Volta nel terzo epiciclo

« Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo »

(Par. VIII, 1-3)

 

Come già detto nell'introduzione, Dante è un poeta medievale, non uno scienziato moderno; anche nelle descrizioni e spiegazioni dei fenomeni naturali, il suo resta sempre il capolavoro di un poeta mosso da un'incredibile audacia immaginativa, non il saggio di uno specialista che ha a cuore niente più della dimostrazione di un teorema. Ma la sua attenzione per la natura, la sua capacità di associare immagini a concetti e visioni a fenomeni naturali, il suo sguardo attratto dalla bellezza sono continuamente spalancati su una realtà dove ogni creatura ci parla del Creatore, e rivela all'uomo lo sguardo pieno di amore che lo accompagna da dentro la realtà fisica. E questo vale a maggior ragione per il più grande spettacolo che all'uomo si presenta quando la notte volge verso l'alto gli occhi, ed abbraccia con lo sguardo tutto il cielo stellato. Ecco cosa scrive il nostro Autore nel Convivio, l'enciclopedia in volgare che egli lasciò incompiuta:

« E [l'astronomia] più che alcune delle sopradette [(scienze] è nobile e alta per nobile subietto, che è de lo movimento del cielo, e alta e nobile per la sua certezza, la quale è senza difetto, sì come quella che da perfettissimo e regolarissimo principio viene. E se difetto in lei si crede per alcuno, non è da la sua parte, ma, sì come dice Tolomeo, è per la negligenza nostra, e a quella si dee imputare. » (Convivio, II, 13)

L'Astronomia (dal greco "leggi delle stelle") è per estensione è la scienza che studia le leggi dei movimenti dei corpi celesti, delle loro dimensioni e delle loro distanze. Nessuno ha idea di quando gli esseri umani cominciarono ad osservare il cielo, ma sicuramente l'astronomia è la più antica fra tutte le scienze naturali. Una delle più antiche testimonianze dell'osservazione consapevole dei fenomeni celesti è rappresentato dal cosiddetto "Osso di Lebombo", rinvenuto nel 1970  in una grotta con reperti del Paleolitico sui Monti Lebombo, al confine tra la provincia sudafricana del KwaZulu-Natal e lo Swaziland. Si tratta di una fibula di babbuino risalente al 35.000 a.C., che porta incise 29 tacche. Gli archeologi pensano che esso potrebbe essere stato usato come un calendario lunare, necessario alle donne per tenere il conto dei cicli mestruali (dietro ogni grande scoperta c'è sempre una donna!).

I primi astronomi usavano come unico strumento la vista, ed il loro scopo era quello di elaborare un calendario da usarsi per stabilire i ritmi delle semine e dei raccolti. Grazie alla fantasia e alla creatività tipiche dell'essere umano nacquero le costellazioni, usate come indicatori naturali dello scorrere del tempo, come punti di riferimento per l'orientamento per terra e come segnalatori dei momenti giusti per le attività agricole. Il Grande Carro ad esempio fu una delle prime costellazioni ad essere individuata come "l'Orsa", evidentemente nel corso delle battute di caccia dei nostri remoti antenati cacciatori-raccoglitori, che con gli orsi competevano anche per l'occupazione delle caverne; e c'è chi dice che si tratti addirittura di un "fossile culturale" di origine Neanderthal! Dante cita tale costellazione ad esempio nel Paradiso:

« I barbari, venendo da tal plaga
che ciascun giorno d'Elice si cuopra,
rotante col suo figlio ond'ella è vaga... » (Par. XXXI, 31-33)

per indicare genericamente le regioni settentrionali del mondo. Elice era la città natale della ninfa Callisto, posta in Arcadia, per cui i Greci chiamavano tale asterismo anche con il nome di "Elice". Sedotta da Zeus, la ninfa Callisto fu trasformata dalla vendicativa Era in un'orsa; e quando suo figlio stava per ucciderla durante una battuta di caccia, Zeus trasformò Callisto nella costellazione dell'Orsa Maggiore, e suo figlio nella costellazione di Boote (secondo altri in Arturo, la stella più luminosa della costellazione di Boote). Queste costellazioni sono dette circumpolari, perchè alle nostre latitudini non tramontano mai, e dunque i barbari vengono da quella plaga sopra la quale l'Orsa e Boote ruotano eternamente senza mai tramontare.

Come si vede dall'esempio or ora riportato da Dante, le stelle assunsero ben presto anche un significato religioso, venendo identificate con le divinità preposte alla protezione delle attività umane; per questo i primi astronomi, presso le antiche civiltà, furono i sacerdoti. Il grande osservatorio megalitico di Stonehenge, in Inghilterra, innalzato forse tra il 2500 e il 2000 a.C., è un esempio dell'importanza rivestita dagli astri per i nostri antenati preistorici: il suo asse principale è infatti diretto verso il punto dell'orizzonte in cui sorge il sole nel solstizio d'estate. In Mesopotamia già nel III millennio a.C. vide la luce ufficialmente l'astrologia, sulla base della convinzione (assolutamente destituita di qualunque fondamento, benché molti ancor oggi ci credano) che i fenomeni celesti influenzino gli eventi terreni e la vita degli uomini. Le due discipline hanno un'origine comune, ma sono completamente diverse perché gli astronomi seguono il metodo scientifico sin dai tempi di Galileo, mentre gli astrologi percorrono altre vie. Furono i babilonesi ad introdurre le dodici costellazioni dello zodiaco, la divisione dell'angolo giro in 360 gradi e un preciso calendario lunare. Essi inoltre scoprirono il cosiddetto "ciclo di Saros": la Luna segue un ciclo della durata di 223 lunazioni (6585,321 giorni, cioè 18 anni, 11 giorni e 8 ore), in cui le eclissi si ripetono con cadenza regolare, e ciò permette di prevederle. Le conoscenze astronomiche degli egiziani si possono constatare osservando che le grandi piramidi ed altri monumenti sono allineati secondo il moto delle stelle, ma per gli abitanti della vallata del Nilo ciò che contava era mettere a punto un precisissimo calendario, dato che il trascorrere della vita era fortemente legato alle periodiche alluvioni del fiume Nilo, le quali avvenivano ogni 11 o 13 lunazioni. Per gli egiziani l'inizio delle inondazioni era ufficialmente segnato dalla levata nel cielo assieme al Sole della stella Sirio, chiamata da loro Sopdet. Anche i cinesi non furono da meno quanto ad osservazioni astronomiche: per essi le eclissi solari erano un evento assolutamente infausto (si credeva che un grande drago tentasse di divorare il Sole), e prevederle era considerato vitale. Si hanno testimonianze di un'eclissi solare prevista già nel 1217 a.C.!

I Greci contribuirono in modo significativo allo sviluppo dell'astronomia. Talete di Mileto (624-547 a.C.) riuscì a prevedere un'eclisse di sole per il 28 maggio del 585 a.C., eclisse che interruppe la battaglia sul fiume Halys (in Anatolia) tra gli eserciti del re di Media Ciassare e del re di Lidia Aliatte (per questo tale data è considerata la prima data certa della storia dell'umanità. Anassimandro di Mileto (610-546 a.C.) inventò lo gnomone per rilevare l'altezza del Sole e della Luna, e fu il primo a realizzare un vero modello cosmologico, ritenendo che il mondo fosse un cilindro posto al centro dell'universo, con i corpi celesti che gli ruotano attorno. Il pitagorico Filolao di Taranto (470-390 a.C.) sostenne che al centro dell'universo vi fosse un grande fuoco attorno a cui ruotavano i pianeti: oltre a Terra, Luna, Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno egli introdusse l'Antiterra, perchè in tal modo i corpi celesti risultavano dieci (la scuola Pitagorica aveva una vera ossessione per i numeri 5 e 10). Eudosso di Cnido (408-355 a.C.) fu il primo ad immaginare un universo fatto di sfere concentriche, al cui centro si trovava la Terra; ogni sfera alloggiava un pianeta ed era animata da un moto circolare uniforme. Eudosso insomma fu l'ideatore del sistema geocentrico. Quanto ad Aristotele (384-322 a.C.), egli attribuì una realtà fisica alle sfere di Eudosso, ritenendole formate di etere, la famosa quintessenza della quale si parlato nel capitolo relativo alla Meccanica. In tal modo egli veniva a fornire una spiegazione "scientifica" dei moti celesti, in quanto l'etere - se ricordate - sarebbe per sua natura animata da un moto circolare uniforme. Appare evidente che, in questa visione cosmologica, anche il Sole è un pianeta esattamente come tutti gli altri, e infatti al principio della sua Commedia Dante osserva:

« ...guardai in alto, e vidi le sue spalle
vestite già de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle » (Inf. I, 16-18)

Dante nella Divina Commedia segue infatti il suo maestro Aristotele, e quindi logicamente pone la Terra immobile al centro dell'universo, a creare quel "riferimento assoluto" che invece la Relatività di Einstein verrà a distruggere.

