La Donna Vestita di Sole

L'Angelo del Libro
Spesse volte, nei telefilm a puntate, gli sceneggiatori annunciano nella puntata antecedente quali saranno gli sviluppi successivi della storia. Si tratta di un procedimento già adoperato quando i romanzi venivano pubblicati a puntate sui giornali, per tenere desta l'attenzione del lettore ed invogliare la continuazione della lettura. Ebbene, ad un simile artificio ricorre più volte anche l'autore dell'Apocalisse, e lo costatiamo proprio nel capitolo 10, che costituisce un vero e proprio preannuncio della seconda sezione profetica. Per far questo Giovanni interrompe il settenario delle trombe, anzi spezza proprio a metà la narrazione della settima tromba, ed introduce una stupenda visione angelica, aureolata di luce, la quale fa evidentemente da contraltare a quell'Angelo dell'Abisso che abbiamo visto imperversare con il suo spaventoso gregge di cavallette, poiché anch'essa scende dal cielo ma senza distruggere alcunché:

« Vidi poi un altro angelo, possente, discendere dal cielo, avvolto in una nube, la fronte cinta di un arcobaleno; aveva la faccia come il sole e le gambe come colonne di fuoco. Nella mano teneva un piccolo libro aperto. Avendo posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, gridò a gran voce come leone che ruggisce. E quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire la loro voce. » (10,1-3)

Il libro è evidentemente quello delle rivelazioni destinate a Giovanni, così come il tuono è simbolo della voce divina; il fatto che i tuoni siano sette, indica come al solito la potenza insuperabile di questa voce. La cosa inaspettata però è l'invito fatto dal Cielo a tenere nascosta quest'ultima Rivelazione ottenuta dall'alto. Il misterioso episodio dei sette tuoni probabilmente ci vuole insegnare che è vano aspettarci dall'Apocalisse la completa rivelazione divina sul mistero della storia e dell'eternità, perché la rivelazione totale del mistero di Dio non è cosa di questa vita.

Michelangelo Buonarroti, Il profeta Ezechiele, volta della Cappella Sistina

Michelangelo Buonarroti, Il profeta
Ezechiele, volta della Cappella Sistina

 

È lo stesso Angelo a proclamare, con un giuramento solenne, che il mistero di Dio si compirà a suo tempo, quando squillerà la settima ed ultima tromba. Si annuncia così in maniera chiara che col settenario delle trombe ha termine la prima sezione dell'Apocalisse. A questo punto, come il profeta Ezechiele (Ez 3,1-3), anche Giovanni è invitato a cibarsi del libro tenuto in mano dall'Angelo:

« Mi disse: "Figlio dell'uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi va' e parla alla casa d'Israele."  Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, dicendomi: "Figlio dell'uomo, nutrisci il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti porgo." Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele. » (Ezechiele 3,1-3)

« Poi la voce che avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo: "Va', prendi il libro aperto dalla mano dell'angelo che sta ritto sul mare e sulla terra". Allora mi avvicinai all'angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: "Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele." Presi quel piccolo libro dalla mano dell'angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l'ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l'amarezza. Allora mi fu detto: "Devi profetizzare ancora su molti popoli, nazioni e re." » (10,8-11)

Il significato del simbolo appare chiaro: il Messaggio di Cristo porta con sé contemporaneamente dolcezza ed amarezza, speranza di salvezza e giudizio inesorabile. Inghiottirlo significa farlo diventare parte di sé, prendere coscienza del suo reale significato, del suo duplice aspetto di consolazione e di castigo. Il fatto che Giovanni sia invitato a ripetere i gesti dei profeti veterotestamentari significa che egli ha ricevuto una nuova investitura profetica, necessaria affinché egli possa proseguire a scrivere la seconda sezione profetica del libro, dal capitolo 12 al 22.

