Le Sette Trombe

Il Settimo Sigillo
Con il capitolo 8 dell'Apocalisse entriamo in una nuova sezione dell'opera, nella quale la realizzazione dei castighi  presentati nel settenario dei sigilli sta purtroppo per incominciare. Il segnale d'inizio è dato dalla rottura del settimo ed ultimo sigillo, ed all'inizio sembra non succedere assolutamente nulla, visto che « si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora ». Ma è solo la quiete prima della tempesta, perchè nella tradizione biblica il silenzio è segno inequivocabile della Shekinah, della Presenza di Dio, come accadde a Elia che riconobbe il Signore non nel vento, non nel fuoco, non nel terremoto, ma « nella voce di un silenzio leggero » (1 Re 19,12). Tra l'altro, "Il Settimo Sigillo" (Det sjunde inseglet) è anche il titolo del più celebre e più riuscito tra i film del regista svedese Ingmar Bergman (1918-2007), distribuito nel 1957 e dedicato al tema della caducità della vita e dell'inevitabilità della fine; proverbiale la partita a scacchi tra il crociato Antonius Block e la Morte (ecco la sua scheda sull'Internet Movie Database).

La scena più famosa de "Il Settimo Sigillo" di Ingmar Bergman (1957)

La scena più famosa de "Il Settimo Sigillo" di Ingmar Bergman (1957)

 

Ai sette angeli che stanno davanti al trono di Dio (i più noti sono Michele, Raffaele e Gabriele, chiamati per nome rispettivamente nei libri di Daniele, di Tobia e nel Vangelo di Luca) vengono date sette trombe, un elemento spesso presente nei testi escatologici come annunciatore della Fine dei Tempi (così in Gioele 2,1 e in 1 Tessalonicesi 4,16). Così, nel canto VI dell'Inferno di Dante ritroviamo il suono della tromba come metafora stessa della fine dei tempi:

« E 'l duca disse a me: «Più non si desta
di qua dal suon de l'angelica tromba,
quando verrà la nimica podesta » (Inf. VI, 94-96)

Persino il poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863) si fece suggestionare da quest'immagine, riprendendola in uno dei suoi più noti sonetti:

« Cuattro angioloni co le tromme in bocca
se metteranno uno pe ccantone
a ssonà: poi co ttanto de vocione
cominceranno a ddì: Ffora a chi ttocca! » (sonetto 276)

Ed un riferimento alla tromba, suonata dall'Arcangelo Gabriele, lo si trova pure nel già citato Spiritual « When The Saints Go Marching In »:

« And when Gabriel blows his horn, when Gabriel blows his horn,
Lord let me be in that number, when Gabriel blows his horn! »

Assistiamo poi ad un vero e proprio sacrificio dell'incenso, sul modello di quello descritto in Esodo 30,1-10, che però, da atto liturgico, si trasforma in strumento del castigo divino, dagli esiti davvero impressionanti:

« Poi venne un altro angelo e si fermò all'altare, reggendo un incensiere d'oro. Gli furono dati molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull'altare d'oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell'angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le preghiere dei santi. Poi l'angelo prese l'incensiere, lo riempì del fuoco preso dall'altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto » (8,3-5)

Le Sette Trombe
Tocca ora ai sette angeli, i quali suonano l'uno dopo l'altro le rispettive trombe, quale segnale della realizzazione del castigo di Dio. Per descriverlo San Giovanni si serve, come del resto aveva già fatto Gesù nel cosiddetto Discorso Escatologico dei Vangeli, di immagini che riprendono le celeberrime Dieci Piaghe d'Egitto narrate in Esodo 7,14-11,10, ovviamente ampliandole su scala cosmica ed arricchendole di nuovi aspetti di gusto apocalittico. Chiaro il messaggio giovanneo
: il castigo divino colpirà chi commette il male e combatte la Chiesa di Cristo, sia esso giudeo o pagano.

« Appena il primo angelo suonò la tromba, grandine e fuoco mescolati a sangue scrosciarono sulla terra. Un terzo della terra fu arso, un terzo degli alberi andò bruciato e ogni erba verde si seccò » (8,7)

La limitazione ad un terzo della terra sottolinea, come già avvenuto per i Quattro Cavalieri, il fatto che Dio tiene sempre saldamente in mano le redini di questi flagelli. Non è difficile dire di quale castigo si tratta, dato lo stretto parallelismo delle trombe con i sigilli, anche se l'ordine dei castighi è variato: la prima tromba porta con sé la siccità e quindi la carestia, come nel terzo sigillo.

