Il fuoco del Monte Fato  

Lontano, videro il Monte Fato, la base immersa nella cenere e l'alto cono imponente avvolto dalle nubi...

(SdA, libro VI, cap. II)

 

Potrà apparire bizzarro ma, oltre a carte geografiche pregevoli come quelle del bellissimo "Atlante della Terra di Mezzo" di Karen Wynn Fonstad, delle quali abbiamo parlato in una lezione precedente, c'è anche chi ha avuto l'idea di elaborare una mappa climatica della Terra di Mezzo! Eccone qui sotto un esempio, tratto da questo saggio consultabile sul sito dell'Università di Bristol:

Questa originale mappa mostra direzione e intensità dei venti a livello del suolo e la distribuzione della pressione atmosferica alla superficie ('i toni di azzurro rappresentano le basse pressioni, i toni di verde le pressioni intermedie, i toni di arancio le alte pressioni). Secondo l'autore di questo saggio, applicando all'universo di Tolkien le nostre conoscenze di meteorologia si deduce che la temperatura media annuale nella regione settentrionale di Forodwaith è sotto lo zero, mentre quella nella regione meridionale dello Haradwaith è superiore ai 30° C. A est delle Montagne Nebbiose, poiché l'influenza mitigatrice del mare è assai minore, le estati sono più calde, ma gli inverni sono molto più rigidi, e la temperatura media annua diminuisce, come è tipico del clima continentale. La maggior parte delle precipitazioni cade a ovest delle Montagne Nebbiose. I venti occidentali prevalenti portano aria oceanica umida, che si raffredda mentre sale lungo i fianchi dei monti, quindi condensa in nuvole, dalle quali derivano abbondanti precipitazioni. La fascia meridionale di Mordor e l'Haradwaith hanno un clima subtropicale e secco, paragonabile all'attuale deserto del Sahara, per via del fenomeno noto come "Cella di Hadley" dal nome dell'avvocato e meteorologo inglese George Hadley (1685-1768), che la propose nel 1735. Si tratta di un sistema di circolazione atmosferica fatta di celle convettive, in cui l'aria sale nei pressi dell'equatore fino ad un'altezza di 10-15 chilometri e scende di nuovo nelle regioni subtropicali: giacché l'aria discendente si riscalda, può contenere più acqua in forma di vapore rispetto alla forma liquida. Questa circolazione è connessa ai venti alisei e ai deserti subtropicali. I venti provenienti da ovest prevalgono nella baia di Belfalas e in altre regioni meridionali costiere della Terra di Mezzo, mentre i venti orientali dominano la sezione settentrionale del continente. Questo, secondo l'autore del nostro saggio, spiega perché le navi elfiche che partono per le Terre Immortali salpano proprio dai Porti Grigi, nel nord del continente!

La vegetazione prodotta dalla pioggia e la temperatura del modello climatico per la Terra di Mezzo con il quale sono state realizzate le mappe suddette suggeriscono la distribuzione di deserti nelle regioni calde e secche del lontano sud, una vegetazione fatta di bassi arbusti nella maggior parte di Mordor, un deserto freddo e stepposo lungo le cime delle Montagne Nebbiose, i Colli Ferrosi del nord e gli Ered Luin ad ovest. Il resto della Terra di Mezzo dovrebbe essere per lo più ricoperta da boschi, ma questo, come Tolkien steso ci avverte, non tiene conto del fatto che la distribuzione della vegetazione naturale è stata modificata dagli incendi boschivi causati (involontariamente o meno) dai draghi, dalla deforestazione operata dai nani, dalla coltivazione di erba-pipa da parte degli Hobbit e dalla distruzione indiscriminata da parte degli Orchi. L'effetto combinato di queste modifiche innaturali fa sì che uno scoiattolo non può più spostarsi dalla Contea ad Isengard saltando di albero in albero, come doveva avvenire nelle prime Ere del Mondo.

Quanto alla Contea, la temperatura media annuale è di 7° C e la piovosità media annua è di 610 millimetri. L'area più vasta con un clima simile nel nostro continente si trova in Bielorussia; siccome però, come si è detto, Tolkien ha modellato la Contea sulla base dell'aspetto del Regno Unito, le condizioni climatiche più simili a quelle della Contea possono essere riscontrate nel Lincolnshire e nel Leicestershire, nella regione delle Midlands Orientali. Invece il clima di Mordor è molto simile a quello del Texas occidentale in America e di Alice Springs in Australia. Messo così, il clima della Contea non sembra certo il più ameno del mondo, né Mordor sembrerebbe quel luogo terribilmente inospitale che viene descritto nel "Signore degli Anelli". Cose che capitano quando un romanzo non ci si limita a leggerlo, ma si trae da esso un atlante, e ci si mette pure a studiarne il clima, la piovosità e i venti...

La climatologia della Terra di Mezzo, per avere maggiori informazioni circa la quale vi rimando al saggio suddetto, ci introduce al discorso della Termologia. Infatti, per esempio non si può comprendere il concetto di "Cella di Hadley" se non si introduce quello di convezione del calore. Come si sa, il calore è quella forma di energia, dovuta all'agitazione termica delle molecole, che passa spontaneamente dai corpi più caldi a quelli più freddi. La propagazione può avvenire secondo tre diverse modalità:

1) conduzione (dal latino "cum duco", "porto con"): essa avviene tipicamente nei solidi, e rappresenta la trasmissione di energia senza trasporto di materia. Supponiamo di prendere una sbarra metallica e di esporne un'estremità al calore di una fiamma. Le molecole del metallo a contatto con la fiamma vedono aumentare la loro energia cinetica, e vibrando attorno alla loro posizione nel reticolo cristallino del metallo urtano quelle meno veloci, comunicando loro parte della propria energia. A loro volta queste molecole ne urtano delle altre vicine, accelerandole; in breve, il calore si è propagato lunga tutta la sbarra.

2) convezione (dal latino "cum veho", "trasporto con"): è caratteristica dei fluidi, e rappresenta la trasmissione di energia come conseguenza del trasporto di materia.

3) irraggiamento: rappresenta la propagazione del calore nel vuoto, sotto forma di onde elettromagnetiche.

I fluidi, in particolare, hanno una conducibilità termica assai bassa: se il calore si propagasse in essi solo per conduzione, a Sam occorrerebbero molte ore per riscaldare una pentola d'acqua e preparare il famoso coniglio al ragù che dà il titolo ad uno dei capitoli de "Le Due Torri"):

« "Gollum!" chiamò Sam a bassa voce. "Ho bisogno di erbe." La testa di Gollum fece capolino tra le felci, ma animata da un'espressione tutt'altro che amichevole o servizievole. "Qualche foglia di timo, di lauro e di salvia basteranno... prima che l'acqua si metta a bollire." [...] Per qualche tempo, in attesa che l'acqua bollisse, rimase seduto ed assorto, alimentando di tanto in tanto il fuoco. Presto i conigli tagliati a pezzi bollirono a fuoco lento nelle casseruole insieme alle erbe raccolte. Sam fu sul punto di addormentarsi durante l'attesa. Li lasciò cuocere a stufato per quasi un'ora, toccandoli ogni tanto con la forchetta e assaggiandone il brodo. »
(SdA, libro IV, cap. IV)

Come mai l'acqua in cui sono immersi i conigli cacciati da Gollum giunge ad ebollizione così in fretta? Proprio per via del fenomeno della convezione. Ponendo la casseruola di Sam sulla fiamma, lo strato di acqua che si riscalda per primo è quello a contatto con il fondo. Quest'acqua si dilata, perchè l'agitazione termica delle molecole richiede per esse più spazio, ed allora la sua densità diminuisce. Come conseguenza del Principio di Archimede, tale liquido risale verso la superficie, e così facendo spinge verso il basso l'acqua più fredda. Quest'ultima subisce lo stesso processo: si riscalda, diventa più leggera e sale. Questa circolazione dà vita a quelli che vengono chiamati moti convettivi, e rimescolano l'intera massa di fluido.

I moti convettivi spiegano un gran numero di fenomeni. Un caminetto, come quello nel salotto di Frodo dove Gandalf getta l'Unico Anello per dimostrare che il fuoco non ha effetto su di esso, riscalda per irraggiamento quanti stanno davanti ad esso, ma la loro schiena rimane al freddo. Tuttavia il focolare riscalda l'aria della stanza che sale e spinge giù l'aria più fredda, innescando dei moti convettivi che finiscono per riscaldare l'intera stanza. Anche l'intera atmosfera subisce dei moti convettivi, a causa del forte riscaldamento solare delle zone tropicali: nascono così le Celle di Hadley. L'aria calda che sale provoca poi delle correnti ascensionali, che sostengono gli uccelli in volo planato, ed in particolare i rapaci: è proprio grazie a queste correnti convettive, che Gwaihir libera Gandalf dalla prigionia ad Orthanc:

« "Fu così che sul declinare dell'estate, in una notte di luna, giunse inattesa ad Orthanc la più veloce delle Grandi Aquile, Gwaihir Re dei Venti; mi trova in piedi sul pinnacolo. Io gli parlai, ed egli mi portò via prima che Saruman se ne accorgesse. Ero già lungi da Isengard quando i lupi e gli Orchi uscirono dal cancello per inseguirmi." »
(SdA, libro II, cap. II)

E sempre grazie alle correnti ascensionali, Gwaihir e suo fratello Landroval portano Gandalf fino al Monte Fato squarciato dalla lava; qui prelevano Frodo e Sam ormai esausti, e possono riprendere il volo grazie ai getti di aria caldissima che si sollevano al di sopra della lava:

« Arrivò Gwaihir, il Re dei Venti, e Landroval suo fratello, la più grande di tutte le Aquile del Nord, il più potente dei discendenti del vecchio Thorondor che costruì i suoi nidi sulle inaccessibili vette dei Monti Circondanti quando la Terra di Mezzo era giovane. Dietro di essi arrivarono tutti i loro vassalli dei monti del Nord, volando in rapide file sulle ali del vento. Puntarono diritti sui Nazgûl, emergendo all'improvviso dalle zone alte dell'aria, e il turbinio delle loro immense ali fu come una tormenta. [...] Gwaihir sollevò Gandalf e volò verso sud, seguito da Landroval e da Meneldor, giovane e veloce. E passarono su Gorgoroth e Udûn, sorvolando terre distrutte e in rovina. [...] Gwaihir vide Frodo e Sam con i suoi occhi aguzzi mentre volava nel vento selvaggio, sfidando i pericoli del cielo e compiendo giri nell'aria. Giacevano fianco a fianco, e Gwaihir si posò a terra, e si posarono anche Landroval e Meneldor il veloce, e come in un sogno, ignari di ciò che stava accadendo loro, i viaggiatori furono raccolti e trasportati lontano dall'oscurità e dal fumo. »
(SdA, libro VI, cap. IV)

Inoltre vi sono moti convettivi anche all'interno del nostro pianeta: il nucleo, caldissimo a causa dell'attività dei materiali radioattivi, riscalda il mantello, allo stato fluido anche se ad altissima viscosità, e così il materiale risale verso la crosta, rompendo la quale può eruttare sotto forma di magma, come spiegheremo sotto, dando vita ai vulcani come il Monte Fato. I moti convettivi nel mantello terrestre inoltre fanno sì che la crosta terrestre venga trascinata dalle celle convettive, provocando il fenomeno della deriva dei continenti e contribuendo a modellare l'aspetto sempre mutevole del nostro pianeta (per saperne di più, cliccate qui). Nella simulazione qui sotto si vede l'Oceano Belegaer che si apre progressivamente proprio per effetto della creazione di nuova crosta oceanica prodotta da una dorsale, mano a mano che la Terra di Mezzo ad est e la Terra del Sole ad ovest (vedi quest'altra lezione) scorrono sulla materia fluida circostante per effetto di quelle celle convettive:

Moti convettivi nel mantello terrestre

Le Aquile però compaiono anche ne "Lo Hobbit", quando salvano Gandalf, Bilbo e i quattordici Nani dai loro assalitori Orchi; per sfuggire ai Mannari, tutti e sedici si sono rifugiati sui rami degli alberi, ma gli Orchi danno fuoco ai tronchi, ed intanto intonano una lugubre canzone:

« Burn, burn tree and fern!
Shrivel and scorch! A fizzling torch
To light the night for our delight,
Ya hey!
Bake and toast 'em, fry and roast 'em!
till beards blaze, and eyes glaze;
till hair smells and skins crack,
fat melts and bones black
in cinders lie
beneath the sky!
So dwarves shall die,
and light the night for our delight,
Ya hey!
Ya-harri-hey!
Ya hoy! »
(The Hobbit, chapter VI)

« Incendia felci, incendia piante!
Fanne una torcia ben sfolgorante
che renda il cuor della notte festante,
Ya hey!
Cuocili e tostali da bravo cuoco
finché le barbe prendano fuoco;
gli occhi son vitrei, la pelle rotta,
la chioma puzza, com'è ridotta!
Il grasso è sciolto, scorre a dovere,
persino l'ossa diventan nere,
dalla padella van nella brace
e nella cenere giacciono in pace!
Così morendo ogni nanetto
dà luce a notte e a noi diletto.
Ya hey! Ya-harri-hey! Ya hoy! »
(Lo Hobbit, cap. VI)

Fortunatamente il Signore delle Aquile vede le fiamme e scende con i suoi compagni a salvare il nostro eroe. La canzonaccia degli Orchi però evoca un altro fenomeno tipico della propagazione del calore per convezione, chiamato effetto camino, perchè esso permette il tiraggio dei camini domestici e delle ciminiere industriali. Tale effetto consiste nella ventilazione naturale di un edificio causata da differenze di pressione, dovute a differenti densità dell'aria causa della diversa temperatura, per cui l'aria calda meno densa tende a risalire, provocando una diminuzione di pressione in basso, che richiama aria fredda più densa analogamente ai moti convettivi.

Il camino è una canna verticale  che permette la comunicazione tra due ambienti a temperatura diversa, più alta alla base e più bassa alla sommità. La densità di un gas aumenta all'aumentare della temperatura, per cui l'aria che si trova nella parte bassa del condotto tende a muoversi verso l'alto a causa della spinta di Archimede. In seguito a tale movimento, l'aria calda fuoriesce dalla parte alta del condotto e viene rimpiazzata da aria fredda che entra dall'apertura nella parte bassa del condotto; tale aria fredda si riscalda dopo essere entrata nel camino, e in questo modo il moto convettivo del gas continua finché la sorgente di calore non si esaurisce, ad esempio finché non si esaurisce il combustibile. Nella parte bassa del camino l'aria tende a espandersi perché si trova ad alta temperatura, ma l'aria che si trova nella parte alta del condotto, trovandosi ad una temperatura più bassa, non è soggetta a questa variazione di densità, per cui ostacola l'espansione dell'aria che si trova più un basso, che per tale motivo vede aumentare la propria pressione quanto basta per vincere la resistenza fornita dall'aria presente nella parte sommitale. Tale variazione di pressione è detta tiraggio del camino, ed è direttamente proporzionale all'altezza del camino, alla pressione atmosferica e alla differenza tra le temperature in basso e in alto. Ne consegue che il camino "tira meglio", cioè aspira meglio il fumo della sorgente di calore che c'è alla base, quanto maggiore è l'altezza del camino stesso. Per questo nell'architettura moderna è possibile vedere case molto basse, con uno sproporzionato ed antiestetico camino al centro del tetto: se esso fosse alto quanto la casa, non "tirerebbe" a sufficienza, e l'appartamento si riempirebbe di fumo.

