zaccaria per tentare di 
ingannarlo [Promessi Sposi VII].
6 Giuseppe riuscì a promunciare la frase rituale del matrimonio, ma 
quando lo vide Zaccaria gettò in testa a Maria un tappeto, impedendole di 
pronunciare a sua volta la frase che suggellava la Ketubbàh, il contratto di 
matrimonio, quindi si chiuse in un'altra stanza e invocò aiuto.
7 Giuseppe, Maria, Anna e Gioacchino furono costretti alla fuga, a causa 
dell'accorrere di gente da tutta Nazaret, ma mentre correvano verso casa venne 
loro incontro un ragazzo, il quale li avvisò che in casa loro li attendevano i 
birri di Aristobulo, e li invitò a cercare rifugio nella scuola rabbinica di 
Gionata Ben Uzziel.
8 Essi obbedirono, ma ignoravano che in realtà il bambino era l'angelo 
Gabriele, inviato da Dio a Nazaret per salvare Maria e Giuseppe.
9 Subito dopo il bambino apparve anche a Zaccaria, che era riuscito a mettere 
tutto a tacere dicendo a chi era accorso in suo aiuto che era stato aggredito da 
alcuni ladri, ma che ormai essi erano scappati. E gli disse:
10 "Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a dirti che 
sarai muto e non potrai parlare per quattordici giorni, fino a che sarà 
necessario che tu parli di nuovo, perché non hai voluto sposare quei giovani ed 
hai mentito per giustificare la tua inqualificabile condotta
[Luca 1,19-20].
11 Infatti così il Signore degli Eserciti ha parlato per bocca del profeta 
Malachia: « Se voi leviti non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di 
dar gloria al mio nome, manderò su di voi la maledizione e cambierò in 
maledizione le vostre benedizioni! »" [Malachia 2,2]
12 Zaccaria lo cacciò via, ma si accorse ben presto di essere diventato muto 
davvero, e si spaventò. Gli abitanti di Nazaret credettero che il suo momentaneo 
mutismo fosse dovuto allo spavento preso quella notte.
13 Quanto a Gionata Ben Uzziel, quando ascoltò la storia del matrimonio estorto 
rimproverò Giuseppe, Anna e Gioacchino per non aver avuto abbastanza fede in Dio 
e per aver cercato una scorciatoia, ma subito dopo si affrettò a spiegare in che 
modo li avrebbe salvati dalle grinfie del figlio di Erode.
14 Giuseppe si sarebbe recato a Gerusalemme, per lavorare come 
carpentiere nel cantiere del Tempio del Signore, che Erode il Grande stava 
facendo profondamente ristrutturare; per questo Gionata gli diede una lettera di 
raccomandazioni scritta di suo pugno.
15 Invece Maria si sarebbe rifugiata segretamente a Gerico, nel palazzo 
di Salampsio [ebraico שלומציון, Shlomtzion], 
sorella di Aristobulo e di Alessandro, che però odiava, come suo padre Erode, 
per il matrimonio combinato che era stata costretta da loro a contrarre
[Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 18,5,4].
16 Salampsio era infatti amica di Gionata Ben Uzziel, praticava la religione 
giudaica a differenza dei parenti la cui adesione al giudaismo era puramente 
formale, e Maria sarebbe stata una delle sue ancelle di fiducia.
17 Sul far della sera Anna e Gioacchino fecero ritorno a Nazaret, mentre 
Giuseppe e Maria si imbarcarono sul lago di Genesaret, presso il punto in cui da 
esso usciva il Giordano, e lo ridiscesero per un tratto, onde portarsi in 
Transgiordania e poi aggiungere le rispettive mete evitando la Samaria.
18 Maria, rivedendo i propri luoghi più cari, che temeva di perdere per sempre, e 
timorosa di finire tra le grinfie di Aristobulo, si sentì sopraffare dallo 
sconforto e, posati il braccio e la fronte sul bordo della piccola imbarcazione, 
pianse segretamente, e pregò tra sé, udita solo da Dio e dai Suoi angeli:
19 "Addio, colli sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a 
chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia 
l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, 
come il suono delle voci domestiche; villaggi sparsi e biancheggianti sul 
pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio!
20 Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Quanto 
più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da 
quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e 
disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che 
sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro;
21 e davanti agli edifizi e ai monumenti ammirati dallo straniero greco e 
romano, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla 
casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, 
tornando ricco a' suoi monti.
22 Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio 
fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell'avvenire, e n'è 
sbalzato lontano, da una forza perversa!
23 Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a 
distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un 
misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte 
alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava 
un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa.
24 Addio, Sinagoga, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del 
Signore Dio di Israele; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro 
segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir 
comandato, e chiamarsi santo; addio!
25 Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' 
suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande. Infatti solo 
in Dio riposa l'anima mia:
da Lui la mia speranza!" [Salmo 62,6; Promessi Sposi 
VIII]
26 Attraversata la Decapoli e la Perea, nei pressi di Betania 
di là dal Giordano i due promesi sposi si separarono, consci del fatto che 
non si sarebbero rivisti per lungo tempo. Giuseppe il carpentiere prese la 
strada che recava a Gerusalemme, mentre Maria, accompagnata da un levita, 
raggiunse Gerico e si presentò in casa di Salampsio.
27 Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista 
un'impressione di bellezza, ma d'una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, 
scomposta.
28 Costei era la terza figlia di Erode il Grande e della sua seconda moglie 
Mariamne, appartenente alla famiglia degli Asmonei. Il padre non aveva esitato a 
usarla per i suoi giochi politici e a darla in sposa al proprio fratello 
Ferora, rimasto vedovo, che avrebbe potuto essere suo padre, con una dote di 
300 talenti.
29 Ma Ferora si era innamorato di una concubina e aveva rotto il fidanzamento 
con Salampsio, facendo infuriare Erode. Per rifarsi della perdita dei 300 
talenti, Erode la diede in sposa a Fasaele, figlio di suo 
fratello Fasaele, per assicurarsi la fedeltà dei suoi sudditi Idumei.
30 Ovviamente a nessuno interessò il fatto che Salampsio si era innamorata di 
Lisania, tetrarca dell'Abilene [Luca 3,1], ben 
più giovane di Ferora e di Fasaele. Salampsio comunque aveva continuato 
segretamente la relazione con Lisania, tanto che tre dei cinque figli avuti da 
lei erano in realtà figli di Lisania.
31 Questi purtroppo era uno scellerato di professione, e la relazione con il 
tetrarca dell'Abilene avviluppò la sventurata Salampsio in un vortice di 
menzogne, ricatti e complicità, fino ad arrivare all'omicidio di un'ancella che 
minacciava di far scoppiare lo scandalo rivelando la tresca tra i due.
32 Ovviamente della relazione adulterina era all'oscuro Gionata Ben Uzziel, che 
altrimenti se ne sarebbe ben guardato dal mandare la povera Maria in quella 
casa! [Promessi Sposi IX-X]

"Addio, colli sorgenti dall'acque..." (immagine creata con BING)
Capitolo 3
Disavventure di Giuseppe
1 Nel frattempo Giuseppe era 
giunto a Gerusalemme entrando dalla Porta d'Oro, e si stupì di trovarla 
in preda al disordine ed ai tumulti.
2 Approfittando infatti del fatto che re Erode si trovava nella sua fortezza di
Macheronte, ad est del Mar Morto, impegnato in una contesa di confine con 
il vicino regno dei Nabatei
[Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 15,147,4], il popolo della Città Santa era insorto contro il 
rincaro del pane, deciso proprio per finanziare la guerra contro i vicini.
3 Il popolo, furibondo, assediò Alessandro, figlio maggiore di Aristobulo, nel 
palazzo reale, ma il giovane Filippo, fratellastro di Alessandro e di 
Aristobulo, uscì ad arringare la folla, e la convinse a levare l'assedio in 
cambio della promessa di eliminare il rincaro del prezzo del pane;
4 per questo il padre in seguito lo avrebbe compensato attribuendogli il governo 
di Gaulanitide, Traconitide, Batanea, Auranitide e Iturea, e dandogli in sposa
Erodiade, la bellissima e scaltra figlia di Aristobulo 
[in seguito Erodiade avrebbe lasciato Filippo per convivere con il cognato Erode 
Antipa, scatenando la reazione di Giovanni il Battista.
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 18,7,240-255].
5 Giuseppe si lasciò trascinare dalla folla e dall'ammirazione popolare nei 
confronti di Filippo, e davanti all'ingresso all'Atrio dei Gentili del Tempio di 
Erode abbandonò ogni prudenza e si mise a pronunciare un discorso in cui criticava la giustizia 
di Re Erode, che stava sempre dalla parte dei 
potenti [Promessi Sposi XI-XIII].
6 Non sapeva che tra i suoi ascoltatori vi era proprio una delle tante spie di 
Aristobulo sparpagliate in borghese per la città, un birro intenzionato a 
trovare il modo per arrestarlo.
7 Questi finse di essere d'accordo con lui e di lo portò in una taverna dove, con uno 
stratagemma, la spia lo fece ubriacare e venne a conoscenza del suo nome.
8 Il giorno dopo Giuseppe fu svegliato da alcuni soldatacci di Aristobulo che lo 
arrestarono e lo portarono via senza troppi complimenti. Tuttavia Giuseppe si 
rivolse alla folla in strada urlando: "Figliuoli! mi menano in prigione, perchè 
ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo: 
aiutatemi, non m'abbandonate, figliuoli!"
9 Subito alcuni tra la folla riconobbero in Giuseppe uno di coloro che aveva 
protestato il giorno innanzi contro il rincaro del pane, e assalirono le guardie 
liberando il prigioniero [Promessi Sposi, XIV-XV].
10 Questi fu invitato a rifugiarsi nel Tempio di Gerusalemme, sotto la 
protezione dei Sacerdoti, ma il discendente di Davide si disse: "Se posso essere 
uccel di bosco, non voglio diventare uccel di gabbia!" e decise di fuggire dal 
regno di Erode.
11 Infatti Aristobulo ormai conosceva il suo nome, sapeva che era il suo rivale 
in amore, e non avrebbe avuto pace fino a che non lo avesse avuto tra le 
grinfie. Giunse correndo alla Porta di Giaffa, e qui incontrò un ragazzo 
che lo ammonì:
12 "Imbocca quella via, segui la strada del mare e fuggi in Egitto, e 
resta là finché non ti avvertirò, perché Aristobulo ti sta cercando per 
ucciderti!" [Matteo 2,13]
13 Giuseppe, ignaro che quel bambino fosse in realtà l'angelo Gabriele, mandato 
di nuovo dal Signore in suo aiuto, lo ringraziò ed intraprese il viaggio; del 
resto quella di fuggire in Egitto gli parve l'idea migliore, giacché aveva dei 
parenti che abitavano dalle parti di Eliopoli.
14 Viaggiando più veloce che poteva, e contando sull'aiuto di uomini di buon 
cuore che di tanto in tanto gli donavano un pane lungo il cammino, dietro ordine 
dell'angelo, Giuseppe raggiunse Gaza, mettendosi così in salvo perchè 
quella città era fuori dalla giurisdizione della dinastia erodiana,
15 e di qui gli fu facile raggiungere Eliopoli, dove abitava un cugino che 
volentieri lo ospitò. Laggiù egli visse del suo lavoro di carpentiere, come 
aveva fatto a Nazaret.
16 Ciò avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo 
del profeta: « Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio. » 
[Osea 11,1; Matteo 2,15]
17 Intanto Aristobulo, venuto a sapere che il promesso sposo di Maria era 
coinvolto nei tumulti contro la sua dinastia, fece perquisire la sua casa a 
Nazaret e lo presentò al padre nientemeno che come il capo dell'intera rivolta, 
facendolo condannare a morte in contumacia.
18 Egli fu attivamente ricercato ma mai trovato, poiché grazie all'angelo 
Gabriele si trovava al sicuro, dove neppure le spie di Aristobulo potevano 
raggiungerlo [Promessi Sposi XVI-XVIII].
19 Dice infatti il Salmista: « Amate il Signore, voi tutti Suoi fedeli; il 
Signore protegge chi ha fiducia in Lui, e ripaga in abbondanza chi opera con 
superbia! » [Salmo 31,24]
20 Nel 
frattempo Alessandro persuase il padre Erode ad esiliare Gionata Ben Uzziel, 
accusandolo di essere amico del fuorilegge Giuseppe. Gionata fu così costretto a 
lasciare la Galilea e a rifugiarsi ad Antiochia di Siria, presso la locale 
comunità ebraica, dove riaprì la sua scuola, affidando Maria e Giuseppe alla 
volontà del Signore [Promessi Sposi, XIX].
21 Maria a Gerico venne a sapere che Giuseppe il carpentiere di Nazaret, figlio 
di Giacobbe, figlio di Mattan, era ricercato in ogni dove, e che rabbi Gionata 
era stato cacciato in esilio, e di ciò pianse amaramente. Ma il peggio per lei 
era ancora da venire.
22 Infatti il prepotente Aristobulo non era ancora riuscito a vincere la 
scommessa, e di ciò il suo orgoglio fremeva come un cavallo imbizzarrito [Promessi Sposi 
XIX].
23 Giuseppe era fuori gioco, rabbi Gionata era lontano, ma Maria continuava a 
sfuggirgli. Dalle sue spie era venuto a sapere che si trovava in qualità di 
ancella nella casa di sua sorella Salampsio,
24 ma gli era impossibile ghermirla alla luce del sole, giacchè con Salampsio 
era in pessime relazioni, ed ella avrebbe goduto di vederlo perdere la 
scommessa; né i suoi birri potevano impunemente penetrare nel palazzo di lei e 
di Fasaele: il loro padre Erode non glielo avrebbe perdonato.
25 Nè egli poteva pensare di arrivare a lei ricattando i suoi genitori Anna e 
Gioacchino, perché anch'essi erano stati avvisati dall'angelo Gabriele di porsi 
in salvo, e si erano rifugiati a Gadara [oggi Umm 
Qays in Giordania], una delle città greche della Decapoli, fuori 
dalla giurisdizione di Erode [Matteo 8,28; 
Plinio, Naturalis Historia 5,15].
26 Di nascosto da suo padre, allora, Aristobulo decise di giocare l'ultima carta 
che gli rimaneva: allearsi con gli storici nemici Nabatei, che 
insidiavano il Regno di suo padre,
27 e in particolare con Areta, giovane principe nabateo che agiva come un 
bandito nelle regioni ad oriente del Giordano, aveva il suo quartier generale in 
un imprendibile castello sulle montagne difeso da pretoriani a lui fedelissimi, 
e spadroneggiava anche in parte della Giudea, compiendo scorrerie nel regno di 
Erode [Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 14,9 4 e 10,9; 
Strabone, Geografia 16].
28 Egli si faceva chiamare Anonymos [Ανώνυμος, 
l'Innominato], solo in pochi conoscevano la sua vera identità, e tra 
questi vi era proprio Aristobulo, che era spe sso venuto a patti con lui e aveva 
coperto alcune delle sue malefatte, così da poter contare su un alleato potente 
al momento della successione al trono di suo padre.
29 Con la scusa di compiere una ricognizione sul confine con i Nabatei, così, 
Aristobulo passò il Giordano e si recò personalmente a Ramot di Galaad
[1Re 4,13], antica città presso la quale l'Anonymos 
aveva costruito la sua piazzaforte, e vi entrò per incontrare quel potentissimo 
e sanguinario condottiero.
30 Gli raccontò la scommessa da lui fatta con suo fratello Alessandro, gli 
rammentò i favori che gli aveva fatto in passato, e gli chiese esplicitamente di 
contraccambiare, facendo rapire Maria dalla casa di sua sorella Salampsio, onde 
consegnarla finalmente nelle sue mani.
31 Come infatti aveva ammonito re Salomone, le labbra del giusto conoscono 
benevolenza, la bocca degli empi solo cose perverse. I pensieri dei giusti sono 
equità, i propositi degli empi sono soltanto frode! [Prov 
10,32 e 12,5; Promessi Sposi XX]

Giuseppe fugge da Gerusalemme in preda ai tumulti (immagine creata con BING)
Capitolo 4
La conversione dell'Anonymos
1 Areta ascoltò Aristobulo con 
sufficienza, considerandolo un figlio di papà annoiato e buono solo a correre 
dietro alle ragazze, e per toglierselo dai piedi accettò di aiutarlo e ordinò ai 
propri mercenari di andare a rapire Maria.
2 Già da qualche tempo però l'Anonymos rifletteva sulle proprie responsabilità, 
sulle vessazioni di cui si era reso autore o complice per attestare la propria 
autorità al di là della legge, facendosi beffe persino della potenza di Roma, e 
sul senso della propria vita.
3 Ormai aveva dato la sua parola ad Aristobulo, e così si risolse ad ordinare a 
Lisania di far uscire Maria di Nazaret dalla casa di Salampsio. Quest'ultima 
cercò di opporsi, essendosi affezionata a Maria, ma Lisania fu irremovibile: "Tu 
non mi puoi negare nulla, lo sai! Se uno di noi finisce crocifisso, ci finiamo 
entrambi!"
4 E così, a malincuore, Salampsio ordinò a Maria di fare per lei una commissione 
alla periferia di Gerico. Lì la attendevano gli sgherri di Areta, che la 
afferrarono a viva forza, la cacciarono in un carro coperto e la portarono a 
Ramot di Galaad.
5 Inizialmente Areta si rifiutò di vederla e ordinò di consegnarla subito ad 
Aristobulo, ma un vecchio servitore gli chiese di andare ad incontrarla, poichè 
la poverina era terrorizzata e piangeva in continuazione.
6 Ovviamente non poteva sapere che quel servitore era in realtà l'angelo 
Gabriele, ma nessuno può dire di no ad un angelo del Signore, e così si sentì 
spinto ad andare a incontrarla nella stanzina in cui era stata segregata.
7 La ragazza supplicò l'Anonymos di 
lasciarla libera, promettendogli che, per quanti peccati uno possa aver 
commesso, "Dio perdona molte cose per 
un atto di misericordia!" Scosso, il potente signore della guerra se ne andò, 
incerto sul da farsi.
8 Quanto a Maria, si rivolse direttamente al Signore che rovescia i potenti dai 
troni e innalza gli umili [Luca 1,52] e promise di 
rinunciare per sempre a Giuseppe e di non sposarsi mai se la avesse salvata [Promessi Sposi 
XXI].
9 Nel frattempo Areta trascorse una notte terribile e 
piena di rimorsi, perseguitato dalle anime degi innocenti che aveva ucciso, e stava per uccidersi 
con la propria stessa spada, quando per volere di Dio udì sotto le sue finestre 
che molti stavano correndo in città cantando i salmi e glorificando Dio.
10 Domandandosi il perchè di tanto trambusto, inviò un birro ad informarsi, e 
questi gli riferì che Maestro Hillel in persona era giunto in 
visita presso la locale sinagoga, e tutti correvano ad ascoltare la sua parola, 
ricolma di Sapienza.