« Il secondo angelo suonò la tromba: come una gran montagna di fuoco fu scagliata nel mare. Un terzo del mare divenne sangue, un terzo delle creature che vivono nel mare morì e un terzo delle navi andò distrutto. Il terzo angelo suonò la tromba e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia, e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque. La stella si chiama Assenzio; un terzo delle acque si mutò in assenzio e molti uomini morirono per quelle acque, perché erano divenute amare » (8,8-11)

La seconda e la terza tromba prevedono entrambe la caduta sulla terra di quello che noi definiremmo un meteorite o una stella cometa; e noi conosciamo bene l'effetto di catastrofi del genere, dopo la diffusione di lungometraggi come "Deep Impact" ed "Armageddon" (1998), in cui la fine della civiltà umana è collegata appunto alla caduta di un corpo celeste di grosse dimensioni. Né quest'ipotesi appare peregrina, dopo la scoperta del cratere di Chicxulub, nella penisola messicana dello Yucatan, il quale sembra essere la prova del fatto che l'estinzione dei dinosauri fu provocata, o almeno accelerata, dalla caduta di un asteroide di 10 chilometri di diametro avvenuta circa 66 milioni di anni fa (per leggere maggiori informazioni al riguardo, cliccate qui). Da notare che al secondo astro viene assegnato anche un nome: Assenzio, quello di un'erba dal sapore amaro (Artemisia absinthium) che deriva dal greco apsìnthos, "spiacevole" (ma il suo nome in ebraico significa addirittura "esecrabile"). Da esso può essere ricavato un liquore dal potere allucinogeno, caro ai poeti Maledetti come Baudelaire (Edgar Degas ci ha lasciato un celebre dipinto intitolato appunto "Assenzio"), e ciò ha fatto sì che nelle Sacre Scritture esso sia assunto assunto talvolta a simbolo di tutte le umane tribolazioni (cfr. Ger 9,14 e 23,15). L'avvelenamento delle acque da parte di questo "asteroide killer" richiama comunque alla mente l'epidemia e la peste, già protagoniste del quarto sigillo, come testimonia l'analogia tra il colore verdastro dell'assenzio e il colore verdastro del quarto cavallo.

Un'ultima osservazione: pochi lo sanno, ma il nome della cittadina ucraina di Chernobyl, circa 100 Km a nord di Kyev, dove il 26 aprile 1986 avvenne il più grave incidente nucleare della storia dell'uomo, in lingua del posto significa proprio "erba amara", cioè... assenzio! Ed effettivamente la contaminazione radioattiva da parte del Cesio-137 rilasciato in seguito all'esplosione del nocciolo ha avvelenato la terra e le acque, costringendo la popolazione alla fuga precipitosa. Così i soliti catastrofisti hanno visto in questo incidente l'imminente arrivo dei castighi divini entro l'incipiente anno 2000; ma anche quest'ultimo è passato, e il Giorno del Giudizio è stato rimandato. Solo il Padre conosce i tempi e i modi...

Edgar Degas, "L'Assenzio" (1876), olio su tela

Edgar Degas, "L'Assenzio" (1876), olio su tela

 

La quarta tromba a sua volta si riconnette ai flagelli cosmici del sesto sigillo:

« Il quarto angelo suonò la tromba e un terzo del sole, un terzo della luna e un terzo degli astri fu colpito e si oscurò: il giorno perse un terzo della sua luce e la notte ugualmente » (8,12).