Il moto retrogrado del Pianeta Marte (grazie al dr. Ted Snow per l'immagine)

In realtà, è facile rendersi conto che non si può giustificare il moto planetario semplicemente riducendolo ad un moto circolare uniforme, perchè l'osservazione diretta ci insegna che i pianeti (dal greco "errabondi", in contrapposizione alle stelle fisse) non si muovono con velocità uniforme, e sono talora animati da moto retrogrado, cioè sembrano tornare indietro lungo la volta celeste, come si vede nell'animazione soprastante. Per giustificare tutto questo, Aristotele elaborò un modello assai complesso, formato da 55 sfere celesti in perpetuo moto circolare uniforme: un modello difficilmente sostenibile, perchè troppo involuto. Alcuni perciò provarono a proporre dei modelli di universo alternativi. Fra questi, il più importante fu Aristarco di Samo (310-230 a.C.), il quale pose il Sole al centro dell'universo; in tal modo il moto retrogrado dei corpi diveniva più semplice da spiegare, essendo interpretabile come la descrizione di un moto circolare eseguita da un osservatore anch'esso in moto circolare con velocità diversa, come si può vedere nell'animazione sottostante. Era nato il sistema eliocentrico. Aristarco fu anche il primo a sostenere che il moto di rotazione della Terra avviene attorno ad un asse inclinato, il che spiega l'alternanza delle stagioni, e a stimare per mezzo della trigonometria la distanza tra la Terra e il Sole, che secondo lui è 19 volte maggiore di quella tra la Terra e la Luna; in realtà il rapporto tra le due distanze è 400, ma l'intuizione che lo portò a quella stima basta per fare di lui uno dei più grandi astronomi di tutti i tempi.

Tra gli altri grandi astronomi greci, Eratostene di Cirene (276-194 a.C.) fu il primo a misurare la lunghezza del meridiano terrestre, che stimò in 250.000 stadi, cioè 39.357 Km, una misura incredibilmente prossima ai 40.030 reali. Ipparco di Nicea (190-120 a.C.) diede un contributo impareggiabile all'astronomia antica, pubblicando un catalogo stellare comprendente 1080 stelle, delle quali registrò la latitudine e la longitudine sulla sfera celeste con una precisione incredibile, considerando che osservava il cielo ad occhio nudo e senza cronometri di precisione. Egli introdusse anche la cosiddetta magnitudine stellare, utilizzata ancor oggi per indicare la luminosità degli astri, e scoprì il fenomeno della precessione degli equinozi, di cui parleremo nel seguito.

L'astronomia antica raggiunse però il suo apice con Claudio Tolomeo (100-175 d.C.), che operò ad Alessandria d'Egitto e ci ha lasciato un'opera monumentale in tredici volumi, intitolata He Mathematikè syntaxis ("La sintesi matematica"), ma universalmente nota nel Medioevo con il nome di Almagesto, dall'arabo al-Magisti, adattamento della parola greca "Megíste", cioè "il grande", perchè gli arabi, che avevano tradotto l'opera nella loro lingua, chiamavano l'opera "Il grande trattato". Per più di mille anni essa costituì la base delle conoscenze astronomiche in Europa e nel mondo islamico. In essa Tolomeo sposa il sistema geocentrico di Eudosso e Aristotele, e fornisce una precisa descrizione matematica dei moti planetari. Secondo lui la Luna, il Sole e i cinque pianeti allora conosciuti si muovono su orbite circolari chiamate epicicli, il cui centro si muove a sua volta su un'altra circonferenza centrata sulla Terra, che prende il nome di deferente. Per ottenere una migliore coincidenza tra le sue previsioni e il moto effettivo dei pianeti, suppose che il moto circolare delle precedenti non sia uniforme, ma abbia velocità angolare costante rispetto ad un punto detto equante, diverso dal centro dell'orbita. Questa animazione mostra come il sistema degli epicicli e dei deferenti spieghi il moto retrogrado planetario:

Con l'avvento del Cristianesimo, il modello geocentrico fu adottato dalla Chiesa come "vera" descrizione del mondo, per vari motivi. Una lettura piuttosto semplicistica dei primi capitoli del Libro della Genesi ci mostra l'uomo come se fosse il vertice della Creazione, e tutto il resto dell'universo fosse stato creato esclusivamente per preparare il suo avvento. Sembrava dunque logico ipotizzare che l'uomo vivesse sul "riferimento assoluto", vale a dire su una sfera immobile al centro del cosmo: dopotutto la convinzione di trovarsi al centro di tutto ha sempre solleticato l'ambizione e l'egocentrismo della nostra specie. In secondo luogo, l'interpretazione letterale di un passo del Libro di Giosuè:

« Fermati, o sole, su Gabaon, e tu, luna, sulla valle di Aialon! » (Giosuè 10, 12)

faceva pensare ai teologi cristiani che il Sole dovesse girare attorno alla Terra, non viceversa, altrimenti Giosuè avrebbe detto "Fermati, o Terra". Appare evidente il rischio dell'errata interpretazione di un passo delle Scritture: come ho scritto nel mio ipertesto didattico sui Libri Storici della Bibbia, il termine ebraico damam ("stare fermo") che compare in questo passo sembra riferirsi non già all'arresto del corso del sole, ma piuttosto della sua luminosità per oscuramento atmosferico o per via di un'eclisse, e se i teologi rinascimentali avessero tenuto conto di questa sottigliezza linguistica, Galileo Galilei si sarebbe risparmiato molte grane. In ogni caso, in barba alle maldicenze di Voltaire, lo studio dell'Astronomia non fu mai abbandonato nell'Europa occidentale medievale, ed anzi, come si è visto nell'Introduzione, entrò a far parte del normale corso di studi necessario per adire alle cariche pubbliche, come una delle arti del Quadrivio. Il secolo di Dante conobbe anzi le scoperte di Guido Bonatti (1210-1296), famoso astrologo che si diceva essere stato in grado di prevedere l'esito della Battaglia di Forlì in cui si era distinto quel Guido da Montefeltro che abbiamo già nominato parlando della Logica, e che per questo viene schiaffato dall'Alighieri nella Bolgia degli Indovini:

« Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente... » (Inf. XX, 118)

Oroscopi a parte, a Guido Bonatti si attribuisce la scoperta di quasi 700 stelle sconosciute ai suoi predecessori, che evidentemente gli erano utili per le sue divinazioni. Anche gli arabi fornirono considerevoli contributi allo sviluppo dell'Astronomia, per via della loro necessità di sapere sempre la direzione in cui si trova la Mecca, per potersi dirigere verso di essa durante la preghiera. Fra gli altri grandi astronomi musulmani ricordiamo Habash al-Hasib al-Marwazi (770-860), che misurò con cura le dimensioni di Terra, Sole e Luna; Al-Battani (858-929, latinizzato in Albategnius), considerato il più grande astronomo arabo, che misurò con grande precisione l'inclinazione dell'asse terrestre e fissò in 55 secondi all'anno la velocità della precessione degli equinozi; Abd al-Rahman al-Sufi (903-986), che fu il primo a descrivere la Grande Nube di Magellano e la galassia di Andromeda, da lui definita " una piccola nube"; Ibn Yunus (950-1009), che descrisse 40 congiunzioni planetarie e 30 eclissi lunari; al-Biruni (973-1048), che scrisse un trattato sull'astrolabio e stimò il raggio della Terra in 6 339,6 chilometri contro i 6378,4 oggi accettati; al-Zarqali (1029-1087, latinizzato in Arzachel), di Cordova, che compilò le tavole planetarie note come Tavole Toledane, utilizzate per tutto il Medioevo da arabi e cristiani; Omar Khayyam (1048-1131) che, oltre a scrivere languide poesie d'amore, compilò accurate tavole astronomiche e mise a punto un nuovo calendario per conto dello Shah Selgiuchide di Persia Jalal al-Din Malikshah; ed il già citato Averroè, commentatore di Aristotele, che fu il primo a criticare la teoria degli epicicli, sostenendo che il sistema di equanti e deferenti fosse assurdamente complicato.