11 Appartenente alla Casa di David da parte di madre ed alla tribù di Beniamino 
da parte di padre, aveva lasciato da giovane la natia Babilonia per studiare con 
i maestri ebrei della Terra d'Israele Shemaiah e Avtalyon.
12 Quando l'ingresso alle lezioni era a pagamento, non avendo egli disponibilità 
di denaro, dovette alire sul tetto dell'edificio dove si tenevano le lezioni, 
per ascoltarle attraverso il camino; i suoi maestri lo notarono, apprezzarono il 
suo impegno nello studio e lo invitarono a seguirli.
13 Divenne in seguito il membro più importante dell'accademia rabbinica di 
Gerusalemme, e fu il primo dei Tannaim, i Maestri della Mishnah. 
Noto per il suo atteggiamento più aperto e meno conservatoree nei confronti dei 
convertiti,
14 una volta rispose a un giovane studente che desiderava conoscere l'intera 
Torah: "Ciò che non è buono per te, non lo fare al tuo prossimo. Il resto è solo 
commento. Questa è tutta la Torah." [Talmud Babilonese, 
Trattato dello Shabbath, 31a]
15 Spinto dall'inquietudine che lo tormentava, 
l'Anonymos si presentò nella Sinagoga di Ramot di Galaad, tra il terrore di tutti i 
presenti, per parlare con il rabbino. Questi, lungi dallo scacciarlo, lo accolse 
a braccia aperte:
16 "Oh! Che preziosa visita è questa! E quanto ti devo esser grato, quantunque 
per me abbia un po' del rimprovero quando, da tanto tempo, tante volte, avrei 
dovuto venir io da te."
17  "Da me, tu!" replicò Anonymos, stupefatto. "Lo sai chi sono io, 
maestro? Ti hanno detto bene il mio nome?"
18 "E questa consolazione ch'io sento, ti pare ch'io dovessi provarla 
all'annunzio e alla vista d'uno sconosciuto? Sei tu che me la fai provare; tu, 
dico, che ho tanto amato e pianto, per cui ho tanto pregato;
19 tu, dei miei figli, che pure amo tutti e di cuore, quello che avrei più 
desiderato d'accogliere e d'abbracciare, se avessi creduto di poterlo sperare. 
Ma Dio sa fare Egli solo le maraviglie, e supplisce alla debolezza di noi Suoi 
poveri servi."
20 Areta, commosso e sbalordito, restava in silenzio, e Hillel riprese ancor più 
affettuosamente: "E che? Tu hai una buona nuova da darmi, e me la fai tanto 
sospirare?"
21 "Una buona nuova, io? Ho i demoni dell'Abisso nel cuore, e ti darò una buona 
nuova? Dimmi tu, se lo sai, qual è questa buona nuova che ti aspetti da un par 
mio."
22 "Che Dio ti ha toccato il cuore, e vuole farti suo," rispose pacatamente il 
rabbino. Areta tuttavia sbottò: "Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! 
Dov'è questo Dio?"
22 "Tu me lo domandi? Tu? E chi più di te Lo ha vicino? Non te lo senti nel 
cuore, che ti opprime, che ti agita, che non ti lascia stare, e nello stesso 
tempo ti attira, ti fa presentire una speranza di quiete e di consolazione, che 
sarà piena, immensa, subito che tu Lo riconosca, Lo ami, L'implori?"
23 Replicò Areta: "Oh, certo! ho qui qualche cosa che mi opprime, che mi rode! 
Ma il Dio d'Israele... Se questo Dio esiste, se è quello che dicono, cosa vuoi 
che faccia di me?"
24 Queste parole furono pronunciate con un accento disperato, ma rabbi Hillel 
gli rispose con tono solenne: "Cosa può far Dio di te? Vuole che tu gli dia una 
gloria che nessun altro Gli potrebbe dare!
25 Che la Giudea gridi da tanto tempo contro di te, che mille e mille voci 
detestino e denuncino le tue opere, che gloria ne viene a Dio? Sono voci forse 
anche di giustizia, ma di una giustizia troppo facile, e alcune purtroppo sono 
voci d'invidia di codesta tua sciagurata potenza, di codesta, fino ad oggi, 
deplorabile sicurezza d'animo.
26 Ma quando tu stesso sorgerai a condannare la tua vita, ad accusare te stesso, 
allora sì che il Dio degli Eserciti sarà glorificato! E tu domandi cosa Dio 
possa far di codesta tua volontà impetuosa, di codesta tua imperturbata 
costanza, quando l'abbia animata, infiammata d'amore, di speranza, di 
pentimento?
27 Chi sei tu, pover'uomo, che pensi d'aver saputo da te immaginare e fare cose 
così grandi nel male, che Dio non possa fartene volere e operare di più grandi nel bene?
28 Cosa può Dio far di te? E perdonarti? E risuscitarti nell'Ultimo Giorno? Non 
son imprese magnifiche e degne di Lui? Oh pensa, se io miserabile mi struggo ora 
tanto della tua salvezza, che per essa darei con gaudio (Dio m'è testimonio) 
questi pochi giorni che mi rimangono;
29 oh pensa quanta, quale debba essere la carità di Colui che m'infonde questa 
così imperfetta, ma così viva; come ti ami, come ti voglia Quello che mi comanda 
e m'ispira un amore per te che mi divora!"
30 Subito gli occhi dell'Anonymos, che dall'infanzia più non conoscevan le 
lacrime, si gonfiarono; egli si coprì il viso con le mani e diede in un dirotto 
pianto. Subito rabbi Hillel, con il volto come circonfuso di luce, gli prese la 
mano tra le sue, ma egli cercò di divincolarsi:
31 "No! Lontano, lontano da me, Maestro buono: non lordare quella mano innocente 
e benefica. Non sai tutto ciò che ha fatto questa che tu vuoi stringere!"
32 "Lascia", rispose Hillel, "ch'io stringa codesta mano che riparerà tanti 
torti, che spargerà tante beneficenze, che solleverà tanti afflitti, che si 
stenderà disarmata, pacifica, umile a tanti nemici. Lascia che io ti 
abbracci." Così dicendo, stese le braccia al collo del signore della guerra.
33 "È troppo!" replicò, singhiozzando, l'Anonymos che, vinto da quell'impeto di 
carità, abbracciò anche lui il rabbino, e abbandonò sull'omero di lui il suo 
volto tremante e mutato. Le sue lacrime ardenti cadevano sul mantello di Hillel; 
e le mani incolpevoli di questo premevano affettuosamente quell'armatura, 
avvezza a portar l'armi della violenza e del tradimento [Promessi Sposi 
XXII-XXIII].
34 Così avevano compimento le parole del Profeta: « L'empio abbandoni la sua 
via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di 
lui e al nostro Dio che largamente perdona! » [Isaia 
55,7]

L'Anonymos si converte tra le braccia di Rabbi Hillel (immagine creata con BING)
Capitolo 5
Maria e gli Esseni
1 L'Anonymos, sciogliendosi da quell'abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con 
una mano ed esclamò: “Dio d'Israele veramente grande! Dio di Mosè veramente 
buono! Io mi conosco ora, comprendo chi sono. Sì, le mie iniquità io le 
riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
2 Contro di Lui, contro Lui solo ho peccato, e quello che è male ai Suoi 
occhi, io l'ho fatto: ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha 
concepito mia madre. Ma Lui gradisce la sincerità nel mio intimo, e nel segreto 
del cuore mi insegna la sapienza [Salmo 50,5-8].
3 Ho ribrezzo di me stesso; eppure... eppure provo un refrigerio, una gioia, 
quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita! Me sventurato: 
quante cose, le quali non potrò se non piangere! Ma almeno ne ho d'intraprese, 
che posso, se non altro, rompere a mezzo: una ne ho, che posso romper subito, 
disfare, riparare."
4 Subito Areta narrò a rabbi Hillel la prepotenza fatta a Maria di Nazaret, e il 
dottore della Legge, intravedendo in questo fatto una possibilità di redenzione 
per il predone, mandò subito a chiamare Zaccaria, il codardo capo della sinagoga 
di Nazaret, che da poco aveva ritrovato la parola.
5 Gli ordinò quindi di andare con Areta a prendere la povera Maria, ancora 
prigioniera nella piazzaforte. Nonostante il terrore che ciò gli suscitava, 
Zaccaria obbedì, perchè nessuno in Israele poteva permettersi di contraddire 
Hillel, salì con lui sulla rocca e riportò indietro Maria sana e salva.
6 Areta chiese perdono alla sua vittima, la quale glielo accordò di cuore, e 
così egli decise di cambiare vita e di combattere d'ora in poi solo per la 
giustizia, non più per l'oppressione [Promessi Sposi XXIV].
7 Rabbi Hillel mandò un suo scriba di fiducia a Gadara, affinché facesse venire 
Gioacchino ed Anna, e li fece ospitare insieme alla figlia presso una comunità 
di Esseni suoi amici ad Engaddi [Gs 15,62; 
Ct 1,14], la "fonte del capretto", sulle rive del Mare d'Asfalto.
8 A capo della comunità c'era Menachem l'Esseno 
[Talmud Babilonese, Hagigah, 16b], amico intimo di Hillel. Da giovane 
questi aveva predetto a Erode che sarebbe diventato Re dei Giudei, e per questo 
Erode aveva protetto e finanziato gli Esseni [Giuseppe 
Flavio, Antichità Giudaiche 19,10,5].
9 Sembrava perciò impossibile che Aristobulo tentasse di violare un monastero 
degli Esseni, con il rischio di incorrere nelle ire paterne.
10 Gli Esseni in verità non si sposavano e consideravano impuro il sesso 
femminile, ma intorno al loro monastero vivevano anche molte famiglie con mogli 
e figli, e così Gioacchino, Anna e Maria si accasarono tra di loro [Promessi Sposi 
XXV].
11 Siccome occorreva costruire una tenda sotto cui ospitare i sacri riti 
comunitari, Menachem disse: "Su, tirate a sorte chi filerà l'oro, l'amianto, il 
bisso, la seta, il giacinto, lo scarlatto e la porpora". A Maria toccarono la 
porpora e lo scarlatto: li prese, li portò a casa sua e li filava
[Protovangelo di Giacomo 10,1].
12 Ben presto la conversione dell'Anonymos e la miracolosa salvezza di Maria ad 
opera di Rabbi Hillel divennero di pubblico dominio, e in tutta la Giudea e la 
Galilea se ne 
parlava, da Dan a Bersabea [2 Sam 24,15].
13 Aristobulo, resosi conto che la sua preda gli era scappata di nuovo tra le 
mani, canzonato dal fratello Alessandro che lo invitava a gettare la spugna, e 
odiato dal popolo come un prevaricatore di innocenti fanciulle, lasciò la 
Galilea e se ne fece ritorno scornato a Gerusalemme.
14 Menachem l'Esseno, tutto infiammato di zelo contro i nemici di Israele, 
avendo saputo della condanna che pendeva sul capo di Giuseppe, con la sua forte 
volontà tentò in tutti i modi di convincere la Vergine a dimenticare il suo 
promesso sposo, ma questa, nonostante gli sforzi, non ci riusciva, per volere 
divino [Promessi Sposi XXVI-XXVII].
15 Nel frattempo Maria aveva rivelato ad Hillel la codardia di rabbi Zaccaria, e 
così il famoso Maestro lo convocò e gli diede una lavata di capo, 
rimproverandolo di aver obbedito a un prepotente e di non aver celebrato il 
matrimonio di Maria e Giuseppe.
16 Zaccaria si discolpò dicendo che i due giovani a loro volta avevano cercato 
di ingannarlo con un matrimonio forzato, ma Hillel si rattristò poiché egli 
tentava di difendersi accusando i suoi fedeli, visto che i due giovani non 
avrebbero certo tentato quel sotterfugio se avessero potuto sposarsi 
regolarmente.
17 Zaccaria si finse pentito, ma nel suo cuore continuò a credere di essere nel 
giusto non avendoli sposati, poichè la sua vita era più importante del loro 
matrimonio.
18 Per questo, finito il colloquio con Hillel, gli apparve di nuovo l'angelo e 
lo rese di nuovo muto, stavolta per ventotto giorni.
19 Intanto gli eventi stavano precipitando. Oboda, Re dei Nabatei, era un 
uomo ozioso e pigro; la maggior parte degli affari li trattava, per lui, 
Silleo, persona abile, giovane e di buona presenza.
20 In quel tempo, venuto da Erode per trattare la pace con i Giudei, mentre 
cenava con lui, Silleo vide sua sorella Salome, si innamorò di lei e, 
quando seppe che era vedova, parlò con lei del suo sentimento.
21 Salome, che temeva di essere usata dal fratello per le sue spregiudicate 
politiche matrimoniali, e guardava il giovane in modo tutt'altro che 
indifferente, era impaziente di maritarsi con lui; nei giorni seguenti, allorché 
molta gente si era radunata per una cena, apparvero molti e chiari segni di 
intesa tra questi due.
22 Dopo tre mesi Silleo tornò e domandò a Erode che gli desse in sposa Salome; 
questa unione, disse, non sarebbe stata inutile a Erode visto che il governo dei 
Nabatei virtualmente ora era nelle mani di Silleo.
23 Erode acconsentì, ma domandò a Silleo di assoggettarsi ai costumi dei Giudei 
prima delle nozze, altrimenti, diceva, il matrimonio sarebbe stato impossibile. 
Egli non volle assoggettarsi, protestando che qualora si fosse assoggettato, 
sarebbe stato lapidato a morte dai Nabatei. Così, Silleo tornò in Arabia a mani 
vuote [Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 16,220-225].
24 Ora, Erode partì per Roma per visitare Cesare Augusto e presentargli il 
figlio Antipatro. Gli abitanti della Traconitide sparsero la voce che era morto: 
si ribellarono e vissero di brigantaggio contro i loro vicini. I generali 
del re, in sua assenza, li sgominarono e li sottomisero.
25 Ma una quarantina di capobanditi abbandonarono la regione e ripararono in 
Arabia presso i Nabatei, accolti da Silleo, che aveva il dente avvelenato dopo 
che era tramontato il suo matrimonio con Salome, e diede loro un fortilizio come 
base per le loro scorrerie.
26 Di qui infestavano e saccheggiavano non solo la Giudea, ma anche tutta la 
Celesiria, poiché Silleo prestava a questi malfattori una base sicura per le 
loro operazioni.
27 Era infatti venuto a sapere della figuraccia rimediata da Aristobulo e 
Alessandro con la loro sciocca scommessa, e ritenne che i figli di Erode erano 
degli imbelli che non avrebbero potuto opporgli alcuna resistenza.
28 Così infatti si compiva la parola della Scrittura: « Chi si vendica subirà 
la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. » 
[Siracide 28,1]
29 Allorché Erode ritornò da Roma, venne a conoscenza che Oboda era morto, che 
Silleo gli era succeduto in qualità di reggente e che gran parte dei suoi 
possedimenti era stata danneggiata dalle scorrerie dei predoni;
30 essendo incapace di catturare i briganti 
a motivo della sicurezza di cui godevano per la protezione data loro dagli 
Arabi, e in collera per i danni provocati da loro, invase la Traconitide e 
assassinò i loro congiunti.
31 Ora, presso i Nabatei vige la legge della vendetta ad ogni costo contro gli 
assassini dei propri congiunti, e così essi seguitarono a saccheggiare e 
derubare tutto il territorio di Erode senza alcuna paura delle conseguenze, 
tanto da sconvolgere il regno di Erode;
32 saccheggiarono città e villaggi, assassinarono i loro prigionieri, sicché la 
loro sommossa era in tutto uguale a una guerra: erano già circa un migliaio.
33 Indignato per questi atti, Erode chiese la consegna dei briganti, ma Silleo, 
il quale aveva sempre negato che in Arabia ci fossero dei briganti, colse 
l'occasione di quella provocazione per invadere con le sue forze il Regno di 
Giudea e vendicarsi di Erode [Giuseppe Flavio, Antichità 
Giudaiche 16,271-280].

Rabbi Hillel annuncia la pestilenza a Re Erode (immagine creata con BING)
Capitolo 6
Guerra e peste in Giudea
1 La Giudea venne così invasa 
da un potente esercito del regno dei Nabatei, affiancato da altre tribù arabe 
del deserto, che seminarono morte e distruzione. Varie falangi giunsero fino in 
Galilea, dove misero a sacco Nazaret, il paese di Giuseppe e di Maria.
2
Gioacchino, Anna, rabbi Zaccaria e sua moglie trovarono rifugio a Ramot di 
Galaad, sotto la protezione di Areta, che aveva aperto la sua imprendibile 
piazzafororte ai popolani in fuga dalle soldataglie nabatee [Promessi Sposi 
XXVIII-XXIX].
3 Questi organizzò delle coorti di giovani robusti che guidò contro gli Arabi 
che mettevano a sacco la regione di Galaad, ma non toccò mai più un'arma in vita 
sua, cosicché si vide un uomo disarmato che comandava una pattuglia di soldati 
armati fino ai denti.
4 Purtroppo le armate di Silleo comprendevano anche dei mercenari Parti, uno dei 
quali portò a Gerusalemme la peste; di qui essa si diffuse in tutta la Giudea, 
la Samaria, la Galilea e fin nell'Iturea, nella Traconitide e nell'Idumea.
5 Ciò avvenne per i peccati della dinastia di Erode, compiuti sia dal re che dai 
suoi figli. E siccome il Sommo Sacerdote del tempo, Simone Boeto, era 
stato insediato da Erode solo perchè padre di sua moglie Mariamne, e quindi per 
paura non lo avrebbe mai contraddetto [Giuseppe Flavio, Antichità 
Giudaiche 15,320],
6 il Signore Iddio inviò Menachem l'Esseno a dire a Re Erode: "Mi è stata 
rivolta la Parola del Signore: « Per espiare le colpe dei tuoi figli 
Aristobulo ed Alessandro preferisci tre anni di carestia nel tuo paese, o tre 
mesi di fuga davanti al nemico che ti insegue, oppure tre settimane di peste nel 
tuo regno? »
7 Erode si stracciò le vesti e rispose a Menachem: "Sono in grande angoscia! 
Ebbene, cadiamo nelle mani del Signore, perché la Sua misericordia è grande, ma 
che io non cada nelle mani degli uomini di Silleo!"
8 Così il Signore mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo 
fissato; inizialmente sottovalutato da molti Giudei, il morbo si diffuse 
rapidamente e da Dan a Bersabea morirono settantamila persone di ogni ceto 
sociale [2Sam 24,12-15].
9 Erode, per paura, fuggì nella sua fortezza di Masada, sulle 
montagne, e solo Rabbi Hillel si prodigò nell'assistenza ai malati, unica 
autorità rimasta in una Gerusalemme letteralmente abbandonata a sé stessa.
10 Purtroppo egli promosse una grande celebrazione comunitaria nel Tempio di 
Gerusalemme per impetrare la fine del contagio, cerimonia dopo la quale, come 
c'era da aspettarsi, il morbo dilagò con maggior virulenza [Promessi Sposi 
XXX-XXXII].