Originale è la lettura che di questo passo fornisce Pietro Citati nel suo "La Luce della Notte":

« Giovanni mangia, ingoia dei libri, la cui carta penetra nelle sue viscere: l'Esodo, Isaia, Ezechiele, Daniele, Zaccaria, Gioele, e altri scritti ebraici e giudeo-cristiani, che oggi in parte sfuggono alla nostra conoscenza. Come uno dei grandissimi artefici ottoniani, che incapsulavano nei loro pulpiti d'oro avori egizi, coppe, scacchi, calcedonii romani, egli combina, mescola, contamina, cesella le immagini ereditate. Le sue figure non sono mai intere: vengono composte con particolari strappati da fonti diverse, accostati e intarsiati; opere di prodigiosa oreficeria, non racconti. Nasce un'impressione di denso, gremito, affollato: come se attorno ad ogni metafora mancasse lo spazio. »

I Quarantadue Mesi
Dopo la parentesi dell'Angelo e del Libro nel capitolo 10, voluta dall'Autore come premessa
per annunciare la seconda sezione profetica dell'Apocalisse, riprende il settenario delle trombe; nel capitolo 11,1-14 si ha la visione antitetica, che Giovanni pone sempre dopo ogni sesto momento di un settenario. L'orrenda visione dei razziatori infernali ha il proprio contrapposto nella visione dei due Testimoni.

Tanto per cominciare, Giovanni riceve l'incarico di misurare il Tempio: è un gesto chiaramente simbolico, presente anche nei capitoli 40-48 del Libro di Ezechiele che sembra aver ispirato tutti questi capitoli giovannei, per indicare che la Chiesa, nuovo Tempio di Dio, si trova sotto la diretta protezione divina come l'antico Santo dei Santi. Tuttavia l'atrio del Tempio è escluso dalla misurazione. Per quale motivo? Perchè ad esso potevano avere accesso anche i pagani, come conferma un'iscrizione trovata di recente dagli archeologi, che minaccia pene severissime contro i pagani che osino superare la soglia interdetta. E l'affollarsi di pagani intorno al Tempio di Dio, nel quale pure non riescono ad entrare, richiama alla mente di Giovanni l'idea dell'assedio, una sensazione da sempre percepita da tutti i Giudei, costretti a vivere circondati da milioni di pagani prima, cristiani poi, e arabi musulmani oggi, al tempo del moderno Stato d'Israele. Così viene espressa nell'Apocalisse l'idea di questo assedio:

« Ma l'atrio che è fuori del santuario, lascialo da parte e non lo misurare, perché è stato dato in balia dei pagani, i quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi » (11,2)

Quarantadue mesi, o milleduecentosessanta giorni come detto subito dopo, corrispondono esattamente a tre anni e mezzo. Questa durata è tolta dal libro di Daniele (7,25 e 12,7), e corrisponde alla durata della persecuzione di Antioco IV Epifane che, per la sua ferocia inaudita, viene presa a paradigma di ogni prova cui nei secoli verrà sottoposto il popolo ebraico prima, la Chiesa Cristiana poi. Da notare che tre e mezzo è la metà di sette: sette è il numero della completezza e della perfezione, per cui la sua metà non può che significare precarietà e limitatezza. In altre parole, con questa cifra San Giovanni vuole dirci che la persecuzione sarà terribile, ma sarà pur sempre limitata e passeggera. Ciò vale per ogni persecuzione, dalla sete di sangue di Nerone fino alla Shoah voluta da Hitler: può essere terribile, devastante, inenarrabile, ma è pur sempre sotto il controllo di Dio, che non permetterà mai il trionfo dei nemici. Il trionfo definitivo, come vedremo, sarà riservato all'Agnello.