La formula che fornisce il tiraggio ΔP del camino è:

dove P0 è la pressione atmosferica, h è l'altezza del camino, T1 è la temperatura assoluta (in Kelvin) alla base del camino e T2 è quella alla sommità di essa. Tale formula è applicabile al caso degli Orchi che tentano di arrostire i Nani? Sì, perchè gli alberi sono adiacenti gli uni agli altri, e i rami sono così fitti che tra di essi si formano come delle canne fumarie, tra le quali si infila il fumo dei roghi accesi dagli Orchi. Supponiamo dunque che l'albero sia alto 15 metri, che la temperatura alla sommità sia T2 = 16° C = 289 K e che la temperatura alla base, in corrispondenza della fiamma, sia di T1 = 500° C = 773 K, corrispondente (secondo la tabella usata dai Vigili del Fuoco) alla tipica fiamma di colore rosso. Sostituendo i valori nella precedente si ottiene un tiraggio ΔP = 113 Pascal, cioè di 11 chilogrammi peso e mezzo per metro quadrato: una spinta certamente sufficiente per portare le fiamme verso l'alto ed abbrustolire i Nani, lo Hobbit e lo Stregone, come speravano gli Orchi. Se non fossero arrivate le Aquile, ovviamente!

Non è però questo l'unico argomento, che ci introduce a parlare di calore nel Legendarium. Tutta la narrazione de "Lo Hobbit" infatti è incentrata sulla guerra contro un drago, e si sa che i draghi sputano fuoco. Ecco come Tolkien descrive il mostro in questione:

« Un drago enorme color oro rosso lì giaceva profondamente addormentato, e dalle sue fauci e dalle froge provenivano un rumore sordo e sbuffi di fumo, perché, nel sonno, basse erano le fiamme. Sotto di lui, sotto tutte le membra e la grossa coda avvolta in spire, e intorno a lui, da ogni parte sul pavimento invisibile, giacevano mucchi innumerevoli di cose preziose, oro lavorato e non lavorato, gemme e gioielli, e argento macchiato di rosso nella luce vermiglia. Le ali raccolte come un incommensurabile pipistrello, Smaug giaceva girato parzialmente su un fianco, e lo hobbit poteva così vederne la parte inferiore del corpo, e il lungo, pallido ventre incrostato di gemme e di frammenti d'oro per il suo lungo giacere su quel letto sontuoso. »
(Lo Hobbit, cap. XII)

Smaug, detto anche il Magnifico o il Dorato, nell'anno 2770 della Terza Era distrusse la città di Dale e attaccò il Regno sotto la Montagna, fondato dal Nano Thráin I il Vecchio nel cuore dell'Erebor, regno che annientò impossessandosi dei suoi tesori, per poi accumularli nella sala centrale della città ipogea, dove ne fece il proprio giaciglio. Proprio lì lo incontra per la prima volta Bilbo, nell'autunno dell'anno 2941 della Terza Era, e lo descrive come abbiamo appena letto. Secondo  il mio amico glottologo dottor Guido Borghi la radice del suo nome è *smeug-, "fumare", una delle pochissime radici che ha anche due cosiddette 'varianti' (in realtà probabilmente antiche forme diversamente suffissate) *smeukh- e *smeugh-; da quest'ultima (sempre col significato di "fumare") vengono le forme germaniche e celtiche con /g/. E il fumo è legato indissolubilmente Smaug giganteus al concetto del fuoco distruttore. In onore del mostro tolkieniano, il rettile sudafricano noto come cordilo gigante ha ricevuto il nome latino di Smaug giganteus, e basta osservare la sua foto a sinistra per capire il perchè!

Il termine "drago" invece deriva dal latino "draco" e dal greco "drakon", termini di etimologia discussa. In genere li si riporta al verbo greco "dèrkesthai", "guardare", probabilmente riferendosi ai poteri legati allo sguardo di queste bestie, che era considerato in grado di uccidere o di far impazzire, oppure alla loro presunta vista acutissima. Nel sanscrito e nell'indiano antico il vèrbo suona "darś", "vedere". Di draghi sono piene le mitologie praticamente del mondo intero, anche se le culture occidentali li vedono per lo più come mostri malvagi apportatori di morte e distruzione (giusto come ne "Lo Hobbit"), mentre quelle orientali li considerano esseri benevoli e portafortuna (il drago è l'unica creatura mitologica dello Zodiaco cinese). Tutti li descrivono come rettili, di solito serpentiformi e alati; per questo, alcuni paleontologi hanno fatto l'ipotesi che la fortuna planetaria di queste creature mitologiche sia connessa alla scoperta di grandi ossa di dinosauro in epoche passate, quando non esisteva ancora il concetto di evoluzione delle specie; sarebbe nato così il mito degli enormi sauri antropofagi, divenuti sputafuoco per via del calore naturalmente presente all'interno della Terra. Oggi il varano di Komodo (Varanus komodoensis), la più grossa specie di lucertola vivente che può raggiungere i 3 metri di lunghezza e i 70 kg di peso, viene chiamato non a caso "Drago di Komodo".

L'avventura letteraria dei draghi è lunghissima. Già il Secondo Isaia nel VI secolo a.C. scriveva: « Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate. Non hai tu forse fatto a pezzi Raab, non hai trafitto il drago? » (Isaia 51, 9) Questo brano si riferisce ad antichi miti mediorientali, in cui il dio Marduk, patrono della città di Babilonia, aveva sconfitto Tiamat, il drago del caos primigenio, e con il suo corpo aveva creato l'universo. Il Mushrussu, rappresentato sulla porta di Ishtar a Babilonia, era l'animale domestico proprio del dio Marduk, ed era immaginato come un drago con zampe anteriori di leone e posteriori di aquila; secondo il capitolo 14 del Libro di Daniele, esso fu ucciso da questo profeta biblico. Nelle "Argonautiche" di Apollonio Rodio (295-215 a.C.) è un drago insonne a sorvegliare il Vello d'oro, mentre secondo Igino (II secolo d.C.) Eracle uccise il drago Ladone per impossessarsi dei pomi d'oro delle Esperidi, drago poi posto in cielo sotto forma dell'omonima costellazione. Nel capitolo 12 dell'Apocalisse di Giovanni, l'Apostolo ha una visione di un enorme drago rosso con sette teste e dieci corna, che insidia la Donna vestita di Sole; tradizionalmente si pensa che il drago rappresenti qui l'Impero Romano, perchè Roma è edificata su sette colli (le sette teste) e al momento della composizione dell'opera è stata governata da dieci imperatori (le dieci corna), e l'impero ha duramente perseguitato la Chiesa di Cristo, qui personificata nella Vergine Maria. Nella favola di Fedro (15 a.C.-51 d.C.) intitolata "La volpe e il drago" (Fabulae IV, 21), il mitologico rettile appare per la prima volta come guardiano di tesori nascosti, così come lo ritroviamo in Tolkien. Secondo Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) e Isidoro di Siviglia (560-636), il basilisco era un drago nato da un uovo deposto da un gallo, in grado di uccidere con il solo suo sguardo o con il suo alito pestilenziale; l'unico modo per ucciderlo era fargli guardare se stesso riflesso in uno specchio. Molti Santi tradizionalmente hanno sconfitto dei draghi: capofila di questi Santi guerrieri è San Giorgio, rappresentato sempre nell'atto di salvare una donzella da un feroce dragone. In tal caso il drago è figura del paganesimo, sconfitto dall'opera evangelizzatrice del Santo. Uther, padre di Re Artù nella mitologia gallese, portava il titolo di Pendragon, "Testa di Drago", e un drago rosso (chiamato Y Ddraig Goch) campeggia tuttora nella bandiera del Galles. Nella mitologia norrena, il drago Fáfnir custodiva l'Oro del Reno fino a che non fu ucciso dall'eroe Sigfrido, che divenne invulnerabile (tranne in un unico punto sulla schiena) bagnandosi nel suo sangue; Richard Wagner (1813-1883) in epoca moderna ha ripreso questo mito nelle sue opere liriche dedicate alla Saga dei Nibelunghi. Sempre nella mitologia nordica, il drago Niðhöggr cerca di distruggere il mondo rosicchiando le radici dell'albero cosmico Yggdrasil. Ogni anno a Tarascona, in Francia, si celebra la vittoria dei fondatori della città sul mostruoso drago Tarasco, grande quanto un grosso bue, con la testa di leone ed un corpo corazzato terminante con una coda di serpente. Anche nello stemma della città di Terni si trova un drago alato, ucciso per permettere la fondazione della città. Il Bakunawa invece era un serpente gigante della tradizione filippina, che viveva in cielo; periodicamente esso tentava di ingoiare il sole o la luna, provocandone le eclissi; nel corso di esse il popolo usciva allora con pentole e padelle in mano per fare chiasso, spaventare il Bakunawa e metterlo in fuga. Infine, secondo una leggenda medioevale, nell'attuale pianura padana tra Milano e Lodi sorgeva anticamente un lago, il Lago Gerundio, oggi prosciugato (pare che effettivamente un lago sia esistito da quelle parti, ma nel Pleistocene, prima Il logo dell'Alfa Romeo con il drago Tarantasio dell'arrivo dell'uomo); in esso sarebbe vissuto il drago Tarantasio, che si sarebbe nutrito soprattutto di bambini. Un giorno Umberto, capostipite della famiglia milanese dei Visconti vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo, avrebbe sorpreso il drago nell'atto di divorare un bimbo; dopo averlo ucciso, mise l'uno e l'altro sul proprio stemma, ed essi campeggiano tuttora nello stemma della città di Milano e nel logo dell'Alfa Romeo (qui a fianco), fondata a Milano il 24 giugno 1910.

La grande fortuna dei draghi in età contemporanea è dovuta al successo della letteratura fantasy, cui proprio Tolkien diede un rilevante contributo, anche se spesso questi draghi moderni non hanno ereditato affatto la malvagità di quelli creati dal nostro Professore. Nei vari universi ideati dagli autori di questo genere letterario troviamo così Fùcur, il poetico Drago della Fortuna (in lingua originale Glücksdrachen) visto ne "La Storia Infinita" (1979) di Michael Ende (1929-1995), e l'uovo di drago che Harry Potter deve rubare ne "Harry Potter e il calice di fuoco" (2000) per vincere il Torneo Tremaghi. La scrittrice Anne McCaffrey (1926-2011) ha introdotto i draghi nella fantascienza con il Ciclo di Pern, pianeta sul quale una casta di dragonieri cavalca dei draghi ottenuti con l'ingegneria genetica a partire da una forma di vita indigena, i quali oltre alla classica capacità di sputare fuoco possono viaggiare nello spaziotempo con il pensiero. Altri due cicli dedicati interamente ai draghi sono il Ciclo di Dragonlance di Margaret Weis (1948-) e Tracy Hickman (1955-), dove vediamo all'opera interi eserciti di draghi, e il Ciclo dell'Eredità di Christopher Paolini (1983-), iniziato quando lo scrittore aveva appena 15 anni, i cui quattro romanzi Eragon (2003), Eldest (2005), Brisingr (2008) ed Inheritance (2011) raccontano l'amicizia tra il giovane Eragon e la dragonessa Saphira. Tra i film, citiamo "Elliott il drago invisibile" (1977) di Don Chaffey e Dragonheart (1996) di Rob Cohen; tra i giochi di ruolo, impossibile non nominare "Dungeons & Dragons"; tra i manga, un posto d'onore spetta a "Dragonball", in cui si parla di due draghi, Shenron e Polunga, che hanno il potere di esaudire qualsiasi desiderio; per evocarli bisogna riunire sette sfere magiche, dette le Sfere del Drago. Infine, l'infanzia dell'autore di questo ipertesto è stata rallegrata dal draghetto Grisù (1975), ideato dai fratelli Nino (1908-1972) e Toni Pagot (1921-2001), gli autori di Calimero: pur discendente di una fiera razza di draghi, il suo più grande sogno era quello... di diventare pompiere!!

Nel corpus mitologico di Tolkien, i draghi furono naturalmente creati da Morgoth come proprie macchine da guerra. Il primo drago fu Glaurung, detto il Verme perché sprovvisto di ali, che con il solo sguardo poteva far impazzire le vittime e pietrificarle, un po' come il basilisco; in genere viene identificato con il drago che appare nelle "Avventure di Tom Bombadil". Ancalagon il Nero, figlio di Glaurung (il suo nome in Sindarin significa "rapide fauci"), fu invece il più grande e possente di tutti i Draghi, e combatté contro i Valar nella Guerra d'Ira, ma fu ucciso da Eärendil, che lo gettò sui tre picchi del Thangorodrim. Quella fu anche la fine della stirpe dei draghi:

« Allora, vedendo che i suoi eserciti erano disfatti e il suo potere schiacciato, Morgoth tremò e non ebbe il coraggio di uscire di persona. Scatenò tuttavia contro i suoi nemici l'ultimo, disperato assalto con le forze predisposte all'uopo, ed ecco prorompere dagli abissi di Angband i draghi alati che mai prima si erano veduti; e così improvviso e rovinoso fu l'attacco di quella terribile flotta, che l'esercito dei Valar arretrò, poiché il sopraggiungere dei draghi fu accompagnato da grande tuono, fulmini e tempeste di fuoco.
Ma venne Eärendil, splendente di bianca fiamma, e attorno a Vingilot si radunarono tutti i grandi uccelli del cielo, Thorondor alla loro testa, e vi fu battaglia nell'aria per tutto il giorno e una notte pieni di incertezze. Prima che il sole sorgesse, Eärendil uccise Ancalagon il Nero, il più forte della schiera dei draghi, precipitandolo dal ciclo; e Ancalagon piombò sui torrioni di Thangorodrim, facendoli crollare. Poi il sole si levò, e l'armata dei Valar ebbe la meglio, e tutti i draghi furono annientati. »
(QS, cap. XXIV)

A questo punto, appare naturale porsi una domanda: perchè i Draghi, inclusi quelli di Arda, sputano fuoco? "Per opera di magia", come sappiamo, non è una risposta accettabile, perchè in questo ipertesto stiamo cercando di fornire una risposta razionale e scientifica ad ogni domanda posta nell'universo di Tolkien. Una possibile spiegazione di questo tipo ce la fornisce lo scrittore per ragazzi irlandese James Herbert Brennan (1940-), autore del ciclo "La Guerra degli Elfi", iniziato nel 2003, e di varie serie di librogame come "Fire Wolf" (1984). Ecco cosa scrive il nostro autore in "Caccia al Drago" (1984), secondo volume della serie di librogame "Alla Corte di Re Artù":

« A questo punto sarebbe forse opportuno fare due chiacchiere sull'argomento "draghi", dal momento che non tutti hanno molta familiarità con questa specie.
Il drago comune, quello che si accoppia in agosto, quando piove, è un rettile dalla pelle a squame grigie e dal dorso rialzato che pesa intomo alle sei tonnellate e che misura pressappoco cinque metri. Ce ne sono due varietà principali: quelli che camminano a quattro zampe, tutte munite di unghioni, e quelli che si muovono appoggiati sulle due zampe posteriori e fanno uso delle due anteriori più corte come fossero delle braccia. [...] Ambedue le varietà sono carnivore, ed entrambe hanno la singolare abitudine di mangiare il fogliame degli alberi di castagno durante la prima ora e un quarto dopo l'alba.
La faccenda delle foglie di castagno non ha niente a che fare con la fame. Le foglie mangiate in questo lasso di tempo non scendono per il canale alimentare normale (che non si apre prima di due ore dopo il risveglio), ma vanno invece a finire in un secondo stomaco, posto più in basso di quello che il rettile usa per digerire il cibo.
Qui, in questo secondo stomaco, le foglie vengono convertite in strati di humus che a sua volta, stimolato dal calore del corpo del drago, produce una grande quantità di gas metano.
Il metano, come tutti sanno, è altamente infiammabile. Quello che invece forse non si sa è che all'età di quattro mesi i draghi sviluppano delle formazioni cristalline sui denti superiori e un sottile rivestimento metallico su quelli inferiori. Il risultato di tutto ciò è che ogni volta che i draghi chiudono di colpo la mascella, si produce una scintilla.
Questa fa incendiare il flusso quasi continuo di gas metano che esce dal secondo stomaco, creando il famoso respiro di fuoco dei draghi che, come si sa, è la caratteristica distintiva della specie. »

Dunque il respiro di fuoco dei draghi sarebbe il risultato di un processo di fermentazione, che dà vita a grandi quantità di gas metano! Secondo altri autori, il gas emanato dallo stomaco ed incendiato sarebbe invece l'idrogeno, anch'esso prodotto di decomposizione. In questo caso il gas si autoinfiammerebbe  a contatto con l'aria, senza bisogno di adoperare i denti come pietre focaie. Ma altri hanno proposto spiegazioni diverse. Una delle più interessanti, che si può leggere in questo sito, non chiama in causa dei gas infiammabili, bensì degli acidi molto forti. Quando infatti un acido entra a contatto con dell'acqua, dà vita ad una reazione fortemente esoergonica, sviluppando un calore così grande da giungere ad innescare un'esplosione. Si suppone allora che i draghi abbiano delle ghiandole sottolinguali simili alle nostre ghiandole salivari, capaci di secernere un acido molto forte la cui natura chimica non è specificata, ma che per loro potrebbe essere di importanza vitale per una prima digestione, dato che sono in grado di divorare interi animali in un sol boccone. Il rettile volante inoltre possederebbe una serie di "tasche" di deposito lungo il palato, dove l'organismo deposita acqua pura. Quando il drago si sente in pericolo, queste tasche si aprono facendo gocciolare l'acqua nell'acido. Si innesca una reazione così esoenergetica da arrivare fino a 500° C, e il drago sputa fuori la gigantesca fiammata che ne consegue. Altri poi tirano in ballo un'ulteriore ghiandola, situata nelle narici ed in grado di secernere una sostanza oleosa altamente infiammabile. Nel momento in cui il mostro sputa fuori l'acido, con una forte espirazione vi getta sopra la sostanza, generando così la fiamma che tutti conosciamo e che nel caso di Smaug produsse così grandi distruzioni a Dale e nel Regno sotto la Montagna.