11 Il popolo ignorante accusò stranieri, neoconvertiti e soprattutto i 
Samaritani di diffondere apposta il contagio ungendo le porte delle case con 
una sostanza mefitica, chiamata olio di pietra o petrolio, che 
sgorgava dal suolo nel deserto dell'Arabia; ci furono massacri indiscriminati e 
molti innocenti finirono vittime dell'isteria popolare.
12 Ovviamente Erode non fece nulla per impedire il diffondersi di tali dicerie, 
nella speranza che il popolo non considerasse colpevoli lui e i suoi figli, come 
era in realtà, ma sfogasse la sua rabbia contro gli odiati eretici di Samaria
[Gv 4,9].
13 Anche Aristobulo si ammalò di peste, e pagò i suoi pretoriani affinché gli 
chiamassero segretamente un medico che lo tenesse nascosto, ma essi lo tradirono 
e lo derubarono. Avendo toccato i suoi vestiti, tuttavia, si ammalarono 
anch'essi e morirono di lì a poco. La profezia contro di loro di Gionata Ben 
Uzziel si era compiuta.
14 Giuseppe intanto era stato raggiunto da una lettera di Gioacchino ed Anna, i 
quali lo informavano che la loro figlia aveva deciso di rompere il fidanzamento 
con lui.
15 Mentre era incerto sul da farsi, poiché i suoi parenti gli chiedevano di 
restare per sempre in Egitto e di scegliersi un'altra moglie, gli apparve di 
nuovo l'angelo Gabriele, sotto le sembianze di un mendicante, che lo invitò a 
rientrare in Israele per cercare la sua promessa sposa.
16 Giuseppe riconobbe in lui l'angelo di Dio e prontamente obbedì. Giunto a 
Gaza, si ammalò lui pure di peste, rimase tre giorni tra la vita e la morte, ma 
alla fine guarì e divenne immune al contagio.
17 Rientrò allora a Nazaret ma lo trovò in preda alla desolazione: i suoi amici 
erano morti, e così pure Salome, la moglie del rabbino Zaccaria. Questi era 
sopravvissuto, ma pareva invecchiato di colpo di 
almeno dieci anni [Promessi Sposi XXXIII].
18 Avendo saputo da Zaccaria che Maria era stata ospitata a Engaddi, decise di 
andare a cercarla là, ma giunto a Gerusalemme, venne a sapere che molti malati 
di peste di tutta la Giudea, inclusi quelli della comunità essena di Engaddi, 
erano stati confinati presso la Città Santa, nella tristemente famosa Valle 
della Geenna [Mt 5,22].
19 Lì il fuoco ardeva in continuazione, per bruciare i cadaveri dei morti di 
peste. Sì compiva così la parola del Profeta: « Sarai un obbrobrio e un 
vituperio, un esempio e un orrore per le genti che ti circondano quando in mezzo 
a te farò giustizia, con sdegno e furore, con terribile vendetta! »
[Ez 5,15]
20 Avendo bussato con insistenza alla porta della locale comunità di Esseni 
per chiedere notizie di Maria, Giuseppe fu scambiato per un untore Samaritano e fu 
costretto alla fuga.
21 Si salvò saltando su un carro carico di cadaveri condotti alla Geenna per 
essere bruciati. Là, sotto lo spietato dardeggiare del sole a picco, in un 
angoscioso trionfo della morte, si mise a cercare in ogni dove Maria [Promessi Sposi 
XXXIV].
22 In mezzo al dolore e alla morte degli appestati, trovò invece Gionata Ben 
Uzziel, che aveva sfidato i comandi di Erode ed era giunto in città per 
soccorrere i moribondi; egli stesso era già segnato dai sintomi del contagio.
23 Gli chiese se avesse notizie di Maria. Egli non seppe dargliene, ma lo invitò 
a cercarla con fiducia in ogni dove. Preso da improvvisa ira, Giuseppe gli 
rispose: "Vado: guarderò, cercherò, in un luogo, nell'altro, e poi ancora, per 
tutta la Valle della Geenna, in lungo e in largo; e se non la trovo..."
24 "Se non la trovi?" ribatté il Dottore della Legge, con un'aria di serietà e 
d'aspettativa, e con uno sguardo che ammoniva. Ma Giuseppe, a cui la rabbia 
riaccesa dal dubbio aveva fatto perdere il lume degli occhi, ripetè e seguitò:
25 "Se non la trovo, vedrò di trovare qualchedun altro. O in questa Valle, o nel 
suo scellerato palazzo di Sefforis, o in capo al mondo, o sul fondo dello Sheol, 
lo troverò quel furfante che ci ha separati; quel birbone che, se non fosse 
stato lui, Maria sarebbe mia, da venti mesi; e se eravamo destinati a morire, 
almeno saremmo morti insieme.
26 E se lo trovo," continuò Giuseppe, cieco affatto dalla collera, "se l'angelo 
di Dio che ha portato la peste non ha già fatto giustizia... Non è più il tempo 
che un poltrone, coi suoi pretoriani d'intorno, possa metter la gente alla 
disperazione, e ridersene: è venuto un tempo che gli uomini s'incontrino a viso 
a viso: e... la farò io la giustizia!"
27 "Sciagurato!" gridò rabbi Gionata, con una voce che aveva ripreso tutta 
l'antica pienezza e sonorità: "Guarda, sciagurato!" E mentre con una mano 
stringeva e scoteva forte il braccio di Giuseppe, girava l'altra davanti a sè, 
accennando quanto più poteva della dolorosa scena all'intorno.
28 "Guarda chi è Colui che gastiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui 
che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu 
lo sai, tu, quale sia la giustizia! Vattene, sciagurato, vattene!
29 Sì, io ho sperato che, prima della mia morte, il Dio d'Israele 
m'avrebbe data questa consolazione di sentir che la mia povera Maria fosse viva; 
forse di vederla, e di sentirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera 
là verso quella tomba dov'io sarò.
30 Ma tu m'hai levata la mia speranza. Il Signore non l'ha lasciata in terra per 
te; e tu, certo, non hai l'ardire di crederti degno che Dio pensi a consolarti. 
Avrà pensato a lei, perchè lei è una di quell'anime a cui son riservate le 
consolazioni eterne. Vattene! non ho più tempo di darti retta."
31 E, così dicendo, rigettò da sè il braccio di Giuseppe, e si mosse verso una 
capanna d'infermi. Giuseppe gli corse dietro, ma egli lo respinse: "Ardiresti tu 
di pretendere ch'io rubassi il tempo a questi afflitti, i quali aspettano ch'io 
parli loro del perdono di Dio, per ascoltar le tue voci di rabbia, i tuoi 
proponimenti di vendetta?
32 T'ho ascoltato quando chiedevi consolazione e aiuto; ho lasciata la carità 
per la carità; ma ora tu hai la tua vendetta in cuore: che vuoi da me? vattene. 
Ne ho visti morire qui degli offesi che perdonavano; degli offensori che 
gemevano di non potersi umiliare davanti all'offeso: ho pianto con gli uni e con 
gli altri; ma con te che ho da fare?"
33 "Ah gli perdono! gli perdono davvero, gli perdono per sempre!" esclamò il 
giovane. Convinto che il suo pentimento fosse sincero, Gionata lo condusse in 
una capanna e gli mostrò l'insolente Aristobulo, anch'egli malato di peste, 
ormai morente e privo di ragione. Giuseppe si inginocchiò accanto a lui, e lo 
perdonò di tutto cuore [Promessi Sposi XXXV].

Giuseppe di Nazaret tra gli appestati nella Valle della Geenna (immagine creata con BING)
Capitolo 7
Ritorno a Nazaret
1 Ripartito di là, Giuseppe trovò finalmente Maria che, miracolosamente, non si 
era mai malata di peste, e sembrava nata immune al contagio; per questo si 
prodigava per aiutare i suoi fratelli più sfortunati, inclusi i suoi genitori, 
che si erano ammalati ma ora erano prossimi alla guarigione.
2  Quando lo vide, Maria tentò di fuggire, poiché non voleva venire meno al 
voto che aveva pronunciato quando si riteneva in pericolo di vita.
3 Giuseppe allora chiamò Gionata Ben Uzziel, il quale prima la riabbracciò con 
affetto, poi la convinse che la sua promessa non era valida, essendo in 
conflitto con la promessa precedentemente fatta a Giuseppe di sposarlo;
4 matrimonio, questo, che era voluto da Dio, visti i tanti interventi diretti 
dell'angelo Gabriele in loro difesa. Tuttavia, siccome ogni promessa è debito, 
il saggio Gionata promose ai due giovani un'alternativa:
5 si sarebbero sposati ma sarebbero vissuti in castità, alla maniera degli 
Esseni presso cui Maria era stata ospitata. Giuseppe, che aveva degli amici 
Esseni ed ammirava il loro stile di vita, si disse d'accordo, e la promessa di 
matrimonio fu solennemente rinnovata [Promessi Sposi 
XXXVI].
6 Subito l'angelo l'angelo Gabriele corse davanti al trono di Dio per informarLo 
del lieto fine dell'avventura. Già l'angelo della morta aveva stesa la mano su 
Gerusalemme per distruggerla, ma ecco il Signore si pentì di quel male e disse 
all'angelo che distruggeva il popolo: "Basta; ritira ora la mano!" 
[2Sam 24,16]
7 Immediatamente il Signore fece cadere sulla Terra una pioggia purificatrice, 
la quale annunciò la prossima fine della pestilenza.
8 Quando il contagio ebbe termine, Erode decise di chiudere i conti con Silleo. 
Il re fece gli usuali sacrifici e guidò contro i Nabatei un'armata tenuta 
prudenzialmente in Perea, regione risparmiata dalla pestilenza.
9 Pose l'accampamento vicino al nemico, lo battè in alcune scaramucce e, quando 
osservò che le forze del nemico avrebbero fatto tutto tranne che entrare in 
battaglia, irruppe con tutto il coraggio per abbattere le sue palizzate, 
avvicinarsi il più possibile al loro accampamento e attaccarlo.
10 Ne seguì una battaglia ostinata dove caddero da ambo le parti. Ma alla fine i 
Nabatei furono vinti e incominciarono a fuggire, parte calpestati parte dalla 
moltitudine che incalzava con forza disordinata e parte uccisi dalle proprie 
armi. I morti furono almeno cinquemila, i superstiti furono assediati nelle loro 
piazzeforti.
11 Trovandosi in questa situazione, Silleo mandò un'ambasciata a Erode, in primo 
luogo per discutere una tregua, in secondo luogo, siccome erano tormentati dalla 
sete, dichiarandosi pronti ad accettare qualsiasi condizione pur di ottenere, al 
presente, la sicurezza di uno scampo.
12 Ma re Erode non accolse gli ambasciatori né accettò il riscatto per i 
prigionieri, né altra proposta moderata, perché era ferocemente determinato a 
volere vendetta per le azioni empie da loro commesse contro i Giudei). Perciò i 
Nabatei furono costretti ad arrendersi per essere trattati come schiavi.
13 Dopo avere sopportato una simile sconfitta, i Nabatei persero la presunzione 
che avevano prima, ammirarono le doti strategiche di Erode, messe in evidenza 
dalle loro disavventure, si sottomisero a lui.
14 Erode fece uccidere Silleo e, d'intesa con Cesare Augusto, nominò proprio 
Areta nuovo Re dei Nabatei come suo cliente, con il nome di Areta IV 
Filopatore, perchè amava Rabbi Hillel come se fosse suo padre. Iniziava così il lungo regno di 
quest'ultimo, che sarebbe stato ricordato come un'era di giustizia e buon 
governo.
15 E così, considerandosi sufficientemente degno di attribuirsi grandi 
onori per i suoi successi, Erode ritornò a casa dopo avere conquistato nuovo 
prestigio da questa impresa militare [Giuseppe Flavio, Antichità 
Giudaiche 15,147-160].
16 Tornato a Gerusalemme, e appreso che Aristobulo era morto di peste, Erode 
fece strangolare suo figlio Alessandro per aver causato, con la sua stolida 
scommessa con il fratello, le scorrerie e le tre settimane di pestilenza che 
avevano devastato il suo regno.
17 Per questo Cesare Augusto ebbe a dire che era meglio essere il maiale che il 
figlio di Erode, dato che il sovrano seguiva i dettami della legge mosaica e non 
si cibava di carne di maiale [Macrobio, Saturnalia 2].
18 Tutte le decisioni politiche prese da Alessandro e Aristobulo vennero 
annullate, e così anche la condanna in contumacia inflitta a Giuseppe il 
carpentiere cadde nel dimenticatoio.
19 Così infatti si compiva la parola del profeta: « Questa è la tua sorte, la 
parte che ti ho destinato, perché mi hai dimenticato e hai confidato nella 
menzogna! » [Geremia 13,25]
20 Quanto a Salampsio, la sua relazione con Lisania divenne di pubblico dominio, 
ed Erode la fece arrestare e sbattere nella fortezza di Macheronte, dove sarebbe 
rimasta per quattordici anni.
21 Purtroppo Gionata Ben Uzziel non sopravvisse alla pestilenza. Ancor oggi scapoli e nubili visitano la sua tomba ad 
Amuka, in Galilea, per pregare di accasarsi, memori della parte che egli 
ebbe nelle vicende di Giuseppe e Maria.
22 Del morbo fu 
vittima anche Menachem l'Esseno: convinto che la peste fosse provocata dal 
fetore pestilenziale che, dal profondo dello Sheol, era emerso attraverso alcune 
spaccature della roccia per avvelenare 
la Creazione divina,
23 non prese alcuna precauzione contro il dilagare del morbo, gli s'attaccò e 
andò a letto a morire, come un eroe di Euripide, convinto di essere stato 
falciato dal respiro delle creature demoniache che abitavano l'Abisso e se la ridevano della disperazione degli 
uomini.
24 Di Anania ben Hezekiah ben Garon, invece, quando si dice ch'era morto, si è 
detto tutto. Le sue spoglie riposano da qualche parte nella Valle della Geenna.
25 Finita la pestilenza, Giuseppe, Maria, Anna e Gioacchino fecero finalmente 
ritorno a Nazaret, e qui, siccome il paese era stato semidistrutto dalle armate 
di Silleo, Giuseppe il carpentiere ebbe moltissimo lavoro e poté mantenere anche 
la famiglia della sua fidanzata [Promessi Sposi XXXVII].
26 Nel terzo mese dopo la fine della pestilenza, Maria prese la brocca ed uscì 
ad attingere acqua. Giunse al pozzo, ed ecco udì una voce che diceva: « Ti 
saluto, o piena di grazia, il Signore è con te ».
27 All'udire queste parole ella rimase turbata, si guardò intorno, a destra e a 
sinistra, per capire da dove venisse la voce, ma non vide nessuno. Tutta 
tremante se ne andò a casa, posò la brocca, si sedette sul suo scanno e filava
[Protovangelo di Giacomo 10,1-3].
28 Ed ecco un giovane bellissimo entrò da lei e ripetè: "Ti saluto, o piena di 
grazia, il Signore è con te." Maria comprese che egli era l'angelo Gabriele e 
gli si prostrò dinanzi, ma egli la costrinse a rialzarsi, si inginocchiò davanti 
a lei e riprese:
29 "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un 
figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù, poiché salverà il suo 
popolo dai suoi peccati.
30 Sarà grande, e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il 
trono di Davide suo padre, egli regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il 
suo regno non avrà fine."
31 Allora Maria domandò all'angelo: "Come sarà possibile questo? Ho promesso che 
non conoscerò mai uomo, e non posso rimangiarmi la parola data."
32 Le rispose l'angelo: "Non così, Maria! Lo Spirito Santo scenderà su di te, su 
di te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà 
dunque Santo e chiamato Figlio di Dio.
33 Vedi, Iddio ha voluto che sposassi Giuseppe, nonostante tanti nemici e tante 
traversie ti volessero separare da lui: nulla è impossibile a Dio."
34 Allora Maria rispose: "Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga di me 
quello che hai detto." E l'angelo, dopo essersi prostato fino a terra, partì da 
lei [Lc 1,26-38].

Rabbi Hillel venera il Bambino Gesù... o forse è un anziano Alessandro Manzoni (immagine creata con BING)
Capitolo 8
Finalmente sposi
1 Quando giunse per lei il sesto mese, ecco che Giuseppe tornò da Cafarnao, dove 
aveva contributo a ricostruire la locale sinagoga e, entrato in casa, la trovò 
incinta. Allora si stracciò le vesti, si gettò a terra sul sacco e pianse 
amaramente, dicendo:
2 "Con quale faccia guarderò il Signore, Dio mio, che ci ha salvati dalle mani 
di Aristobulo? Che preghiera innalzerò io per questa ragazza? L'ho ricevuta 
vergine in mia custodia, e io non l'ho custodita. Chi è che mi ha insidiato? Chi 
ha commesso questa disonestà in casa mia, contaminando la vergine?
3 Si è forse ripetuta per me la storia di Adamo? Quando, infatti, Adamo era 
distratto, venne il serpente, trovò Eva da sola e la sedusse: così è accaduto 
anche a me!"
4 Subito dopo chiese a Maria: "Prediletta da Dio e dai Suoi angeli, perché hai 
fatto questo e ti sei dimenticata del Signore, tuo Dio, che ti aveva salvato 
dalle mani di Aristobulo e di Alessandro? Perché hai avvilito l'anima tua?"
5 Ella pianse amaramente, dicendo: "Io non ho infranto il mio voto: sono 
immacolata e non conosco uomo!" Giuseppe insistette: "Da dove viene dunque colui 
che è nel tuo ventre?"
6 Rispose Maria: "Come è vero che vive il Signore, mio Dio, questi che è in me 
non è opera della fornicazione di uomo mortale." 
[Protovangelo di Giacomo 13,1-14,2]
7 A quel punto Giuseppe, che era giusto e non voleva ripudiarla, dopo aver tanto 
fatto per riaverla con sé, ebbe molta paura, perché se la avesse denunziata, 
ella sarebbe stata lapidata come adultera. Decise allora di licenziarla in 
segreto.
8 Mentre però stava pensando a queste cose, lo sorprese la notte e si 
addormentò. Ed ecco che gli apparve in sogno l'angelo Gabriele e gli disse:
9 "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua 
sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella 
partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo 
dai suoi peccati."
10 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore 
per mezzo del profeta Isaia: « Ecco, la vergine concepirà e partorirà un 
figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con Noi. » 
[Isaia 7,14]
11 Destatosi dal sonno, Giuseppe glorificò il Dio di Israele che gli aveva 
concesso questo privilegio, fece come gli aveva ordinato l'angelo e prese con sé 
la sua fidanzata [Matteo 1,19-24]. Avendo ricevuto 
prove certe che Aristobulo e i suoi birri erano morti di peste, rabbi Zaccaria 
acconsentì finalmente a celebrare le nozze tra i due giovani.
12 Finalmente venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con 
sicurezza trionfale, proprio a quella sinagoga, dove, proprio per bocca di rabbi 
Zaccaria, furono sposi.