Il sistema epicicloidale comunque si resse in piedi per quasi un millennio e mezzo, nonostante con il miglioramento della precisione osservativa emergessero sempre maggiori discrepanze tra le sue previsioni e l'effettivo moto planetario; ed infatti lo ritroviamo intatto anche nella Divina Commedia, ed in particolare nel Paradiso, in cui Dante si trova proprio ad attraversare di persona quel complicato sistema di sfere trasparenti:

« Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo » (Par. VIII, 1- 3)

Quasi tutti i popoli dell'antichità, vuole dirci Dante, credevano che Venere ("la bella Ciprigna", dal nome dell'isola di Cipro dove nacque), muovendosi nel terzo epiciclo, cioè lungo l'epiciclo del Terzo Cielo (dopo quelli della Luna e di Mercurio), suscitasse nei cuori degli uomini "il folle amore", cioè l'amore sensuale; per cui, continuerà il Poeta nei versi successivi, offrivano sacrifici alla dea Venere, a sua madre Dione e a suo figlio Cupido, perseverando « ne l'antico errore » (Par. VIII, 6). Poco più oltre il Ghibellin Fuggiasco fa riferimento allo stesso motivo cosmologico nel Cielo del Sole:

« Lo ministro maggior de la natura,
che del valor del ciel lo mondo imprenta
e col suo lume il tempo ne misura,
con quella parte che sù si rammenta
congiunto, si girava per le spire
in che più tosto ognora s'appresenta » (Par. X, 28-33)

Come vedremo meglio nel capitolo seguente, il Sole è definito da Dante come il maggior rappresentante di Dio nell'universo materiale, per il fulgore invincibile che esso emana; congiunto con il punto equinoziale di primavera (anche di questo riparleremo nel seguito), e quindi con la costellazione dell'Ariete, descrive le sue instancabili spirali ("spire") che derivano dalla combinazione dei moti lungo il deferente e lungo l'epiciclo, e che lo portano a presentarsi sempre più presto ("più tosto ognora") all'orizzonte del nostro emisfero. Infatti in primavera le giornate si fanno via via più lunghe; e con questo particolare ci conferma in quale parte dell'anno avviene il suo "viaggio nello spazio".

Durante l'ascesa all'ottavo cielo delle stelle fisse, il nostro Poeta guarda indietro, su invito di Beatrice, il percorso compiuto, intravedendo "le Sette Sfere" sulle quali orbitano i sette pianeti secondo lo schema aristotelico-tolemaico e, in lontananza, il globo terrestre.

« Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante » (Par. XXII, 133-135)

Il numero dei Cieli poi raggiunge il numero perfetto di dieci aggiungendo il Cielo delle stelle fisse, il Primo Mobile ed infine l'Empireo, nel quale si irradia la fulgida luce divina. A mettere in moto questi Cieli sono delle intelligenze motrici, le stesse che abbiamo visto "inmillarsi più che il doppiar degli scacchi" in uno dei capitoli precedenti. Le intelligenze motrici del Cielo della Luna sono gli Angeli, quelle del Cielo di Mercurio gli Arcangeli, quelli del Cielo di Venere i Principati, quelli del Cielo del Sole le Potestà, quelle del Cielo di Marte le Virtù, quelle del Cielo di Giove le Dominazioni, quelle del Cielo di Saturno i Troni, quelle del Cielo delle Stelle Fisse i Cherubini e quelle del Primo Mobile i Serafini. Come afferma lo stesso Dante:

« Questi ordini di sù tutti s'ammirano,
e di giù vincon sì, che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano. » (Par. XXVIII, 127-129)

In altre parole questi ordini celesti sopra di sé "si ammirano", cioè si meravigliano contemplando qualcosa maggiore di sé, cioè la Divinità, mentre superano in virtù e potenza tutte le cose che esistono sotto di loro, esercitando il loro benefico influsso, sicché sono tutti trascinati verso Dio, e trascinano ogni cosa verso Dio. In questo Dante attinge alle sue fonti preferite: il "De Coelesti Ierarchia", attribuito a Dionigi l'Aeropagita, primo vescovo di Atene convertito da San Paolo (Atti 17, 34), e il "Trésor" di Brunetto Latini, rispettivamente incontrati nel Canto X del Paradiso e nel Canto XV dell'Inferno. Ecco dunque lo schema complessivo della cosmologia dantesca:

Oggi sappiamo che il Sistema Solare è formato da otto pianeti (Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno), cinque pianeti nani (Cerere, Plutone, Haumea, Makemake ed Eris) e un gran numero di asteroidi e comete. Secondo la definizione ufficiale adottata dall'Unione Astronomica Internazionale il 24 agosto 2006, un pianeta è un corpo celeste che orbita attorno ad una stella, la cui massa è sufficiente a conferirgli una forma sferoidale, e la propria forza gravitazionale gli permette di mantenere libera la sua fascia orbitale da altri corpi di dimensioni comparabili o superiori. Cerere, scoperto il 1 gennaio 1801 da Padre Giuseppe Piazzi (1746-1826), e Plutone, scoperto da Clyde Tombaugh (1906-1997) il 18 febbraio 1930, non rientrano in questa definizione, perchè fanno parte di vasti sistemi di asteroidi, rispettivamente la fascia tra Marte e Giove e quella transnettuniana dei Plutoidi, e la loro preponderanza gravitazionale non è stata sufficiente a "ripulire" la loro orbita dagli altri corpi, come hanno fatto invece gli otto pianeti. I primi quattro asteroidi scoperti, e cioè:

furono classificati come pianeti veri e propri per circa quarant'anni, quando il loro numero crebbe nell'ordine del centinaio. William Herschel coniò per essi il termine "asteroide", in uso tuttora. Anche Plutone fu classificato come pianeta dal 1930 al 2006, quando si scoprì che lungo la sua orbita si trovano molti altri oggetti trasnettuniani, tra cui:

e molti altri. E così Plutone perse lo status di pianeta, a favore di quello di pianeta nano.

Ovviamente tutti questi mondi erano ignoti a Dante, così come i due pianeti Urano, scoperto per caso il 13 marzo 1781 da William Herschel (1738-1822), e Nettuno, scoperto il 23 settembre 1846 da Johann Gottfried Galle (1812-1910) in seguito a studi sulle perturbazioni gravitazionali del moto di Urano compiuti da Urbain Le Verrier (1811-1877) e da John Couch Adams (1819-1892). A Dante erano invece noti altri corpi minori del Sistema Solare, le comete? Direi di sì, a giudicare da questa similitudine: 

« Così Beatrice; e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, a volte, a guisa di comete. » (Par. XXIV, 10-12)

Vuole dire che le anime formarono tanti cerchi concentrici, rotanti intorno ad un asse fisso ("sopra fissi poli"), fiammeggiando ad intermittenza come comete. Viene in mente il celebre affresco dell'"Adorazione dei Magi" dipinto da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, in cui nella stella che guidò i Re Magi a Betlemme il famoso pittore contemporaneo di Dante ha rappresenta la cometa di Halley, che aveva osservato al suo passaggio nel 1301: è assai probabile che l'abbia osservata anche Dante. Anche nel Convivio infatti c'è un accenno alle comete, a proposito d el pianeta Marte, dove si riporta l'opinione dello scienziato afgano Jafar ibn Muhammad Abu Ma'shar al-Balkhi (787-886), noto in occidente come Albumasar:

« E però dice Albumasar che l'accendimento di questi vapori significa morte di regi e transmutamento di regni; però che sono effetti de la segnoria di Marte. E Seneca dice però, che ne la morte d'Augusto imperadore vide in alto una palla di fuoco; e in Fiorenza, nel principio de la sua destruzione, veduta fu ne l'aere, in figura d'una croce, grande quantità di questi vapori seguaci de la stella di Marte. » (Convivio II, XIII, 13)