Le impressionanti dimensioni di Smaug a confronto con quelle di due Boeing 747

Le impressionanti dimensioni di Smaug a confronto con quelle di due Boeing 747 (da questo sito)

 

Da ultimo, c'è da aggiungere che non tutti i draghi sputano fuoco: come sanno gli appassionati di fantasy, alcuni di loro soffiano un respiro ghiacciato e altri un acido micidiale. Quest'ultimo può essere giustificato con una biochimica assai differente dalla nostra, e paragonabile a quella dello xenomorfo della fortunata serie di fantascienza "Alien", iniziata da Ridley Scott nel 1979, il cui sangue è così tremendamente acido da corrodere ogni metallo. Quanto invece ai draghi dal respiro di ghiaccio, essi non compaiono mai nella saga di Tolkien, e per questo motivo in questa sede non ce ne occuperemo, lasciando alla fantasia dei lettori il compito di trovare un escamotage scientifico per giustificare i draghi sputaghiaccio. Chi ha qualche idea in proposito, me la scriva a questo indirizzo.

Parlando di fuoco e di calore nel mondo di Tolkien, oltre ai draghi non si può fare a meno di trattare di vulcani e di eruzioni, dato che l'Unico Anello, il manufatto attorno alla cui distruzione ruotano tutti gli eventi del "Signore degli Anelli", è stato forgiato e deve essere infine annientato in una voragine del Monte Fato, un immenso vulcano che non a caso in lingua Sindarin è chiamato anche "Orodruin", cioè "Montagna di fuoco" (un altro nome della montagna, Amon Amarth, nella stessa lingua significa letteralmente "Monte Fato"). Frodo e Sam, guidati da Gollum che ha il chiodo fisso di rimettere le mani sull'Anello, si dirigono nella loro marcia perigliosa proprio verso il Monte Fato, che così scorgono di lontano, paragonato ad un mostro sonnacchioso ma pur sempre spaventevole:

« Lontano, ad almeno quaranta miglia di distanza, videro il Monte Fato, la base immersa nella cenere e l'alto cono imponente avvolto dalle nubi. I suoi incendi si erano calmati, ed esso ne covava le ceneri ardenti, minaccioso e pericoloso come una belva addormentata. »
(SdA, libro VI, cap. II)

L'Orodruin dunque ha la classica forma a cono della maggior parte di questo tipo di montagne, così come noi ce le figuriamo, anche se tra poco vedremo che l'eruzione di magma in superficie può originare strutture di forma anche molto diversa. In generale l'accumulo di materiale lavico solidificato intorno alla bocca di emissione produce la formazione di una struttura chiamata edificio vulcanico o, più semplicemente vulcano. Questo nome proviene da quello di Vulcano, il fabbro degli déi nella mitologia romana (corrispondente del greco Efesto e dell'etrusco Sethlans); il dottor Guido Borghi mi ha gentilmente fornito l'etimologia più probabile di tale nome, che proviene dall'indoeuropeo preistorico *(h)wolk-ah-nó-s, "Dio del Fuoco" (latino Volcānus), dalla radice *hwelk- "brillare (del fuoco)" nell'antico indiano urkā "manifestazione di fuoco" (dall'indoeuropeo *(h)ulk-áh), várcas- "splendore" (dall'indoeuropeo *(h)wélk-es-). Secondo il mito, infatti, il dio Vulcano aveva la sua fucina, nella quale fabbricava le folgori per Giove, proprio sotto un cono vulcanico: secondo alcuni, sotto l'Etna. Nella mitologia tolkieniana, il corrispondente di Vulcano è Aulë il Fabbro, dai Nani chiamato Mahal, "il Grande":

« Aulë è dotato di potenza poco inferiore a quella di Ulmo. Il suo dominio si esercita su tutte le sostanze onde è fatta Arda. All'inizio, molto ha operato di conserva con Manwë e Ulmo; e sua fattura è la plasmazione di tutte le terre. Egli è un fabbro e maestro in tutti i mestieri, e trae diletto da lavori d'abilità, ancorché minuti, non meno che dalla possente edificazione d'un tempo. Sue sono le gemme che giacciono nel profondo della Terra, suo l'oro bello da tenere in mano, non meno delle pareti dei monti e dei bacini dei mari. I Noldor hanno imparato soprattutto da lui, che è sempre stato loro amico. »
(Valaquenta)

In genere l'attività eruttiva è preceduta da segnali premonitori, come terremoti ed emissione di gas, anche se non sempre nel passato gli uomini hanno saputo tenerne conto. Alcuni vulcani eruttano praticamente in continuazione, come l'Etna o Stromboli; altri invece restano inattivi per periodi lunghissimi, durante i quali si dice che il vulcano è quiescente, per poi improvvisamente dare vita a grandiosi fenomeni eruttivi: ad esempio il Vesuvio è quiescente dal 1944. Gli edifici vulcanici possono essere molto semplici, sotto forma di un singolo rilievo a forma di cono, con i versanti molto ripidi, oppure molto complessi. Si chiamano vulcani centrali quelli in cui il materiale fuoriesce da una zona ristretta della sua superficie, di forma grosso modo cilindrica, detta cratere, dal nome greco del tipico vaso utilizzato per mescolare vino e acqua nei banchetti (deriva infatti dal greco "mischiare"). Esso rappresenta lo sbocco del camino vulcanico, che collega la superficie con la camera magmatica, un serbatoio situato a vari chilometri di profondità sotto la crosta. Spesse volte i coni vulcanici presentano alla sommità una cavità insolitamente ampia chiamata caldera (in spagnolo "pentolone"), che si forma quando la sommità del cono sprofonda nella camera magmatica sottostante, parzialmente svuotata dopo una lunga attività. Questo è il caso dell'attuale Vesuvio (dal greco "Hyésou hyiós", "figlio di colui che fa piovere", cioè di Zeus: un epiteto di Eracle, cui il monte era consacrato). Alla sua sommità si trova una larga caldera, svuotatasi dopo l'ultima eruzione del marzo 1944, storicamente documentata dai filmati di guerra ripresi dalle forze di occupazione americane durante la Seconda Guerra Mondiale. Oltre che dal cratere principale, di solito la lava esce anche dalle cosiddette bocche laterali, risultato della pressione del magma che si insinua nelle fessure della roccia. La Voragine del Fato in cui l'Unico Anello è stato forgiato e dove verrà distrutto è per l'appunto, molto probabilmente, una bocca laterale dell'Orodruin:

« Proprio all'angolo, la strada attraversava un'antica colata vomitata molto tempo addietro dalle fornaci della Montagna. [...] Il sentiero continuava a salire. Dopo un breve tratto curvò ancora una volta, ma verso est, e poi penetrò in una fessura che si apriva nel fianco del cono, la porta del Sammath Naur. [...] Sam vide che si trovava in una lunga caverna o galleria che penetrava nel cono fumoso della montagna. Poco più avanti il pavimento e i muri da ambedue i lati erano attraversati da una grande fessura dalla quale si sprigionava il rosso bagliore, a volte avvampando, a volte spegnendosi nell'oscurità; dagli abissi venivano rumori e boati come di grandi macchine sbuffanti e rombanti. Il bagliore apparve di nuovo, e sull'orlo della fessura, innanzi alla Voragine del Fato, Sam vide ergersi Frodo, nero contro la luce, teso, eretto, ma immobile, come pietrificato. »
(SdA, libro VI, cap. III)

La fuoriuscita e l'accumulo del materiale intorno al cratere dà vita a vulcani di forme molto diverse e complesse; i cosiddetti vulcani multipli sono il risultato dell'erezione e della successiva distruzione di vari edifici vulcanici prodotti da differenti momenti di attività nel corso di una lunga evoluzione geologica. Un tipico esempio di questa complessità è rappresentato proprio dall'Etna (dal greco "aitho", "bruciare"), che con i suoi 3340 metri rappresenta il maggior vulcano attivo non solo d'Europa, ma di tutta la placca euroasiatica. La sua attività è storicamente documentata da 2500 anni a questa parte, ed oggi appare come un grande cono vulcanico di oltre 50 km di diametro, ma tale forma nasconde più vulcani succedutisi nel tempo. L'attività in quell'area iniziò circa mezzo milione di anni fa, a causa della pressione della placca africana contro quella eurasiatica: la lava emerse da una frattura sul fondo di un ampio golfo nella Sicilia orientale, detto Golfo Paleoetneo, che separava i Monti Peloritani a nord dagli Iblei a sud. Un successivo sollevamento dell'area circa 100.000 anni fa fece rifluire il mare verso est, il golfo scomparve e si formò un vulcano chiamato Monte Calanna, in seguito distrutto da un'esplosione, e i suoi resti furono ricoperti da un nuovo vulcano, detto Primo Monte Trifoglietto, posto ad ovest del precedente; a dispetto del nome, si trattava di un vulcano molto pericoloso perché esplosivo. Anche questo secondo vulcano circa 55.000 anni fa venne eroso e parzialmente ricoperto dalle colate e dalle ceneri di un terzo vulcano, detto Secondo Monte Trifoglietto, ancora più ad ovest. L'attività esplosiva si fece più intensa e portò alla formazione di un'ampia depressione a forma di anfiteatro, detta Valle del Bove. Da ultimo, circa 15.000 anni fa si formò il cono attuale, detto Mongibello dal latino medioevale "Mons Gibel", a sua volta dall'arabo Jebel ("monte"), che arrivò nei secoli anche a superare i 4000 metri d'altezza. Oltre all'attività centrale, l'Etna presenta spesso manifestazioni laterali lungo grandi fratture che si aprono nei suoi fianchi; si sono formate almeno 200 bocche eruttive avventizie. In tali condizioni si sono formati nel 1669 i Monti Rossi, presso Nicolosi, quando la lava travolse i quartieri occidentali di Catania e si riversò in mare, bloccandone il porto.

Nel corso dell'Era Quaternaria, l'ultima era geologica nella quale noi tuttora viviamo, si stima che si siano formati sulla Terra almeno 10.000 nuovi vulcani. Di questi, almeno 1300 hanno subito eruzioni tramandate dall'uomo, e quindi sono considerati attivi, anche se ovviamente il numero è sottostimato, giacché molti vulcani eruttarono in zone del mondo disabitate, come l'Antartide, oppure in aree del mondo dove i popoli non hanno lasciato testimonianze scritte, come l'Alaska o la Siberia. L'attività ignea (dal latino ignis, "fuoco") è fondamentale per la storia del pianeta Terra e dell'umanità: tanto per cominciare, è il processo di formazione delle rocce più efficace, e lo è stato anche in passato, come dimostra il ritrovamento di rocce ignee risalenti ad ogni epoca geologica. Le ceneri dei vulcani hanno reso fertili pianure vastissime, sostenendo il sorgere della civiltà umana; d'altro canto, ancor oggi almeno 300 milioni di persone vivono in aree interessate da forte vulcanismo, e sono minacciate in modo serio; tra questi vi sono anche gli abitanti di Napoli e della cintura vesuviana, che in totale rappresentano più di tre milioni di persone. Le eruzioni vulcaniche, infine, colpendo zone del pianeta fortemente antropizzate, hanno provocato catastrofi entrate nella leggenda e influenzato fortemente la storia dell'uomo.

I vulcani sono la via naturale attraverso cui il materiale fuso presente nelle profondità della Terra arriva in superficie e trabocca all'esterno, dopo essere risalito attraverso profonde fratture della crosta terrestre. Si dice magma (dal greco "impasto") la massa fusa di composizione fondamentalmente silicatica, ricca di gas disciolti e di cristalli in sospensione, che si forma a grande profondità sotto la superficie della Terra. La fusione delle rocce del mantello terrestre dà vita al cosiddetto magma basaltico, di composizione per lo più basica, la cui solidificazione dà vita alla maggior parte delle rocce ignee. Se invece il magma si ottiene dalla fusione della crosta continentale, che sprofonda e viene rifusa, si parla di magma granitico, di composizione acida, molto più viscoso di quello granitico. Il magma che solidifica in superficie dà vita alle rocce effusive o vulcaniti, quello che solidifica lontano dalla superficie alle rocce intrusive o plutoniti. La struttura delle rocce intrusive è granulare, perchè nelle condizioni in cui esse si formano è favorita la cristallizzazione, e si originano granuli visibili ad occhio nudo; esempi ne sono il granito, il gabbro e la peridotite. Invece le rocce effusive sono caratterizzate da un rapido raffreddamento che non favorisce la cristallizzazione, e così esse sono caratterizzate da una struttura microcristallina o amorfa e da grossi cristalli sparsi, che si formano mentre il magma risale il camino vulcanico verso la superficie. Esempi di rocce effusive sono il basalto, l'andesite e la pietra pomice.

Una colata di lava dell'Etna (in alto) a confronto con la caduta di Gollum nel Monte Fato (in basso)

Una colata di lava dell'Etna (in alto, da questo sito) a confronto con la caduta di Gollum nel Monte Fato (in basso, da questo sito)

 

Spesso il concetto di "magma" viene usato come sinonimo di quello di "lava", ma in realtà tra i due vi è una differenza fondamentale: la lava è il magma che ha perso la componente gassosa in esso disciolta, e dunque rappresenta il magma che fuoriesce da un cratere vulcanico. La parola "lava" (dal latino "labes", "scivolamento"), fu usata per la prima volta dal geologo napoletano Francesco Serao (1702-1783) nel suo saggio "Istoria dell'incendio del Vesuvio accaduto nel mese di maggio 1737", per descrivere l'eruzione del Vesuvio avvenuta fra il 14 maggio ed il 4 giugno 1737. Quando il magma fuoriesce dalla crosta terrestre e diventa lava, avviene una eruzione vulcanica; il tipo di eruzione è diverso a seconda dell'acidità della lava. Infatti le lave più basiche provocano un'attività vulcanica per lo più effusiva, quelle più acide un'attività esplosiva. L'attività effusiva consiste nel lento defluire della lava basica fuori dalla crosta terrestre; la lava contenente molto gas viene emessa sotto forma di "lava aa", termine hawaiano che significa "ardente", dalla superficie tipicamente accidentata, mentre se il gas scarseggia si ha la cosiddetta "lava pahoehoe", pronunciata "paoioi", in hawaiano "su cui si può camminare scalzi", la cui superficie solidifica generando una sottile pellicola, che viene increspata dal movimento della lava sottostante, ancora fluida. Se durante il raffreddamento la lava basica subisce una forte contrazione di volume, si ha una fessurazione colonnare, tipica del basalto. Il caso più classico è il famoso "Selciato dei Giganti", presso la cittadina di Bushmills, in Irlanda del Nord, formato da almeno 40.000 colonne basaltiche alte fino a 12 metri e a base per lo più esagonale, originatesi da una eruzione vulcanica avvenuta 60 milioni di anni fa.