« Colpendo il sole, la luna e le stelle, Dio esprime la sua volontà di colpire il "sistema", dove per sistema si intende il "sistema terrestre", vale a dire quello mondano che rifiuta la via di Dio », è il commento in proposito del gesuita Ugo Vanni. La morte dell'astro solare e l'oscuramento del giorno e della notte sono certamente da annoverarsi tra i fenomeni più impressionanti che accompagnano nell'immaginario collettivo la fine del mondo, come recita anche la nota poesia di Giovanni Pascoli (1855-1912) intitolata "La Porta Santa" (1901):

« ...ad aspettar che l'ultima
gelida e fosca aurora
chiuda alle genti ancora
la gran porta del Sole,
quando la Terra nera
girerà vuota, e ch'era
Terra s'ignorerà. »

Da notare che intanto un messaggero celeste, incarnato in un'aquila (che guarda caso è il simbolo assegnato all'evangelista Giovanni), annunzia con voce minacciosa e con un triplice "Guai!" che il prosieguo del terribile concerto di tromba sarà anche peggiore di quanto già ha provocato. Come si è detto, sia il settenario dei sigilli che quello delle trombe sono divisi in due sezioni (quattro più tre), e questo terribile avvertimento dell'uccello umanizzato segna la cesura tra la prima e la seconda parte dei terribili flagelli annunciati dalle trombe angeliche.

Le Cavallette
L'interpretazione dei castighi espressi dalla quinta e dalla sesta tromba è assai più difficile di quelli conseguenti al suono delle prime quattro, e i pareri in proposito sono oltremodo discordanti tra gli esegeti. Così, il quinto squillo di tromba è accompagnato da una complessa coreografia di immagini, che
costituiscono un vero capolavoro dell'orrido. Tutto parte da un altro astro piombato sulla Terra, segno del fatto che la prospettiva di questa eventualità aveva spaventato oltremodo Giovanni:

« Il quinto angelo suonò la tromba e vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell'Abisso; egli aprì il pozzo dell'Abisso e salì dal pozzo un fumo come il fumo di una grande fornace, che oscurò il sole e l'atmosfera. Dal fumo uscirono cavallette che si sparsero sulla terra e fu dato loro un potere pari a quello degli scorpioni della terra. E fu detto loro di non danneggiare né erba né arbusti né alberi, ma soltanto gli uomini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte. Però non fu concesso loro di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi, e il tormento è come il tormento dello scorpione quando punge un uomo. In quei giorni gli uomini cercheranno la morte, ma non la troveranno; brameranno morire, ma la morte li fuggirà. » (9,1-6)

Locandina del film catastrofico "Deep Impact" (1998)

Indubbiamente si tratta di una vigorosa scena da « Deep Impact »: un corpo celeste piomba sulla terra, scava un immane cratere (il pozzo) e solleva una tale quantità di fumo, lapilli e polveri da oscurare l'atmosfera, dando vita a un vero e proprio inverno nucleare. Un evento, questo, che probabilmente si è ripetuto ad intervalli più o meno regolari nella storia geologica del pianeta Terra, causando estinzioni di massa. Logico dunque che un tale evento potrebbe condurre anche all'estinzione della razza umana. Prima però di interpretare le cavallette come virus alieni o simili caduti sulla terra assieme all'asteroide, così come ipotizzato nel romanzo "Andromeda" di Michael Crichton (1942-2008), e come hanno voluto leggere certi millenaristi moderni, è bene tornare a calarci nella mentalità di uno scrittore dell'Impero Romano, non in quella di un moderno autore di Fantascienza. Molto probabilmente questi, più che alla caduta di un meteorite come quello che spazzò via i dinosauri, fa riferimento alla precedente letteratura apocalittica (e in particolare al Libro di Enoc), identificando la caduta dell'astro con quella degli angeli ribelli. Infatti il "pozzo dell'Abisso" richiama il termine ebraico bor, "fossa", certamente ben noto all'ebreo Giovanni ed ai suoi più immediati discepoli, che nelle Apocalissi giudaiche indicava gli inferi, pensati come un pozzo profondo e ricolmo di fuoco ribollente (così lo vedrà anche Lucia Dos Santos durante le visioni di Fatima del 1917). Lo ritroveremo più avanti, come luogo di punizione per il Falso Profeta e per la Bestia. Nessun fenomeno di tipo astronomico, dunque, bensì una potente immagine schiettamente religiosa, come dimostra il fatto che a questo angelo caduto è concesso aprire il lucchetto che chiude la porta degli Inferi, il cui fumo oscura persino il Sole.