13 "Ah!" diceva poi tra sè rabbi Zaccaria, tornato a casa: "Se la peste facesse 
sempre e per tutto le cose in questa maniera, sarebbe proprio peccato il dirne 
male: quasi quasi ce ne vorrebbe una, ogni generazione; e si potrebbe stare a 
patti d'averla; ma a patto di guarirne!"
14 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il 
censimento di tutta la Terra. Questo primo censimento fu fatto quando 
Publio Sulpicio Quirinio era governatore della Siria per la prima volta
[dal 9 al 7 a.C.; Dione 
Cassio, Storia Romana LV,10].
15 Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, 
che era della Casa di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in 
Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con 
Maria sua sposa, che era incinta.
16 Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del 
parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo 
depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo [Matteo 1,25; 
Luca 2,1-7].
17 In tal modo si adempì ciò che era stato detto dal Profeta: « E tu, 
Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da 
te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele. »
[Michea 5,1; Matteo 2,5-6]
18 Quando furono 
passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome 
Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel 
grembo della madre [Luca 2,21].
19 Giunto il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, 
Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, 
come è scritto nella Legge del Signore: « ogni maschio primogenito sarà sacro 
al Signore » [Esodo 13,12],
20 e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come 
prescrive la Legge del Signore [Levitico 1,14].
21 L'angelo Gabriele apparve anche a Rabbi Hillel, che aspettava il conforto d'Israele, 
e gli preannunziò che, pur essendo già molto avanti con gli anni, come premio 
per ciò che aveva fatto per Areta, per Maria e per Giuseppe, egli non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto 
il Messia del Signore.
22 Mosso dunque dallo Spirito, quel giorno Hillel si recò al Tempio proprio mentre i genitori vi 
portavano il Bambino Gesù per adempiere la Legge. Egli riconobbe i due giovani, 
si avvicinò loro, prese tra le braccia il Bambino, fu colmo di Spirito Santo e 
benedisse Dio:
23 "Ora lascia, o Signore, che il Tuo servo vada in pace secondo la Tua 
parola; perché i miei occhi hanno visto la Tua salvezza, preparata da Te davanti 
a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del Tuo popolo Israele."
24 Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 
Hillel li benedisse e parlò a Maria, sua madre: "Egli è qui per la rovina e 
la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano 
svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima."
25 C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di 
Aser. Aveva ottantaquattro anni e non si allontanava mai dal Tempio, servendo 
Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
26 Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del 
Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
27 Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, Maria e Giuseppe 
fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si 
fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui 
[Luca 2,21-40].
28 Ora che Iddio sembrava aver messo a posto ogni cosa, il bello era sentire 
Giuseppe raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che 
ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire.
29 "Ho imparato," diceva, "a non mettermi nei tumulti: ho imparato a non 
predicare in piazza: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non 
tenere in mano il martello delle porte, quando c'è lì d'intorno gente che ha la 
testa calda: ho imparato a confidare maggiormente in Dio." E cent'altre cose.
30 Sua moglie serbava tutte queste cose nel suo cuore 
[Luca 2,51]. A forza però di sentir ripetere la stessa canzone, e di 
pensarci sopra ogni volta, Maria replicò un giorno a suo marito moralista: "E 
io, cosa vuoi che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son 
loro che sono venuti a cercar me.
31 Quando non vorresti dire," aggiunse, soavemente sorridendo, "che il mio 
sproposito sia stato quello di volerti bene, e di promettermi a te.
32 Giuseppe, sulle prime, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare 
insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perchè ci si è dato 
cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli 
lontani;
33 e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li 
raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, 
benchè trovata da povera gente, mi è parsa così giusta, che ho pensato di 
metterla qui, come la morale di tutto il mio Vangelo.
34 Il quale, se non v'è dispiaciuto affatto, vogliatene bene un pochino a chi 
l'ha scritto, oltre che a Dio che me lo ha ispirato. Ma se invece 
fossi riuscito ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta
[Promessi Sposi XXXVIII].
.
Questo è il commento in proposito di Bhrihskwobhloukstroy:
A proposito della Semitizzazione: la 
Storia reale è stata di fatto in gran parte una sorta di semitizzazione 
dell’Indoeuropa (e altro), per cui man mano che si procede nel tempo si trova 
una cultura sempre più ‘semitizzata’.
Come abbiamo visto, i Promessi Sposi risalgono a una mitologia indoeuropea 
contenuta anche nel Rāmāyăṇăm, ma fra gli antecedenti preistorici e la versione 
antiasburgica del Manzoni sono intervenuti almeno quattro processi di 
Semitizzazione (fenicio, siriaco, giudaico-cristiano, pontificio) e quindi 
l’ucronia diventa quasi un completamento della Storia anziché un suo 
ribaltamento.
Mi spiego. Durante l’Impero Romano, oltre alla componente fenicio-punica, una 
notevole parte – benché non maggioritaria – della popolazione urbana era di 
origine servile e, al suo interno, in particolare siriaca.
Ognuna di queste quattro fasi ha determinato un processo di semitizzazione 
(strutturale) delle lingue indoeuropee (non limitato a quelle di area 
mediterranea); precedente a queste quattro è stata la dinamica interlinguistica 
protostorica vicino-orientale che ha contribuito a rendere definitiva la rottura 
della (relativa) unità linguistica indoeuropea e che si osserva soprattutto 
nelle classi anatolica e ’īrānica, ma si è ripercossa fino al celtico e 
all’indoario.
Beninteso, questa Semitizzazione non è partita dal semitico preistorico, ma da 
lingue semitiche storicamente ormai già ben delineate (anzitutto l’accadico, per 
quantp pure l’eblaitico e i suoi vicini possano aver avuto un ruolo maggiore di 
quanto appaia dalle fonti) e poi soprattutto appunto dal fenicio-punico, 
dall’aramaico-siriaco e, in misura minore (se non sul piano culturale), 
dall’ebraico (molto meno dall’arabo, se non nel Vicino e Medio Oriente).
L’Ucronia sostituisce alla Realtà – conservandone le fattezze – un’Alternativa 
radicalmente diversa; la Semitizzazione rientra in questa categoria e posso 
garantire che nel caso del Manzoni è molto minore che in quelli del Măhābhārătăḥ 
e del Rāmâyăṇăm, perché questi ultimi due ci sono pervenuti in una Cultura che 
direttamente continua quella indoeuropea preistorica nella quale erano stati 
redatti, mentre i Promessi Sposi sono l’ultima rielaborazione, in veste già 
largamente ‘semitizzata’, di miti di cui è più laborioso recuperare la forma 
primitiva.
La Semitizzazione è un fenomeno storico e queste ucronie – come le precedenti 
consimili – sono in un certo senso ‘più storiche che la Storia’, come lo 
potrebbe essere un’ucronia in cui, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Germania 
e il Giappone (nonché tutti i Tedeschi e i Giapponesi) sparissero senza residui 
dalla faccia della Terra.
Com’è naturale, ogni ucronia dice molto anche sull’Ucronista che la scrive. In 
passato mi ero un po’ sbilanciato a pregare il Comandante di non affaticarsi e 
di non prendere le proposte altrui come ordini da eseguire a ogni costo; mi è 
però stato fatto convincentemente capire che, al di là dell’occasione, si 
trattava di una profonda necessità interiore. Me ne sono convinto e adesso mi 
pare di riconoscere, in queste grandi opere – insisto – (anche) letterarie, 
l’appassionato tentativo di recuperare le certezze di un’epoca felice in cui la 
Fede Cattolica e quindi Cristiana, col suo fondamento biblico (ebraico), poteva 
rappresentare la premessa del Paradiso sulla Terra.
Sul piano formale, anche i Promessi Sposi rientrano in questa impostazione, ma è 
innegabile che si prestino pure a una controlettura all’insegna di un Pessimismo 
cosmico che non lascia speranza: è chiaro che assumere anche questa 
controlettura sarebbe inammissibile nella Semitizzazione (se vale quanto sopra), 
così come risulterebbe altrettanto stravolta in un’eventuale restaurazione del 
mito indoeuropeo che potrei proporre sulla base dello stesso romanzo, perché il 
latente Pessimismo nero manzoniano è in ultima analisi innescato dalla 
contraddizione fra Mito indoeuropeo e Semitizzazione già largamente avvenuta col 
Cristianesimo (un Nichilismo perfino e di gran lunga più negativo è nato, come 
ahinoi sappiamo, laddove la Semitizzazione – potenzialmente a oltranza – 
intrinseca alla Riforma Evangelica si è innestata sul Mito formativo della 
Nazione Indoeuropea).
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E Paolo Maltagliati aggiunge:
Si può leggere i Promessi Sposi anche, volendo, come un grande e fantastico saggio sull'amore (e la versione con Giuseppe e Maria lo completerebbe mirabilmente)! Nella mia personalissima interpretazione dei Promessi Sposi come scala amoris, il punto più alto è duplice. Chiaramente dal punto di vista della catarsi dei protagonisti, per Renzo il punto più alto è la comprensione del senso dell'amore di Lucia, la quale ama tutta l'esistenza donatale da Dio, compresi i famosi 'guai', passaggio che può essere compiuto solo attraverso il perdono di Don Rodrigo al Lazzaretto, attraverso fra Cristoforo-Virgilio. Da parte di Lucia è lo scioglimento del voto, ovvero che il corpo (nel senso di Renzo) è compimento dell'amore e non tomba dell'anima. Potremmo ben dire che il finale è tanto anticlimatico (rispetto al climax della scena al lazzaretto) quanto però necessario. solo apparentemente, dunque, è un happy ending piccolo borghese. Come inserire Alcibiade nella conclusione del Simposio dopo che ha già parlato Socrate (e, dunque, apparentemente non servirebbe altro).
Tuttavia, il picco vero (cioé per quel che concerne Manzoni) della scala amoris è raggiunto durante la peste, attraverso personaggi narginalissimi, che guardacaso, ai fini della trama sarebbero del tutto superflui, ma il cui fine catartico è proprio per l'animo di Manzoni. L'abisso della piccolezza nella fine (crudele perché totalmente arida di compassione, anzi, piena di scherno) di Don Ferrante. Il vertice del sublime nell'amore della madre di Cecilia, che, è vero, è uno dei pezzi emotivamente più toccanti della letteratura mondiale, ma è il compimento dell'amore nella sua forma più totale: totale perché non è solo la spirituale certezza della salvezza dell'anima della bambina, non esplicitata, ma comunque evidente, ma anche carnalissima, per quel rispetto al corpo come tempio dell'anima che risalta dai piccoli gesti della madre. In quelle due scene Manzoni giunge alla sua personale comprensione di cosa è e cosa non è Eros... E dunque alla sua personale salvezza dallo smarrimento, che è poi necessaria per far concludere il cammimo ai due protagonisti.
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Anche Findarato Anàrion ha voluto cimentarsi con questo gioco:
E se i fratelli Grimm fossero stati ebrei?
Ho chiesto all’Intelligenza artificiale di riscrivere un libro della Bibbia come se fosse il lavoro di Jacob e Wilhelm Grimm. Il risultato è stato un riassunto del Libro di Tobia, con introduzione e finale in stile fiabesco:

C'era una volta, in una terra lontana chiamata Nínive, un uomo giusto e devoto di nome Tobit. Tobit era un uomo retto che seguiva fedelmente i precetti del Signore, ma la sua fortuna non fu sempre benevola. Un giorno, mentre seppelliva i morti, una disgrazia lo colpì: degli escrementi di uccello gli caddero negli occhi, rendendolo cieco.
Nel frattempo, in un villaggio non lontano, viveva una giovane donna di nome Sara. Ella era afflitta da una maledizione terribile: ogni volta che si sposava, un demone di nome Asmodeo uccideva il suo marito nella notte delle nozze. Sette mariti avevano già trovato la morte in questo modo, e Sara viveva disperata, pregando giorno e notte per la sua liberazione.
Tobit, nella sua cecità, pregava incessantemente per il suo figlio Tobia, un giovane forte e coraggioso. Un giorno, Tobit chiamò Tobia e gli disse: "Figlio mio, prendi con te del denaro che ho lasciato in Media presso Gabael. Questo denaro ci sosterrà nel nostro bisogno." Tobia, rispettoso e obbediente, si mise in viaggio. Durante il suo cammino, Tobia incontrò un misterioso viandante di nome Raffaele. Questi non era altro che un angelo inviato da Dio per aiutare Tobia nella sua missione.
Raffaele si unì a lui e lo guidò lungo il percorso, insegnandogli molte cose. Mentre attraversavano un fiume, Tobia vide un grande pesce e, seguendo il consiglio di Raffaele, lo catturò. "Apri il pesce," disse Raffaele, "e conserva il cuore, il fegato e la bile. Ti serviranno per scacciare i demoni e curare le malattie."
Arrivarono infine a Media e trovarono Gabael, che restituì il denaro a Tobia. Qui, Raffaele suggerì a Tobia di prendere in moglie Sara, la giovane afflitta dal demone. Tobia, seguendo il consiglio dell'angelo, bruciò il cuore e il fegato del pesce durante la notte delle nozze. Il fumo sacro scacciò Asmodeo, liberando Sara dalla sua maledizione.
Tobia e Sara tornarono a Nínive, dove la loro felicità divenne ancora più grande. Raffaele, prima di congedarsi, rivelò la sua vera identità, spiegando che Dio aveva ascoltato le preghiere di Tobit e Sara, inviando lui come aiuto. Utilizzando la bile del pesce, Tobia curò gli occhi di suo padre, restituendogli la vista.
E così, Tobit visse il resto dei suoi giorni nella gioia, circondato dall'amore della sua famiglia e dalla gratitudine per le benedizioni ricevute. Tobia e Sara vissero felici e contenti, ricordando sempre la guida e la protezione divina che li aveva condotti attraverso le loro avventure.
E la loro storia, tramandata di generazione in generazione, continuò a risuonare come un'eco di fede e speranza nei cuori di tutti.
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Tommaso Mazzoni commenta:
Buona scelta. Il libro di Tobia presenta tutti gli stilemi della fiaba.
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Fanta-Cosette
 L'idea è di Agnese
Pagliarani:
L'idea è di Agnese
Pagliarani:
Fantine muore in mezzo alla strada o in prigione, senza aver avuto la possibilità di chiedere a Jean Valjean di prendere con sé la figlia. Come cambia la vita di Cosette, ormai condannata a fare da sguattera ai Thénardier? Imparerà da loro l'arte del furto? Si opporrà e scapperà?
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Le risponde Enrica S.:
Dunque, a me sono venute in mente queste idee:
a) I Thénardier con Cosette al seguito sfuggono alla giustizia francese fuggendo in Germania. Qui Cosette incontra uno studente di filosofia, un certo Karl Marx, che si innamora di lei e la sposa. Anziché con Engels, Marx fonderà il comunismo insieme all'amata Cosette, che diventerà la prima pasionaria comunista della storia. Oggi a Cuba vedremo le statue di Marx e Thénardier al posto di quelle di Marx ed Engels: Cuore e Martello, più che Falce e Martello ^__^
b) I Thénardier con Cosette fuggono in Inghilterra. Qui Cosette sfugge loro, conosce un altro ragazzino diseredato chiamato Oliver Twist, condivide le sue disavventure ed alla fine è adottata assieme ad Oliver dal signor Brownlow. Una volta cresciuta sposerà Oliver Twist, e i due vivranno felici e contenti. Secondo lieto fine.
c) I Thénardier con Cosette fuggono in Spagna. Qui Cosette riesce a scappare e conosce Diego de la Vega, figlio di un ricco possidente della California. Questi si innamora e la porta con sé in patria, ma là i due scoprono che la ricca colonia è tiranneggiata dal crudele ed avido Capitano Monastario. Diego decide allora di fingersi un bellimbusto smidollato, per poi vestire di notte i panni di Zorro, l'inafferrabile giustiziere mascherato, mentre Cosette si finge sordomuta e dice di essere la sua cameriera. In tal modo Zorro avrà una "spalla" femminile, e con la spada inciderà sugli alberi delle Zeta dentro dei cuori...
d) I Thénardier con Cosette fuggono in Russia. Qui vendono Cosette al ricco Fëdor Pavlovič Karamazov, che la tiene in casa come domestica. Suo figlio Dimitrij si innamora di lei anziché di Katerina Ivanovna e di Grušenka (anzi, Cosette aiuterà quest'ultima a riscattarsi), e quando il vecchio Fëdor è ucciso da Smerdjakov, è quest'ultimo a finire in Siberia. Fiori d'arancio e lieto fine.
e) I Thénardier con Cosette fuggono in Sudafrica, nel Transvaal. Qui Cosette incontra il vedovo Allan Quatermain, famoso cacciatore bianco, e quando sir Henry Curtis assolda Quatermain per cercare suo fratello George, scomparso anni prima, Cosette chiede ad Allan di portarla con sé per sfuggire ai due Thénardier. Alla fine dell'avventura, nella terra dei Kukuana, i due scopriranno le mitiche miniere di Re Salomone. Cosette convincerà Allan a non tornare in Transvaal, dove la aspettano i Thénardier, ma a viaggiare per l'Africa con la loro parte di diamanti in cerca di nuove avventure. A Zanzibar i due incontrano il dottor Samuel Ferguson, che li convince a partecipare alla sua spedizione: Cinque Settimane in Pallone...
f) I Thénardier con Cosette fuggono in Estremo Oriente. Un certo Giuseppe Garibaldi, che si trova laggiù con il suo brigantino dopo aver perso Anita de Jèsus, la vede e la riscatta dai Thénardier, quindi la sposa. Cosette (Cosetta) diventerà un'eroina del Risorgimento, essendo l'unica donna a partecipare alla Spedizione dei Mille, e sarà citata anche nell'Inno di Garibaldi: «Ancora d'Italia minaccian gli spaldi: / Cosetta, ritorna col tuo Garibaldi!... »
g) I Thénardier con Cosette fuggono negli Stati Uniti. Cosette sfugge loro e viene adottata da una famiglia di neri, mentre Monsieur Thénardier diventa schiavista. Cosette conosce un certo John Brown, lo sposa e diventa con lui una attivista per la liberazione dei neri. Nel 1859 John Brown sarà impiccato, e per lui Cosette comporrà la canzone "Glory, glory, hallelujah..." Cosette invece sarà condannata all'ergastolo, ma liberata dopo la guerra di Secessione e diverrà un'eroina per neri ed antischiavisti.
h) I Thénardier con Cosette fuggono in Italia, precisamente a Milano. La nota un certo Alessandro Manzoni, che prende in odio i Thénardier, la riscatta e la adotta come figlia sua. Dato che nessuno dei suoi numerosi figli gli sopravvivrà, sarà lei a rimanergli vicino fino alla fine. In suo onore Sciùr Lisànder chiamerà il Romanzo "Renzo e Cosetta". Più immortale di così... ^__^
Se me ne vengono in mente delle altre, te le scrivo :)
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E il grande Perchè No? aggiunge:
Questo é davvero un magnifico divertissement fantaletterario! Mi avete fatto ridere un sacco, sopratutto pensando a Cosette e Karl Marx che raggiunge forse al meglio l'idea originale di Hugo. Dopotutto Cosette é solo la dimostrazione che una buona educazione e la prosperità possono fare di una ragazza miserabile una grande donna. Per Fantine vale il contrario, quanto una persona onesta può essere corrotta dalla povertà, e la stessa cosa dicasi per i Thénardier in un'altra maniera. Non sono malvagi di natura, ma solo per colpa di una vita di sforzi per sopravvivere. Hugo scrivendo questo era in piena conversione a idee vicine alla socialdemocrazia del XX secolo. Ipso facto: una Cosette alternativa deve essere dedicata al progresso sociale e legata a delle figure di rivoluzionari o di riformatori.
i) E se i Thénardier e Cosette emigrano piuttosto nel vecchio West? Chissà, Cosette potrebbe incontrare Wild Bill Hickock, diventa un'infallibile pistolera e sarà ricordata come Calamity Cosette!
l) Spingiamo alle estreme conseguenze il gioco della fantaletteratura, Cosette e i Thénardier emigrano in Australia, ma la nave viene affondata e Cosette viene salvata da un enigmatico personaggio dai tratti somatici indiani, che la accoglie sul suo sottomarino, il Nautilus...