Un'altra vivace citazione, da noi già analizzata parlando dell'ottica, ci dice invece che Dante conosceva anche il fenomeno delle meteore o stelle cadenti, che noi oggi interpretiamo come frammenti cometari:

« Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or sùbito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri,
e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond'e' s'accende
nulla sen perde, ed esso dura poco... » (Par., XV, 13-18)

Quando la Terra, nel suo moto orbitale intorno al Sole, attraversa l'orbita di una cometa che ha lasciato una scia di detriti ghiacciati, essi entrano in contatto con l'atmosfera ad una velocità di molte decine di chilometri al secondo, e per attrito bruciano, lasciando spettacolari scie luminose che hanno affascinato gli uomini di ogni tempo. Gli sciami meteorici prendono il nome dalle costellazioni da cui sembrano provenire le loro scie: gli sciami più famosi sono le Leonidi, le Geminidi, le Quadrantidi e le Perseidi. Queste ultime sono dette anche "lacrime di San Lorenzo" perché il loro picco di visibilità è concentrato attorno al 12 agosto, festività di quel Santo, con una media di circa un centinaio di scie luminose: un vero "pianto di stelle" che ispirò a Giovanni Pascoli la celeberrima lirica "X Agosto":

« E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male
. » (G.Pascoli, "Myricae", 1891)

Urano visto dallo Hubble Space TelescopeNettuno visto dalla sonda Voyager 2

I pianeti Urano (a sinistra) visto da Hubble e Nettuno (a destra) visto da Voyager 2

Al posto dei giganti gassosi Urano e Nettuno e dei pianeti nani Plutone, Haumea, Makemake ed Eris, al di là del Cielo di Saturno nel cosmo dantesco (come si vede dallo schema soprastante) vi sono il Cielo delle Stelle Fisse ed il Primo Mobile. Quest'ultimo, peculiare Cielo è citato già nell'Inferno:

« Quell'è 'l più basso loco e 'l più oscuro,
e 'l più lontan dal ciel che tutto gira » (Inf. IX, 28-29)

Il "Ciel che tutto gira" è il Primo Mobile o Cielo Cristallino, così detto perchè è il primo a muoversi, ricevendo tale movimento da Dio e trasmettendolo ai cieli concentrici sottostanti; esso è il maggiore dei cieli materiali, eppure è invisibile dalla Terra. La potenza divina avente sede nell'Empireo, che come vedremo è l'autentico centro dell'universo, imprime ai cieli sottostanti un movimento rotatorio, rapidissimo nel Primo mobile e poi via via sempre più lento fino alla Terra, immobile al centro del cosmo. Come dice il nome, il Cielo Cristallino appare assolutamente uniforme in ogni suo punto, trasparente, diafano, tanto che Dante non può distinguere in quale punto esatto di esso Beatrice lo ha portato:

« ...Nel ciel velocissimo m'impulse.
Le parti sue vivissime ed eccelse
sì uniforme son, ch'i' non so dire
qual Bëatrice per loco mi scelse. » (Par. XXVII, 99-102)

Ecco come si esprime in proposito Dante nel "Convivio":

« Tolomeo poi, accorgendosi che l'ottava spera si moveva per più movimenti, veggendo lo cerchio suo partire da lo dritto cerchio, che volge tutto da oriente a occidente, costretto da li principii di filosofia, che di necessitade vuole uno primo mobile semplicissimo, puose un altro cielo essere fuori dello Stellato, lo quale facesse questa rivoluzione da oriente a occidente: la quale dico che si compie quasi in 24 ore, cioé in 23 ore e 14 parti de li quindici d'un'altra, grossamente assegnando. » (Convivio II, III, 5)

Leggiamo ora la spiegazione fornita al suo amato da Beatrice:

« La natura del mondo, che quïeta
il mezzo e tutto l'altro intorno move,
quinci comincia come da sua meta;
e questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che s'accende
l'amor che 'l volge e la virtù ch'ei piove. [...]
Non è suo moto per altro distinto,
ma li altri son mensurati da questo,
sì come diece da mezzo e da quinto;
e come il tempo tegna in cotal testo
le sue radici e ne li altri le fronde,
omai a te può esser manifesto. » (Par. XXVII,106-111.115-120)

Rileggiamolo insieme. Di qui ("quinci"), come dalla sua prima origine ("meta"), muove tutta la struttura dinamica dell'universo, la quale fa sì che sia immobile ("quïeta") il suo centro ("il mezzo"), cioè la Terra, e trascina tutta la rimanente natura in un incessante moto circolare. E questo Cielo, che include in sé tutte le altre sfere, non è incluso in nessun altro ("non ha altro dove") se non nella Mente di Dio, cioè l'Empireo, che non è più un luogo, ma un modo di Essere con Dio, da cui deriva l'ardente amore che lo fa girare ("volge") e la virtù che esso trasmette ("piove") alle sfere sottostanti. Il movimento del Primo Mobile, insomma, è determinato dal desiderio di Dio, così come da questo discende la virtù che egli suscita. Il suo moto non è determinato né misurato da un altro movimento, ed anzi tutti gli altri prendono da essi la loro misura, così come il 10 è il risultato del prodotto del suo decimo e del suo quinto (di questo problema matematico abbiamo già parlato in uno dei precedenti capitoli). E a Dante deve ormai essere chiaro che anche il tempo, di cui non avremmo idea se non vedessimo qualcosa che si muove, ha le sue radici nel Primo Mobile, da cui dipende tutto il moto degli altri cieli. Sempre secondo l'Alighieri, il Primo Mobile è il cerchio più veloce perchè è governato dai Serafini, che, fra i cori angelici, sono i più vicini a Dio, e costituiscono il « cerchio che più ama e che più sape » (Par. XXVIII, 72): hanno cioè maggior ardore di carità e maggior sapienza rispetto agli altri cori angelici.

Un altro riferimento, seppur molto indiretto, al Cielo Cristallino è presente in questo passo del Paradiso:

« né prima né poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest'acque. » Par. XXIX, 20-21)

Non ci fu né un prima né un poi al momento della Creazione, poiché essa avvenne fuori del tempo (un argomento sul quale ritorneremo). Quello che ci interessa ora è "quell'acque", un riferimento evidente ai primissimi versi della Genesi:

« Et Spiritus Dei ferebatur super aquas »
[E lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque] (Gen 1, 2)

Le acque primordiali qui citate coincidono con le famose "acque sopra i cieli" di Gen 1, 7, Salmi 103, 2-3 e Daniele 3, 59-60, che erano state introdotte dagli Assiro-Babilonesi per spiegare perchè il cielo è azzurro. Per essi la Terra era piatta, il Firmamento era una cupola trasparente sopra di esso, e al di là si trovava un oceano celeste, magione degli déi. Questa visione cosmologica passò poi nella Bibbia, dove servì a spiegare "scientificamente" il diluvio universale: Dio aperse le cateratte del Cielo, e le acque superiori tornarono a riversarsi sulla Terra. Ora, tale visione cosmologica "a Terra piatta" fa evidentemente a cazzotti con quella "a Terra sferica" adottata da Dante e da tutti gli aristotelici del Medioevo. Per spiegare questo passo biblico i Dottori della Chiesa Medioevale identificarono le "acque sopra il cielo" con il Primo Mobile, formato da una materia incorruttibile che aveva in comune con l'acqua proprio la trasparenza. Così si esprimevano Alberto Magno (In II Sent. d. XIV a, 1), San Tommaso d'Aquino (Summa Theologica I, LXVIII, 2-3), San Bonaventura da Bagnoregio ed altri. Una interpretazione a suo modo geniale, che spiega perfettamente il suddetto passo dantesco: non ci fu un prima e un poi prima che Dio creasse il Primo Mobile, dal quale dipende la misura stessa del tempo!