I Due Testimoni
A sfidare la fierezza della persecuzione verranno « due testimoni », figure misteriose che continueranno a predicare la Parola nonostante l'oppressione:

« Farò in modo che i miei due Testimoni, vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni. Questi sono i due olivi e le due lampade che stanno davanti al Signore della terra. Se qualcuno pensasse di far loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di far loro del male.
Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico. Essi hanno anche potere di cambiar l'acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli tutte le volte che lo vorranno. E quando poi avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall'Abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sodoma ed Egitto, dove appunto il loro Signore fu crocifisso. Uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione vedranno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non permetteranno che i loro cadaveri vengano deposti in un sepolcro. Gli abitanti della terra faranno festa su di loro, si rallegreranno e si scambieranno doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra.
Ma dopo tre giorni e mezzo, un soffio di vita procedente da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. Allora udirono un grido possente dal cielo: "Salite quassù." E salirono al cielo in una nube sotto gli sguardi dei loro nemici » (11,3-12).

Tra le immaginose visioni dell'Apocalisse, quella dei Due Testimoni non è certo la meno suggestiva e la meno efficace. Alla mente di Giovanni tornano probabilmente le figure di San Pietro e di San Paolo, i quali, trovandosi a Roma al momento dello scoppio della persecuzione neroniana, continuarono imperterriti la loro testimonianza di fede fino al martirio, che secondo la tradizione avvenne lo stesso giorno, il 29 giugno del 67 d.C. A noi lettori, tuttavia, queste due figure profetiche richiamano piuttosto Mosè ed Elia, i testimoni della Trasfigurazione, incarnazione stessa della Legge e dei Profeti. L'espressione "i due olivi e le due lampade" fa riferimento a Zaccaria 4,2-14 e fa pensare a Giosuè e Zorobabele, rispettivamente il sommo sacerdote e la guida politica del rientro degli Ebrei da Babilonia dopo l'Editto di Ciro. Nel tardo giudaismo era diventato abituale riferirsi a questi due personaggi come ai testimoni dell'era messianica. Infine, nella tradizione popolare questi due personaggi venivano identificati con Enoc ed Elia, gli unici due personaggi dell'Antico Testamento che non sarebbero mai morti, l'uno perchè « camminò con Dio e non fu più perché Dio l'aveva preso » (Genesi 5,24), l'altro perchè rapito in Cielo da un carro di fuoco (2 Re 2,11); si pensava quindi che sarebbero rimasti in vita fino al momento di offrire la loro testimonianza nei tempi escatologici. A questo proposito è degna di citazione la curiosa leggenda romana secondo cui i due biblici personaggi sarebbero sbucati fuori da una non meglio identificata caverna presso la Chiesa di San Paolo fuori le mura, come riporta Giuseppe Gioacchino Belli in questo suo sonetto dedicato all'Anticristo:

« Poi pe ccombatte co sta bbrutta arpia
tornerà da la bbùscia de San Pavolo
doppo tanti mil'anni er Nocchilia » (sonetto 275)

Da notare la fusione, operata dalla cultura popolaresca, delle due figure in una sola, chiamata con la crasi dei loro nomi: il "Nocchilia". Chiunque si nasconda dietro questi due personaggi escatologici, comunque, è da osservare che il loro numero fa esplicito riferimento alla Legge ebraica: in un processo una testimonianza era da ritenersi valida solo se avvalorata da almeno due testimoni.

I Due Testimoni sono richiamati in vita, Arazzi dell'Apocalisse, Angers, 1373-77

I Due Testimoni sono richiamati in vita,
Arazzi dell'Apocalisse, Angers, 1373-77

 

La loro storia sembra ricalcare passo passo quella di Cristo: dopo la loro predicazione la Bestia che sale dall'Abisso, che come vedremo incarna il potere politico nemico della Chiesa, li mette a morte, ed i loro cadaveri sono esposti sulla pubblica piazza di quella grande "Città degli Uomini" ben descritta da Sant'Agostino, che si identifica con i regni terreni in contrapposizione alla "Città di Dio": non a caso nella mente di Giovanni essa va a coincidere con Sodoma, la città peccatrice per eccellenza (a cui Ezechiele 16,46-55 paragona lo stesso popolo d'Israele), e con l'Egitto, che tenne schiavi gli Ebrei per 400 anni. Ma all'Autore viene anche spontanea l'identificazione con Gerusalemme, "dove il loro Signore fu crocifisso": non a caso in Matteo 23,37 la Città Santa è così rimproverata:

« Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati! »

In ogni caso, nonostante gli abitanti della "Città degli Uomini" facciano festa per la morte dei due profeti, ancora una volta la vittoria del Male è temporanea: dopo tre giorni e mezzo (come visto sopra è la metà di sette, simbolo quindi di ciò che incompiuto e destinato al fallimento), i due martiri ritornano in vita, esattamente come Cristo, e la loro risurrezione è descritta con le parole usate da Ezechiele 37,5 per rappresentare il ritorno alla vita delle ossa aride, in una visione che non ha nulla da invidiare a quelle dell'Apocalisse. La loro vittoria sulla morte suscita il terrore dei loro nemici, dopo di che i due vengono assunti in Cielo, sempre seguendo le orme di Gesù. E come alla morte di Gesù seguì la distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito, interpretata per secoli come il segno della punizione divina, questo è il destino della "Città degli Uomini":

« In quello stesso momento ci fu un grande terremoto che fece crollare un decimo della città: perirono in quel terremoto settemila persone; i superstiti presi da terrore davano gloria al Dio del Cielo » (11,13)

Le "settemila persone", essendo 7000 = 7 x 10 x 10 x 10, cioè il risultato della combinazione di tutti i numeri perfetti, significano pienezza ed esaustività della punizione. Non c'è bisogno di aggiungere altro per comprendere che i due misteriosi personaggi di Ap 11 incarnano la perpetua testimonianza resa a Cristo ed alla Chiesa cristiana dalla Legge e dai Profeti. E questa testimonianza ha successo, perché i superstiti si convertono e rendono gloria a Dio. Da un punto di vista storico, se l'inizio del capitolo fa pensare ad un Tempio ancora in piedi, invece questo brano è stato evidentemente scritto dopo il trauma della distruzione di Gerusalemme e della dispersione del popolo ebraico, evocata nella morte di così tante persone in una volta sola. In ogni caso, secondo l'Autore la capitale politica di Israele è andata perduta, il Tempio di Erode fatto di mattoni anche, ma il vero Tempio di Dio perdura, incarnato da parte del popolo giudaico che ha aderito al messaggio di Cristo, il famoso "resto" messianico su cui tanto insistevano i profeti.

A questo punto l'intermezzo ha termine, e si conclude il settenario delle trombe. Con il suono della settima tromba sono annunziate, come già avvenute, la definitiva vittoria di Cristo e lo stabilimento in perpetuo della Sua signoria universale sulla storia, come conferma subito l'inno liturgico dei Ventiquattro Vegliardi, secondo cui è giunto il tempo di annientare i Nemici di Dio.

Ma certamente il segno più grandioso connesso alla settima tromba è l'epifania di luce celeste che porta all'apparizione nel Cielo dell'Arca dell'Alleanza, simbolo stesso del legame inscindibile tra Dio ed il Suo popolo, e quindi della Presenza del Signore in mezzo a noi: l'Alleanza è rinnovata una volta per sempre nella Persona di Cristo, conducendo alla definitiva instaurazione sulla Terra del Regno di Dio promesso a Davide e ai suoi discendenti.

La Settima Tromba, in una miniatura conservata nella Trinity College Library di Dublino, fine del XIII secolo

La Settima Tromba, in una miniatura conservata nella
Trinity College Library di Dublino, fine del XIII secolo

 

Ed ora prepariamoci, perchè dopo la solita coreografia di « folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto e una tempesta di grandine » (11,19) sta per prendere corpo davanti ai nostri occhi una delle pagine più celebri dell'Apocalisse e dell'intero Nuovo Testamento, ritenuta capostipite di duemila anni di devozione mariana.