Se il magma contiene acqua e gas, salendo verso la superficie subisce una decompressione che rende meno solubili i gas in esso (la solubilità dipende dalla pressione), e così essi si liberano violentemente dando vita a un'esplosione. Le rocce che compongono il cono vulcanico vengono frantumate e danno vita ai piroclasti (in greco "frammenti infuocati"), che a seconda dello loro dimensioni vengono dette bombe, lapilli o ceneri. I materiali più pesanti e grossolani ricadono per gravità a poca distanza dal cratere, mentre i frammenti piroclastici più fini e leggeri possono essere proiettati negli strati più alti dell'atmosfera e percorrere notevoli distanze prima di depositarsi al suolo. Per compattazione, essi possono dare vita a rocce chiamate piroclastiti. Se i frammenti sono grossolani si parla di breccia vulcanica, se sono più fini di tufo.

Si distinguono tre tipi fondamentali di eruzioni esplosive. Se il magma contiene molto gas, al momento dell'eruzione è in grado di scagliare i piroclasti ad altezze notevoli; in seguito essi ricadono al suolo per gravità, ricoprendo uniformemente il territorio circostante. Se invece il gas disciolto nel magma non è in quantità tale da proiettare i piroclasti verso l'alto, si forma piuttosto una nube ardente, costituita da gas incandescenti che trascinano con sé ceneri e lapilli, che precipita giù come una valanga lungo i fianchi del vulcano, uccidendo ogni forma di vita sul loro cammino. La maggior parte degli abitanti di Pompei ed il celebre erudito romano Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), che era accorso sul posto per studiare da vicino l'eruzione e per soccorrere l'amico Pomponiano, rimasto bloccato nella sua villa di Stabia, furono uccisi proprio dalle nubi ardenti emesse dal Vesuvio che investirono la città e i dintorni. Le rocce derivate dai materiali trasportati con sé dalle nubi ardenti vengono chiamate ignimbriti.

Quando l'eruzione avviene in un vulcano molto alto, la cui sommità è coperta di neve, la lava si mescola con l'acqua di scioglimento, generando una colata di fango o lahar ("lava" in lingua indonesiana). Questo fenomeno è tipico dei vulcani (altissimi) delle Ande, come il Chimborazo (6272 m), definito dagli Indios "il re della morte" per la sua violenta attività eruttiva (è però inattivo da molto tempo), il Sangay (5323 m), il Quilindana (4919 m) e il Pichincha (4787 m), detto "la montagna che bolle". A volte questi fenomeni possono essere davvero disastrosi: il 13 novembre 1985 il vulcano colombiano Nevado del Ruiz, alto 5389 metri e quiescente da sessantanove anni, eruttò improvvisamente e il lahar conseguente spazzò via la cittadina di Armero provocando oltre 23.000 morti. La colata di fango si verifica anche quando alla lava si mescola l'acqua proveniente da una falda sotterranea: si parla allora di eruzione idromagmatica. L'esempio più classico è rappresentato proprio dalla celeberrima eruzione del Vesuvio del 23 agosto 79 d.C.

Il magma basico, essendo molto fluido e ad alta temperatura (sopra i 1200° C), erutta in superficie in modo tranquillo, scorre velocemente sul suolo e dà vita a coni vulcanici molto larghi e piatti, detti vulcani a scudo. Solo nelle prime fasi dell'eruzione i gas possono liberarsi con violenza, generando spettacolari fontane di lava; in seguito invece i gas si liberano più tranquillamente e senza esplosioni di sorta. Alla loro sommità si apre di solito una vasta depressione ovale detta cratere a pozzo: il suo fondo è piatto, e spesso ospita un lago di lava, che fa pensare a un altro famoso lungometraggio fantasy, il disneyano "Il Drago del Lago di Fuoco", del 1981. Si parla di eruzione di tipo hawaiano, perchè i vulcani a scudo più grandi e famosi della Terra si trovano nelle isole Hawaii: il Mauna Kea ("montagna bianca", oggi quiescente, alto 4205 m), il Mauna Loa ("montagna lunga", 4169 m), il Hualālai (2521 m), il Kohala (1670 m) e il Kilauea ("nuvola di fumo che sale", 1247 m). In particolare il Mauna Loa ha un volume stimato di 75.000 km³, il che ne fa il più grande vulcano attivo della Terra per volume; invece il Mauna Kea è considerata la montagna più alta del pianeta, dato che il suo cono poggia sul fondale oceanico profondo più di 5000 m, l'altezza complessiva del Mauna Loa tocca i 9.966 m e supera ampiamente quella dell'Everest. Tutte le isole Hawaii sono state generate da un unico pennacchio caldo in risalita dal mantello terrestre, che ha prodotto una serie di coni vulcanici man mano che la placca si spostava sopra di esso. Sul pianeta Marte sorgono alcuni immensi vulcani a scudo, il maggiore dei quali è l'Olympus, osservato per la prima volta da Giovanni Schiaparelli (1835-1910) durante l'opposizione del 1877, che tocca i 27 km di altezza e i 600 km di diametro, ed è vasto quasi quanto l'intera Francia: queste dimensioni fanno dell'Olympus la montagna più alta dell'intero Sistema Solare. Oggi spento, si pensa si sia formato 250 milioni di anni fa. L'altezza straordinaria è dovuta al fatto che su Marte la gravità è solo un terzo di quella terrestre e non vi è tettonica delle placche, per cui il "punto caldo" proveniente dal mantello, anziché una catena di isole con le Hawaii, ha generato un unico edificio vulcanico di dimensioni mostruose.

Se il magma è meno basico di quello hawaiano, esso ristagna nel cratere e si ricopre di una crosta solida; i gas si raccolgono sotto tale crosta, e a brevi intervalli (da pochi minuti a qualche ora) la mandano in frammenti con moderate esplosioni, che lanciano in aria schizzi di lava incandescente ed altri piroclasti, che giungono fino ad alcune centinaia di metri di altezza e si depositano sulle pendici del vulcano sotto forma di scorie. I gas in violenta espansione risalgono attraverso la lava, dando vita a spettacolari fontane. L'emissione di lava e il lancio di piroclasti in genere si alternano, dando vita ad uno stratovulcano con l'alternarsi di strati lavici e stati piroclastici. Questa eruzione, caratterizzata da una serie di scoppi successivi di media intensità, è detta di tipo stromboliano, perchè esempio caratteristico ne è lo Stromboli, nelle isole Eolie, di cui parla anche Giosuè Carducci nella sua "Leggenda di Teodorico":

« Ecco Stromboli, e la reggia
di Vulcano ardua che fuma,
e fra i bombiti lampeggia
dell'ardor che la consuma... »

Sono vulcani di questo tipo anche l'Etna in Sicilia, il Fujiyama in Giappone e l'Erebus in Antartide. La lava acida produce invece un'eruzione di tipo vulcaniano, nella quale il magma, essendo più viscoso di quello tipico delle eruzioni stromboliane, solidifica all'interno del cratere senza traboccare e blocca il cammino vulcanico; i gas impiegano molto tempo per raggiungere la pressione necessaria; infine la pressione del magma sottostante produce un'esplosione che fa "saltare il tappo", generando un lancio di piroclasti in una grande nube scura, seguita da fasi di effusioni laviche, generando così un altro stratovulcano. Casi emblematici sono l'isola di Vulcano, nelle Eolie, e il Monte St. Helens, nello Stato di Washington. Il 18 maggio 1980 quest'ultimo subì un'eruzione catastrofica che causò il collasso dell'intera parete nord del vulcano, liberando milioni di metri cubi di gas, rocce e lapilli, tanto che la sua altezza passò da 2950 a 2459 metri. La colonna di fumo che si sollevò raggiunse un'altezza di 24 km, e si depositò su 11 stati americani. Nell'eruzione persero la vita 57 persone, un numero limitato perchè i geologi dell'USGS (United States Geological Survey) convinsero le autorità a chiudere al pubblico il parco del Monte St. Helens, nonostante le proteste dei visitatori.

Ecco a confronto l'eruzione del Monte Fato (in alto) nella trilogia di Peter Jackson con quella del Monte St. Helens (sotto) il 18 maggio 1980

 

Vi è poi l'eruzione di tipo pliniano, che prende il nome proprio dalla triste sorte toccata a Gaio Plinio Secondo. Essa inizia con un'esplosione violenta cui segue la risalita di altro magma da maggiore profondità; si ha così l'emissione di cenere fino a grandissima altezza, con la formazione di una caratteristica nuvola a forma di pino marittimo. Le particelle di lava trascinate verso l'alto dai gas si raffreddano bruscamente trasformandosi in pomici, ricadendo su una vasta area, e il tutto è accompagnato dalla formazione di nubi ardenti. Oltre al Vesuvio, una delle più famose e violente esplosioni pliniane della storia è quella del vulcano dell'isola di Santorini, la più meridionale delle isole Cicladi, nel mar Egeo. Nell'Età del Bronzo (una delle date proposte è il 1627 a.C.) essa subì una delle più devastanti esplosioni della storia dell'uomo: la caldera che si originò sprofondò in mare, un getto di lapilli e di gas surriscaldati raggiunse la stratosfera ad una velocità di 2000 km all'ora, e le ceneri oscurarono la luce del giorno, alterando persino il clima; si pensa che il boato dell'esplosione sia stato udito dal Golfo persico fino a Gibilterra! Si generò anche uno tsunami alto fino a 150 m che devastò la costa nord di Creta, distante circa 110 km, e provocò probabilmente il crollo della civiltà minoica. È possibile che il cataclisma abbia ispirato a Platone il racconto della distruzione della mitica Atlantide. Secondo alcuni, anche la "piaga dell'oscurità", una delle Dieci Piaghe d'Egitto descritta in Esodo 10, 21-29, sarebbe un ricordo della densa nube di ceneri che oscurò il sole dopo l'esplosione di Santorini. Da notare che i monti che fanno da confine settentrionale del regno di Mordor, e che proteggevano la torre di Barad-dûr fino alla sua caduta, si chiamano Ered Lithui, in Sindarin "Montagne di Cenere", nome evidentemente dovuto al loro colore grigiastro e al cielo cinerino che li sovrasta perennemente, evidentemente dovuti al fatto che essi sono ricoperti dalle ceneri eruttate dal Monte Fato e depositatesi nei secoli sui loro fianchi!

« Ad ovest, Mordor era fiancheggiato dalla tetra muraglia dell'Ephel Duath, le Montagne del'Ombra; e a nord dai frastagliati picchi e dalle nude creste dell'Ered Lithui, grigi come cenere... »
(SdA, libro IV, cap. III)

Se infine il magma è molto acido, si origina una cupola di ristagno che si accresce in continuazione a causa dell'arrivo dal basso di nuovo magma, fino a che non esplode con notevole violenza, generando una nube ardente. La lava estremamente viscosa viene letteralmente estrusa dal vulcano, accompagnata da nubi ardenti discendenti che partono ad intermittenza dalla base dell'edificio vulcanico. Si parla di eruzione peléana, dal nome del vulcano Pelée, nell'isola di Martinica, che l'8 maggio 1902 distrusse la vicina città di Saint-Pierre, causando 32.000 vittime; secondo la tradizione, alla nube ardente sopravvissero solo quattro persone. Leggiamo l'efficacissima descrizione dell'eruzione dell'Orodruin non appena Gollum precipita nella Voragine del Fato, portando con sé l'Unico Anello:

« I fuochi degli abissi si destarono furibondi, la luce rossa avvampò e tutta la caverna si empì di un grande bagliore infuocato. [...] Gollum mise un piede in fallo, inciampò, vacillò un istante sull'orlo, e poi precipitò con un urlo. Dagli abissi giunse il suo ultimo lamentevole "Tesoro", ed egli scomparve per sempre. Seguì un boato e un immenso tumulto. Fuochi avvamparono sino al soffitto. Il rombo divenne un gigantesco fragore, e la montagna tremò. [...] Le torri crollarono e le montagne franarono, le muraglie si sbriciolarono cadendo in frantumi, mentre immense spirali di fumo e di vapore si sprigionavano sempre più in alto, e come onde ruggenti dalle creste incrinate e spumeggianti si riversavano su tutta la terra. Finalmente si udì un rombo che crebbe sino a divenire un boato ruggente, la terra tremò, la pianura si sollevò scricchiolando e l'Orodruin oscillò. La sua cima spaccata vomitò fiumi di fuoco. »
(SdA, libro VI, cap. III)

Decisamente sembra proprio la descrizione di un'eruzione peléana! È mai esistito, nel nostro mondo, un vulcano che si è comportato come il Monte Fato, subendo un'eruzione così catastrofica? Sì, si tratta del Tambora. Questo vulcano sorge sull'isola di Sumbawa, nell'arcipelago indonesiano della Sonda, e l'11 aprile 1815 diede inizio, con una serie di potenti boati, alla più violenta eruzione vulcanica dei tempi moderni, con abbondanti emissioni di cenere che oscurarono il cielo e terremoti sempre più forti. Tre mesi di scoppi e convulsioni provocarono nel Tambora una diminuzione di quota di 1.300 metri, da 4.100 agli attuali 2.850. Complessivamente vennero proiettati nell'atmosfera circa 150 miliardi di metri cubi di roccia e ceneri, e l'esplosione provocò almeno 60.000 morti, anche a causa dello tsunami che seguì al disastro. Questa eruzione vomitò un tale quantitativo di cenere e fumo, da produrre un denso "velo" di polveri nella stratosfera, aggravato da altre violente eruzioni avvenute nello stesso periodo. Questo velo sopravvisse per molti anni e schermò i raggi solari al punto che il 1816, l'anno successivo all'eruzione, fu ricordato come l'"anno senza estate". Cinque amici scrittori, e cioè George Byron (1788-1824), Percy Bysshe Shelley (1792-1822), la sua amante Mary Wollstonecraft Godwin (1797-1851), la sorellastra di quest'ultima Claire Clairmont (1798-1879) e John William Polidori (1795-1821), bloccati nella Villa Diodati di Ginevra da una serie di nubifragi che impedirono loro di godersi il sole estivo, la sera del 16 giugno 1816 decisero di sfidarsi a una gara letteraria su chi avrebbe scritto il romanzo horror più terrificante mai composto prima di allora (si era allora in pieno Romanticismo). L'opera di Byron restò incompiuta; Claire non ebbe fortuna come scrittrice; Shelley iniziò una storia di fantasmi ma poi si tirò fuori dal gioco; Polidori diede inizio alla fortunata saga letteraria dei vampiri; la vincitrice della sfida fu però sicuramente Mary, il cui "Frankenstein" divenne una pietra miliare della narrativa del terrore. E così, la catastrofica esplosione del Tambora condusse alla nascita della moderna letteratura horror, esattamente come l'eruzione del Monte Fato consentì a Frodo (anzi, a Gollum) di distruggere l'Anello, e di raccontare la più grande avventura fantasy che sia mai stata concepita!