Sotto il Cielo Cristallino c'è il Cerchio delle Stelle Fisse, ma di esse ci occuperemo nei capitoli seguenti. Più al di sotto ancora vi è il Cielo di Saturno, pianeta a proposito del quale il nostro Poeta scrive:

« Noi sem levati al settimo splendore,
che sotto 'l petto del Leone ardente
raggia mo misto giù del suo valore. [...]
Dentro al cristallo che 'l vocabol porta,
cerchiando il mondo, del suo caro duce
sotto cui giacque ogne malizia morta... » (Par. XXI, 13-15.25-27)

Saturno è il settimo pianeta; esso, trovandosi congiunto al Segno del Leone, esercita nel mondo il suo influsso mescolato con la virtù che irradia da quella costellazione. Infatti Saturno era considerato da Dante un pianeta freddo e secco, come da lui spiegato nel Convivio:

« E lo cielo di Saturno hae due proprietadi per le quali si può comparare a l'Astrologia: l'una sì è la tardezza del suo movimento per li dodici segni, chè ventinove anni e più, secondo le scritture de li astrologi, vuole di tempo lo suo cerchio; l'altra sì è che sopra tutti li altri pianeti esso è alto. E queste due proprietadi sono ne l'Astrologia: chè nel suo cerchio compiere, cioè ne lo apprendimento di quella, volge grandissimo spazio di tempo, sì per le sue [dimostrazioni], che sono più che d'alcuna de le sopra dette scienze, sì per la esperienza che a ben giudicare in essa si conviene. E ancora è altissima di tutte le altre, però che, sì come dice Aristotile nel cominciamento de l'Anima, la scienza è alta di nobilitade per la nobilitade del suo subietto e per la sua certezza; e questa più che alcuna de le sopra dette è nobile e alta per nobile e alto subietto, ch'è de lo movimento del cielo; e alta e nobile per la sua certezza, la quale è sanza ogni difetto, sì come quella che da perfettissimo e regolatissimo principio viene. E se difetto in lei si crede per alcuno, non è da la sua parte, ma, sì come dice Tolomeo, è per la negligenza nostra, e a quella si dee imputare. » (Convivio II, XIII, 28-30)

Già nel Purgatorio il nostro Autore aveva detto, come anticipato nel capitolo precedente:

« Ne l'ora che non può 'l calor dïurno
intepidar più 'l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno... » (Purg. XIX, 1-3)

Nell'Astrologia del tempo di Dante, il Leone era ritenuto una costellazione di natura calda e secca (è un segno di fuoco); mescolandosi alle qualità di Saturno, l'una tempera l'altra. Siccome nel Cielo di Saturno l'Alighieri vede gli Spiriti Contemplativi, che salgono e scendono sulla Scala di Giacobbe (Gen 28, 12), l'accenno astrologico allude all'equilibrio necessario tra zelo contemplativo e sollecitudine apostolica. Dante aggiunge che questo "cristallo" (nel Paradiso tale termine indica una stella), girando intorno alla Terra ("cerchiando il mondo") porta il nome ("vocabol") del grande Re sotto il cui governo il mondo conobbe l'età più felice, la celeberrima Età dell'Oro. Si allude qui a Saturno, padre di Giove, conosciuto in Grecia come Crono, il Tempo, ma che nella mitologia romana fu identificato con il dio agreste che insegnò agli uomini l'arte dell'agricoltura. Non per nulla Saturno deriva da "sata", i campi coltivati!

La moderna planetologia ci insegna che Saturno è il sesto pianeta del Sistema solare in ordine di distanza dal Sole ed il secondo per raggio equatoriale (60.268 Km) e per massa (95 masse terrestri) dopo Giove; come Giove, Urano e Nettuno, è un gigante gassoso, cioè è formato da strati di idrogeno spessi migliaia di chilometri sopra un profondissimo nucleo roccioso. È l'unico però ad avere una densità inferiore a quella dell'acqua (0,70 Kg/dm3). Le velocità dei venti nella sua atmosfera possono raggiungere i 1800 km all'ora, ma la sua caratteristica più peculiare è il suo vistoso sistema di anelli, il più esteso del Sistema Solare, formato di polveri e di particelle di ghiacci. Oltre sessanta sono le sue lune conosciute, ma nessuna era nota al tempo di Dante: la prima ad essere scoperta fu Titano, l'unico satellite del Sistema Solare ad avere una densa atmosfera, individuato dall'olandese Christiaan Huygens (1629-1695) il 25 marzo 1655. Nell'antichità non si conosceva alcun suo particolare fuorché i suoi parametri orbitali; fu il solito Galileo nel 1610 il primo a notarne la forma peculiare, da lui definita "tricorporea" perchè con il suo modesto cannocchiale non riuscì a risolverne completamente gli anelli, e credette che esso fosse accompagnato da altri due corpi sui lati. Il primo a comprendere la natura degli anelli fu il suddetto Christiaan Huygens, mentre nel 1675 l'italiano Giandomenico Cassini (1625-1712) individuò in essi la prima suddivisione, che ancor oggi porta il suo nome. Il primo veicolo umano a sorvolare Saturno fu la sonda NASA Pioneer 11 il 1 settembre 1979, seguita il 12 novembre 1980 da Voyager 1 e il 26 agosto 1981 dalla gemella Voyager 2. Il 1 luglio 2004 si è inserita con successo nell'orbita di Saturno la sonda Cassini, frutto di una collaborazione tra NASA ed ESA, che ha rilasciato nell'atmosfera di Titano il lander Huygens, atterrato con successo il 14 gennaio 2005: era giusto che questa missione fosse intitolata ai due scienziati che più di ogni altro hanno contribuito a sciogliere i segreti del sesto pianeta.

Saturno visto nel 2005 dalla sonda Cassini

Saturno visto nel 2005 dalla sonda Cassini

Più internamente rispetto al Cielo di Saturno c'è il Cielo di Giove:

« E qual è 'l trasmutare in picciol varco
di tempo in bianca donna, quando 'l volto
suo si discarchi di vergogna il carco,
tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a sé m'avea ricolto.
Io vidi in quella giovïal facella
lo sfavillar de l'amor che lì era
segnare a li occhi miei nostra favella. » (Par. XVIII, 67-72)

Insomma, come si nota l'improvviso cambiamento di colore in una donna dall'incarnato bianco, quando il suo volto abbandona il rossore naturalmente indottovi dalla vergogna, così avviene agli occhi di Dante quando sale dal Cielo di Marte a quello di Giove, perchè all'igneo fulgore marziano subentra l'argenteo candore di Giove, la "giovïal facella" (qui "gioviale" ovviamente non significa "amichevole"!). Quell'aggettivo "temprata" è compreso facilmente alla luce di un passo del Convivio:

« E lo cielo di Giove si può comparare a la Geometria per due proprietadi: l’una sì è che muove tra due cieli repugnanti a la sua buona temperanza, sì come quello di Marte e quello di Saturno; onde Tolomeo dice, ne lo allegato libro, che Giove è stella di temperata complessione, in mezzo de la freddura di Saturno e de lo calore di Marte; l’altra sì è che intra tutte le stelle bianca si mostra, quasi argentata. E queste cose sono ne la scienza de la Geometria. » (Convivio II, XIII, 25)

Per quanto oggi ne sappiamo, Giove è il quinto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole ed il maggiore di tutto il sistema planetario: il suo raggio misura 71.492 Km e la sua massa, pari a 316 masse terrestri, supera di due volte e mezza la somma di quelle di tutti gli altri pianeti messi insieme. Esso appare ad occhio nudo come un astro biancastro molto brillante, e rappresenta il quarto oggetto più brillante nel cielo dopo il Sole, la Luna e Venere. Come Saturno è un gigante gassoso con una composizione simile a quella del Sole: strati di idrogeno ed elio intorno ad un nucleo solido, e le pressioni sono talmente elevate da dar vita a uno stato esotico della materia, il cosiddetto idrogeno metallico, in grado di condurre elettricità. A causa delle sue dimensioni si tratta di una "stella mancata": se avesse avuto una massa di 80 volte superiore a quella attuale, nel suo nucleo avrebbe potuto innescare reazioni d fusione nucleare, il che avrebbe reso il Sistema Solare un sistema stellare binario. L'atmosfera esterna è caratterizzata da bande allineate lungo i paralleli di colore variabile, ed è squassata da colossali formazioni cicloniche. La più famosa di queste è la Grande Macchia Rossa, un uragano che imperversa da almeno 350 anni. La rapida rotazione del pianeta (meno di 10 ore) genera un intensissimo campo magnetico. Giove si trascina dietro ben 63 satelliti, ed è circondato da quattro anelli rocciosi, assai meno evidenti però di quelli di Saturno e di Urano. Il maggiore dei pianeti, conosciuto sin dall'antichità, ha rivestito un ruolo importante nella religione di numerose culture, tra cui i Babilonesi, che hanno identificato in esso Marduk, il sovrano degli dei. Il primo a studiarlo con piglio scientifico fu Galileo, che nel suo "Sidereus Nuncius" (1610) annunciò la scoperta dei quattro satelliti maggiori del pianeta, detti "Medicei" in onore dei signori di Firenze, ed assegnò loro i nomi di altrettanti amanti del dio greco Zeus: Io, Europa, Ganimede, Callisto. Giandomenico Cassini, già nominato a proposito di Saturno, scoprì la rotazione differenziale del pianeta (le nubi equatoriali ruotano più velocemente di quelle polari) e la grande macchia rossa. Il 3 dicembre 1973 la sonda NASA Pioneer 10 fu il primo oggetto costruito dall’uomo ad eseguire un flyby del pianeta, seguita il 4 dicembre 1974 da Pioneer 11, il 5 marzo 1979 da Voyager 1 e il 9 luglio 1979 da Voyager 2. Il 7 dicembre 1995 la sonda Galileo si è immessa nell’orbita di Giove e vi è rimasta per sette lunghi anni, studiando nel dettaglio il pianeta e i suoi satelliti.