Il mito di Latona e Pitone
Prima dell'avvento del cristianesimo, la patrona ufficiale dell'isola di Patmos era la dea greca Artemide, che veniva adorata nell'Artemision, il famoso tempio di Artemide ad Efeso, annoverato tra le sette meraviglie del mondo antico per la sua bellezza ed imponenza. Del resto la sommità delle isole dell'Egeo era il luogo più adatto per venerare questa divinità della natura, perchè secondo la leggenda proprio là ella era nata: la bellissima Latona, messa incinta da Zeus, aveva suscitato la gelosia di Era, la permalosa sposa del re degli déi. Quest'ultima mandò sulle sue tracce il drago Pitone, con il compito di divorare lei ed i suoi figli, ed impedì ad ogni angolo della Terra di dare ricettacolo a Latona per partorire. Zeus allora salvò Latona dal terribile Pitone e le indicò come nursery l'isola di Delo, che allora non era fissata al fondo del mare ma andava vagando fra le onde. Lì, a non molta distanza da Patmos, Latona partorì Apollo ed Artemide; Pitone venne poi ammazzato da Apollo, che diede il suo nome alla propria sacerdotessa, la celebre Pizia. Dante ricorda questo mito con tre celebri versi:

« Certo non si scoteo sì forte Delo,
pria che Latona in lei facesse 'l nido
a parturir li due occhi del cielo » (Purg. XX, 130-132)

A questa colorita leggenda San Giovanni, che a Patmos ha scritto l'Apocalisse, sostituisce la grandiosa visione della donna e del drago (12,1-9). Al posto di Latona c'è un'apparizione meravigliosa, che ha commosso i mistici di ogni epoca:

« Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto » (12,1-2)

Al posto di Pitone invece c'è un mostro orrendo, che vediamo qui per la prima volta e poi verrà riproposto in più occasioni nel corso del libro:

« Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra » (12,3-4)

Agostino Comerio, la Donna e il Drago, affresco del 1824 nel Santuario della Madonna della Bocciola, Ameno (NO)

Agostino Comerio, la Donna e il Drago, affresco del 1824
nel Santuario della Madonna della Bocciola, Ameno (NO)

 

La Donna Vestita di Sole
Nella donna incinta, che partorisce un Bambino « destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro », il quale viene « subito rapito verso Dio e verso il suo trono » per sottrarlo al mostro che infuria contro di Lui e contro Sua madre, la tradizione ha naturalmente identificato Maria, la Madre di Cristo, che da allora viene tradizionalmente raffigurata nell'arte con la corona di dodici stelle, la luna sotto i piedi e l'abito risplendente. Tuttavia probabilmente Giovanni, tratteggiando questa visione straordinaria, pensava piuttosto alla Chiesa, cioè al Popolo di Dio dell'Antico Testamento che ci dona Gesù Cristo e diventa il Popolo di Dio del Nuovo Testamento, alias la Chiesa cristiana, la quale lotta con Satana per mantenersi fedele a Dio, venendo da Lui sempre salvata. Il parto doloroso non può che richiamare le sofferenze della Passione di Cristo. Comunque non dobbiamo dimenticare che Maria dopo la Morte e Resurrezione di Cristo fu affidata proprio a Giovanni, e dunque non è impossibile che egli pensasse proprio alla Madre di Dio quando tratteggiò questo ritratto ideale. Dopotutto anche Maria fuggì in Egitto per scampare alla persecuzione di Erode il Grande, un evento che la Vergine deve aver raccontato molte volte a Giovanni; ed ecco che la Donna Vestita di Sole fugge proprio nel deserto per scampare al dragone, rimanendovi 1260 giorni, cioè i tre anni e mezzo da noi già incontrati in precedenza:
cifra simbolica, questa, per indicare il tempo di persecuzione della Chiesa, cioè tutta la durata della storia della Chiesa militante. Potrebbe trattarsi, fatti i calcoli, dell'effettiva durata della permanenza in Egitto della Sacra Famiglia; ma, coincidendo con tre anni e mezzo, cioè con la metà di sette, indica comunque un periodo di tempo incompiuto, rimarcando il fatto che l'apparente vittoria del Dragone su di Lei è solo temporanea, e prelude soltanto alla sconfitta definitiva del mostro.