Questa descrizione ci fa comprendere l'importanza di riuscire a prevedere l'approssimarsi di un'eruzione vulcanica, così da preallertare le popolazioni delle zone minacciate e dare inizio alla procedura di evacuazione. Purtroppo, come nel caso dei terremoti e degli uragani, tutto questo è facile a dirsi, ma non altrettanto a farsi. Il più importante obiettivo dei vulcanologi potrebbe però diventare presto realtà grazie ad una tecnologia tutta italiana: un radar laser messo a punto dall'Enea, e basato su una tecnologia molto sofisticata che permette, per la prima volta, di misurare la concentrazione di CO2 nei gas vulcanici, un'operazione che con altre tecniche è difficile, lenta, pericolosa e complicata. « Misurare il biossido di carbonio nei fumi vulcanici è una sfida scientifica e tecnologica di estrema importanza, perché è ormai assodato che le eruzioni sono precedute dall'aumento di questo gas nel fumo che esce dal cratere », ha spiegato Luca Fiorani del laboratorio diagnostiche e metrologia del centro Enea di Frascati che ha sviluppato il radar-laser. Esso è stato messo a punto nell'ambito del progetto europeo Bridge ("Bridging the Gap between Gas Emissions and Geophysical Observations at Active Volcanoes") dell'European Research Council, coordinato da Alessandro Aiuppa dell'Università di Palermo, ed è stato chiamato "Billi", acronimo di "BrIdge voLcanic LIdar". Grazie ad un sistema di specchi, il fascio laser può essere orientato in qualsiasi direzione, mirando con precisione la zona del cratere da investigare. I primi test sul campo sono stati compiuti nell'ottobre 2014 presso la solfatara di Pozzuoli con il supporto dei ricercatori del laboratorio di chimica ambientale dell'Enea. "Billi" è in grado di misurare fino ad un chilometro di distanza, e permetterà di effettuare scansioni dei pennacchi vulcanici, simili alle tomografie, con rapidità e continuità molto superiori a quelle ottenute finora, ma si presta anche ad altre applicazioni in ambienti ostili, come i siti dove si è sviluppato un incendio, o in contesti industriali o cittadini dove ci sono emissioni dovute a processi di combustione.

Vi è però sulla Terra qualcosa di peggio di un'eruzione pliniana o peléana: mi riferisco in particolare ai cosiddetti supervulcani. Con questo termine, coniato nel 2000 da un programma divulgativo scientifico della BBC, "Horizon", ci si riferisce a una dozzina di enormi caldere, depressioni circolari che arrivano ad avere un diametro di molte decine di chilometri, che non sono dovute al collasso di precedenti edifici vulcanici ma sono generate da un "punto caldo" situato in profondità sotto di esse. Tali strutture non sono considerate dei vulcani propriamente detti, in quanto non presentano edifici vulcanici visibili, ma una depressione di origine vulcanica. n pratica, un'enorme bolla di magma risale dal mantello terrestre verso la superficie e fonde una parte della crosta. Al di sopra del magma la pressione rigonfia la crosta soprastante, sulla quale di conseguenza si formano delle fratture, specialmente lungo un anello che corrisponde alla parte esterna del rigonfiamento. Le fratture arrivano alla camera magmatica e innescano la risalita di magmi; in tal modo, lungo questo anello si formano vari centri eruttivi. Le fratture aumentano di numero e di dimensione fino a che la caldera collassa; il collasso provoca lo svuotamento della camera magmatica, con l'emissione di un'enorme quantità di tufi, ignimbriti e piroclastiti. All'interno delle grandi caldere si verifica inoltre un vulcanismo di tipo secondario, rappresentato da geyser, fumarole e sorgenti termali. Fino ad oggi non è mai stata osservata un'eruzione di questo tipo di caldere, che fanno registrare periodi di quiescenza di centinaia di migliaia di anni tra un'eruzione e l'altra, anche se è possibile osservare le tracce geologiche di imponenti eruzioni passate, veri e propri cataclismi che certamente furono in grado di modificare radicalmente il paesaggio e condizionare pesantemente il clima a livello mondiale per diversi anni.

Tra i supervulcani il più noto è quello che si trova sotto il parco nazionale di Yellowstone, istituito nel 1872 nello stato del Wyoming: una spettacolare successione di caldere che mostra il movimento nel tempo della placca nordamericana al di sopra del pennacchio, a partire da 15 milioni di anni fa, quando incominciò l'attività (all'epoca il pennacchio era sotto l'odierno Idaho). Infatti il parco è famoso per i numerosi geyser, le sorgenti calde a 200° C e altri fenomeni geotermici. Il geyser più noto è senz'altro l'"Old Faithful" ("Vecchio Fedele"), così detto per la sua regolarità: ogni 96 minuti vomita getti di acqua bollente alti tra i 30 e i 55 metri, e si pensa sia attivo ininterrottamente da tre secoli! Per trovare supervulcani non bisogna però andare troppo lontano: rientrano in questa categoria anche i Campi Flegrei, e recentemente ne è stato scoperto uno supervulcano in Valsesia, tra Varallo e Borgosesia, che ha subito un'eruzione violentissima 250 milioni di anni fa. Ma sicuramente il peggior supervulcano di cui si abbia notizia è quello che ha dato vita al lago Toba, nell'isola di Sumatra, in Indonesia. Nel 1949 il geologo olandese Rein van Bemmelen (1904-1983) dimostrò che la depressione di forma ellittica, con gli assi di 100 e 30 chilometri, che oggi ospita il lago è il risultato di quattro caldere adiacenti, formatesi un milione e duecentomila anni fa. Circa 78.000 anni fa questo supervulcano diede vita alla peggior eruzione degli ultimi 25 milioni di anni sul pianeta Terra, emettendo 3.000 chilometri cubi di materiale che seppellì l'intera regione sotto metri e metri di depositi, i quali oggi possono essere rinvenuti su tutte le coste dell'Oceano Indiano. L'eruzione durò settimane o mesi, e alla fine l'intera regione collassò lasciando un grande cratere che si riempì d'acqua, e al centro sorse una nuova montagna, che oggi forma l'isola di Samosir e raggiunge i 1600 metri di altitudine. Sicuramente un simile evento alterò completamente il clima terrestre, tanto da spingere molti organismi sull'orlo dell'estinzione. Nel 1998 il professor Stanley H. Ambrose dell'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign, studiando i mitocondri umani, propose che proprio all'epoca del cataclisma del lago Toba la specie umana fu ridotta a poche migliaia di individui nell'attuale Sudafrica: è quello che viene chiamato il « collo di bottiglia » dell'evoluzione umana. Esso spiegherebbe almeno in parte la scarsa variabilità genetica della nostra specie, e ci fa capire quanto è problematica la nostra sopravvivenza sul Pianeta Terra, che troppo spesso invece noi trattiamo come una proprietà personale che ci è lecito distruggere a piacimento.

Tanto per realizzare un "cortocircuito" tra diverse saghe fantastiche, nelle immagini sottostanti si vede l'esplosione di un supervulcano ricostruita al computer nella puntata della seconda stagione del telefilm "Stargate Atlantis" intitolata "Inferno" (raramente il titolo di un episodio fu più azzeccato!)

L'esplosione di un supervulcano ricostruita al computer nella puntata della seconda stagione del telefilm "Stargate Atlantis" intitolata "Inferno"

Qualcosa del genere può accadere di nuovo anche ai nostri giorni? Certamente sì, e sempre nel Pacifico. Infatti di recente Yoshiyuki Tatsumi e Keiko Suzuki, professori di Scienze della Terra all'Università di Kobe, hanno diffuso uno studio secondo il quale vi sarebbe una possibilità dell'uno per cento nell'arco di un secolo che il Giappone sia interessato da una catastrofica eruzione vulcanica, tale da cambiare per sempre l'aspetto dell'arcipelago giapponese. E se credete che l'1 % di probabilità in un periodo di cento anni sia trascurabile, pensate che anche nel 1995 uno studio affermò che vi era l'uno per cento di probabilità che la città di Kobe venisse colpita entro 30 anni da un importante terremoto, e pochi giorni dopo, il 17 gennaio precisamente, una scossa di 7,2 gradi Richter provocò oltre 6.400 morti, 4.400 feriti e ingenti danni! Per giungere alle loro inquietanti conclusioni, i due ricercatori hanno analizzato la portata e la frequenza delle 4.500 eruzioni vulcaniche avvenute in Giappone negli ultimi 120.000 anni, che hanno emesso almeno 100 miliardi di tonnellate di materiale, e calcolato che la possibilità dell'eruzione di un supervulcano è pari all'uno per cento nei prossimi cento anni. Eruzioni ancora più gigantesche, con l'emissione di mille miliardi di tonnellate di materiale, hanno una probabilità dello 0,25 % in cento anni. E non ci sarebbe da sorprendersene troppo, visto che il Giappone ospita il 7 % di tutti i vulcani che sono entrati in eruzione nel mondo negli ultimi 10.000 anni! In particolare le ricerche dei due geologi si sono concentrate soprattutto sull'isola di Kyushu, la più meridionale delle quattro principali che formano l'arcipelago nipponico, e in particolare sulla caldera Aira di 23 km di diametro, presso la città di Kagoshima, formatasi 28.000 anni fa. Kyushu è stata teatro dell'eruzione di sette supervulcani negli ultimi 120.000 anni, e un'area di 30.000 chilometri quadrati popolata da ben 7 milioni di persone potrebbe essere sepolta da lava e flussi piroclastici in sole due ore! Le ceneri poi potrebbero essere trasportate dai venti sull'isola di Honshu, la maggiore del Giappone, sulla quale sorgono tutte le principali città del Sol Levante come Tokyo, Osaka e Kyoto, facendo collassare infrastrutture e trasporti fino a rendere l'area praticamente inabitabile. Insomma, potrebbe ripetersi il caso della caldera Kikai, che eruttò 7.300 anni fa: ci vollero circa mille anni prima che sull'area devastata dall'eruzione potessero ristabilirsi insediamenti umani. In Giappone lo studio dell'Università di Kobe ha destato notevole impressione, sebbene i nipponici siano abituati ai fenomeni tettonici. Infatti il Giappone fa parte della cosiddetta "Cintura di Fuoco del Pacifico". In pratica, per effetto della Tettonica delle Placche, l'Oceano Atlantico si sta tuttora allargando, attraverso la costruzione di nuova crosta oceanica nella dorsale medio-atlantica, mentre l'Oceano Pacifico si sta restringendo: la crosta basaltica che ne costituisce il fondo sta letteralmente scivolando sotto la placca eurasiatica e la placca indoaustraliana ad ovest, e sotto la placca nordamericana e la placca sudamericana ad est. Tale fenomeno prende il nome di subduzione (dal latino "portare sotto"). Quando la crosta basaltica giunge alla profondità di circa 100 km fonde, dando vita a un magma molto meno denso della roccia circostante, che perciò risale verso l'alto e dà vita a un anello di vulcani attivi che circondano tutte le coste di quell'oceano, dall'Alaska fino all'Antartide. Tale anello è esteso per ben 40.000 km, cioè quanto l'intera circonferenza terrestre, e al momento presente è formato da ben 450 vulcani, pari al 75 % dei vulcani attivi dell'intero pianeta Terra. Questi vulcani formano spesso archi insulari paralleli alle zone di subduzione, che coincidono con le fosse oceaniche. È questo il caso del Giappone, che corre parallelamente all'omonima Fossa Nipponica, estesa per 800 chilometri dalle isole Curili alle isole Bonin, la quale sprofonda fino a 9.000 metri di profondità. In epoca antica anche nell'Atlantico esisteva un grande arco insulare, il cosiddetto Continente di Avalonia, le cui rocce si ritrovano oggi in Polonia, nella Germania settentrionale, nei Paesi Bassi, nel Belgio, nell'Inghilterra, nel Galles, nella parte sud-orientale dell'isola di Terranova (la cui penisola di Avalon ha dato il nome al continente fossile) e nella parte orientale della Nuova Inghilterra (Maine, Connecticut, Massachusetts e Rhode Island). Quando infatti l'Oceano Giapeto, precursore dell'odierno Oceano Atlantico, si chiuse tra i 490 e i 390 milioni di anni fa, nei periodi geologici chiamati Ordoviciano, Siluriano e Devoniano, la fusione della crosta basaltica provocò l'emergere di questo arco insulare, che poi fu schiacciato contro quello che sarebbe divenuto il continente nordamericano, al momento della nascita del supercontinente di Pangea, dando vita a quella che noi chiamiamo Nuova Inghilterra, e che poi rimase in parte sulla costa occidentale e in parte sulla costa orientale dell'Oceano Atlantico, apertosi circa 150 milioni di anni fa, alla fine del Giurassico.

Questo naturalmente fa sì che noi ci poniamo un'inevitabile domanda: vi è traccia di deriva dei continenti, nella geografia dell'universo tolkieniano? Sì, ve ne è. Nel volume "Origins: The Evolution of Continents, Oceans, and Life" (2001), Ron Redfern fa notare che il "Signore degli Anelli" è stato pubblicato più di dieci anni prima della definitiva accettazione da parte della comunità internazionale della Teoria della Deriva dei Continenti, proposta per la prima volta nel XVII secolo dal gesuita Athanasius Kircher (1602-1680), e formulata nella sua versione moderna nel 1911 dal tedesco Alfred Wegener (1880-1930). Tuttavia, la mappa della Terra di Mezzo allegata alla trilogia mostrerebbe straordinarie analogie con la parte centrale della Pangea, il supercontinente esistito tra Permiano e Triassico, e quindi fra 300 e 180 milioni di anni fa. Per scoprire questa analogia basta ruotare di novanta gradi in senso orario la carta suddetta. Tra l'altro la Terra di Mezzo è praticamente tagliata in due dalle Montagne Nebbiose (in Sindarin Hithaeglir), la maggior catena montuosa della Terra di Mezzo, estesa per oltre mille miglia da nord verso sud, separando l'Eriador dal Rhovanion, le terre selvagge; Khazad-dûm si trovava nel centro di esse. Nel Silmarillion se ne racconta un'origine mitica:

« Gli Hithaeglir, le Torri di Bruma ai limiti di Eriador, erano, in quei giorni, più alte e minacciose, e a innalzarle era stato Melkor per ostacolare le cavalcate di Oromë... »
(QS, cap. III)

Tuttavia, la Teoria della Tettonica delle Placche, elaborata nel 1962 da Harry Hammond Hess (1906-1969), ci insegna che l'orogenesi, cioè il meccanismo di formazione delle montagne, è innescata dalla collisione di due continenti con la completa consumazione della litosfera oceanica che li separava. Come accade quando si spingono l'uno verso l'altro i due margini di una tovaglia, sì che essa si piega e si solleva al centro, così la crosta continentale si corruga, dando vita a catene montuose parallele alla linea di subduzione. La placca che conteneva l'oceano tende a scorrere sotto l'altra, venendo quasi completamente trascinata in profondità nel mantello, e di essa rimangono soltanto dei "fossili" sotto forma di porzioni di crosta oceanica più o meno deformate, intrappolate nella catena montuosa: sono chiamate ofioliti, ed il processo che le ingloba nelle montagne è chiamato obduzione. L'esempio più noto di questo fenomeno è la formazione della catena montuosa dell'Himalaya, che si è generata grazie alla spinta esercitata dal subcontinente indiano sul continente Eurasiatico. Dunque le Montagne Nebbiose possono essersi formate solo in un modo: dalla collisione di due precedenti continenti, dalla cui fusione nacque la Terra di Mezzo. Tra l'altro, Ron Redfern fa notare che il fiume Isen nella Terra di Mezzo separa le Montagne Nebbiose dai Monti Bianchi di Gondor, esattamente come nel Permiano e nel primo Mesozoico l'antenato dell'attuale Mississippi scorreva attraverso una valle tra i monti Appalachi e la loro naturale continuazione, le Wichita Mountains. La Pangea si originò dall'urto del continente meridionale di Gondwana (corrispondente alle attuali Africa, India, Sudamerica, Australia e Antartide) contro il continente settentrionale di Laurasia (comprendente Nordamerica ed Eurasia), iniziato 320 milioni di anni fa. L'urto diede vita alla cosiddetta Orogenesi Ercinica, che prende il nome dalla Selva Ercinia, l'immensa distesa boscosa che copriva in epoca romana l'attuale Germania; tale termine fu coniato nel 1880 dal geologo austriaco Eduard Suess (1831-1914). L'orogenesi ercinica è oggi rintracciabile in Portogallo, in Galizia, nel sudovest dell'Irlanda, nella Cornovaglia, nella Bretagna francese, nelle Ardenne, nel Massiccio Centrale, nei Vosgi, nella Foresta Nera, in Corsica, in Sardegna, in Calabria, nel Massiccio Boemo, in Marocco, nei già citati Monti Wachita e negli Appalachi. Anche gli Urali, il Pamir e il Tien Shan sono attribuibili all'orogenesi ercinica. Il corrispondente dell'Orogenesi Ercinica nel Mondo di Tolkien dovrebbe forse essere chiamata Orogenesi Omicleana (dal greco "omicle", "nebbia"), visto che ha dato origine alle Montagne Nebbiose, anche se forse bisognerebbe coniare per questo fenomeno orogenetico un nome in elfico: proporrei Orogenesi Hithiana, dal Sindarin "hith", cioè sempre "nebbia". Dato che si tratta di montagne molto elevate, è evidente che tale orogenesi deve essere una delle più recenti su scala geologica, così come l'Orogenesi Alpina nel nostro universo.