Giove fotografato dallo Hubble Space Telescope

Giove fotografato dallo Hubble Space Telescope

Scendiamo ancora di un Cielo, e ci troveremo al cospetto del Pianeta Marte in persona:

« Quindi ripreser li occhi miei virtute
a rilevarsi; e vidimi translato
sol con mia donna in più alta salute.
Ben m'accors'io ch'io era più levato,
per l'affocato riso de la stella,
che mi parea più roggio che l'usato. » (Par. XIV, 82-87)

Guardando lo splendore di Beatrice, luminosa tra lo splendore delle miriadi di Spiriti Sapienti del cielo del Sole che gli si erano affollati intorno, il Sommo Poeta si sente sollevare nel cielo di Marte, e comprende di essere già nel quinto cielo quando vede lo splendore dell'astro, rosseggiante come fuoco. Già nella Seconda Cantica, all'apparire dell'Angelo Nocchiero che trasporta gli Spiriti alla Montagna del Purgatorio, Dante aveva scritto:

« Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
per li grossi vapor Marte rosseggia
giù nel ponente sovra 'l suol marino... » (Par. II, 13-15)

In altre parole: come Marte al mattino appare nel cielo ad occidente, rosseggiante per i densi vapori da cui è avvolto, eccetera. La spiegazione del fenomeno risale al "De Meteoris" di Aristotele, ed è chiarita da Dante stesso nel "Convivio":

« E lo cielo di Marte si può comparare a la Musica per due proprietadi: l’una si è la sua più bella relazione, chè, annumerando li cieli mobili, da qualunque si comincia o da l’infimo o dal sommo, esso cielo di Marte è lo quinto, esso è lo mezzo di tutti, cioè de li primi, de li secondi, de li terzi e de li quarti. L’altra si è che esso Marte, [sì come dice Tolomeo nel Quadripartito], dissecca e arde le cose, perchè lo suo calore è simile a quello del fuoco; e questo è quello per che esso pare affocato di colore, quando più e quando meno, secondo la spessezza e raritade de li vapori che ’l seguono: li quali per lor medesimi molte volte s’accendono, sì come nel primo de la Metaura è diterminato. » (Convivio II, XIII, 20-21)

In effetti Marte è il quarto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole e, tra i pianeti del sistema solare, è quello più simile alla Terra. Ha un raggio equatoriale di 3402,4 Km e una massa pari a solo l’11 % di quello della Terra, ma presenta inclinazione dell'asse di rotazione e durata del giorno assai simili alle nostre. Inoltre la sua superficie presenta formazioni vulcaniche, canyon, calotte polari e deserti sabbiosi. Ha però un'atmosfera molto rarefatta (appena 6 millibar contro i circa 1000 terrestri) e temperature medie superficiali piuttosto basse, comprese tra -140 °C e 20 °C. Inoltre la bassa densità atmosferica non è in grado di fermare i meteoriti, che raggiungono il suolo con maggior frequenza che non sulla Terra. Viene chiamato il Pianeta Rosso, a causa del suo colore caratteristico dovuto alle grandi quantità di ossido di ferro che lo ricoprono, e ciò ha portato gli antichi ad identificarlo con il dio della guerra. Fra le formazioni geologiche più importanti vi sono il Monte Olimpo, che con i suoi 27 km è il vulcano più alto del sistema solare, e la Valle Marineris, un mostruoso canyon lungo oltre 4000 km (un quarto della circonferenza marziana), largo 700 km e profondo ben 7 km: al suo confronto il Grand Canyon del Colorado è solo un rigagnolo.

Marte viene osservato dall’uomo fin dalla più remota antichità. Durante la grande opposizione del 5 settembre 1877 Asaph Hall (1829-1907) scoprì che Marte ha due piccoli satelliti di forma irregolare, Phobos e Deimos (dal nome di due figli del dio greco della guerra), probabilmente due asteroidi catturati dal suo campo gravitazionale. Sempre durante la stessa opposizione l'astronomo italiano Giovanni Schiaparelli (1835-1910) grazie ad un telescopio di 22 centimetri di diametro disegnò la prima mappa dettagliata di Marte, e la nomenclatura da lui introdotta è tuttora quella ufficiale. Egli asserì di aver scoperto strutture che somigliavano a canali artificiali; siccome Marte presenta delle variazioni stagionali di colore, gli astronomi dell'epoca pensarono che Marte fosse ricoperto di vegetazione che al cambiare delle stagioni mutava colore, e che fosse presente una civiltà avanzata la quale dragava in grandi canali l'acqua dei poli, essendo Marte in via di desertificazione. Ben presto le osservazioni spettroscopiche dell'atmosfera esclusero che vi potesse essere acqua liquida in superficie, e quando il 14 luglio 1965 la sonda NASA Mariner 4 sorvolò per prima il pianeta rosso, dimostrò definitivamente che la superficie marziana è arida, desertica e priva di vita. I "Canali" di Schiaparelli erano in realtà niente più che illusioni ottiche (l'astronomo soffriva di astigmatismo), e le variazioni stagionali di colore sono dovute a periodiche e violentissime tempeste di sabbia. Il 20 luglio 1976 la sonda americana Viking 1 è stata la prima ad effettuare un atterraggio morbido su Marte, seguita poco dopo dalla gemella Viking 2, e le loro analisi del suolo hanno escluso che esso possa ospitare almeno forme di vita microscopiche. Tuttavia le osservazioni effettuate negli anni duemila dalle sonde Mars Odyssey, Mars Express e Mars Reconnaissance Orbiter, nonché dai rover Spirit e Opportunity, hanno dimostrato dati geologici alla mano che in un lontano passato su Marte l'acqua liquida scorreva in grandi quantità, e il 31 luglio 2008 il modulo Phoenix Mars Lander ha scoperto sulla sua superficie acqua sotto forma di ghiaccio. Tuttavia una missione umana su Marte, già sognata dal pioniere dell'astronautica Wernher Von Braun, è rimandata a dopo il 2030 a causa dei gravi problemi da risolvere per rendere possibile lo sbarco dell'uomo.