Ed ecco che dal fumo esce un nuovo orrore: uno sciame di orrende cavallette che si spargono su tutta la terra. Si tratta di un evidente riferimento all'ottava piaga d'Egitto, quella delle cavallette (Esodo 10,1-20), ma la descrizione di questi spaventevoli esseri richiama quella fatta dal profeta Gioele, come dimostra il confronto seguente:

« È venuta contro il mio paese una nazione potente, senza numero, che ha denti di leone, mascelle di leonessa. Ha fatto delle mie viti una desolazione, e tronconi delle piante di fico; li ha tutti scortecciati e abbandonati, i loro rami appaiono bianchi » (Gioele 1,6-7)
« Il loro aspetto è aspetto di cavalli, come destrieri essi corrono. Come fragore di carri che balzano sulla cima dei monti, come crepitìo di fiamma avvampante che brucia la stoppia, come un popolo forte schierato a battaglia. Davanti a loro tremano i popoli, tutti i volti impallidiscono » (Gioele 2,4-6)

« Queste cavallette avevano l'aspetto di cavalli pronti per la guerra. Sulla testa avevano corone che sembravano d'oro e il loro aspetto era come quello degli uomini. Avevano capelli, come capelli di donne, ma i loro denti erano come quelli dei leoni. Avevano il ventre simile a corazze di ferro e il rombo delle loro ali come rombo di carri trainati da molti cavalli lanciati all'assalto. Avevano code come gli scorpioni, e aculei. Nelle loro code il potere di far soffrire gli uomini per cinque mesi. Il loro re era l'angelo dell'Abisso, che in ebraico si chiama Abaddon ed in greco Apollyon » (Ap 9,7-11)

Quello pensato da Gioele era pur sempre un esercito di uomini, e i "denti di leone" e le "mascelle di leonessa" erano pure metafore per descrivere la rapacità degli invasori che metteranno a ferro e fuoco la Terra Promessa. Quelli veduti da San Giovanni invece sono orribili mostri apocalittici, risultato della giustapposizione di membra di più esseri, come la mitologica Chimera, la Sfinge o gli altri draghi del bestiario mitologico ben noto al tempo della composizione dell'opera. Per comporli Giovanni usa teste umane, capigliature femminili, denti da belva feroce, ventri corazzati come armadilli, code da scorpione ed ali che ricordano addirittura il rombo dei nostri aerei a reazione. Questi elementi potrebbero così essere interpretati:

Come ha scritto Alessio Varisco, l'incredibile zoo di animali fantastici ed orripilanti che popolano le pagine dell'Apocalisse autorizza a parlare di "simbolismo teriomorfo". Tutti questi animali, domestici o feroci, reali o chimerici, volanti, camminanti, striscianti sulla terra o viventi nel fondo delle acque, che rimandano continuamente a scenari veterotestamentari (come al passo di Gioele testé ricordato), costituiscono « un quadro impressionante per la sua vastità, che non trova riscontro neppure lontanamente in nessuno scritto del Nuovo Testamento », come ha detto a sua volta Ugo Vanni commentando l'Apocalisse nel 1988: « gli animali protagonisti, sia di segno positivo che negativo, si comportano secondo modalità sempre sorprendenti, spesso umanamente inesplicabili; la loro azione preme sugli uomini e sulla storia, ma è sempre sotto il controllo di Dio. » Chiaro ed esaustivo a questo proposito è il commento del biblista Gerd Heinz-Mohr:

« Prescindendo dal significato dei singoli animali, l’animale rappresenta generalmente come archetipo la profondità dell'inconscio e dell'istinto, oltre alle forze cosmiche materiali e spirituali. Gli animali toccano i tre piani dell’universo: inferno, terra e cielo. »