La Terra di Mezzo com'era 70 milioni di anni fa!

Ogni volta che su una cartina geografica vediamo snodarsi una catena montuosa, ciò significa che lì due masse continentali molto antiche si sono scontrate, e questo vale anche per il pianeta Arda. Ne consegue che la fantomatica Orogenesi Hithiana deve aver avuto origine dalla chiusura di un mare e dallo scontro di due masse continentali. Per puro diletto, io ho provato ad immaginare questo scontro, costruendo una fanta-cartina geologica simile a quella della Pangea nel nostro universo, e il risultato lo vedete qui sopra (le catene montuose esistenti all'epoca di Frodo e Sam sono evidenziate in grigio). Le Montagne Nebbiose sono nate dallo scontro tra l'Esturia (o Rómenor in lingua Quenya), un'immaginaria massa continentale formata dal grosso delle regioni orientali della Terra di Mezzo, e un continente più piccolo che ho chiamato Beleriandia, perchè in quella regione nella Prima Era del Mondo (corrispondente, come vedremo tra poco, all'era Paleozoica) era esistito il mitico Beleriand, la Terra di Balar (uno dei nomi del Maia Ossë). Il sollevamento di queste montagne avrebbe causato la chiusura di un mare, che per assonanza mnemonica chiameremo Mar Nebbioso. E non è tutto: anche i Monti Bianchi dell'Anorien, che separano Gondor da Rohan, si sono sollevati in seguito alla collisione tra l'Esturia e un microcontinente che ho chiamato Gondoria. La cartina mostra l'immaginaria situazione delle masse continentali di Arda circa 70 milioni di anni fa quando, come si vede, esse erano popolate di dinosauri. L'Orogenesi Hithiana sarebbe iniziata allora e sarebbe ancora in corso al momento della Guerra dell'Anello. I triangoli rossi rappresentano una cintura di isole vulcaniche emerse dal Mar Nebbioso proprio per effetto della chiusura di tale mare: la crosta oceanica sparisce dentro una linea di subduzione, scivolando sotto il continente di Beleriandia; la fusione di tale roccia basaltica, e quindi più leggera, ne provoca la risalita e la formazione di un arcipelago vulcanico simile al Giappone. La chiusura definitiva del Mar Nebbioso, che possiamo collocare fra 25 e 35 milioni di anni fa, ha portato le rocce ignee di tale arcipelago ad essere inglobate nelle nascenti Montagne Nebbiose: in tal modo si sarebbe formata la miniera di Mithril sotto la montagna di Moria. Inoltre, così come l'avvicinarsi progressivo della placca africana a quella eurasiatica ha portato alla formazione dei vulcani italiani (Vesuvio, Etna, Stromboli, ma anche i Campi Flegrei, i Colli Euganei, vecchi di 30 milioni di anni, e il vulcano sottomarino Marsili), così la pressione di Beleriandia e Gondoria contro l'Esturia ha provocato il forte vulcanismo della regione di Mordor, permettendo il nascere di Monte Fato, che possiamo pensare abbia la stessa età dell'Etna, cioè circa mezzo milione di anni. Anche dal punto di vista geologico, la geografia fantasy di Tolkien è dunque perfettamente coerente!

Naturalmente voi potreste obiettarmi che cercare di stendere una storia geologica della Terra di Mezzo sembra fare a pugni con il modello "creazionista" propugnato dal "Silmarillion", nel quale - come si è visto sopra - i continenti sono stati forgiati da Aulë il Fabbro, ma in realtà nulla esclude che il potente Vala del Fuoco abbia creato i continenti e le montagne usando una sorta di tettonica delle placche, anziché menare il martello come una sorta di novello Thor per plasmare pianure e montagne!

Dato che abbiamo citato le Ere Geologiche, vale la pena di dire due parole su di esse, anche se vi ho già dedicato un altro ipertesto, al quale vi rimando. Fino alla fine del Settecento perfino la maggior parte degli scienziati era convinta che la cronologia della formazione del Pianeta Terra fosse coerente con le Sacre Scritture, e il mondo non potesse avere più di seimila anni (secondo il vescovo anglicano irlandese James Ussher la Terra sarebbe stata creata alle ore 9.00 del 26 ottobre 4004 a.C.). Il primo a ritenere tale età troppo breve per la formazione delle rocce fu Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon (1707-1788), il quale, basandosi sul tempo di raffreddamento di una sfera di acciaio arroventata, stimò che l'età della Terra avrebbe dovuto essere almeno di 80.000 anni. Nel 1785 il fisico scozzese James Hutton (1726-1797) intuì che la Terra è molto più antica, poiché 80.000 anni non sono ancora sufficienti per spiegare i fenomeni tettonici, e che il tempo geologico aveva un'estensione tale da superare ogni durata confrontabile con la vita dell'uomo, mentre nel 1854 Hermann von Helmholtz (1821-1894) stimò per la Terra una età compresa tra i 20 ed i 40 milioni di anni, basando le sue stime sul tasso di produzione di energia irradiata dal Sole. Il famoso fisico inglese William Thomson (1824-1907), meglio conosciuto come Lord Kelvin e tra i fondatori della termodinamica, parlò invece di 400 milioni di anni di età. Intanto, la scoperta di fossili di animali e piante molto antichi e, come i dinosauri, molto diversi dagli attuali, e la pubblicazione nel 1859 dell'"Origine delle Specie" di Charles Darwin (1809-1882) confermò questa scala temporale. Nel XX secolo, grazie ai metodi di datazione radioattiva, lo studio delle rocce e dei fossili ha permesso di fissare l'età della Terra dalla sua origine fino a oggi in 4,54 miliardi di anni. Tale età è stata divisa dai geologi e dai paleontologi in lunghi intervalli di tempo, chiamati ere, a loro volta divise in periodi. Abbiamo così l'era Precambriana o Archeozoica ("della vita primitiva"), l'era Primaria o Paleozoica ("della vita antica"), l'era Secondaria o Mesozoica ("della vita intermedia"), l'era Terziaria o Cenozoica ("della vita recente") e l'era Quaternaria o Neozoica ("della vita nuova"). Da notare che anche la storia di Arda è stata divisa in ere, dalla Prima alla Quarta, come è contenuta nell'Appendice B del "Signore degli Anelli". Ecco un possibile confronto fra la cronologia geologica della Terra e quella di Arda:

Era Archeozoica
Formazione della crosta terrestre e degli oceani; nascita della vita

Adeano

ERA DEGLI ALBERI
Aulë il Fabbro crea i Nani; Varda accende le stelle in vista del risveglio degli Elfi

Archeano
Algonchiano

Era Paleozoica
Esplosione della vita sulla Terra; l'ossigeno si accumula nell'atmosfera; la vita esce dal mare; si evolvono gli invertebrati, i pesci, gli anfibi, e infine i rettili

Cambriano

PRIMA ERA
Gli Elfi si risvegliano, dominano il Beleriand e si trasferiscono in Occidente. Melkor distrugge gli Alberi e ruba i Silmaril; i Valar creano il Sole e la Luna; si risvegliano gli Uomini; Guerra d'Ira e sconfitta di Melkor

Ordoviciano
Siluriano
Devoniano
Carbonifero
Permiano

Era Mesozoica
I dinosauri dominano il mondo; compaiono mammiferi e uccelli

Triassico

SECONDA ERA
Ai Dúnedain è donata l'isola di Númenor; suo splendore e sua successiva caduta

Giurassico
Cretacico

Era Cenozoica
Dopo l'estinzione dei dinosauri, i mammiferi dominano il mondo; si evolvono i primati e gli ominidi

Paleocene

TERZA ERA
Isildur e Anarion fondano i Regni in Esilio di Arnor e Gondor; lunga lotta contro Sauron e sua definitiva sconfitta ad opera degli Hobbit

Eocene
Oligocene
Miocene
Pliocene

Era Neozoica
Si evolve la specie Homo; l'uomo domina il mondo

Pleistocene

QUARTA ERA
Il regno è riunito. Inizio della Storia come noi la conosciamo

Olocene
Antropocene

L'Era Archeozoica va da 4540 a 542 milioni di anni fa, e quindi durò quasi 4 miliardi di anni; l'Era Paleozoica da 542 a 251 milioni di anni fa, e quindi durò 291 milioni di anni; l'Era Mesozoica da 251 a 65 milioni di anni fa, e quindi durò 186 milioni di anni; l'Era Cenozoica da 65 a 1,8 milioni di anni fa, e quindi durò 63,2 milioni di anni; l'Era Neozoica da un milione e ottocentomila anni fa ad oggi, quindi durò 1,8 milioni di anni. Come confronto, l'Era degli Alberi durò 1500 anni degli Alberi, e siccome in "The War of the Jewels" ("La guerra dei gioielli", l'undicesimo volume della raccolta "The History of Middle-earth") Tolkien dice che un anno degli Alberi equivale a circa 9,3 anni solari, ne consegue che essa sarebbe durata 1500 x 9,3 = 13950 anni. Invece la Prima Era di Arda comincia nell'anno 1050 degli Alberi e finisce nell'anno 583 del Sole. Considerando che il Sole sorse la prima volta nell'anno 1501 degli Alberi, se ne deduce che la Prima Era di Arda durò 450 x 9,3 + 583 = circa 4768 anni. Invece la Seconda Era di Arda durò 3441 anni, come si evince anche ne "Il lignaggio di Elros, Re di Númenor", pubblicato nei "Racconti incompiuti". La Terza Era di Arda durò invece 3021 anni, come detto nelle appendici A, B e C de Il Signore degli Anelli ("Annali dei Re e Governatori", "Il Calcolo degli Anni" e "Alberi genealogici"). La durata della Quarta Era di Arda non è conosciuta, l'appendice B del "Signore degli Anelli" giunge solo fino all'anno 170 di questa era. In una lettera a Rhona Beare datata 14 ottobre 1958, Tolkien scrisse che immaginava un divario di circa 6000 anni tra la Guerra dell'Anello e il nostro presente. Se, come suppone il professor Franco Manni di Brescia, studioso di Tolkien, la Quarta Era ha fine con quello che noi chiamiamo "Diluvio Universale", tradizionalmente datato al 2348 a.C., se ne deduce che la Quarta Era è durata circa 1650 anni (oggi ci troveremmo all'inizio della Settima Era del Mondo). Gli inizi della Prima, della Seconda e della Terza Era di Arda andrebbero invece collocati intorno al 15.200 a.C., al 10.500 a.C. e al 7000 a.C. rispettivamente, mentre l'Era degli Alberi inizierebbe addirittura intorno al 29.000 a.C. Se invece si tiene conto che un Anno dei Valar equivale a 144 anni terrestri, e che i Due Alberi furono creati nell'anno 3501 dei Valar, se ne deduce che quando Telperion e Laurelin iniziarono a brillare, erano già trascorsi 3500 x 144 = 504.000 anni dall'ingresso dei Valar nel mondo, così descritto nel "Silmarillion":

« A lungo i Valar travagliarono nelle regioni di Eä, la cui vastità trascende il pensiero di Elfi e Uomini, finché a tempo debito fu fatta Arda, il Regno della Terra. Poi essi assunsero abito terrestre, e in essa scesero e vi dimorarono. »
(Valaquenta)

La Terra dunque sarebbe stata creata intorno all'anno 533.000 a.C.: una datazione dello stesso ordine di grandezza di quella di Buffon, piuttosto che di quella di Helmholtz o di Lord Kelvin. Tempi decisamente più lunghi di quelli biblici, dunque, ma assai più brevi in confronto alla cronologia geologica moderna!

Gandalf contro... il Tyrannosaurus rex!

Gandalf contro... il Tyrannosaurus rex!

Proprio il "creazionismo" che sembra dominare il "Silmarillion" sembrerebbe escludere che nel Legendarium possano comparire degli... animali preistorici. Eppure, incredibilmente, in uno dei punti cruciali de "Il Ritorno del Re" ne vediamo comparire uno! Si tratta del mostruoso animale alato cavalcato dal Re degli Stregoni di Angmar: 

« La grande ombra scese come una nuvola cadente. E, meraviglia! era una creatura alata: se uccello, assai più grande di qualunque altro uccello, e stranamente nudo, sprovvisto di penne e di piume, e le sue immense ali parevano pelle tese fra grinfie di corno; emanava un fetore mortale. Era forse una creatura di un mondo  scomparso, la cui razza, sopravvissuta in montagne nascoste e fredde sotto la Luna, non si era ancora estinta, covando questi ultimi arcaici esemplari, creati per la malvagità. »
(SdA, libro V, cap. IX)

Non c'è alcun dubbio: si tratta di uno Pterosauro! È un grande animale volatore senza penne, con ali simili a quelle dei pipistrelli con tanto di patagio, ed è detta provenire « da un mondo scomparso », cioè da un'era geologica passata, dal momento che quel "mondo scomparso" ricorda troppo da vicino "Il Mondo Perduto", titolo di un celeberrimo romanzo del 1912 di Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930) che descrive per l'appunto un acrocoro del Sudamerica sul quale è sopravvissuta la fauna del Mesozoico. La creatura « non si era ancora estinta » perchè in effetti avrebbe dovuto esserlo: infatti gli Pterosauri si sono tutti estinti alla fine dell'Era Secondaria, insieme ai dinosauri e ai rettili marini, dei quali erano contemporanei.

Gli Pterosauri (in greco "lucertole alate") furono, per quanto ne sappiamo, i primi vertebrati in grado di volare. Comparvero durante il Triassico, oltre 230 milioni di anni fa, e sopravvissero sulla Terra per quasi 170 milioni di anni. Un tempo erano classificati tra i Dinosauri, ma oggi li si considera appartenenti ad un ordine separato; Dinosauri, Pterosauri, rettili marini e gli odierni coccodrilli vengono riuniti nel superordine degli Arcosauri. L'estrema specializzazione degli Pterosauri per il volo li ha resi nettamente distinti dai loro antenati, rendendo difficile ricostruire le loro parentele evolutive. Mentre gli uccelli hanno l'arto trasformato in ala, gli Pterosauri avevano il quarto dito della mano abnormemente allungato, in modo da sostenere una membrana di pelle che arrivava fino agli arti inferiori; le altre tre dita, munite di artigli, erano libere e permettevano loro di aggrapparsi ai rami. Un altro adattamento al volo era rappresentato dalla leggerezza del loro scheletro, per via delle ossa cave, con sacche aeree che si innestavano in esse, rendendo gli Pterosauri in grado di massimizzare la capacità di respirazione. A terra sembra che gli Pterosauri mantenessero un'andatura quadrupede, accostando le ali al corpo e camminando come plantigradi. Nei loro fossili non si sono mai trovate tracce di piume, ed invece sono state trovate tracce di pelo: un ritrovamento tale da rafforzare l'ipotesi che gli Pterosauri fossero animali a sangue caldo, come richiesto dal loro iperattivo metabolismo. Se è così, forse alcune specie avevano abitudini notturne. Un tempo si pensava che gli Pterosauri divorassero tutti solo pesce, oggi invece sappiamo che la loro dieta era molto varia: vi erano specie insettivore, frugivore e carnivore specializzate in molluschi o piccoli dinosauri.