Vale la pena di leggere quanto scrive in proposito Ugo Vanni, uno dei massimi esperti dell'Apocalisse di ogni tempo:

« Esiste una continuità in crescendo, una vera evoluzione tra "Madre di Gesù" e la "Donna" nel quarto Vangelo da una parte e quanto troviamo a proposito della "Donna" nel capitolo 12 dell'Apocalisse, dall'altra. La "Madre di Gesù" detta "Donna" enigmaticamente già in Giovanni 2,4 fa pensare alla chiesa, della quale Maria, Gesù e i discepoli insieme (cfr. Giovanni 2,12) rappresentano la prima realizzazione. Ma il termine "Donna", venendo dopo la domanda provocante di Gesù sul suo rapporto con Maria, ribadita con l'allusione all'"ora" di Gesù, esce fuori dal suo contesto immediato e punta in avanti, verso l'"ora". Nel contesto dell' “ora” la qualifica di "Donna" viene ripresa e se ne ha una prima spiegazione. Mediando tra Madre di Gesù e la maternità nei riguardi dei discepoli, il termine riferisce Maria alla Chiesa, che è già costituita dai discepoli di Gesù. La Madre di Gesù Donna appare di fatto in funzione della chiesa. Accolta nella chiesa di Giovanni, esercitandovi la sua funzione di maternità, Maria spinge la chiesa che l'accoglie a rispecchiarsi in lei. Appare allora, sulla linea della "Sion", come un simbolo paradigmatico della chiesa stessa. In questo senso si identifica idealmente con la chiesa. Ma la sua denominazione di "Donna" e "Madre di Gesù" appariranno in tutta la loro portata nell'Apocalisse. La Chiesa, rispecchiandosi in Maria, scoprirà la sua identità e la sua funzione di portatrice e generatrice di Cristo nella storia. Allora la Chiesa potrà denominarsi, semplicemente, "la Donna". Quest'ampia traiettoria teologico-biblica deve essere tenuta presente nel suo insieme con tutto il dinamismo letterario che comporta, pena, altrimenti, il rischio di interpretazioni isolate e riduttive. Se si prescinde dalla Chiesa-Donna dell'Apocalisse, che genera Cristo nella storia fino al compimento escatologico, gli appellativi "Madre di Gesù" e "Donna" dati a Maria nel quarto Vangelo rimangono elementari e si appiattiscono. Viceversa, se si prescinde dal movimento in avanti che parte dal Quarto Vangelo e sbocca nel capitolo 12 dell'Apocalisse, la figura della "Donna-Chiesa" apparirà sorprendente ed enigmatica, come ci mostrano le tante interpretazioni che, anche salvando il significato ecclesiale di fondo, sono state proposte. Non si capisce adeguatamente la donna-chiesa senza rapportarla a Maria. Parimenti, se non si coglie nel Quarto Vangelo, la tensione tra "Madre di Gesù" e "Donna", si correrà il rischio, nell'interpretare il capitolo 12 dell'Apocalisse, di identificare la "Donna" con Maria, svuotandone la dimensione ecclesiale. Non si capisce la portata teologico-biblica di Maria, "Madre di Gesù", se non la si vede insieme come "donna" rapportata, in quanto tale, alla chiesa. Maria in sintesi è Madre di Gesù nel senso più ampio del termine: è madre fisica di Gesù, diventa madre morale favorendone la crescita nei discepoli. Così è messa in contatto diretto con la Chiesa-Donna di cui costituisce il simbolo ideale e nella quale potrà riconoscersi: la maternità della Chiesa che porterà Cristo negli spazi della storia prolunga la maternità di Maria e si salda con essa. »

In ogni caso, la visione contiene numerosi richiami biblici: la donna è probabilmente ispirata alla Vergine madre del Messia in Isaia 66,7-14, oltre che alla profezia "protoevangelica" di Genesi 3,15; « vestita di Sole » nel linguaggio biblico indica bellezza sovrumana, e le « dodici stelle » alludono come al solito alle dodici Tribù d'Israele e ai Dodici Apostoli su cui la Chiesa è fondata. Queste dodici stelle sono finite sulla Bandiera dell'Unione Europea, il cui disegnatore, il francese Arsène Heitz, ha dichiarato di pensare proprio a questa pagina dell'Apocalisse quando ha disegnato il vessillo!