Marte visto dall'orbiter della sonda Viking 1; al centro, la Valle Marineris

Marte visto dall'orbiter della sonda Viking 1; al centro, la Valle Marineris

Saltiamo il Cielo del Sole, astro del quale riparleremo in altra pagina e scendiamo nel Cielo di Venere, universalmente identificata come la stella dell'amore. Damte la ha già contemplata subito dopo essere uscito "a riveder le stelle", dalla spiaggia del Purgatorio, e in quella occasione ci ha già informato sull'estrema brillantezza di questo pianeta, tale da oscurare la costellazione dei Pesci:

« Lo bel pianeta che ad amar conforta
faceva tutto rider l’oriente,
velando i Pesci ch’erano in sua scorta » (Purg., I, 19 -21)

Quando nel Paradiso va a visitarla di persona, il nostro astronauta ante litteram la indica con una complessa perifrasi, da noi in parte analizzata in quel che precede:

« Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
per che non pur a lei faceano onore
di sacrificio e di votivo grido
le genti antiche ne l'antico errore;
ma Dïone onoravano e Cupido,
quella per madre sua, questo per figlio,
e dicean ch'el sedette in grembo a Dido;
e da costei ond'io principio piglio
pigliavano il vocabol de la stella
che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. » (Par. VIII, 1-12)

In pratica, il Ghibellin Fuggiasco ci racconta come tutti i popoli antichi, escluso ovviamente quello di Israele, ritenevano che Venere suscitasse nei cuori degli uomini l'inclinazione alla sensualità, e per questo le bruciavano olocausti e le elevavano preghiere, estendendo il culto anche alla sua mitologica madre Dione (oggi porta questo nome uno dei satelliti di Saturno) e a suo figlio Eros o Cupido (nome che oggi è stato dato a un asteroide, il quale transita non lontano dalla Terra), che nel racconto dell'Eneide si era sostituito ad Ascanio, figlio di Enea, affinché la regina Didone si innamorasse dell'eroe troiano:

« Ut cum te gremio accipiet laetissima Dido
Regalis inter mensas laticemque lyaeum,
Cum dabit amplexus atque oscula dulcia figet,
Occultum inspires ignem fallasque veneno. » (Eneide I, 685-688)
[quando in grembo, lietissima, ti prenderà Didone,
tra le mense regali e il vino lièo, 
quando ti abbraccerà, ti darà dolci baci, tu potrai
di nascosto il tuo fuoco ispirarle, istillarle il veleno]

Quello strano verso ("la stella che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio") indica una delle caratteristiche astronomiche del pianeta Venere, che spiegheremo meglio tra poco, cioè il fatto che la si osservi soltanto prima del tramonto e dopo l'alba, per il fatto di muoversi all'interno dell'orbita terrestre. Probabilmente "coppa" e "ciglio" indicano la faccia posteriore e la faccia anteriore dell'astro, che ora vede il Sole dietro di sé, ora davanti. Così leggiamo nel Convivio:

« E in sul dosso di questo cerchio, nel cielo di Venere, del quale al presente si tratta, è una speretta che per se medesima in esso cielo si volge; lo cerchio de la quale li astrologi chiamano epiciclo. E sì come la grande spera due poli volge, così questa picciola, e così ha questa picciola lo cerchio equatore, e così è più nobile quanto è più presso di quello; e in su l’arco, o vero dosso, di questo cerchio è fissa la lucentissima stella di Venere » (Conv. II, III, 16)

« E lo cielo di Venere si può comparare a la Rettorica per due proprietadi: l’una sì è la chiarezza del suo aspetto, che è soavissima a vedere più che altra stella; l’altra sì è la sua apparenza, or da mane or da sera. E queste due proprietadi sono ne la Rettorica: chè la Rettorica è soavissima di tutte le altre scienze, però che a ciò principalmente intende; e appare da mane, quando dinanzi al viso de l’uditore lo rettorico parla, appare da sera, cioè retro, quando da lettera, per la parte remota, si parla per lo rettorico » (Convivio II, XIII, 13-14)

Più oltre nel Paradiso Dante aggiunge:

« Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta
che 'l vostro mondo face, pria ch'altr'alma
del trïunfo di Cristo fu assunta. » (Par. IX, 118-119)

Il soggetto è Raab, la prostituta di Gerico che ospitò a casa sua gli esploratori inviati da Giosuè, e favorì così la conquista della città da parte del popolo ebraico (Giosuè 2, 1-24 e 6, 15-25). Ella fu assunta al grado di beatitudine degli Spiriti Amanti, alloggiati nel Cielo di Venere, prima fra tutte le anime che Cristo redense trionfando sulle Porte degli Inferi. Ma a noi interessano soprattutto le parole "in cui l'ombra s'appunta che 'l vostro mondo face": il cono d'ombra che la Terra proietta quando viene illuminata dal sole giunge fino al terzo cielo, secondo la teoria esposta dall'astronomo persiano Ahmad ibn Muhammad ibn Kathir al-Farghani (IX secolo), noto in Europa come Alfargano, nella sua opera "Elementi di astronomia sui moti celesti" (833). Dante Alighieri in tal modo vuole dirci che i primi tre Cieli (Luna, Mercurio e Venere), conservano ancora qualcosa delle umane inclinazioni: debolezza, ambizione, passione. Gli Spiriti del Cielo della Luna infatti hanno mancato ai voti; quelli del Cielo di Mercurio hanno operato il bene perchè spinti dal desiderio di fama e gloria; quelli del Cielo di Venere hanno operato il bene sotto l'influsso del pianeta dell'amore.

In termini propriamente astronomici, Venere è il secondo pianeta del Sistema Solare in ordine di distanza dal Sole, ed è l'oggetto più luminoso del cielo notturno, con l'eccezione della Luna. Ha l'aspetto di una stella luminosissima, di colore giallo-biancastro. Essa raggiunge la massima brillantezza poco prima dell'alba o poco dopo il tramonto, e per questa ragione nell'antichità si pensava che si trattasse di due astri differenti: Lucifero, la Stella del Mattino, ed Espero, l'Astro della Sera; solo in età Ellenistica si comprese che si trattava dello stesso pianeta. Venere era assai importante per la civiltà Maya, che sviluppò un calendario religioso basato in parte sui suoi movimenti. Privo di satelliti, il suo raggio è inferiore a quello terrestre di soli 320 km, e la sua massa è pari all'81,5% di quella terrestre. Esso percorre la sua orbita in 224,7 giorni terrestri, ma impiega 243 giorni a ruotare su se stessa: quindi, il suo giorno è più lungo del suo anno. Su Venere inoltre il Sole sorge a ovest e tramonta a est (è l'unico pianeta a muoversi di moto retrogrado), e tra un'alba e l'altra trascorrono 117 giorni terrestri. Durante il transito di Venere davanti al Sole avvenuto nel 1761, l'astronomo russo Mikhail Vasilievic Lomonosov (1711-1765) osservò che il pianeta, visto davanti al Sole, mostrava un margine sfumato, cioè appariva circondato come da un alone: la prova palese dell'esistenza di un'atmosfera, come ce l'ha la Terra. Le indubbie somiglianze con il nostro pianeta hanno fatto pensare in passato che Venere fosse assai simile alla Terra dell'era Mesozoica,e che fosse ricoperta da lussureggianti foreste popolate da dinosauri, oppure interamente ricoperta da un oceano; e proprio per non affondare in un oceano era progettata la sonda Venera 4, lanciata dai sovietici e giunta sul pianeta dell'amore il 18 ottobre 1967. In realtà, questa sonda e le successive verificarono che Venere è circondata da una densissima atmosfera quasi interamente composta da anidride carbonica, la cui pressione al suolo raggiunge le 92 atmosfere, e che rende impossibile osservare il suo suolo da Terra o dallo spazio. Questo gas lascia penetrare il calore del Sole, ma lo intrappola successivamente sotto la coltre di nubi che la ricopre, per effetto serra, cosicché la temperatura al suolo tocca i 460° C, superiore a quella di Mercurio, assai più vicino al Sole: sulla superficie venusiana il piombo scorre liquido. Se vi erano antichi oceani su Venere, essi sono certamente evaporati all'instaurarsi di questo effetto serra. Solo poche sonde sono riuscite a resistere a questo inferno, aggravate da incessanti bufere di vento e da piogge di acido solforico. Il 15 dicembre 1970 la sonda sovietica Venera 7 fu la prima costruita dall'uomo ad atterrare con successo su un altro pianeta, e il 1 marzo 1982 Venera 13 e Venera 14 rimandarono sulla Terra le prime foto a colori della sua superficie. Tra il 16 agosto 1990 e l'11 ottobre 1994 la sonda NASA Magellano compì una mappatura completa tramite radar del suolo di Venere, inviando immagini dettagliate di crateri, colline, catene montuose e vulcani, una superficie insomma geologicamente giovane e continuamente rimodellata dall'attività vulcanica. L'11 aprile 2006 la sonda europea Venus Express si è inserita con successo in orbita venusiana ed ha studiato con grande dettaglio la sua atmosfera.