Ecco a confronto alcuni Pterosauri del Cretacico e l'orrenda creatura alata che serve da cavalcatura ai NazgûlEcco a confronto alcuni Pterosauri del Cretacico e l'orrenda creatura alata che serve da cavalcatura ai Nazgûl

Ecco a confronto alcuni Pterosauri del Cretacico (in alto, da questo sito) e l'orrenda creatura alata che serve da cavalcatura ai Nazgûl (in basso, da questo sito)

 

L'ordine degli Pterosauri è tradizionalmente diviso in due sottordini: Ranforincoidi ("dal muso adunco") e Pterodattili ("dita alate"). I primi sono gli Pterosauri più antichi, di piccole dimensioni, con ali falciformi, una testa piccola e tozza con la bocca irta di denti, una lunga coda terminante con un lembo di pelle a forma di pagaia; sopravvissero fino alla fine del Giurassico, circa 150 milioni di anni fa. Invece gli Pterodattili erano più evoluti, comparvero nel Giurassico medio, avevano una coda molto corta collegata alle zampe da membrane cutanee, un vero e proprio becco in genere sprovvisto di denti e delle creste appariscenti, delle quali tutti i ranforincoidi erano sprovvisti, usate probabilmente come richiami sessuali. Inoltre, se i ranforincoidi potevano raggiungere al massimo i 180 cm di apertura alare di Rhamphorhynchus muensteri, gli pterodattili toccavano i 12 m di apertura alare del Quetzalcoatlus northropi, il maggior animale volatore mai comparso sulla Terra, che porta il nome del Serpente Piumato della mitologia azteca. Sicuramente dunque il mostro cavalcato dal Signore dei Nazgûl era uno pterodattilo, e pure di grandi dimensioni, anche se esse non impedirono a Dernhelm/Éowyn di mozzargli il capo di netto.

Fino a poco tempo fa si pensava che gli Pterosauri si fossero estinti progressivamente verso la fine del Cretacico, a causa della concorrenza da parte dei nuovi padroni del cielo: gli uccelli, anch'essi evolutisi da un ramo collaterale dell'albero genealogico dei Dinosauri. Invece oggi sappiamo che alla fine del Cretacico esistevano moltissime specie di Pterosauri, sia continentali che oceanici, quindi essi non dovettero subire eccessivamente la concorrenza dovuta all'espandersi degli uccelli, e scomparvero invece in conseguenza della grande estinzione di massa alla fine del Mesozoico che spazzò via anche i Dinosauri e le Ammoniti. Tutti tranne quelli cavalcati dai Nazgûl, beninteso! Ma ad estinguere quelli pensarono Madama Éowyn, Merry Brandibuck ed ovviamente Frodo Baggins, distruggendo l'Unico Anello!

Fino a qui ci siamo occupati di Termologia (dal greco "thermos", lo studio del calore) e di Tettonica (dal greco "tektòn", "costruttore", lo studio delle dinamiche tettoniche del pianeta Terra), perchè ovviamente nel "Signore degli Anelli" e nelle altre opere di Tolkien non dovrebbe esserci spazio per parlare di Termodinamica, cioè lo studio della trasmissione del calore applicato alla realizzazione di macchine termiche; e questo per l'eccellente ragione che il Legendarium è ambientato in una specie di Medioevo mitico, nel quale non c'è spazio per la macchina a vapore o addirittura per il motore a scoppio. In realtà, già si è fatto rilevare che sull'isola di Númenor i Dunedain possedevano una tecnologia particolarmente avanzata (un po' come alcuni autori descrivono la mitica Atlantide), e quindi non è da escludere che macchine termiche come quelle sopra citate non siano state ideate in Ovesturia. Quello che è certo è che, anche se le possedevano, né Elendil né Isildur né Anárion esportarono tali tecnologie nella Terra di Mezzo, ancora ferma tremila anni dopo ad uno stadio antecedente alla Prima Rivoluzione Industriale. Non è certo questo dunque il luogo giusto per trattare quegli argomenti di Termodinamica. Tuttavia uno dei principi fondamentali di tale scienza, e precisamente il Secondo Principio della Termodinamica, riguarda da vicino uno dei principali problemi dell'universo di Tolkien: il fatto che Valar ed Elfi non invecchiano (tranne Cirdan), invece Uomini, Nani e Hobbit sì. Gli Istari costituiscono un caso a parte: creduti degli Elfi dagli Uomini perchè non sembrano morire di vecchiaia, in realtà invecchiano, ma assai più lentamente degli altri Mortali. Così si esprime il nostro Autore:

« I figli degli Uomini rimangono solo per breve tempo nel mondo vivente, e a esso non sono legati, e ben presto se ne dipartono: per andar dove, gli Elfi non sanno. Invece gli Elfi rimangono sino alla fine dei giorni, e il loro amore per la Terra e per il mondo tutto è tanto più unico e profondo, e con il trascorrere degli anni sempre più intriso di malinconia. Gli Elfi infatti non muoiono finché il mondo non muore, a meno che siano uccisi o si struggano di dolore (e a entrambe queste morti apparenti sono soggetti); né l'età ne diminuisce le forze, sempreché non si stanchino di mille e mille secoli; e, se muoiono, vengono accolti nelle aule di Mandos in Valinor, donde col tempo possono tornare. Ma i figli degli Uomini muoiono per davvero e abbandonano il mondo; per cui son detti Ospiti ovvero Stranieri. »
(QS, cap. I)

Il Secondo Principio della Termodinamica tuttavia afferma che l'entropia di un sistema non può far altro che aumentare spontaneamente; essa può diminuire localmente, ma solo a prezzo di aumentarla maggiormente in qualche altro punto dell'universo. Chi vuole saperne di più è invitato a consultare quest'altro mio ipertesto; qui, basti dire che il tempo scorre nella direzione in cui aumenta l'entropia totale dell'universo. Siccome l'entropia è una misura del disordine, noi non potremo mai vedere né il tè di Bilbo che si riscalda spontaneamente nella tazza, né la spada Narsil che si ripara da sola, né tantomeno Éowyn che, da anziana, ritorna spontaneamente giovane e bella. Tutti questi eventi infatti aumentano spontaneamente il disordine, e quindi l'entropia S. Essa è stata definita dall'austriaco Ludwig Boltzmann (1844-1906) attraverso la formula S = KB ln W, dove KB è la costante di Boltzmann, pari ad 1,38 x 10–23 J K–1, e W è il numero di configurazioni (il termine preciso è microstati) che un sistema termodinamico può assumere. Si consideri ad esempio un sistema formato da una sola particella (ad es. un atomo). In un sistema formato da una scatola divisa in due da un setto, le configurazioni possibili sono solo due: la particella a sinistra, oppure la particella a destra. Se le particelle sono due, le configurazioni possibili sono quattro: entrambe le particelle a sinistra; la particella A a sinistra e la B a destra; la B a sinistra e la A a destra; entrambe le particelle a destra. In generale si può dimostrare che, considerando N particelle, le configurazioni possibili sono 2N. Se il numero di molecole è altissimo, paragonabile al numero di Avogadro (dell'ordine di 1023), ci si rende conto che il numero possibile di microstati cresce oltre ogni immaginazione. Ora, le situazioni di perfetto ordine, in cui tutte le molecole sono a destra oppure tutte sono a sinistra, sono solo due su 2 alla 10 alla 23, mentre quelle in cui metà sono a sinistra e metà sono a destra rappresentano una quantità assai maggiore. Quale dunque è la situazione più probabile? Quella con le molecole uniformemente distribuita, piuttosto che quella con tutte le molecole da una parte, ovvio. Per questo noi vediamo sorgere spontaneamente il disordine, e non l'ordine: perchè il disordine è infinitamente più probabile.

Disordine però significa calore che si propaga, spade che si spezzano, cellule che invecchiano, mai il contrario. Per questo l'invecchiamento è inevitabile, così come l'arrugginimento o lo sgretolamento. Che i Valar non invecchino, essendo puri spiriti, siamo disposti ad accettarlo, così come non invecchia Ilúvatar. Che gli Istari invecchino molto lentamente, anche questo è accettabile, immaginando che possiedano un metabolismo molto lento, così come una sequoia invecchia molto più lentamente di un uomo. Ma che gli Elfi, fatti di carne ed ossa come noi, non siano soggetti al Secondo Principio della Termodinamica, questo ci appare decisamente come una nota stonata dell'universo tolkieniano. In effetti, Dama Galadriel è nata intorno al 1362 degli Anni degli Alberi, e in base alla cronologia da noi proposta qui sopra questa data dovrebbe corrispondere pressappoco al 12.300 a.C. (1362 – 1050 = 312 anni degli Alberi, 312 x 9,3 = 2902 anni del Sole e 15.200 – 2902 = 12.298). Eppure, quando i membri della Compagnia dell'Anello la incontrano nel 3019 della Terza Era, corrispondente circa al 4000 a.C., cioè la bellezza di 83 secoli dopo, ella ha l'aspetto di una donna nel pieno della sua maturità ed ha ancora i lunghi capelli biondi, tanto che può donarne uno al Nano Gimli. Come confronto, l'essere umano più longevo di cui si possiedano con certezza il certificato di nascita e il certificato di morte è la francese Jeanne Calment, nata ad Arles il 21 febbraio 1875 e morta il 4 agosto 1997 all'età di 122 anni e 164 giorni, pari a 44.724 giorni: praticamente una ragazzina, in confronto a Galadriel! Altri dicono che il record spetterebbe all'indiano Habib Miyan, nato il 20 maggio 1868 e morto il 19 agosto 2008, all'età di 140 anni e 91 giorni, ma le notizie su di lui non sono sicure.

Celeborn (a sinistra, interpretato da Marton Csokas) e Galadriel (a destra, interpretata da Cate Blanchett) nella Trilogia di Peter JacksonJeanne Calment, l'essere umano più longevo del quale si hanno notizie sicure

Celeborn (a sinistra, interpretato da Marton Csokas) e Galadriel (al centro, interpretata da Cate Blanchett) nella Trilogia di Peter Jackson, a confronto con Jeanne Calment (a destra), l'essere umano più longevo del quale si hanno notizie sicure

 

Anche nel mondo animale non mancano straordinari esempi di longevità. Nelle profondità del mare vivono spugne che possono vivere millenni: la spugna Cinachyra antarctica può arrivare e superare i 1500 anni di età. Nell'artico invece vive una specie di vongole, la Arctica Islandica, che si è rivelata sorprendentemente longeva: per gli alberi gli anni si possono contare dagli anelli, per le vongole dalle zigrinature del guscio. In tal modo un esemplare pescato nel 2006 ha rivelato una straordinaria età di 507 anni! Nelle colonie di coralli della specie Colpophyllia natans, i singoli polipi vivono anche 400 anni. Le aragoste giganti (Palinurus elephas) possono vivere fino a 140 anni, mentre le vongole proboscidate (Panopea abrupta), grandi molluschi bivalvi che vivono nei mari della Columbia Britannica e dell'Alaska, raggiungono i 150 anni. Passando ai vertebrati, una carpa Koi giapponese (Cyprinus carpio) raggiunse la veneranda età di 226 anni, essendo nata nel 1751 e morta nel 1974. Tra i rettili, il tuatara (Sphenodon punctatus) della Nuova Zelanda e le tartarughe giganti delle Galapagos (Chelonoidis nigra) arrivano fino a 200 anni. La tartaruga più longeva al mondo è stata però Adwaita, esemplare di tartaruga gigante originaria dell'atollo di Aldabra nelle isole Seychelles (Aldabrachelys gigantea), che quando si spense allo zoo di Calcutta nel 2006, aveva 255 anni documentati. La tartaruga gigante più anziana oggi vivente si trova nelle Seychelles, si chiama Esmeralda e ha 170 anni.  Anche la balena della Groenlandia (Balaena mysticetus) può vivere fino a 200 anni: recentemente ne è stato catturato un esemplare con infilzato nel collo un arpione che portava la data del 1890! I pappagalli possono vivere anche 100 anni, mentre il fenicottero rosa (Phoenicopterus roseus) può superare gli 80 anni. Tra gli animali terrestri l'elefante è tra quelli che vive di più, in media tra i 50 e i 70 anni; il mammifero più longevo conosciuto è comunque certamente l'uomo: nel 2014 in Italia secondo l'Istat la vita media degli uomini era di 79,4 anni e quella delle donne di 84,8 anni. Nessuno di questi esseri viventi, ad ogni modo, può uguagliare anche solo lontanamente gli Elfi, i quali « non muoiono finché il mondo non muore ».

Per giustificare l'apparentemente infinita speranza di vita degli Eldar (possono essere uccisi o morire di dolore, ma non di malattia o di vecchiaia), è stata avanzata l'ipotesi che essi crescano allo stesso ritmo degli Uomini fino al periodo della pubertà, ma dall'inizio della maturità in poi invecchino con un tasso di invecchiamento inversamente proporzionale alla loro età, nel senso che più crescono meno invecchiano. Si tratta comunque di un altro giro di parole per affermare che essi NON invecchiano, e quindi che essi sono immuni dal Secondo Principio della Termodinamica, ineluttabile invece per ogni altra creatura della Terra di Mezzo.

E allora, come giustificare quest'immortaltà inconciliabile con tutte le leggi della Scienza come noi la conosciamo, e nella quale gli stessi Elfi eccelsero sopra ogni altra creatura? Di solito si cerca di salvare capra e cavoli invocando lo stesso stratagemma utilizzato dagli autori di fantascienza quando devono descrivere esseri estremamente longevi. Un caso tipico è rappresentato da "Requiem per Matusalemme" (nell'originale inglese "Requiem for Methuselah"), episodio della terza stagione della Serie Originale di "Star Trek" andato in onda la prima volta negli Stati Uniti il 14 febbraio 1969. In essa, l'attore teatrale James Daly (1918-1978) interpreta il ruolo di Flint, un uomo pressoché immortale che è nato sulla Terra nel 3834 a.C. (più o meno all'epoca della Guerra dell'Anello!) ed è sopravvissuto a tutti i suoi contemporanei, assumendo nei secoli varie identità, fra cui quelle di Leonardo da Vinci e di Johannes Brahms. Come spiegare, in un contesto dominato dal razionalismo, un uomo (non un elfo o un alieno) che vive ininterrottamente dal 3834 a.C. al 2268 d.C., cioè per più di seimila anni? È lo stesso dilemma che riguarda "L'Uomo Nodoso", noto racconto di L. Sprague de Camp (1907–2000), in cui un Uomo di Neanderthal, colpito da un fulmine nel Paleolitico, diventa inspiegabilmente immortale sopravvivendo fino ai nostri giorni. E la lista degli "immortali" potrebbe allungarsi, includendo Connor MacLeod, protagonista del film "Highlander, l'Ultimo Immortale" (1986), l'enigmatico Hedrock che governa nell'ombra i destini dell'umanità in "Hedrock l'Immortale" (1943) di Alfred Elton van Vogt (1912-2000) e la razza di Immortali del Pianeta Oa che ha fondato i Cavalieri dello Smeraldo nella serie a fumetti di "Lanterna Verde" della DC Comics, ideata nel 1940 da Bill Finger (1914-1974) e Martin Nodell (1915-2006). L'unico modo per giustificare una così straordinaria longevità da eguagliare l'età stessa dell'universo, è quello di ipotizzare una straordinaria capacità di rigenerazione delle cellule del personaggio in questione, incluse quelle nervose, in modo da rimpiazzare i tessuti non più utilizzabili, da eliminare le eventuali cellule tumorali e da evitare le malattie degenerative tipiche dell'età avanzata, come il morbo di Parkinson o di Alzheimer. Il problema è superare il cosiddetto Limite di Hayflick, cioè il numero massimo di divisioni cellulari (circa 50) a cui possono andare incontro le cellule, per via dell'accorciamento dei telomeri; tale limite fu individuato dall'americano Leonard Hayflick (1928-). In anni recenti si è affermata l'idea che una tale rigenerazione cellulare perpetua si potrebbe affermare attraverso le cellule staminali, ovvero cellule primitive non specializzate scoperte nel 1909 da Alexander A. Maximow (1874-1928), capaci di trasformarsi in altri tipi di cellule del corpo attraverso il processo di differenziazione cellulare. Normalmente le cellule staminali cessano di differenziarsi nello stato embrionale, ma se un organismo fosse in grado di produrre in continuazione nuove cellule staminali indifferenziate, esse potrebbero rigenerare praticamente ogni parte del suo organismo, e questo vorrebbe dire virtualmente l'immortalità. Un corpo che genera in continuazione cellule staminali indifferenziate per rinnovare sempre se stesso, infischiandosene del Limite di Hayflick, potrebbe perciò permettere ali Elfi di « non morire finché il mondo non muore ».