Possiamo continuare a lungo cosi!
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Lord Wilmore gli regge il sacco:
OK, proseguiamo il gioco del Grande Perchè No?:
m) I Thénardier tentano di far prostituire Cosette, ma questa scappa, e mentre fugge in una selva oscura tallonata dai suoi aguzzini, è improvvisamente avvolta da scintillii e si ritrova a bordo di un'astronave. E' la nave del vulcaniano Sarek, tornata indietro nel tempo per esplorare il passato della Terra e della Federazione Unita dei Pianeti. Tornata su Vulcano, Sarek la sposa e da loro nascerà un certo Mister Spock...
n) I Thénardier cercano di emigrare in Canada, ma la loro nave fa naufragio e solo Cosette si salva. Su una scialuppa imbocca per caso la Via Diritta e si ritrova a Tol Eressea, dove conosce re Elrond che le narra la gloriosa storia degli Elfi e dei Valar. Molti anni dopo, con il permesso dei Valar, tornerà nel Mondo degli Uomini e da anziana farà da governante a un bambino, un certo John Ronald Reuel Tolkien, cui racconterà tutto ciò che ha appreso in Valinor, con le conseguenze che sappiamo...
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A questo punto, il 10 febbraio 2022, William Riker ci ha inviato quanto segue:
In memoria del grandissimo Mino Milani, scomparso oggi.

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Fanta-Stil Novo: il sommo Uguccione e Dante da Firenze!
Tocca a Renato Balduzzi proporre un interessante crossover:
Nella nostra Timeline, nel corso del Duecento vi furono due importanti movimenti letterari autoctoni dell'Italia: lo Stil Novo toscano e la Poesia Didattica Lombardo-veneta. Dalla prima nacque Dante Alighieri, che non ha bisogno di presentazione. Dalla seconda un certo Uguçon da Laodho (toscanizzato in Uguccione da Lodi), poeta che scrisse il Liber, poemetto ispirato alla letteratura francese didattico-religiosa di tipo escatologico.
Non ho potuto far altro che constatare un possibile crossover tra i due. Dante, nato in un ambiente di poesia "pura" che giunge a scrivere la Commedia, poema religioso. Uguccione, nato in un ambiente di poesia didattica, non riuscirà ad arrivare al livello di Dante non perché fosse intrinsecamente negato per la poesia, ma perché al suo Liber mancava quella componente estetica propria dello Stil Novo, che però potrebbe ripescare dalla grande tradizione provenzale.
Così, in questa Timeline, Uguçon da Laodho viene folgorato dall'ispirazione all'alba del 1300. Va a prendere carta e penna e inizia a scrivere i primi versi della sua opera straordinaria, il "Liber". In esso, un viaggio dalle profondità dell'Inferno al punto più alto del Paradiso compiuto da Uguccione medesimo. Il suo scopo, come quello di tutta la poesia didattica dell'epoca, è quello di ammonire i peccatori e invogliarli ad essere pii per godere dell'Eterna ricompensa. Purtroppo il suo sforzo primario, come tutte le opere di questo tipo, è una goccia nel mare, ma l'indubbia qualità letteraria lo consacrerà come Sommo Vate nonché padre della lingua lombarda.
Contemporaneamente, a Firenze un erudito di nome Dante Alighieri, dopo anni di stesure e cancellature, darà la luce a un poema didattico intitolato "Commedia", che però rimarrà letto esclusivamente nelle regioni di lingua toscana, per poi perdersi nell'oblio ed essere ad oggi conosciuto solo dai medievalisti interessati al caso della poesia didattica toscana.
Conseguenze storiche? La lingua lombarda diviene lingua letteraria, ovviamente in sordina, come accadde col toscano. Ma se effettivamente il toscano si trovava abbastanza vicino al centro dell'Italia, così non è per il lombardo. Nel sud potrebbero prevalere altri idiomi, come il siciliano o il napoletano. 
Qualche conseguenza... noi ora parleremmo tutti la lingua dei Galli Insubri o,
come dice Foscolo ne "I Sepolcri", "delle Insubri nepoti". E
nel 1848 il letterato milanese Lisander Manzun, non convinto della prosa del suo romanzo storico "i espus prumis", decise di "indà a pucià i pagn indel Lamber", cioè andare nella campagna milanese per trarre ispirazione dalla lingua dei contadini che avrebbe inserito nel libro...
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Subito William Riker, ispirato, gli ribatte componendo il proemio dell'ucronico "Liber":
« In dal mezz da la
nostra ümana via
ma son truvòo in d'üna furesta oscüra,
ca la stràa giüsta mi l'avea smarìa.
Madòna, verament l'è roba düra
dì quant l'ea brüt quèl post ca gh'ea la in sü:
dümò a pensagh ma turna la paüra!
Mi a murivi a restagg un pò da pü,
ma par cüntav ul ben che dentar gh'ea
dirò d'i altar ropp ca g'ho vidü.
Mi som bom no da div l'ingress
dua l'ea,
tant a gh'ea sogn in del mument esatt
ca da drè la via driza rimanea... »
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Naturalmente non poteva mancare il contributo del piemontese Sandro Degiani:
Mica siamo da meno qui ai piedi delle maestose Alpi, all'ombra del Monviso! E se la lingua colta d'Italia diventasse il piemontese? Ecco come suonerebbe l'incipit del "Liber" in questo caso:
« Ed nostra vita squasi a
la mità
i son trovame 'nt na boschina scura
perchè ch'i jera perdume per la stra.
E a dive com'a l'è,
a l'è bin dura:
un bosch angavignà, sensa sentè;
mach a penseje am pija na paura... » 
Ed il canto III:
« Da si as va ant na sità
piorosa,
da si as va 'nt el mai pasià dolor
da si as va fra gent bin escarosa.
Giustissia a l'ha bin
consija Nosgnor,
a l'ha fame la suprema podestà,
la gran sapiensa e 'l prim divin amor.
dednans a mi a-i é gnente
'd creà
se nen etern e mi eterna i son
Lassè minca speransa pen-a intrà.
Coste parole, brute per
dabon,
i l'hai vedduje scrite su na porta
e "Magister i son sasì 'd frisson"... »
(tratto da: La Divina Comedia, ed. Dant Alighieri, vira an lenga piemonteisa con consulensa e giustagi ed Beppe Burzio da Luis Ricard Piovano con ses anlustrassion originaj, ed Genio Gabanino, Torino [IT\ICCU\TO0\1078628]).
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Enrico Pizzo non vuole essere da meno:
Ecco invece l'incipit dell'"Omero in 
Lombardia", dell'Abate Francesco Boaretti, 1788.
No amici miei, non si tratta di una versione dell'Iliade traslata in quel di 
Milan, l'è semper un gran Milan, bensì della traduzione in Padovano del testo 
originale Greco. Perché Lombardia mi state chiedendo?
Il Boaretti usa questo termine nel suo significato arcaico di toponimo per la 
terraferma Veneta, in quanto anticamente parte della " Langobardia Maior ", 
perciò quel "in Lombardia" ha il significato di "in Lombardo", dove per 
"Lombardo" intende la lingua usata per la traduzione:
« Canto d'Achille, che 
l'Eroe xe stà
Tra i primi el primo per vigor de brazzi,
Quela Rabbia famosa, che ga dà
Tanti spasemi a i Greghi e tanti impazzi;
Stramaledeta Rabbia, che ha mandà
A cenar con Pluton tanti Bravazzi.
Cussì Giove ordinava; e intanto i can
Magnava carne, e bevea sangue uman... »
Segnalo anche "El libro primo de la Iliade de Omero tradoto in Venezian " di Luigi De Giorgi, 1872, gustosa traduzione in Veneziano del primo libro dell'Iliade. Personalmente trovo che sia quella che finora ho apprezzato di più. Peccato solo che il De Giorgi non abbia concluso la sua opera...
« Contime vià, Caliope, 
quela bile,
Tanto fatal per i infelici Achei,
Che ha chiapà el semidio Pelide Achile,
E i Greghi, co dolori e piagnistei,
Ga fato andar al Orco a mile a mile;
Chè pur tropo cussì el gran re dei Dei
El gaveva za belo destinà
Co Achile e Agamenòn ga barufà... »
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E ora, la parola a Tommaso Mazzoni:
Il Canto Centounesimo della Divina Commedia
Ecco, tristemente scendeva dall'alta e 
benedetta cima il poeta che d'Enea aveva cantato;
aveva lasciato Dante in buone mani e ora mestamente tornava al suo eterno 
sospirare;
Lentamente scese intrattenendosi a discorrere con le anime ma alla fine era 
uscito dalla porta del Purgatorio.
L'angelo lo aveva guardato con uno sguardo 
strano, a metà fra la commiserazione e la sorpresa,
giacché le anime di solito salgono, non scendono, ma poco ci potevano fare 
entrambi; con passo pesante e tormentato, Virgilio giunse alla spiaggia; di li 
sarebbe tornato al fiumiciattolo, e alla grotta vicino al centro della 
terra, dalla quale si sarebbe potuto arrampicare. Lo aspettava una scalata lunga 
e ben più amara di quella del Purgatorio, per tornare fra coloro che stavano 
sospesi.
Ma ecco una mano si posò sulla spalla del poeta Mantovano; Virgilio si girò e vide Catone che lo guardava in maniera sorprendentemente paterna. "A quanto pare un nuovo editto è stato fatto davvero in Cielo, amico mio. Hai trovato grazia agli occhi del Signore."
Virgilio lo guardò con stupore e iniziò a 
piangere e cadde in ginocchio. ma Catone lo aiutò a rialzarsi. "Vieni con me, 
Publio Virgilio Marone, da oggi mi aiuterai nei miei compiti."
Virgilio lo seguì 
piangendo ancora di gloria e in cuor suo ringraziò Beatrice che aveva rammentato 
il suo nome all'Altissimo; Ora i suoi sospiri non sarebbero stati più di 
rimpianto perchè nel suo cuore si formò per la prima volta in secoli la vera 
gioia al pensiero delle stelle che ora attendevano anche lui.
(Il destino di Virgilio, dover tornare nel Limbo, mi aveva sempre lasciato intristito: non me ne voglia Dante, ma mi sono permesso di aggiungere questa postilla)

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Gli risponde William Riker:
Ehi, bella idea! Io avevo sempre pensato 
che Virgilio era "sparito" dall'Eden ed era stato "teletrasportato" nel Limbo... 
i miei complimenti!!!
Forse ci riesco a riscriverla in terzine:
  « Tristemente 
scendea dall'alta cima
benedetta, l'altissimo poeta
che Enea cantò ne la sua vita prima;
  del viaggio giunto 
all'ultima sua meta
Dante lasciato aveva in buone mani,
e omai scendea alla sede consueta.
  Scendea là 've i 
sospiri sono vani,
perchè per sempre fuor dal Paradiso
lo costringean gli editti sovrumani.
  Fermato s'era per 
guardar in viso
taluno dei purganti, e per parlare 
con lui, e con più d'uno avea sorriso,
  ma con cupa 
mestizia il limitare
del monte che l'uom purga, aveva passato,
per tornar sulla spiaggia del gran mare.
  Là, mesto, a mirar l'onde 
era restato:
ahimé, dovea scontar l'eterno bando
sol perchè troppo presto egli era nato!
  Ma mentre elli si stava 
già calando
nella grotta dell'orrida fiumana
per risalire a Dite sospirando,
  su per l'abisso della 
follia umana,
sull'omero una mano si posò
dell'anima gentile mantovana.
  Stupefatto, il poeta si 
voltò;
ecco, Caton come si guarda un figlio
lo guardava, e benigno gli parlò:
  "Davver mutato è in Ciel 
novo consiglio,
alfine, o sommo vate degli eroi
che tra i prischi cantor non hai simiglio.
  Tu profetasti a tutti 
quanti noi
l'avvento della Vergine e del Regno
del Buon Pastore e degli agnelli Suoi.
  Chi per grazia di Dio, non 
per suo 'ngegno,
poté scrutar sì a fondo in seno a Dio,
è di vivere in Dio senz'altro degno."
  Quei che cantò 
d'Enea il contegno pio
cadde in ginocchio e pianse, comprendendo
che mai rivisto avrebbe il Limbo rio;
  e l'Uticense 
onesto, sorridendo
sotto le bianche piume, in piè lo trasse
e seco lo condusse, soggiungendo:
  "Pensavi che 
Beatrice ti obliasse
nella Candida Rosa, e nell'esilio
eterno a sospirare ti lasciasse?
  Facean così gli déi 
che infranser Ilio,
non l'anime di cui va Cristo fiero!
Il fato mio sarà anche il tuo, o Virgilio.
  Gli spirti che 
deposita il nocchiero
celeste sulla spiaggia, condurrai
sino al gradino bianco, al rosso e al nero.
  E allor che i sette 
angeli tu udrai
suonar le sette trombe del Gran Dì,
te pure avvolgeranno i divi rai."
  Il mantovano vate 
si sentì
qual uom che va al supplizio, e all'ultim'ora
graziato vien, e tutto ne gioì:
  rivisto avrebbe 
Dante, e Stazio ancora!
Al contrario di Ulisse, i lieti giri
del Ciel raggiunto avrebbe la sua prora.
  Non più sol di 
rimpianto i suoi sospiri
si sarebbero alzati, or che alla luce
vissuto avrebbe, e non giù tra i martìri.
  D'altri spirti 
sarebbe stato duce
sul monte che tra i monti tutti eccelle,
e alfin, nel dì per i malvagi truce,
sarebbe stato stella tra le stelle.

San Publio Virgilio Marone (disegnata con Bing Image Creator)
.
Lapidario il commento di Bhrihskwobhloukstroy:
Gloria e onore! Sei un vero drago, complimenti! Bravissimo!
.
Diamo ora la parola a Inuyasha Han'yō:
Guardate un po' come ha risposto un concorrente a un telequiz non italiano (che pollo!):

Mi è venuto in mente: e se Dante fosse nato davvero nelle Fiandre, a quell'epoca parte del Sacro Romano Impero? Come cambierebbe la Divina Commedia, o meglio De Goddelijke Komedie? Forse potrebbe cominciare così:
« Op 't midden van ons levenspad gekomen,
kwam ik bij zinnen in een donker woud
want ik had niet de rechte weg genomen.
   Rondom mij dicht en doornig kreupelhout;
ik kan niet zeggen hoe het mij bezwaarde,
nu de herinnering mij weer benauwt. »
.
Enrico Pizzo in seguito ha voluto dire la sua:
Periodicamente viene 
ristampato "L'Inferno di Topolino", una lunga storia a fumetti di Angelo 
Bioletti, disegni, e Guido Martina, testi e rime, pubblicata a puntate su 
"Topolino" dal numero 7 al numero 12.
In questa storia Topolino e Pippo, a causa di un incantesimo lanciato contro di 
loro da un mago alleato di Gambadilegno, si ritrovano all'inferno nei panni di 
Dante (Topolino), e Virgilio (Pippo), e se vogliono ritornare sulla terra 
dovranno discendere i vari cerchi fino al più profondo, poiché solo da lì si può 
uscire.
Nell'Inferno i peccatori sono disposti, in base alla gravità dei loro peccati, a 
profondità variabile e cosi, partendo dal primo, incontriamo:
1 - Materie scolastiche 
noiose
2 - Gagarelli
3 - Golosi
4 - Avari, non compare Zio Paperone in quanto non ancora noto in Italia
5 - Professori che tormentarono i propri studenti
10 - Irascibili, tra cui Paperino
13 - Studenti che danneggiavano i banchi scolastici, liberati dalla Fata dai 
capelli turchini
15 - Coloro che predicavano bene e razzolavano male
Arrivati a Malebolge il disegnatore non indica più il cerchio, comunque si incontrano:
Imbroglioni
Giocatori d'azzardo
Falsi maghi
Suggeritori
Studenti svogliati
Giornalisti bugiardi, costretti a scrivere la verità per terra con la lingua 
(evidentemente si tratta di un malcostume antico...)
Arbitri venduti che per denaro non fischiarono i calci di rigore, condannati a 
divorare eternamente dei palloni da calcio (dove ho già sentito questa 
storia...?)
Ed infine i due traditori 
supremi, Bioletti e Martina, colpevoli di avere adattato a fumetti l'opera di 
Dante sono da questo puniti a colpi di penna stilografica.
Vengono liberati per intercessione di Topolino che fa notare a Dante come i 
lettori siano entusiasti.
Nell'ultima tavola, però, si capisce che non è solo per il successo della 
trasposizione che Dante accetta di liberare Bioletti e Martina, bensì vuole che 
i due, tornati sulla terra, parlino a tutti gli italiani, spingendoli a lavorare 
tutti insieme alla ricostruzione nazionale: il fumetto è di fine anni '40 quando 
le ferite della seconda guerra mondiale erano ancora fresche.
Ma lasciamo parlare il Sommo...
« Allora Dante racquetò il 
suo fiero
Disdegno e disse al tristo scrittorello:
Va'! Porta il mio messaggio al mondo intero!
E riferisci che s'io mi fui 
quello
Ch'un dì gridava pieno d'amarezza:
Ahi, serva Italia, di dolore ostello!
Oggi affido al mio verso la 
certezza
D'una speranza bella e pura, e canto:
Oh, Santa Italia, nido di dolcezza...
O patria mia, solleva il capo 
affranto.
Sorridi ancora o bella fra le belle,
O madre delle madri, asciuga il pianto!
Il ciel per te s'accenda di 
fiammelle
Splendenti a rischiararti ancor la via
Sì che tu possa riveder le stelle!
Dio ti protegga, Italia! E così sia. »
.
Ma non è tutto. Antonio Delli Santi di Firenze ci ha chiesto:
Non vorrei disturbarvi ma, nel caso fosse possibile, sarei felice di poter avere dei suggerimenti da poter inserire in ogni canto dell'Inferno di Dante un collegamento con un argomenti della Fisica, così da poterli usare per scopi didattici...