Venere svelata come l'ha vista la sonda Magellano

Immediatamente sotto il Cielo di Venere c'è quello di Mercurio. Dante non ci fornisce molti particolari circa questo astro, ma le parole dell'imperatore Giustiniano mettono l'accento sulla sua piccolezza:

« Questa picciola stella si correda
d'i buoni spirti che son stati attivi
perchè onore e fama li succeda » (Par. VI, 112-114)

Che Dante fosse conscio delle piccole dimensioni di Mercurio, ce lo dice anche questo passo del Convivio: 

« E lo cielo di Mercurio si può comparare a la Dialettica per due proprietadi: che Mercurio è la più picciola stella del cielo, chè la quantitade del suo diametro non è più che di dugento trentadue miglia, secondo che pone Alfagrano, che dice quello essere de le ventotto parti una del diametro de la terra, lo quale è sei milia cinquecento miglia: l’altra proprietade si è che più va velata de li raggi del Sole che null’altra stella. E queste due proprietadi sono ne la Dialettica: chè la Dialettica è minore in suo corpo che null’altra scienza, chè perfettamente è compilata e terminata in quello tanto testo che ne l’Arte vecchia e ne la Nuova si truova; e va più velata che nulla scienza, in quanto procede con più sofistici e probabili argomenti più che altra. » (Convivio II, XIII, 11-12)

Infatti Mercurio è il primo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole e il più piccolo in dimensioni, con un raggio si appena 2439,7 Km e una massa che è meno del 6 % di quella terrestre. Impiega solo 88 giorni per ruotare intorno al Sole; per questa sua velocità gli è stato dato il nome della rapidissima divinità romana che fungeva da messaggero degli déi. Esso impiega 58,6 giorni per compiere un giro su se stesso, e completa quindi tre rotazioni ogni due rivoluzioni: un esempio di risonanza orbitale. Questo fa sì che ogni punto della sua superficie sia esposto ai raggi solari per ben 176 giorni. La sua superficie appare pesantemente craterizzata e presenta bacini circondati da raggi e riempiti da antichissime colate laviche, a causa dell'assenza di un'atmosfera che possa eroderle, e per questo il suo aspetto ricorda da vicino quello della Luna. Trattandosi di un pianeta interno rispetto alla Terra, Mercurio appare sempre molto vicino al Sole, e la sua osservazione è molto difficile, subito dopo il tramonto, sull'orizzonte ad ovest, oppure poco prima dell'alba verso est (si dice che Copernico non sia mai riuscito a vederlo). Le sue osservazioni più antiche di cui si abbia notizia furono effettuate da astronomi babilonesi intorno al XIV secolo a.C. Gli Egizi assegnarono a Mercurio, come a Venere, due nomi, uno come stella della mattino, associata a Seth, il malvagio fratello di Osiride che veniva scacciato dalla luce accecante del Sole nascente, e l'altro come stella della sera, associata ad Horus, il dio benigno che tutelava il Faraone. Anche per i Greci Mercurio aveva una "doppia identità": Apollo come stella del mattino ed Hermes come stella della sera. Sia pensa sia stato Pitagora (575-495 a.C.) il primo a comprendere che si trattava in realtà di un unico pianeta. Pierre Gassendi (1592-1655) fu il primo ad osservare un transito di Mercurio innanzi al Sole, il 7 novembre 1631, previsto da Giovanni Keplero. Le anomalie osservate nell'orbita del pianeta fecero ipotizzare a Urbain Le Verrier (1811-1877) l'esistenza di un altro pianeta ancora più interno, che chiamò Vulcano (nessuna parentela con la patria di Mister Spock!); esso però non fu mai osservato, nonostante i falsi allarmi di scienziati anche famosi, che scambiarono innocue macchie solari per il pianeta in transito. Alla fine Albert Einstein nel 1916 riuscì a fornire una spiegazione corretta delle anomalie orbitali di Mercurio grazie alla sua Teoria della Relatività Generale. Anche l'ipotesi che esistano asteroidi chiamati Vulcanoidi, orbitanti intorno al Sole all'interno dell'orbita di Mercurio, non ha finora trovato conferme. Il primo flyby di Mercurio è stato compiuto dalla sonda statunitense Mariner 10, che lo ha sorvolato per tre volte, il 29 marzo 1974, il 21 settembre 1974 ed il 16 marzo 1975, ed ha trasmesso a terra circa 6000 fotografie, le quali hanno permesso di mappare il 40 % della superficie mercuriana. Il mistero sul restante 60 % è continuato fino al 14 gennaio 2008, quando la sonda americana MESSENGER ha sorvolato una prima volta Mercurio, flyby replicato il 29 settembre 2009, prima del definitivo ingresso in orbita attorno al pianeta, avvenuto il 18 marzo 2011. Per il 2013 è previsto il lancio, da parte dell'ESA, della missione spaziale BepiColombo, così battezzata in onore dello scienziato italiano Giuseppe Colombo (1920-1984), che ideò il meccanismo della "fionda gravitazionale" per ridurre il consumo di carburante da parte delle sonde.

Mercurio visto dalla sonda MESSENGER

Mercurio visto dalla sonda MESSENGER

Rileggiamo ora la "carrellata d'insieme" di tutti i Cieli scorsi da Dante mentre sale all'Ottavo Cielo delle Stelle Fisse:

Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell'ombra che mi fu cagione
per che già la credetti rara e densa.
L'aspetto del tuo nato, Iperïone,
quivi sostenni, e vidi com'si move
circa e vicino a lui Maia e Dïone.
Quindi m'apparve il temperar di Giove
tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro
il varïar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo. » (Par. XXII, 139- 150)

C'è la figlia di Latona, cioè la Luna, di cui riparleremo tra poco; c'è il Sole, indicato con il nome greco di Iperione ("colui che sta in alto"); ci sono Mercurio e Venere, rappresentati dai nomi delle rispettive madri (Maia e Dione); c'è Giove, che come visto "tempera", cioè media, fra il calore del figlio (Marte) e il gelo del padre Saturno; e di tutti il Pellegrino dell'Oltretomba vede "il varïar che fanno", cioè i complessi moti dovuti al gioco di epicicli e deferenti, che abbiamo visto essere peculiari dell'astronomia tolemaica. Da lassù, Dante può rendersi conto delle loro reali dimensioni, della loro velocità e della distanza fra le loro orbite ("riparo" è termine tecnico del tempo per indicare il luogo proprio di ogni astro). Faccio notare che in questi versi, così come nell'itinerario dell'"astronauta ante litteram", che visita tutti i pianeti uno dopo l'altro, è nascosto un concetto molto caro all'esoterismo moderno, quello dell'allineamento planetario.

Per poter penetrare in tutti i corpi celesti durante la sua ascesa al cielo, infatti, si direbbe che l'Alighieri abbia incontrato una congiuntura astronomica particolarmente favorevole, e cioè tutti i sette pianeti radunati entro un piccolo angolo, se non proprio tutti allineati. Si tratta di un evento abbastanza raro, ma è capitato nel passato che Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno si siano ritrovati tutti dalla stessa parte rispetto al Sole. L'ultima volta si verificò il 10 marzo 1982, quando tutti i pianeti furono confinati entro un angolo di 94°; fu grazie a questo grande allineamento, che la sonda NASA Voyager 2 riuscì a visitare in successione Giove, Saturno, Urano e Nettuno fra il 1979 e il 1989, sfruttando l'effetto fionda per farsi lanciare da un mondo verso il successivo. Il prossimo allineamento si verificherà il 19 maggio 2161, entro un angolo di 69°. Il miglior allineamento degli ultimi duemila anni si è verificato l'11 aprile 1128, entro un angolo di 40°. La letteratura esoterica tende ad attribuire agli allineamenti planetari catastrofi di ogni genere, dal diluvio universale all'estinzione dei dinosauri; c'è chi dice che un simile fenomeno causerà la fine del mondo nella temuta data del 21 dicembre 2012, e persino nel cartone animato "Hercules" (1997) della Disney si vede un allineamento planetario liberare i Titani dal Tartaro. L'astronomia scientifica moderna ha però destituito questa credenza di ogni fondamento, all'allineamento del 1982 siamo sopravvissuti benissimo, e come si è detto intorno al 2012 non si verificherà alcun allineamento. Potremo dunque continuare a leggere la Divina Commedia, con buona pace dei catastrofisti!

I più attenti di voi avranno notato che in questa sede non abbiamo parlato né della Luna, né del Sole, né delle Stelle Fisse, poiché è bene dedicare ad esse uno spazio apposito. Per continuare il nostro viaggio attraverso lo spazio come lo ha descritto Dante, cliccate qui.