Le letture addirittura a livello onirico e psicanalitico di queste cavallette e queste bestiacce divoratrici di uomini si sprecano: per alcuni esse rappresentano le tristissime conseguenze della guerra evocate nei primi due sigilli, oppure le intime pene dello spirito, i rimorsi della coscienza, l'angoscia terribile che tormenta i malvagi ed i nemici di Dio, similmente alle mitologiche Erinni che perseguitavano il matricida Oreste. Al di là di tutto ciò, qui giova sottolineare l'aspetto ben messo in luce da Ugo Vanni: le cavallette corazzate, così simili nel nostro moderno immaginario ad alieni malvagi venuti per prendere possesso del nostro pianeta dopo essersi sbarazzati del genere umano (come nei film "La Guerra dei Mondi" ed "Independence Day"), sono in realtà guidate dall'Angelo dell'Abisso. Chi è costui? Questa denominazione compare solo qui e in nessun altro passo biblico, ma esso è chiamato anche con due nomi, addirittura in due lingue diverse: in ebraico  Abaddón, cioè "Distruzione", termine che ricorre anche in Giobbe 26,6, dove indica la Morte, ed in greco Apollyon, cioè "Sterminatore" o "Distruttore", termine che richiama l'"Angelo Sterminatore" inviato ad uccidere tutti i primogeniti degli Egiziani in Esodo 12,23 (l'ultima e la più terribile delle Piaghe d'Egitto). Questi termini non possono che riferirsi alla personificazione del Male che sconvolge la storia umana, cioè a quello che Dante chiamò « lo 'mperador del doloroso regno » (Inf. XXXIV, 28): Satana, per l'appunto.

La caduta della stella Assenzio, Biblioteca Bodleriana di Oxford, Miniatura, 1270

La caduta della stella Assenzio, Biblioteca Bodleriana di Oxford, Miniatura, 1270

 

La cavalleria infernale
Il versetto 12 è talmente scontato e interlocutorio, da far pensare all'interpolazione da parte di qualche copista o di qualche discepolo posteriore:

« Il primo "guai!" è passato. Rimangono ancora due "guai!" dopo queste cose » (9,12)

Subito dopo, però, ecco un'altra pagina che ci dà la misura dell'originalità dell'ingegno di Giovanni nel delineare scene fantastiche ricche di significato simbolico: è quella che ci offre, dopo la visione delle cavallette, la visione della tremenda cavalleria infernale.

« Il sesto angelo suonò la tromba. Allora udii una voce dai lati dell'altare d'oro che si trova dinanzi a Dio. E diceva al sesto angelo che aveva la tromba: "Sciogli i quattro angeli incatenati sul gran fiume Eufrate." Furono sciolti i quattro angeli pronti per l'ora, il giorno, il mese e l'anno per sterminare un terzo dell'umanità. Il numero delle truppe di cavalleria era duecento milioni; ne intesi il numero. Così mi apparvero i cavalli e i cavalieri: questi avevano corazze di fuoco, di giacinto, di zolfo. Le teste dei cavalli erano come le teste dei leoni e dalla loro bocca usciva fuoco, fumo e zolfo. Da questo triplice flagello, dal fuoco, dal fumo e dallo zolfo che usciva dalla loro bocca, fu ucciso un terzo dell'umanità. La potenza dei cavalli infatti sta nella loro bocca e nelle loro code; le loro code sono simili a serpenti, hanno teste e con esse nuociono. » (9,13-19)

Cosa simboleggia questa invasione da oriente? Tutto porta a pensare che si tratti della guerra, cioè del castigo divino annunciato con la rottura del primo sigillo, per via della menzione dell'Eufrate, fiume che allora segnava il confine con l'impero rivale dei Parti, la cui forza militare stava appunto nella cavalleria, all'epoca assai temuta: appena i quattro angeli che fanno da baluardo si tirano da parte, le forze dell'inferno si riversano infatti di là dal fiume, sulla Terra Promessa. Da notare che i quattro angeli fanno venire in mente i quattro re d'Oriente che invasero Canaan al tempo di Lot e di Abramo, secondo il racconto di Genesi 14, essendovi tra l'altro un gioco di parole in ebraico tra "melakim", "i re", e "malakim", "gli angeli". Inoltre è possibile ravvisare in questa fantasmagorica descrizione un'eco di questo passo dell'apocrifo Primo Libro di Enoc:

« In quel giorno gli angeli torneranno e si precipiteranno verso oriente, sui Parti e sui Medi; (...) sobilleranno i re in modo che uno spirito di irrequietezza si impossessi di loro. Ed essi saliranno e calpesteranno sotto i piedi la terra degli eletti... »

Anche in questo caso i cavalli sono mostruosi, emettono fuoco, fumo e zolfo dalle narici, ed al posto della coda hanno un serpente, proprio come la mitologica chimera. Il numero dei guerrieri è iperbolico, perché duecento milioni di persone corrisponde a poco meno dell'intera popolazione mondiale al tempo in cui l'Apocalisse venne composta. E la descrizione di Giovanni è mirabile nel far comprendere le tristissime conseguenze della guerra: un turbine rosso, blu e giallo che semina, dovunque passa, morte e rovine, uno scenario che purtroppo doveva essere molto meno raro di quanto si pensi, nello stato di guerra permanente in cui vivevano i grandi Imperi dell'antichità.