.
A rispondergli è stato William Riker:
Ecco il lavoro che ci hai commissionato, Antonio. C'è voluta un'intera giornata e mi sono riletto quasi tutto "l'Inferno", ma ci sono riuscito; mi dispiace, ma meglio di così non sono riuscito a fare.
Canto 
I: i 
sistemi geocentrico ed eliocentrico
"Vidi le sue spalle / vestite già de’ raggi del pianeta / che mena dritto 
altrui per ogne calle" (vv. 16-18)
Canto 
II: classi 
spettrali delle stelle
"Lucevan li occhi suoi più che la stella" (vv. 55)
Canto 
III: 
l'origine dei terremoti
"Finito questo, la buia campagna / tremò sì forte, che de lo spavento / la 
mente di sudore ancor mi bagna./ La terra lagrimosa diede vento, / che balenò 
una luce vermiglia / la qual mi vinse ciascun sentimento" (vv. 130-135)
Canto 
IV: 
l'atomismo
"Democrito che ’l mondo a caso pone" (v. 136)
Canto 
V: venti e 
circolazione atmosferica
"La bufera infernal, che mai non resta, / mena li spirti con la sua 
rapina; / voltando e percotendo li molesta" (vv. 31-33)
Canto 
VI: ciclo 
dell'acqua e precipitazioni
"Io sono al terzo cerchio, de la piova / etterna, maladetta, fredda e 
greve; / regola e qualità mai non l’è nova" (vv. 7-9)
Canto 
VII: moto 
ondoso e correnti marine
"Come fa l'onda là sovra Cariddi, / che si frange con quella in cui 
s'intoppa, / così convien che qui la gente riddi" (vv. 22-24)
Canto 
VIII: forza 
elastica
"Corda non pinse mai da sé saetta / che sì corresse via per l'aere 
snella..." (vv. 13-14)
Canto 
IX: legge 
di Stefan-Boltzmann (colore rosso del ferro rovente)
"Tra gli avelli fiamme erano sparte, / per le quali eran sì del tutto 
accesi, / che ferro più non chiede verun'arte" (vv. 118-220)
Canto 
X: la fine 
dell'universo e del tempo
"Però comprender puoi che tutta morta / fia nostra conoscenza da quel 
punto / che del futuro fia chiusa la porta" (vv. 106-108)
Canto 
XI: le 
costellazioni
"Ma seguimi oramai che 'l gir mi piace; / ché i Pesci guizzan su per 
l'orizzonta, / e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace, / e 'l balzo via là oltra 
si dismonta" (vv. 112-115)
Canto 
XII: la 
geologia delle Alpi (gli Slavini di Marco)
"Qual è quella ruina che nel fianco / di qua da Trento l'Adice percosse, / 
o per tremoto o per sostegno manco..." (vv. 4-6)
Canto 
XIII: caso 
e probabilità
"Cade in la selva, e non l’è parte scelta; / ma là dove fortuna la 
balestra, / quivi germoglia come gran di spelta" (vv. 97-99)
Canto 
XIV: le 
sorgenti idrotermali
"Quale del Bulicame esce ruscello / che parton poi tra lor le peccatrici, 
/ tal per la rena giù sen giva quello" (vv. 79-81)
Canto 
XV: miopia 
e presbiopia
"E sì ver’ noi aguzzavan le ciglia / come ’l vecchio sartor fa ne la 
cruna" (vv. 20-21)
Canto 
XVI: moto 
circolare
"Così rotando, ciascuno il visaggio / drizzava a me, sì che 'n contraro il 
collo / faceva ai piè continüo vïaggio" (vv. 25-27)
Canto 
XVII: 
relatività dei moti
"Ella sen va notando lenta lenta; / rota e discende, ma non me n'accorgo / 
se non che al viso e di sotto mi venta" (vv. 115-117)
Canto 
XVIII: 
rocce ignee, sedimentarie e metamorfiche
"Luogo è in inferno detto Malebolge, / tutto di pietra di color ferrigno, 
/ come la cerchia che dintorno il volge" (vv. 1-3)
Canto 
XIX: il 
fenomeno della combustione
"Qual suole il fiammeggiar de le cose unte / muoversi pur su per la strema 
buccia, / tal era lì dai calcagni a le punte" (vv. 28-30)
Canto 
XX: le fasi 
lunari
"Ma vienne omai, ché già tiene 'l confine / d'amendue li emisperi e tocca 
l'onda / sotto Sobilia Caino e le spine, / e già iernotte fu la luna tonda" 
(vv. 124-127)
Canto 
XXI: il 
fenomeno dell'ebollizione
"Quale ne l'arzanà de' Viniziani / bolle l'inverno la tenace pece / a 
rimpalmare i legni lor non sani" (vv. 7-9)
Canto 
XXII: moto 
parabolico
"Lo Navarrese ben suo tempo colse; / fermò le piante a terra, e in un 
punto / saltò e dal proposto lor si sciolse" (vv. 121-123)
Canto 
XXIII: il 
fenomeno della riflessione della luce
"S'i' fossi di piombato vetro, / l'imagine di fuor tua non trarrei / più 
tosto a me, che quella dentro 'mpetro" (vv. 25-27)
Canto 
XXIV: il 
fenomeno del brinamento
"Quando la brina in su la terra assempra / l'imagine di sua sorella 
bianca, / ma poco dura a la sua penna tempra" (vv. 4-6)
Canto 
XXV: il 
principio di indeterminazione
"Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno / gridava: «Omè, Agnel, come ti 
muti! / Vedi che già non se’ né due né uno»" (vv. 64-66)
Canto 
XXVI: forza 
centrifuga e forze apparenti
"Tre volte il fé girar con tutte l’acque; / a la quarta levar la poppa in 
suso / e la prora ire in giù, com’altrui piacque" (vv. 139-141)
Canto 
XXVII: 
logica matematica
"Ch’assolver non si può chi non si pente, / né pentere e volere insieme 
puossi / per la contraddizion che nol consente" (vv. 118-120)
Canto 
XXVIII: 
principio di sovrapposizione e dualismo quantistico
"Di sé facea a sé stesso lucerna, / ed eran due in uno e uno in due" 
(vv. 124-125)
Canto 
XXIX: 
reazioni chimiche
"Sì vedrai ch'io son l'ombra di Capocchio, / che falsai li metalli con 
l'alchìmia; / e te dee ricordar, se ben t'adocchio, / com'io fui di natura buona 
scimia" (vv. 136-139)
Canto 
XXX: 
temperatura e scale termometriche
"L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo; / l’altr’è ’l falso Sinon greco di 
Troia: / per febbre aguta gittan tanto leppo" (vv. 97-99)
Canto 
XXXI: 
acustica
"Ma io senti’ sonare un alto corno, / tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto 
fioco" (vv. 12-13)
Canto 
XXXII: il 
campo gravitazionale
"E mentre ch'andavamo inver' lo mezzo / al quale ogne gravezza si rauna" 
(vv. 73-74)
Canto 
XXXIII: il 
fenomeno del congelamento
"Lo pianto stesso lì pianger non lascia, / e ’l duol che truova in su li 
occhi rintoppo, / si volge in entro a far crescer l’ambascia; / ché le lagrime 
prime fanno groppo, / e sì come visiere di cristallo, / riempion sotto ’l ciglio 
tutto il coppo" (vv. 94-99)
Canto 
XXXIV: la 
deriva dei continenti
"Da questa parte cadde giù dal cielo; / e la terra, che pria di qua si 
sporse, / per paura di lui fé del mar velo, / e venne a l'emisperio nostro; e 
forse / per fuggir lui lasciò qui loco vòto / quella ch'appar di qua, e su 
ricorse" (vv. 122-126)
.
C'è anche la folgorante domanda postaci da Lord Wilmore:
Nel "Paradiso" manca il racconto di Dante che torna sulla Terra! Come potrebbe apparire, se fosse stato realizzato?
.
Siccome nella Maturità 2025 "La Pioggia nel Pineto" è stata attribuita variamente a Pascoli e a Carducci, ho chiesto a Gemini di riscrivere tale poesia come la avrebbe scritta Giovanni Pascoli. Ecco il risultato:
Non odo, Ermione.
Non odo… il silenzio.
Su, sulle soglie.
Sui pini… sul lauro.
Sui mirti… e i ginepri.
Un gocciolìo, un ticchettìo.
Fruscìo, zirlìo,
uno squittìo, un frullìo.
Su, sulla fratta.
Pare un nido, laggiù, un lamento.
La pioggia. Un filo,
un lungo filo,
che scende e scende.
Tutto un bisbiglio.
Crac, un rametto.
E una goccia,
una goccia che cade,
lenta, lenta,
nella corolla.
Pare una lacrima.
Di chi? di cosa?
Forse d'un sogno, d'un morto.
E tu, Ermione, sei bianca.
Tu, la mia giovinezza…
Sento il tuo cuore,
un piccolo battito
sotto il tuo petto…
come un uccellino.
No, non sei mia.
Sei foglia, sei fiore.
Sei terra, sei siepe.
Sei un sussulto, un dolore.
E un'ombra, un'ombra…
Di un'infanzia perduta.
Ascolta. Il rumore.
Il buio, che sale.
Il pino che parla.
Il cipresso che tace.
La pioggia, sul tetto.
La pioggia, sul cuore.
Siamo soli, tu ed io…
E il canto, che muore.
.
aNoNimo gli risponde:
Bella! Ed ecco, sempre da Gemini, come apparirebbe scritta da Umberto Saba, con una abbondante carica di malinconia:
Era una sera, sì, di mezza 
estate,
e pioveva, leggero, sulla pineta.
Non come un rovescio, ma pacato,
come un segreto che la terra accetta.
C'era un fruscio tra i rami, 
un tenue canto,
le foglie si bagnavano, tranquille.
Pensai a te, al tuo fianco, e a quanto
sia bella questa vita, anche tra mille
piccole pene e un po' di stanchezza.
L'odore della resina, forte e 
schietto,
saliva dalla terra umida e scura.
Sentivo il cuore mio, nel suo segreto petto,
battere piano, senza più paura
del tempo che va, delle cose che mutano.
Eravamo lì, quasi senza un 
perché,
due anime semplici, sotto la pioggia chiara.
Forse la felicità è questo, sai, per me:
una pineta umida, una sera rara,
e un cuore che capisce, senza parole.
.
Generalissimus aggiunge:
Se è per questo, alla Maturità di quest'anno 2025 abbiamo avuto "La Pioggia nel Pineto" attribuita anche a Pirandello, l'Oscar a Marie Curie, il Nobel per la pace a Hitler, la Seconda Guerra Mondiale che inizia nel 1933, Aldo Moro ucciso dalla mafia, Manzoni autore seicentesco, Emile Zola antenato di Gianfranco, Mussolini capo dei partigiani, Mussolini creato cardinale dal re dopo la marcia su Roma (o che entra a Roma creando la breccia di Porta Pia), Hitler che fa la marcia su Berlino per imitare Mussolini (col quale aveva fatto la leva insieme), Francesco Ferdinando arcivescovo, lo Statuto Robertino, Giovanna d'Arco uccisa in battaglia, Verga milanese che si trasferisce poi a Catania perché c'era troppa nebbia e autore di un certo romanzo chiamato "La Vongola"...
.
Paolo Maltagliati si sente di precisare:
La cosa di Verga milanese è un po' girata anche nella mia maturità (la nebbia no, è un'estremizzazione), ma ve ne spiego il sottotesto. Molti libri e molti professori cercano, per spiegare la genesi del verismo, di enfatizzare che Verga trae la conclusione di narrare dei vinti, travolti dalla 'fiumana del progresso' dopo il suo soggiorno milanese, in cui vede - appunto - il progresso come una marcia inarrestabile che però stritola e sputa ai lati della strada chi non tiene il passo. Paradosso dei paradossi, spesso le insegnanti di italiano che calcano sulla demoniaca Milano come elemento scatenante, nella psiche di Verga, per una visione fondamentalmente pessimistica della società e del suo sviluppo, sono meridionali(ste) se non addirittura Siciliane. Il piccolo dettaglio che si dimentica è che le generazioni odierne NON hanno un bagaglio culturale pregresso che si può dare per scontato, quindi, nell'enfasi della tua narrazione sulle demoniache e perverse città industriali del nord, forse devi ricordarti di dire che il buon Verga era siculo, se no è un casino.
Premettendo che non voglio 
necessariamente perdonare queste gaffes, ma dar loro un contesto da insegnante 
di materie umanistiche nella scuola superiore italiana (scusate, deformazione 
mia, ma trovo più antropologicamente interessante indagare sui perché, invece di 
scandalizzarmi e basta), il punto non è neanche tanto che gli insegnanti di 
storia siano cani o che gli studenti lo siano(capitano entrambi i casi, ma 
nessuna delle due è condizione necessaria).
Il punto è quella che io chiamerei 'atemporalità'(che chiamo così, ma non 
riguarda solo le date) dei ragazzi di oggi. Provo a spiegarvela con un esempio:
Saremmo più indulgenti se dicessero che la battaglia di Quadesh è avvenuta nel 
1374 avanti Cristo invece che nel 1274 avanti Cristo rispetto a uno che sbaglia 
di sei anni l'inizio della seconda guerra mondiale? Magari non tutti, ma, in 
generale, penso di sì. Credete che un adolescente capisca perché? La risposta è 
assolutamente no. La battaglia di Quadesh e la seconda guerra mondiale per lui 
hanno ESATTAMENTE lo stesso valore conoscitivo, l'unica differenza è che sulla 
seconda ci sono molti più film e cultura pop in rete, per cui è più probabile 
che ne sappia qualcosa. Ma la relazione del primo e del secondo evento con lui è 
la medesima (cioè zero).
Il punto dell'insegnamento 
della storia ora è proprio questo: le relazioni.
Relazioni degli eventi tra di loro e quindi l'accento sui nessi logico causali e 
sul comprenderli, elemento su cui l'educazione nelle fasce di età inferiori 
fallisce colpevolmente.
Relazioni tra il passato e il sé, che poi porta alla sincera curiosità 
speculativa che è madre di un sincero desiderio di conoscenza.
È per questo che sono sempre un po' scettico quando si parla di riforme nella 
scansione cronologica della disciplina storica nei diversi cicli di studio. Sì 
certo, tutto quello che volete, forse è meglio che abbiano una mezza idea della 
guerra in Vietnam piuttosto che rifare due/tre volte l'uomo di Neanderthal. Ma 
la verità è che l'utilità o la non utilità dei Neanderthal invece che la guerra 
in Vietnam non dipende dal quando, che tanto per loro è ugualmente trapassato 
remoto, ma se con la guerra in Vietnam o con i Neanderthal si stabiliscono le 
relazioni di cui parlavo sopra oppure no.
Le minchiate in storia 
all'esame, di base, sono frutto di un 'chissenefrega' di uno studio mnemonico di 
cui non si comprende il senso, immersi in categorie che ormai non appartengono 
più (cos'è un vescovo o un cardinale? Credete davvero che se non lo spieghi i 
ragazzi lo sappiano? Simuliamo un tipico ragionamento di un adolescente di 
livello medio - ma non necessariamente scemo - adesso senza che gi spieghi bene 
il sottotesto -> "Sì, beh, è un ruolo importante nella chiesa cristiana... O era 
cattolica? Boh. Beh, avrebbe senso che lo danno a Mussolini, ha fatto i patti 
lateranensi, no?") e che non è che prima si spiegavano e ora no, prima non si 
spiegavano perché erano scontate(derivavano da un humus culturale della famiglia 
e della comunità sociale di appartenenza) e ora si continua a spiegare come si 
faceva prima, ignorando che il mondo intorno alla scuola è cambiato. 
Non si capisce che non si deve dare più per scontato nulla, dato che le famiglie 
non educano, che le relazioni sociali sono sfaldate e che l'unica comunità 
educante è quella dei pari. Io comunque adoro il mio lavoro (senza sarcasmo).
.
Basileus TFT si mostra d'accordo:
Sposo la posizione di Paolo.
Io non ho a che fare con gli studenti, ma con persone giovani in genere sì.
A parte qualche mega nerd che ne trovi uno su cento (come ero io del resto), per 
cui la storia passa dal "mi piace" al "non mi dispiace, ma preferisco altro", 
per quasi tutti la domanda è: "quale materia odi più di tutte?" Spoiler: storia.
Più di matematica, più di educazione fisica per una sedicenne tutta trucco e 
unghie.
Perchè?
"Perché mi annoio a imparare a memoria le date e gli eventi di cose che non mi 
interessano."
Il punto è questo. Cambiare la timeline, mettere più enfasi su questo o quello 
non cambia una fava.
Devo creare una connessione, un legame. Il punto è che finché continuiamo a 
battere il chiodo come adesso, i risultati sono quelli di adesso, poi noi adulti 
ci mettiamo tutti a frignare perché nessuno versa i lacrimoni per i campi di 
concentramento, o perché tanto giovani vengono manipolati da Lotta Comunista o 
da Forza Nuova.
Dobbiamo anche renderci conto che, oltre ai problemi del corpo docente che 
abbiamo già discusso, e ai giovani che non hanno più i valori di una volta e 
pensano solo al telefonino (semicit), il nostro sistema scolastico è 
profondamente sbagliato e inadatto. L'impostazione è rimasta quella del 1800, e 
i risultati si vedono.
Le cose basic da imparare per un bambino sono stare seduto per svariate ore di 
fila (cosa che fa malissimo ma cavoli loro, no?), stare zitto e dire sempre di 
sì.
Il sistema è in massima parte basato sull'apprendimento a memoria e sul ripetere 
le cose a pappagallo.
Non si viene preparati per affrontare "il mondo di fuori", non si viene 
preparati per diventare bravi cittadini, non si imparano competenze spendibili e 
ovviamente non si impara "la cultura", perché tanto le cose che impari a memoria 
dopo un mese le hai scordare.
Tutto il sistema sembra piú un grande parcheggio per permettere ai genitori di 
lavorare e tenere i figli fermi per una parte della giornata (ma manco tutta).
Poi ci sono le vacanze estive di tre mesi, così i bimbi possono aiutare i 
genitori nei raccolti e nei mercati... Ah, scusate, non li facciamo piú dagli 
anni '70... vabbè, fa nagott. Eh però fa troppo caldo in estate per stare a 
scuola... Come dite? Questa scusa è buona! Dai, andata, teniamola.
I tentativi di riformaretutto sono anche stati fatti ma, siamo onesti, se l'uomo 
medio sente parlare di Montessori (un nome a caso) torce sempre il naso e pensa 
a una scuola da comunisti dove i bambini non studiano.
Il problema è che a nessuno conviene riformare il sistema. Farlo sarebbe 
dispendioso, e in Italia sappiamo tutti come vanno queste cose.
Tanto è un problema che riguarda le generazioni future, c***i loro (qualcuno ha 
detto inflazione e debito italiano?)
.
E se il Ciclo Carolingio raccontasse eventi storici reali?
Non contento di quanto scritto sopra, ecco la nuova impresa in cui William si è imbarcato: storicizzare il Ciclo Carolingio!!