Dobbiamo aggiungere che sugli Elfi di Tolkien, per via della loro immortalità, sono state fatte delle affermazioni difficilmente condivisibili. Ad esempio, nella Wikipedia italiana è scritto testualmente che essi « sono una rappresentazione di cosa gli umani sarebbero potuti diventare, se non avessero commesso il Peccato Originale ». In effetti, secondo la dottrina cristiana, fu il peccato di Adamo a far entrare la morte nel mondo, e dunque senza la caduta dei progenitori, anche gli uomini avrebbero potuto avere una speranza di vita illimitata, o perlomeno lunga quanto la vita del creato (a sinistra, "La cacciata dal Paradiso" di Masaccio, nella Cappella Brancacci nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze). Tuttavia quest'affermazione non tiene conto del fatto Masaccio, "La cacciata dal Paradiso", Cappella Brancacci, chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze che il Peccato Originale precipitò nel mondo anche i vizi, e cioè la superbia, l'invidia, l'ira, la violenza, l'ingordigia, la lussuria; e, per quanto nel corpus tolkieniano gli Eldar siano presentati come assai morali e giusti (perlomeno molto di più degli esseri umani), non mancano certo i casi in cui essi si comportarono esattamente come noi Uomini, se non peggio. Tanto per cominciare, Dacron il Menestrello non ha certo remore a spiare gli abboccamenti di Beren e Lùthien, e a tradirli davanti a re Thingol, il quale così ha occasione di mostrare tutto il suo disprezzo per gli Uomini, un disprezzo che sconfina nel razzismo da apartheid sudafricano:

« Anche Dacron il menestrello amava Lùthien, e ne spiò gli incontri con Beren e ne informò Thingol. Il Re allora montò in collera, poiché amava Lùthien sopra ogni cosa, anteponendola a tutti i principi degli Elfi, mentre gli Uomini mortali neppure come servi li voleva. »
(QS, cap. XIX)

Decisamente questa collera poco ha a vedere con un essere impossibilitato a peccare. Quando Beren gli compare davanti e gli dichiara il suo amore per Lùthien, Thingol vorrebbe addirittura infrangere il giuramento e ucciderlo. Subito dopo commette un altro grave peccato: la cupidigia, dichiarando:

« Anch'io desidero un tesoro che mi è negato. Infatti, rocce, acciaio e i fuochi di Morgoth custodiscono la gemma che vorrei possedere più di tutti i poteri dei regni degli Elfi! »
(QS, cap. XIX)

Ma ben di peggio avevano già fatto gli Elfi, sterminandosi tra di loro in quello che passò alla storia come il Fratricidio in Alqualondë: i Noldor infatti non possedevano navi, e il loro re Fëanor, che voleva lasciare Aman per raggiungere la Terra di Mezzo, chiese ai Teleri di Alqualondë ("il Porto dei Cigni") di donargliene alcune per traversare il Grande Mare. I Teleri però disapprovavano la decisione dei Noldor di lasciare Aman a dispetto dei Valar, e rifiutarono; anzi, tentarono di persuaderli a restare. I Noldor decisero allora di impadronirsi delle navi con la forza, e la guerra infuriò tra fratelli:

« Alla fine, i Teleri vennero sopraffatti, e gran parte dei loro marinai che avevano dimora in Alqualondë furono crudelmente uccisi. Ché i Noldor erano mossi dalla ferocia della disperazione, e i Teleri avevano forze minori, oltre a essere per lo più armati di fragili archi. Poi i Noldor si impadronirono delle loro candide navi e presero a manovrare i remi meglio che potevano, andando verso nord lungo la costa. E Olwë invocò Ossë, ma questi non apparve, poiché non era consentito dai Valar che la fuga dei Noldor fosse impedita con la forza. Uinen però pianse per i marinai dei Teleri; e il mare si levò incollerito contro gli assassini, sì che molte delle navi furono infrante e quelli a bordo di esse annegarono. »
(QS, cap. IX)

Questa strage causò innumerevoli discordie e sofferenze ai popoli di Arda. Come si vede, anche questo tipo di condotta è difficilmente conciliabile con l'assenza di un Peccato Originale. Nell'universo di Tolkien semplicemente non si parla di una caduta primigenia: gli Elfi non muoiono perchè sono i Primogeniti di Ilúvatar e rappresentano la Sua creazione meglio riuscita; gli Uomini muoiono perchè Ilúvatar ha donato loro la morte, in modo che, staccandosi dal mondo sensibile, possano entrare in comunione con Lui in quello che noi chiamiamo Paradiso. Chi propone soluzioni alternative, "estrapolando" il cattolicesimo di Tolkien all'universo da lui creato, rischia di incorrere in solenni cantonate!

Prima di chiudere questa lezione dedicata al calore in Fisica e in Geologia, non possiamo fare a meno di nominare uno dei protagonisti de "Lo Hobbit": Beorn, ovvero il mutapelle, la cui capacità di trasformarsi da uomo in orso e viceversa ci offre lo spunto per trattare dei materiali a memoria di forma:

« Se volete saperne di più., si chiama Beorn. È molto forte ed è un mutatore di pelle. [...] Talvolta è un grosso orso nero, talvolta è un uomo forte dai capelli neri con due grosse braccia e una gran barba. Non posso dirvi di più, ma comunque questo dovrebbe bastare. Alcuni dicono che è un orso discendente dai grandi e antichi orsi delle montagne che vivevano lì prima che arrivassero i Giganti. Altri dicono che è un discendente dei primi Uomini che vivevano in questa parte del mondo, prima che vi arrivassero Smaug e gli altri draghi, e prima che gli Orchi arrivassero dal Nord sulle colline. Quale sia la verità non saprei dirlo, anche se personalmente mi pare più verosimile la seconda ipotesi. »
(Lo Hobbit cap. VII)

Secondo Tom Shippey (1943-), medievalista inglese autore del saggio "La via per la Terra di Mezzo", il personaggio di Beorn non è stato affatto ideato ex novo da Tolkien, perché compare nella saga nordica "Hrólfs saga kraka ok kappa hans" ("la saga di Hrólfr magro come un palo e dei suoi eroi"), un racconto scritto nel XIV secolo delle vicissitudini di Hrólfr Kraki ("Rodolfo il Magro"), leggendario re di Danimarca vissuto a cavallo fra il V e il VI secolo, e del suo clan, gli Skjöldungar. In essa appare il personaggio di Bjorn, un uomo che in seguito di una maledizione è in grado di trasformarsi in orso; infatti la parola scandinava Björn (o Bjørn) significa proprio "orso". Inoltre all'interno della sua casa, minuziosamente descritta da Tolkien, c'è una grande sala con un camino al centro e un'apertura nel tetto: si tratta della tipica sala delle abitazioni norrene, e Tolkien stesso la disegnò come tale. Pur essendo feroce per l'appunto come un orso (espone la testa di un orco e la pelle di un lupo mannaro fuori dalla sua casa in segno di vittoria), si lascia convincere da Gandalf ad ospitare ben quattordici Nani oltre a Bilbo Baggins e, nella Battaglia dei Cinque Eserciti, Beorn viene in soccorso dei Nani contro gli Orchi sotto forma di orso, con una sola zampata uccide Bolg, il capo degli orchi del nord, e decreta la vittoria degli alleati sugli orchi. Anche in questa occasione egli ricorda molto i Berserkr delle leggende norrene, uomini che combattevano senza armatura in preda ad una furia parossistica, forse dovuta all'assunzione di droghe, ed erano paragonabili per forza e rabbia agli orsi. Il loro nome significherebbe tra l'altro "uomini vestiti con pelli d'orso" (riconosciamo di nuovo la radice "ber-", da cui Beorn).

Il fatto che Beorn (o Bjorn che dir si voglia) è in grado di cambiare forma a piacimento, come il dottor Jekill di Robert Louis Stevenson (1850-1894), l'inquietante Mystica nella saga degli X-Men, la psyconiana Maya di "Spazio 1999" e l'enigmatico Odo di "Star Trek, Deep Space Nine", ci introduce a parlare delle leghe a memoria di forma (o SMA, "Shape Memory Alloys"). Si tratta di leghe metalliche che, come dice il nome, "tengono memoria" della loro forma a freddo, riacquistandola quando vengono riscaldate oltre una certa temperatura. Ma non solo: questi materiali sono dotati di una o più proprietà che possono essere cambiate e controllate tramite stimoli esterni, come la temperatura, ma anche attraverso azioni meccaniche, l'umidità, il pH, i campi elettrici o magnetici. Qui sotto a sinistra si vede un esempio di loro applicazione al moderno design, tratto da questo sito: il designer italiano Romolo Stanco in collaborazione con il CNR lavora da anni ad un progetto pionieristico finalizzato alla creazione di "lampade viventi", ossia strutture solide apparentemente morte che prendono vita, si muovono e reagiscono come creature viventi se stimolate mediante luce e calore. La lampada fotografata a sinistra pende verso il basso sotto l'azione della forza di gravità, spenta e senza vita, ma appena viene accesa si anima, si arrotola su se stessa come se si prendesse gioco della forza peso, per poi lasciarsi andare nuovamente verso il basso appena viene spenta:

La "lampada vivente" di Romolo Stanco (a sinistra, da questo sito) e il possente Beorn disegnato da Leia (a destra, da questo sito)

 

La scoperta di questo incredibile fenomeno risale al 1932, quando il chimico svedese Arne Olander (1902-1984) osservò la memoria di forma di una lega di oro e cadmio. Successivamente, nel 1950 L.C. Chang e T.A. Read, della Columbia University, analizzando mediante diffrazione di raggi X la stessa lega di oro e cadmio, notarono che il materiale, facilmente deformabile fino a una certa temperatura, subiva oltre quella una modifica della struttura cristallina, con conseguente ritorno alla forma originaria. Nel 1963 William J. Buehler del Naval Ordnance Laboratory a White Oak (Maryland) osservò la stessa caratteristica nella lega di nichel e titanio poi ribattezzata Nitinol. La scoperta di tale nel Nitinol è stata abbastanza casuale: nel corso di una riunione della direzione del laboratorio, fu presentata una striscia di Nitinol, che era stata piegata molte volte. Uno dei presenti, il dottor David S. Muzzey, la riscaldò con il fornello della sua pipa, e sorprendentemente la striscia ritornò alla sua forma originale.  Successivamente, la ricerca sulle SMA ha permesso di scoprire la stessa proprietà nelle leghe di rame, alluminio, nichel e zinco, e nelle leghe ferro, manganese e silicio. Queste ultime sono più economiche del Nitinol, ma esso è preferibile per la maggior parte delle applicazioni grazie alla loro stabilità e alle superiori prestazioni termomeccaniche. Oggi sono stati scoperti anche numerosi polimeri a memoria di forma.

L'uso ripetuto della memoria di forma può portare ad uno spostamento delle temperature caratteristiche di trasformazione: questo effetto è noto come affaticamento funzionale, in quanto è strettamente correlato ad un cambiamento nelle proprietà microstrutturali del materiale; oltre una certa temperatura, gli SMA subiscono deformazioni permanenti, come una molla che subisce snervamento, e dunque la memoria di forma ha dei limiti. Il passaggio dalla fase deformata alla fase con la forma originaria dipende solo dalla temperatura e dalla forza applicata, non dal tempo, come avviene nella maggior parte cambiamenti di fase, perchè non avvengono fenomeni di riorganizzazione del reticolo cristallino. Oggi gli SMA sono molto utilizzati nell'industria, rappresentando un'alternativa estremamente semplice e leggera ai dispositivi tradizionali per la movimentazione, come quelli idraulici, pneumatici e, ovviamente, elettromagnetici (il motore elettrico). Ad esempio, una serratura può essere aperta da un componente a memoria di forma che a temperatura ambiente è piegato e blocca un portello, ma appena scaldato ritorna diritto e sblocca la serratura. In generale gli SMA hanno applicazioni in settori quali quello aerospaziale, quello biomedico, quello dell'automazione e quello della robotica. Purtroppo però le leghe a memoria di forma hanno anche alcuni svantaggi. In genere i componenti a base di SMA sono azionati elettricamente, con una resistenza elettrica che li scalda per effetto Joule, mentre la disattivazione si verifica semplicemente spegnendo la resistenza ed aspettando che il calore si diffonda nell'ambiente circostante; di conseguenza, l'azionamento a base di SMA è tipicamente asimmetrico, con un tempo di attivazione relativamente  breve e un tempo di disattivazione piuttosto lungo. Sono stati proposti vari metodi per ridurre quest'ultimo, come un sistema di refrigerazione efficiente, ma ovviamente tutto ciò va scapito della semplicità di funzionamento tipica dei dispositivi a memoria di forma. Come conseguenza del maggior trasferimento di calore, anche la corrente elettrica necessaria per ottenere una data forza di azionamento aumenta. Cliccate sull'immagine qui sotto per vedere all'opera alcune delle proprietà dei materiali a memoria di forma in un video girato al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica di Milano:

Oltre a queste leghe, funzionanti per mezzo del calore, ne sono state scoperte altre, come le leghe a memoria di forma magnetiche, che ritornano alla loro forma originale se magnetizzate; gli elastomeri dielettrici per esempio sono polimeri in grado di allungarsi fino al triplo delle dimensioni originali se sottoposti ad un campo elettrico. I polimeri sensibili al pH si allungano o accorciano al variare dell'acidità o della basicità del liquido in cui sono immersi: un esempio significativo è rappresentato dalle vernici in grado di cambiare colore quando il materiale che ricoprono si sta corrodendo. I materiali cromici cambiano colore se sottoposti a cambiamenti di temperatura, ma anche a fenomeni ottici o elettrici; ne sono un esempio gli schermi a cristalli liquidi, dei quali parleremo nel capitolo seguente. I materiali fotomeccanici cambiano forma se esposti alla luce. I materiali autoriparanti sono in grado di recuperare piccoli danni dovuti all'utilizzo quotidiano, aumentandone la durata. Si pensa che questi nuovi materiali saranno tra i protagonisti assoluti della civiltà dei decenni a venire, cambiando totalmente gli oggetti di cui noi ci avvaliamo nella vita quotidiana.

 

A questo punto però ci stiamo allontanando dall'argomento legato al calore, che era partito con il clima della Terra di Mezzo e con il fuoco di Smaug. Ciò significa che è ora di cambiare argomento, passando alla luce ed alla visione: una materia che non possiamo non trattare, ispirandoci ad un universo nel quale la fa da padrone un Anello che rende invisibili! Se volete seguirmi in questa nuova tappa del nostro viaggio attraverso la Terra di Mezzo e dintorni, cliccate qui e passate con me alla lezione successiva.