Ma la cosa che più colpisce è quanto Giovanni aggiunge alla descrizione simbolica del flagello della guerra, e cioè il comportamento degli uomini:

« Il resto dell'umanità che non perì a causa di questi flagelli, non rinunziò alle opere delle sue mani; non cessò di prestar culto ai demoni e agli idoli d'oro, d'argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare; non rinunziò nemmeno agli omicidi, né alle stregonerie, né alla fornicazione, né alle ruberie » (9,20-21)

Questa condotta inspiegabile deve farci veramente riflettere. In tutta l'Apocalisse, infatti, le punizioni di Dio non sono mai fini a sé stesse, ma hanno un evidente carattere di ammonizione a non commettere il male e quindi, pur nella loro apparente durezza, sono manifestazioni di misericordia. Basti notare con quanta insistenza si dice di colpire il terzo od il quarto degli uomini, ma non di più! Eppure, i sopravvissuti paiono non cogliere questo aspetto, e proseguono imperterriti a peccare senza limiti. Senz'altro, insistendo sulla pervicacia degli uomini sfuggiti ai castighi, Giovanni vuole illustrarci lo smisurato abisso della cieca cattiveria umana; ma, parlando della settima tromba nel capitolo 11, vedremo che questa ostinazione prelude per contrasto all'esplosione ancor più smisurata della misericordia di Dio.

Faccio osservare come lo scrittore piemontese Umberto Eco (1932-vivente), nel suo fortunatissimo romanzo "Il Nome della Rosa" (1980) si ispira proprio alle sette trombe dell'Apocalisse per intessere la trama del proprio thriller medioevale: i delitti commessi nel monastero sono in numero pari a quelle delle trombe, e rispecchiano nell'esatta successione le pene da queste provocate. Ciò testimonia la fortuna che ha conosciuto questo settenario nella storia della letteratura mondiale.

Una scena del film tratto da "Il Nome della Rosa" di Umberto Eco

Il senso della visione
Sicuramente una delle maggiori difficoltà che si incontrano quando si affronta per la prima volta la lettura dell'Apocalisse è rappresentata dall'abbondare in esso delle descrizioni di flagelli, piene di elementi orridi e di catastrofi di dimensioni, appunto, apocalittiche. Molti sono spinti ad accusare l'Autore di indulgenza e quasi di compiacimento nell'accumulare a mo' di sfogo tutti i mali possibili sulla testa dell'oppressore. Dato che subito sopra si è citato "Il Nome della Rosa" di Eco, basta prendere in considerazione il seguente brano di esso, chiaramente ispirato al simbolismo dell'Apocalisse, per avere una misura della fondatezza di una tale accusa:

« E mentre ritraevo l'occhio affascinato da quella enigmatica polifonia di membra sante e di lacerti infernali, [...] vidi una femmina lussuriosa nuda e scarnificata, rosa da rospi immondi, succhiata da serpenti, accoppiata a un satiro dal ventre rigonfio e dalle gambe di grifo coperte di ispidi peli, la gola oscena, che urlava la propria dannazione, e vidi un avaro, rigido della rigidità della morte sul suo letto sontuosamente colonnato, ormai preda imbelle di una coorte di demoni di cui uno gli strappava dalla bocca rantolante l'anima in forma di infante [...], e tutti gli animali del bestiario di Satana, riuniti a concistoro e posti a guardia e corona del trono che li fronteggiava, a cantarne la gloria con la loro sconfitta, fauni, esseri dal doppio sesso, bruti dalle mani con sei dita, sirene, ippocentauri, gorgoni, arpie, incubi, dracontopodi, minotauri, linci, pardi, chimere, cenoperi dal muso di cane che lanciavano fuoco dalle narici, dentetiranni, policaudati, serpenti pelosi, salamandre, ceraste, chelidri, colubri, bicipiti dalla schiena armata di denti, iene, lontre, cornacchie, coccodrilli, idropi dalle corna a sega, rane, grifoni, scimmie, cinocefali, leucroti, manticore, avvoltoi, parandri, donnole, draghi, upupe, civette, basilischi, ypnali, presteri, spectafichi, scorpioni, sauri, cetacei, scitali, anfisbene, jaculi, dipsadi, ramarri, remore, polipi, murene e testuggini. 
L'intera popolazione degli inferi pareva essersi data convegno per far da vestibolo, selva oscura, landa disperata dell'esclusione, all'apparizione dell'Assiso del timpano, al suo volto promettente e minaccioso, essi, gli sconfitti dell'Armageddon, di fronte a chi verrà a separare definitivamente i vivi dai morti. »
("Il nome della rosa", Bompiani, pp. 51-52)