« Signori e cavalieri che vi radunate per udire cose dilettose e nuove, state attenti e quieti, ed ascoltate la vera storia che il mio racconto risuscita; e conoscerete i gesti smisurati, l'alta fatica e le mirabili prove che fece il franco Rolando per amore, al tempo del re Carlo Magno, futuro Imperatore. Non vi pare già, signori, meraviglioso, udir narrare di Rolando innamorato, perché chiunque nel mondo è più orgoglioso, è da Amor vinto, del tutto soggiogato? Né forte braccio, né ardire animoso, né scudo o maglia, né spada affilata, né altra potenza può mai far difesa, che al fin non sia da Amor battuta e presa. »
Come racconta Paolo di Vanefrido, noto anche come Paolo Diacono, nel settimo libro della sua monumentale "Historia Langobardorum", Carlo, Re dei Franchi, dopo aver sconfitto in battaglia Desiderio e suo figlio Adelchi, conquista il regno dei Longobardi e il 10 luglio 774, a Pavia, assume il titolo di "Rex Francorum et Langobardorum et Patricius Romanorum", creando una grande potenza germanica. Nella presa di Pavia si distingue Rolando (in latino Hruodlandus, che diverrà Orlando nella tradizione italiana successiva), figlio di Bertrada, sorella minore di Re Carlo, e del barone franco Milone, signore del feudo di Anglant in Neustria, e imparentato alla lontana con i Merovingi. Il margravio dimostra un inaudito vigore anche nella successiva campagna militare condotta da Carlo contro i Sassoni, allo scopo di assoggettarli e di cristianizzarli: una campagna che assume i contorni di una vera e propria guerra santa, visto il tenace rifiuto dei Sassoni ad abbracciare il cristianesimo. Rolando viene premiato dallo zio Carlo per il suo valore con il titolo di Margravio di Bretagna, con capitale Le Mans, creata per controllare il popolo dei Bretoni, riottoso contro la supremazia franca, e Rolando si dimostra un feudatario e un amministratore capace; Eginardo ricorda la sua indomabile fierezza d'animo, il suo vigore in battaglia, ma anche il suo senso grave e un po' triste del dovere di fedeltà verso il suo sovrano in terra e verso Iddio in cielo.
Nella primavera del 775 Carlo intende festeggiare le vittorie ottenute contro i Sassoni organizzando presso Parigi un grande torneo, a cui partecipano valorosi guerrieri da ogni parte d'Europa. Alla corte di Carlo si presenta anche Antusa, bellissima figlia dell'imperatore bizantino Costantino V Copronimo, accompagnata dal fratello Eudocimo. La bellezza di Antusa è tale che pressoché tutti i guerrieri si invaghiscono di lei, e il conte Rinaldo di Clermont, cugino di Rolando per parte di padre, spirito ribelle e spesso insofferente all'autorità del sovrano, la ribattezza addirittura Angelica. Quest'ultima si promette in sposa a chi riuscirà a sconfiggere in duello suo fratello, ma si tratta di un inganno a danno dei Franchi, dato che Eudocimo a Costantinopoli è considerato invincibile: Costantino V spera di far perdere la testa ai principali paladini di Carlo e di indebolirne l'esercito. A sorpresa tuttavia ʿOmar ibn ʿAbd al-Raḥmān, figlio secondogenito dell'Emiro di Cordova Abd al-Rahman ibn Mu'awiya, in buoni rapporti con Carlo, ha la meglio e uccide Eudocimo in duello; ʿOmar è noto ai franchi con il nome di Ferracutus o Ferraù, e ha il chiodo fisso di dimostrarsi il guerriero più forte del mondo. Siccome Antusa, cristiana fervente, non vuole saperne di sposare il musulmano ʿOmar, fugge di notte da Parigi, ma viene inseguita dai guerrieri dietro ordine di Re Carlo, che non vuole scontrarsi con il Basileus Costantino V per aver causato la morte della sua amata figlia, dopo che già Eudocimo è deceduto. In realtà i paladini, inclusi Rolando e Rinaldo, vogliono trovarla perchè si sono innamorati di lei. Rinaldo trova Antusa e la salva da una banda di tagliagole, cosicché la ragazza si infatua di lui e del suo vigore fisico. Rinaldo di Clermont però riceve una lettera dalla sua promessa sposa, che lo accusa di infedeltà, e decide di affidare Antusa ad un convento di monache per andare a riconciliarsi con la fidanzata. Antusa/Angelica fugge di nuovo, cercando di ricongiungersi all'amato, inseguita dagli altri paladini. Dopo varie peripezie e una girandola di inseguimenti, la nobildonna bizantina viene catturata da Rotgaudo, Duca longobardo del Friuli che si è ribellato a Re Carlo e vuole usarla come merce di scambio; anch'egli però si innamora della fanciulla. Rolando, mandato da Carlo contro di lui, assedia il suo feudo di Cividale e alla fine lo uccide in duello. Rolando intende affrontare in duello anche Rinaldo, per punirlo di aver abbandonato la missione affidatagli dal suo re, ma Antusa/Angelica interviene per salvare l'uomo che ama e lo fa fuggire.
Intanto, in assenza di Rolando e Rinaldo, in tutt'altre faccende affaccendati, ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum, Emiro della città africana di Tiyārat in Algeria, noto ai cristiani come Agramante (corruzione di Rustum), vuole vendicare la morte del padre Rustum ibn Bahram, ucciso da Rolando durante una sua scorreria in Provenza, e così tenta il colpo grosso sbarcando nel Lazio e assediando Roma. A capo delle sue truppe c'è l'emiro del Marocco Idrīs ibn ʿAbd Allāh, un guerriero feroce con la fama di imbattibilità, soprannominato dai cristiani Rodomonte. Papa Adriano I invoca l'aiuto di Carlo che interviene in forze per difendere il Patrimonio di San Pietro. Entra in scena anche Ibrahim ibn al-Aghlab, wālī (governatore) di origini tuircomanne dell'Ifrīqiya (la Tunisia) per conto del califfo abbaside Abū Jaʿfar ʿAbd Allāh ibn Muḥammad al-Manṣūr. Ibrahim (in seguito meglio noto come Ruggiero), viene tenuto lontano dalla guerra dal suo precettore e padre adottivo, il matematico e astronomo persiano Yaʿqūb ibn Ṭāriq (chiamato Atlante dai cristiani, che lo considerano un astrologo e un mago), perchè sostiene di aver letto negli astri che Ibrahim si convertirà al cristianesimo, abiurando la sua religione, e morirà giovane per tradimento. Tuttavia ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum costringe lo scienziato a consegnargli Ibrahim per unirsi alle sue forze e conquistare Roma. A questo punto si profila una nuova minaccia: il Khan dei Cazari Bahadur, soprannominato Gradasso dai cristiani, arriva dall'oriente con un notevole esercito per contrastare la restaurazione di un forte impero in Europa, che minaccerebbe il suo stato esteso dal Caucaso alle pianure sarmatiche, ma inaspettatamente subisce una cocente sconfitta presso Wogastiburg in Moravia da parte di Astolfo, guerriero sassone fratello di Cinevulfo, Re del Wessex, che è stato da questi inviato sul continente per combattere a fianco di Carlo. In virtù di tale vittoria, Astolfo è creato da Carlo Conte Palatino, mentre Bahadur è costretto a rientrare precipitosamente nelle steppe sarmatiche con i resti del suo esercito; il suo nome in Europa diverrà sinonimo di "smargiasso" per antonomasia.
Rinaldo tuttavia scopre che, in sua assenza, la promessa sposa gli è stata infedele, e così si pente di aver abbandonato Antusa/Angelica e si innamora nuovamente di lei, ma quest'ultima si è rifugiata a Venezia dove ha saputo che il padre Costantino V è morto il 14 settembre 775 e gli è succeduto il figlio Leone IV, fratello maggiore di Antusa. Leone intima alla sorella di guardarsi bene dallo sposare Rinaldo, che in passato aveva insultato pubblicamente il loro padre, sostenendo che aveva defecato nel proprio fonte battesimale (da cui l'ingiurioso epiteto "Copronimo"), e così Antusa si disamora completamente del paladino, per cui la situazione si ribalta. Antusa cerca di raggiungere Costantinopoli via mare, ma la sua nave fa naufragio presso Ancona e lei viene presa in custodia da Rolando. Ne segue un nuovo duello tra Rinaldo e Rolando, ma Carlo è spazientito dal fatto che i due maggiori campioni dell'esercito franco litighino fra di loro per una donna straniera, anziché correre in aiuto del Papa, e così la sottrae ai due per affidarla all'anziano Tassilone III, Duca di Baviera, e la promette in sposa a chi di loro due ucciderà più nemici nella guerra contro i Saraceni che assediano Roma. Nel frattempo la bella e audace guerriera bavara Rotrude di Ratisbona, figlia di Tassilone III detta anche Bradamante, raggiunge Roma per dar manforte all'esercito di Carlo, ma viene affrontata in duello da Idrīs ibn ʿAbd Allāh/Rodomonte. Perirebbe se non fosse salvata da Ibrahim/Ruggero, che giudica la ferocia di Idrīs contraria allo spirito dell'Islam, ed allora la guerriera bavarese si innamora perdutamente di lui, dando inizio ad un idillio che darà vita alla Casa d'Este. Sfortunatamente l"Historia Langobardum" rimane interrotta a questo punto a causa della morte del suo autore.
« Io narro le donne, i 
cavalieri, le armi, gli amori, le cortesie, le imprese audaci che ebbero luogo 
al tempo in cui i Mori attraversarono il mar Mediterraneo, e in Italia fecero 
tanti danni, assecondando le ire e i giovanili ardori del loro re ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum, 
meglio noto ai Franchi con il nome di Agramante, che si mise in testa di 
vendicare la morte di suo padre a spese di re Carlo, futuro Imperatore Romano 
d'Occidente.
Parlerò al contempo di Rolando, dicendo di lui cose mai raccontate né in prosa 
né in rima, e cioè il fatto che per amore egli divenne pazzo furioso, nonostante 
in precedenza fosse considerato un uomo estremamente saggio. Potrò però farlo se 
da colei che mi ha reso pazzo quasi quanto Rolando, e che il poco ingegno di ora 
in ora mi consuma, me ne sarà concesso abbastanza, che mi basti a finire quanto 
vi ho promesso. »
A narrarci il seguito della vicenda è la "Vita et gesta Caroli Magni" dello storico franco Eginardo, opera scritta tra l'829 e l'839. Il segretario personale di Lotario I ci tramanda che nell'estate del 776 il primo round dello scontro tra Franchi ed Arabi sotto le mura di Roma, in assenza di Rolando e Rinaldo, si risolve in una sconfitta per i primi. Antusa/Angelica ne approfitta per fuggire, cercando di raggiungere la Sicilia, ancora possedimento bizantino anche se minacciato dagli Arabi. Purtroppo viene catturata dagli abitanti dell'isola di Ischia e legata a uno scoglio per essere divorata da un'orca marina, cui gli abitanti offrono sacrifici umani, ma viene liberata da Ibrahim ibn al-Aghlab, inviato sull'isola per prendere possesso di quella strategica piazzaforte. La donna si finge innamorata di colui che in seguito prenderà il nome di Ruggiero, ma lo fa fesso e riprende la sua fuga. Giunge così in Calabria, dove gli Arabi hanno inflitto ai cristiani (stavolta ai Bizantini) una nuova sconfitta nella Battaglia di Capo Colonna. Sul campo di battaglia si imbatte in un giovane soldato gravemente ferito: è Telerig, erede al titolo di Khan dei Bulgari, che ha combattuto contro gli Arabi accanto ai Bizantini di cui è alleato. Antusa lo cura, si innamora di lui, lo fa battezzare da un prete ortodosso con il nome di Medoro e lo sposa, ripartendo poi con lui per Costantinopoli. Da qui in poi non saranno più nominati da Eginardo; gli storici bizantini Teofane il Confessore e Giovanni Skylitzes tuttavia ci informano che, dopo la morte di Telerig/Medoro, e dopo numerose opere di carità e di assistenza ai poveri ed agli orfani, nel 784 Antusa si farà suora, ricevendo l'abito monacale dal patriarca di Costantinopoli San Tarasio nel monastero della Concordia di Costantinopoli, dove rimarrà fino alla morte il 18 aprile 801. Oggi sia i Cattolici che gli Ortodossi la venerano come Santa (i Cattolici la chiamano Sant'Angelica).
Nel frattempo a Ferraù, che ha perso nel fiume Arno l'elmo tolto a Eudocimo dopo averlo ucciso e non è più riuscito a recuperarlo, appare in sogno proprio il guerriero bizantino con in mano il proprio elmo, che lo invita a cercare piuttosto di impadronirsi del prezioso elmo di Rolando. ʿOmar ibn ʿAbd al-Raḥmān si sveglia e lo prende in parola, cercando in ogni dove il margravio di Bretagna per incrociare la spada con lui. Invece Ruggiero giunge a Spoleto e libera Astolfo, colui che si era già coperto di gloria sconfiggendo in battaglia campale il potente Khan dei Cazari Bahadur/Gradasso; Alcina, figlia di Ildebrando, Duca di Spoleto, si era innamorata di lui e suo padre lo aveva fatto imprigionare nel suo castello per costringerlo a sposarla. Quanto a Rolando, egli ha un sogno in cui vede Angelica in pericolo, quindi lascia Roma nel bel mezzo della guerra contro ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum/Agramante e inizia a cercare la donna che non riesce a dimenticare. Giunto a Benevento, si accorge che il Duca longobardo Arechi II mantiene il controllo sulla strategica isola d'Ischia facendo leva sulla superstizione dei suoi abitanti, costringendoli ad offrire giovani donne all'orca, e dopo la fuga di Antusa ha fatto incatenare a uno scoglio sua nuora Olimpia, rea di aver rifiutato le nozze combinate con suo figlio Grimoaldo III. Rolando ingaggia singolar tenzone con lui e scopre che Arechi possiede un'arma mai vista, l'archibugio, che uccide a distanza rendendo vani i duelli cavallereschi. Il Margravio di Bretagna però è più scaltro, lo uccide e butta in mare l'archibugio, chiamandolo "maladetto, abominoso ordigno"; infine libera Olimpia e uccide l'orca, per poi rimettersi sulle tracce di Angelica. Siccome Palermo è stata occupata dalle truppe di Agramante, egli crede che l'amata sia tenuta prigioniera colà e raggiunge la città siciliana su una nave bizantina, ma, una volta penetrato nella rocca che domina il porto, cade in una trappola di Yaʿqūb ibn Ṭāriq che lo convince ad assumere ashish e lo fa così cadere completamente in suo potere. Rolando resta rinchiuso nel castello insieme a Ibrahim ibn al-Aghlab e ad altri guerrieri franchi e bizantini che egli tiene prigionieri dopo averli drogati con l'ashish, che fa avere loro visioni delle persone a loro care. A quel punto però giunge a Palermo Astolfo, da cui il Re dei franchi ha dato l'incarico di scacciare i musulmani. Egli occupa il castello di Yaʿqūb ibn Ṭāriq e riesce ad annullare l'effetto dell'hashish usando un antidoto fornitogli dalla monaca bizantina Melissa. Rolando, Ruggiero, Ferraù e gli altri prigionieri vengono liberati; Yaʿqūb ibn Ṭāriq/Atlante muore di dolore per non essere riuscito a proteggere Ruggiero. Quest'ultimo, cavallerescamente liberato da Astolfo con il quale stringe amicizia, si ricongiunge ai musulmani che assediano Roma, mentre Rolando riparte e giunge in Calabria, dove sconfigge l'armata araba di invasione, ma dopo la vittoria capita nel luogo dove Antusa/Angelica e Telerig/Medoro si sono innamorati, e legge le frasi d'amore che i due hanno inciso sulla corteccia degli alberi. Egli impazzisce di gelosia, perde del tutto il senno e si trasforma in un bruto che va in giro per i boschi ad ammazzare chiunque incontri, uomini ed animali.
Sotto le mura di Roma, nello stesso momento, Idrīs/Rodomonte tenta di entrare da solo all'interno della Città Eterna con uno stratagemma: una volta entrato, fa strage tra la popolazione indifesa. ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum ha ricevuto rinforzi e vettovagliamenti anche dall'Emiro di Cordova Abd al-Rahman ibn Mu'awiya, padre di Ferraù; se il condottiero algerino attaccasse con tutto il suo esercito in quel momento, sicuramente conquisterebbe la città, ma fortunatamente arriva Rinaldo, che nel frattempo si è recato in Croazia ed ha impedito al condottiero Ljudevit Posavski di commettere un'ingiustizia, propiziando le sue nozze con l'amata ed incoronandolo Re vassallo di Croazia. Lo stesso Ljudevit giunge con i suoi feroci guerrieri croati (la loro sciarpa multicolore con le insegne dei vari clan darà origine al termine "cravatta") in aiuto dei Franchi: una parte di loro risale il Tevere per sorprendere i nemici alle spalle, un'altra va a sud per aiutare le truppe nella difesa delle mura. Rinaldo mena strage dei saraceni e le vittorie dei Croati appaiono schiaccianti. ʿOmar ibn ʿAbd al-Raḥmān alias Ferraù a questo punto rientra in battaglia per rianimare i compagni, e a sua volta fa strage di cristiani. Intanto i guerrieri Marocchini di Rodomonte tentano di dare l'assalto alle mura Aureliane, ma periscono sotto una colata di pece e olio bollente fatta piovere su di loro per ordine di re Carlo. Furente, Idris si mette in salvo a nuoto gettandosi nel Tevere e si ricongiunge con gli alleati. L'assenza di Rolando comunque si fa sentire, e Carlo ordina di rintracciarlo e di richiamarlo ai suoi doveri.
Intanto, Astolfo compie tutta una serie di viaggi avventurosi, alla ricerca di alleati contro gli Arabi. Infatti a Palermo incontra Eudochia, ultima moglie del Basileus Costantino V, che si è rifugiata nell'isola dopo essere stata scacciata dalla corte di Costantinopoli dal nuovo imperatore Leone IV e dall'ambiziosa consorte di questi, Irene. Essendo istruita ed esperta di erbe e di geografia, il popolo siciliano (che la chiama anche Logistilla) la considera una maga buona, cui rivolgersi per curare ogni genere di malattia. Desiderosa di impedire che i Musulmani conquistino l'isola, Eudochia consegna ad Astolfo un libro di geografia dell'oriente da lei stessa scritto, insieme al sigillo del suo defunto marito come lasciapassare, e lo invita a cercare il Regno di Senàpo, un leggendario re cristiano dell'Africa subsahariana che potrebbe aiutare Carlo, essendo ricchissimo e potentissimo. Travestito da ambasciatore bizantino, ed approfittando della sua conoscenza della lingua greca, insegnatagli in gioventù da un monaco sassone, Astolfo parte dal porto di Siracusa sulla nave "Ippogrifo", di proprietà di Eudochia, così detta perchè ha una polena con il corpo di cavallo e la testa di grifone, e fa vela per l'Oriente, sbarcando a Giaffa e mettendosi in luce sconfiggendo ed uccidendo alcuni feroci briganti ritenuti erroneamente invulnerabili, che terrorizzavano la popolazione del posto. Invitato a partecipare alla giostra di Damasco in virtù del suo eroismo, vi sconfigge molti guerrieri arabi ed è celebrato come un eroe. Parte dunque per Gerusalemme, visita il Santo Sepolcro, raggiunge Alessandria d'Egitto sempre sulla nave "Ippogrifo" e da lì risale il Nilo ed entra nel Mar Rosso grazie ad un canale artificiale scavato nel deserto dagli Arabi. Giunge infine in Etiopia e raggiunge via terra la città di Axum, scoprendo che purtroppo è solo la pallida ombra della splendida città di un tempo, ben nota a Romani e Bizantini. Vi regna in effetti un re cristiano, Degna Djan, assistito dall'Abuna (Patriarca) Giovanni; il nome di Senàpo veniva invece da una corruzione di Aṣḥama ibn Abjar, Re di Axum al tempo della predicazione di Maometto, che rifiutò di abbracciare l'Islam. Degn Djan è malato e cieco a causa della cataratta, ma nel libro di Eudochia sono contenute anche informazioni sulle proprietà delle erbe e sui principi della medicina, e Astolfo riesce a guarire il sovrano e a restituirgli la vista. Riconoscente nei confronti di Astolfo, che gli ha parlato dell'assedio di Roma da parte dei musulmani, il re di Axum lo invia nel convento dell'Abuna Giovanni, che ha il dono della profezia. Il convento sorge in mezzo ad una foresta rigogliosa che Astolfo crede essere il Paradiso Terrestre, e ivi giunto si sente spiegare dal patriarca, che afferma di averlo letto negli astri, che il prode margravio Rolando è sparito perchè impazzito a causa dell'amore per Angelica. Secondo Giovanni si tratta di una punizione divina, per aver abbandonato la difesa della Cristianità per correre dietro a una donna che nemmeno lo amava. Per guarire Rolando dalla pazzia e fargli recuperare il senno, dovrà costringerlo a bere una pozione a base di una pianta aromatica, l'elleboro nero, che cresce sui Monti della Luna: una tisana di tale pianta avrebbe curato dalla pazzia persino Eracle. Dopo un avventuroso viaggio Astolfo raggiunge i Monti della Luna già citati da Claudio Tolomeo, cioè l'Acrocoro Etiopico, e sulle pendici dell'altissimo monte Ras Dascian (in amarico "Capo delle Guardie", la vetta più alta dell'Etiopia e la quarta di tutta l'Africa) coglie le preziose foglie della pianta di elleboro nero. Torna quindi sulla costa dell'Oceano Indiano, presso Adulis (l'odierna Zula), dove lo attende la nave "Ippogrifo" per riportarlo velocemente a casa seguendo l'itinerario inverso dell'andata.
E in Europa? Rotrude/Bradamante cade in preda ad una folle gelosia, perché crede che Ruggiero ami Fatima, guerriera musulmana chiamata da Idris a dargli manforte per conquistare Roma. Tra le due donne guerriere inizia un violento duello, che provoca un nuovo scontro tra cristiani e arabi. Bradamante sconfigge in duello Ferraù, che la riconosce e rivela la sua identità a Ruggiero. Questi la convince ad appartarsi presso un sepolcreto ungo la Via Appia dove poter discutere. Vi arriva però anche Fatima, e il combattimento riprende, trasformandosi in un duello a tre. Ad interrompere il duello interviene Muḥammad ibn Ibrāhīm al-Fazārī, scienziato e astronomo arabo discepolo del defunto Yaʿqūb ibn Ṭāriq/Atlante ed inventore dell'astrolabio. Egli sostiene che Yaʿqūb ibn Ṭāriq gli è apparso in sogno e lo ha inviato lì per rivelare a Ibrahim e Fatima che sono fratelli gemelli separati alla nascita, e che ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum ha fatto uccdere il loro padre al-Aghlab. Allora i tre guerrieri si rappacificano ed intervengono per punire il malvagio Wicheramo, Duca di Toscana, il quale ha in odio tutte le donne. Ibrahim/Ruggiero torna al quartier generale arabo, mentre Fatima a sorpresa segue Bradamante all'accampamento cristiano, dove si fa battezzare con il nome di Marfisa e si mette al servizio di Re Carlo.
Astolfo, rientrato nel Mediterraneo, assalta la città di Biserta e la espugna, minacciando anche Tunisi. Venuto a conoscenza delle sue vittorie, temendo di restare intrappolato in Italia, ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum/Agramante cerca di concludere al più presto alla guerra in Italia evitando di perdere la faccia di fronte al Califfo Abbaside al-Manṣūr, e così propone un duello tra Ibrahim e Rinaldo. I due guerrieri giurano di passare all'esercito avversario se qualcuno appartenente al proprio esercito interverrà nel combattimento. Durante il loro duello però Marfisa si introduce di nascosto nell'accampamento arabo e convince ibn Rustum (che non sa della sua conversione) ad intervenire rompendo i patti. La feroce battaglia che ne scaturisce si conclude con la sconfitta totale dell'esercito saraceno, che il 31 marzo del 777 si imbarca e abbandona l'Italia. Astolfo sbarca ad Ostia e racconta a Re Carlo i propri meravigliosi viaggi in terre sconosciute. Durante i festeggiamenti per la sconfitta dei musulmani, improvvisamente arriva Rolando fuori di sé, che semina il panico nell'accampamento. Con gran difficoltà i paladini di Carlo riescono ad immobilizzarlo e Astolfo gli fa ingoiare un decotto di foglie di elleboro nero, grazie al quale egli riacquista rapidamente la ragione. Tutti si complimentano con Astolfo, che ha dato un contributo decisivo alla conclusione vittoriosa della guerra contro i Saraceni.
Intanto Ruggiero, che si è trattenuto nel Lazio, scopre che è stato ibn Rustum ad interrompere il suo duello con Rinaldo, ma non mantiene il giuramento fatto e si imbarca per raggiungere l'emiro in Algeria. Durante la navigazione tuttavia è sorpreso da una tempesta e fa naufragio in Sardegna. Qui è salvato da San Benedetto di Aniane, inviato da Re Carlo in Sardegna per ricondurre l'isola al cattolicesimo, dopo che i Bizantini avevano cercato di imporvi i riti greci. San Benedetto lo istruisce nella religione cristiana e lo battezza con il nome di Ruggiero, con cui è già noto in Occidente. Il Khan dei Cazari Bahadur/Gradasso tenta una nuova spedizione in Occidente, sperando di trovare il regno franco indebolito dalle lunghe guerre con gli Arabi di Spagna, ma stavolta è affrontato e ucciso da Rolando in persona, e l'armata Cazara si dissolve.
In Africa ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum/Agramante viene deposto ed esiliato dal Califfo al-Manṣūr. L'ex emiro decide di cercarsi un nuovo dominio conquistando proprio la Sardegna e vi sbarca con gli uomini a lui fedeli. Rolando con altri guerrieri cristiani raggiunge l'isola per sloggiarlo e chiudere definitivamente i conti con lui. Nella battaglia che ne segue ibn Rustum uccide Ciniod, figlio del Re dei Pitti e scudiero di Rolando (da questi chiamato Brandimarte), mentre Anselmo, conte paladino e figlio di Roberto I di Hesbaye, viene gravemente ferito. Per i paladini di Re Carlo le cose si mettono male, ma sul campo di battaglia fa irruzione Ruggiero, che capovolge le sorti dello scontro. Avendo compreso che tutto è perduto, ibn Rustum/Agramante cerca la morte in battaglia e la trova per mano di Rolando. I musulmani sconfitti sono graziati purchè lascino l'isola e non si facciano vedere mai più; essi cercano rifugio in Spagna. Saputo della conversione di Ruggiero, Re Carlo gli promette in sposa Bradamante. Una volta giunti a Parigi, dove Re Carlo ha fatto ritorno con l'esercito dopo la vittoria sotto le mura di Roma, Ruggiero viene a sapere che Tassilone III, padre di Rotrude/Bradamante, si è già accordato con Teodoro, Khagan degli Avari, popolo stanziato nella vasta pianura pannonica, per dare in sposa Bradamante a suo figlio Abramo. Egli allora parte immantinente per il Ring degli Avari, un immenso campo trincerato di forma circolare, composto di nove cerchie di mura concentriche, dove il Khagan esercita il suo potere. Ruggiero ha intenzione di sfidare a duello il suo rivale, ma viene fatto prigioniero da Teodoro. Bradamante convince allora Re Carlo a inviarla a sua volta in Pannonia e, una volta giunta al Ring, propone al Khagan di indire un torneo: lei si darà in sposa solo a chi saprà resisterle dall'alba al tramonto. L'eroina bavarese crede di combattere contro Abramo, ma in realtà si tratta di Ruggiero, nel frattempo liberato proprio da Abramo, che vince a favore del rivale. Quando però Abramo scopre la verità, diventa grande amico di Ruggiero e rinuncia alla mano di Bradamante in suo favore. Tutti così ritornano felicemente in Francia.
Il 1° aprile del 778 il matrimonio tra Ruggiero e Bradamante viene finalmente celebrato dall'Arcivescovo di Reims Turpino, ma mentre sono in corso i festeggiamenti fa irruzione sulla piazza Idris ibn ʿAbd Allāh/Rodomonte, che non è mai rientrato in Africa ed accusa il novello sposo di tradimento verso ibn Rustum, sfidandolo a duello. Il combattimento volge a favore di Ruggiero, che si dice disposto a graziare l'avversario, ma questi tenta di pugnalarlo a tradimento, e così Ruggiero uccide con tre pugnalate in fronte l'emiro del Marocco, l'« alma sdegnosa che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa ».
Ma la storia di Rolando non è conclusa. Il margravio di Bretagna e Re Carlo infatti hanno un conto aperto con ʿOmar ibn ʿAbd al-Raḥmān alias Ferraù, che dopo la disastrosa conclusione dell'assedio di Roma è ritornato presso la corte di suo padre a Cordova. Il sovrano dei Franchi e dei Longobardi non ha dimenticato l'aiuto fornito ad ʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum/Agramante dall'Emiro Omayyade di Cordova, e così decide di prendere a pretesto la richiesta d'aiuto lanciatagli da Sulayman ben Yaqzan ibn al-Arabi, wālī (cioè governatore) di Barcellona, chiamato Marsilio dai Franchi, che si sente minacciato proprio dall'Emiro di Cordoba: Carlo spera di allearsi con le popolazioni cristiane spagnole per conquistare la penisola iberica. Nell'estate del 778 Carlo attraversa i Pirenei in forze, ma l'Emiro Abd al-Rahman ibn Mu'awiya lo batte sul tempo, manda suo figlio ʿOmar a Barcellona, e questi sconfigge ed uccide Sulayman, sostituendolo con un uomo di sua fiducia. Allora Carlo assedia Saragozza, nel tentativo di aprirsi la via verso la capitale. Sotto le mura di Saragozza ha finalmente luogo il duello tra Rolando e ʿOmar/Ferraù, che questi ha cercato da sempre per impadronirsi del suo elmo e per dimostrare così di essere migliore del campione della cristianità. ʿOmar tuttavia ha la peggio e viene ferito a morte; prima di morire chiede il battesimo, e Rolando acconsente. Però Abd al-Rahman ibn Mu'awiya raduna un grande esercito per andare incontro a Carlo e punirlo per la morte del figlio; inoltre i Sassoni sono in rivolta e stanno attaccando le città più orientali del Regno Franco, mentre Adelchi, figlio del detronizzato Desiderio, ultimo re dei Longobardi, sta fomentando ribellioni antifranche in Italia settentrionale. Carlo è così costretto a fare marcia indietro con le pive nel sacco. Deluso dal mancato aiuto fornitogli dai cristiani spagnoli, il Re franco come rappresaglia mette a ferro e fuoco Pamplona, ma questa mossa gli costa cara. Il 15 agosto 778 infatti i Baschi, sobillati da Gano, margravio di Magonza geloso di Rolando e del favore accordatogli dal re, attirano in un'imboscata la retroguardia franca nello stretto passo di Roncisvalle e la sterminano, uccidendo tra gli altri Eggiardo, sovraintendente alla mensa del re, Anselmo, conte paladino e figlio di Roberto I di Hesbaye, e molti altri guerrieri Franchi, tra cui lo stesso Rolando. Solo all'ultimo momento, quando capisce che la sconfitta è certa, Rolando suona l'olifante, corno donatogli da Astolfo che glielo ha portato dall'Africa centrale, per avvisare Re Carlo di quanto è accaduto. Quando Alda, fidanzata di Rolando, viene a sapere della morte dell'amato, muore sul colpo di dolore; Rolando e Alda sono sepolti a Blaye nella Basilica di Saint Romain, dove si trovano le tombe dei Duchi Merovingi di Aquitania, e che è oggetto ancor oggi di pellegrinaggi. Quanto a Gano, viene fatto squartare da Carlo per punire la sua fellonia. Invece, secondo Turpino, Arcivescovo di Reims che ha preso parte alla sfortunata spedizione carolingia in terra di Spagna, Rolando non è morto in quell'occasione a Roncisvalle, ma molto più tardi, quando già Carlo era stato incoronato Imperatore da Papa Leone III la notte di Natale dell'anno 800. Una cosa comunque è certa: presso il passo di Roncisvalle Rolando ha smesso di vivere nelle pagine dei libri di storia, per cominciare a cavalcare alla testa dei suoi soldati nelle leggende popolari e nelle epiche Chansons de Geste.
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Il dizionario degli scrittori italiani
 Prima
di chiudere, diamo la parola al grande Umberto Eco.
Prima
di chiudere, diamo la parola al grande Umberto Eco.
Il giochino verbale che qui propongo mi sembra facile e divertente, e potrebbe essere fatto anche a scuola: familiarizza con il lessico, con
l'arte difficile (anzi, teoricamente impossibile) della sinonimia e della parafrasi, e serve a ripassare gli autori delta storia letteraria.
Si tratta di riassumere o sintetizzare un autore usando solo parole con l'iniziale del suo nome. Come se 1'autore mandasse
telegrammi per chiarire natura o finalità del suo lavoro. In questo esercizio ho scelto solo autori italiani (o italici, come Ovidio). Ho lasciato perdere la "h"
perché non mi e venuto in mente nessuno. Recupero alla storia letteraria il Cesare Ripa dell'"Iconologia". Per la "z", diviso tra Zeno, Zena, Zanella, Zuccoli, Zen e Zevi, ho optato, come finale omaggio al vocabolario, per
Zingarelli.
Ariosto. Avvampando, Angelica accetta ammaliata amplesso avvenente adolescente arabo. Affedidio! Amante ansiogeno avvoltolasi annaspando. Ariosamente Astolfo alto avventurasi aliando: alambiccando aiuta amico assatanato, acquietandolo. Africa, Arles, Agramante, Atlante... Accadono ancora avvenimenti avvincenti, alterne avventure, armi, amori... Alfine, altro arabo, arruffone, azzuffatore, arrogante, accasciasi ammazzato, alma altera avviasi all'Acheronte.
Boccaccio. Bravi bambini bisesso ballano bevono blaterano bellamente beffandosi bubboni. Buffalmacco birbante burla bonaccione baluginandogli benefico berillo. Bene, bis!... Bacalare baccaglia... Bene, bis!... Beatrice, Biondello, Bruno, Borsiere Beritola, Bernabò, Beltramo... Bis, bis! Beati borghesi...
Calvino. Cosimo che cavalca cime campestri, cavalieri che cessano coesistere, cadetti craqueles, cosmicomiche, codici carte cabalistiche, città ciecamente credibili... Contes come "Candide". Canzono cantando, con celere critica.
Dante. Dirò di detti dal desir dittati. Dirò di donna deificata. Dirò di demotico dictamine. Dopo dirò di dannate dimore di Dite (di divorator di discendenti), di dolcissimi dolenti (dodici + dodici dignitari Dodecannesi), di devoti Dottori dicenti di Degnità di Dio. Dopodichè dirannomi divino. Dopotutto desideravo dicessermelo.
Einaudi. Ecco, espongo esperienze editoriali. Elegiaco? Evvia! Evito esibirmi, elenco esimii editors, elegantemente eludo espressioni encomiastiche, essenziale evoco.
Foscolo. Forti fosse funeree forti fini figurano, facendo fiammeggiar felici financo funebri faci.
Goldoni. Gentili gentildonne, godemo e gingillamose: gondola!
Iacopone. Invitato imeneo, inaspettatamente incartapecorisce infelice innamorata, incinta ispidi istrici. Infuocato, invoco Iesus, insulto ipocriti.
Leopardi. Lodo la limpida luna, levandole lamento. Litorale lontano, lirica lusinga...
Manzoni. Mondella, mite, modesta, mira maritare meccanico meschino, ma miserabile moscardino macchina misfatti. Malgrado maneggi menzognera monaca, magnanimo Monsignore mandala Milano, mentre minaccia maligno male microbico. Moretto minchione mescolasi marasma, millanta: manette. Morte, monatti. Ma Maria Misericordiosa miracola: malvagio muore maleodorante, Mondella merita matrimonio. Molti maschietti. Meno male. Morale: mai mischiarsi manifestazioni, mai menare martelli.
Nievo. Nonno, narro.
Ovidio. Ordii orgia omniforme. Ottativamente opinai onorasseromi. Ohimè, osai orecchiare, ora ò orrendo ostello orientale.
Petrarca. Perseguivo prebende, però preferii poetar perfetta pulzella perduta. Perlucide, pulite, piacevoli polle...
Ripa. Reverente, reinvengo, ricupero, riesumo, reinvento raffinati regesti rivelanti rappresentazioni religiose, riservate reliquie retoriche.
Salgari. Sandokan saccheggia Sumatra, soggioga sultani singalesi, salva sacerdotesse schiave sgominando Suyodana. Suo sarcastico sodale, suggendo senza sosta sigarette, sposa sinuosa Surama. Salpano sfarzosi sampan su Sonda salmastra, saltano santabarbare, spara Sambigliong serramenta sciolta su sciabecchi straziati. Stragi, scudi, scimitarre! Successo? Soldi? Storie... Sono senza sirene. Sogni, speranze, sfioriscono sul Sangone.
Tasso. Terribile tormento! Tramandar torride tenzoni Terrasanta? Tartaree trombe, Tancredi temente trucidar tenera Turca? Troppo torbido. Tollereranno timide tonacate? Turberolle? Tentenno, tribolo triste. Tenterò Torrismondo.
Ungaretti. Umido universo, uggiolo. Udisti un uomo.
Verga. Volete verismo? Voilà: vanno, vengono, valutano, vendono... Vane vicende.
Zingarelli. Zibaldoneggiando zimbello zincotipisti zucconi, zittisco zizzanie zelanti zeugmatici.
(da "La bustina di Minerva", rubrica de "L'espresso" del 27 novembre 1988)
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