In realtà, una simile accusa non rende affatto giustizia all'anima pacifica di Giovanni, che come vedremo proprio nelle visioni più belle del libro si sofferma a descrivere visioni di gioia, di pace e di amore, del possesso eterno del bene e di Dio; che non proclama mai il castigo per il gusto del castigo ma, ad ogni passo ricorda che gli sta a cuore non la morte e la distruzione degli empi, ma la loro conversione e la loro vita. Le più atroci pagine non si spiegano che in una sola maniera: con l'odio nei confronti del male, della violenza, dell'immoralità, e con la dolorosa constatazione di quanto sia grande la malizia umana. Giovanni, il cui Vangelo ce lo mostra innamorato di Dio e della Sua giustizia, vuole il trionfo di questa ad ogni costo, e ne è certo almeno quanto dell'esistenza del sole. E per questo ha lanciato il suo messaggio, appunto apocalittico, che non vuole certamente spaventare i buoni, bensì ammonire gli empi e spingerli alla conversione del cuore.

Infine, la visione della cavalleria infernale ci mostra una volta di più quanto abbiamo detto fin dal principio: cioè che l'Apocalisse di Giovanni non illustra il futuro, bensì il presente dell'umanità, in tutto lo svolgimento della sua storia. Infatti, dalla prima scorreria ad opera dei Re d'Oriente narrata nel Libro della Genesi, la Palestina ha conosciuto infinite invasioni da quella parte: quella di Sennacherib d'Assiria, quella di Nabucodonosor di Babilonia, quella di Antioco IV Epifane di Siria, fino alle scorrerie dei Parti nel I e nel II secolo della nostra era, per poi continuare nell'invasione dei Persiani Sasanidi nel VII secolo, degli Arabi subito dopo, dei Turchi Selgiuchidi (la cui intolleranza provocò le Crociate) nel X secolo, dei Mongoli nel XIII secolo, dei Mamelucchi poco dopo, degli Ottomani nel XVI secolo, fino al quadruplice tentativo da parte degli Stati Arabi di schiacciare il neonato Stato d'Israele con le guerre del 1948-49, del 1956, del 1967 e del 1973. Insomma, da quattromila anni le legioni dell'inferno si riversano sulla Terrasanta tentando in un modo o nell'altro di distruggerla, e da quattromila anni gli uomini continuano, passata la buriana, a commettere gli errori di prima, senza mai compiere una vera scelta per la pace, come manifesta l'attuale stallo nelle trattative di pace tra lo Stato d'Israele e l'Autorità Nazionale Palestinese, bloccato dai veti incrociati e dai proclami minacciosi degli opposti estremismi, sempre guidati da Abaddon o Apollyon che dir si voglia. La Sesta Tromba continua a risuonare fin dalla notte dei tempi, e continuerà a suonare fino a che la razza umana continuerà a dilaniare quella che icasticamente Dante chiama « l'aiuola che ci fa tanto feroci ».

Michelangelo Buonarroti, gli Angeli con le Trombe, particolare del Giudizio Universale nella Cappella Sistina

Michelangelo Buonarroti, gli Angeli con le Trombe,
particolare del Giudizio Universale nella Cappella Sistina

 

Dopo questo spettacolo spaventoso, per assistere assieme a me ad alcune delle visioni più stupefacenti del libro dell'Apocalisse passate alla pagina seguente cliccando qui.