Il Drago
Quanto al drago, contrariamente a quanto si crede esso non è un'invenzione medioevale: fa parte integrante della mitologia ebraica, la quale considerava il mare aperto pullulante di mostri spaventosi. Per gli Ebrei, popolo di pastori del deserto ed affatto non adusi alla navigazione, il mare è simbolo del Male, del Disordine, del Caos, di tutto ciò che è nemico di Dio (non a caso sono le acque, non il fuoco, a provocare il diluvio di Noè, ritrasformando il cosmo in caos). Questi mostri sono la personificazione di questo disordine mugghiante e distruttore, probabilmente ricalcati sulla figura di Tiamat, drago della mitologia babilonese che rappresentava le acque dell'oceano, e che fu distrutto da Marduk ed usato per costruire il cosmo. Nella Bibbia vengono chiamati con vari nomi: Raab (Isaia 51,9), Leviathan (Salmo 74,14), Behemot (Giobbe 40, 15-24).

Jean Lurçat, La Donna e il Dragone, abside della Chiesa di Notre-Dame De Toute Grâce, Plateau d'Assy (Francia), 1948, foto dell'autore di questo sito

Jean Lurçat, La Donna e il Dragone, abside della Chiesa di Notre-Dame De
Toute Grâce, Plateau d'Assy (Francia), 1948, foto dell'autore di questo sito

 

Più nel dettaglio, il drago di Giovanni si rifà all'analogo mostro tratteggiato in Daniele 7,7, ma il suo significato va al di là della banale identificazione con Satana, e si cala invece decisamente nel quotidiano dell'Apostolo Giovanni. Infatti è opinione concorde che dietro il drago color rosso sangue si nasconda nient'altro che la potenza di Roma. Esso infatti è rosso, come gli stendardi di Roma con la scritta SPQR; ha sette teste, così come sette sono i colli su cui sorge la Città Eterna; ogni testa ha un diadema, a confermare la potestà regale terrena, e sulle teste si contano dieci corna (quindi, come diceva un mio studente, tre teste hanno due corna e quattro ne hanno una sola!). Appare possibile identificare queste corna con i sovrani che hanno regnato sull'Impero Romano fino all'epoca di composizione dell'Apocalisse:

Da notare che mancano all'appello Vespasiano (69-79) e Tito (79-81), padre e fratello di Domiziano, per due motivi. Prima di tutto perchè essi non perseguitarono la Chiesa durante il loro principato, ed anzi distrussero Gerusalemme, dando compimento alle profezie di Gesù Cristo; ed in secondo luogo perchè con loro le corna sarebbero diventate dodici, quante le stelle della corona della Donna, e questo chiaramente non era ammissibile.

Detto questo, va fatto notare che con i suoi simboli di valore universale, l'opera di  San Giovanni va al di là dei confini cronologici dell'impero romano: ciò che predica contro questo vale per ogni impero politico della storia avvenire che combatterà Cristo instaurando la statolatria, fino ad arrivare alle orrende dittature che hanno insanguinato il XX secolo, come ben ha compreso il film "I Quattro Cavalieri dell'Apocalisse" che abbiamo citato in uno dei capitoli precedenti.

L'interpretazione "politica" del dragone è sostenuta anche dal fatto che subito esso scatena una guerra atroce contro le potenze celesti, così come Roma era perpetuamente in guerra contro i popoli confinanti (anche durante la cosiddetta "Pax Augustea", i confini furono spinti fino al Danubio):

« Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. » (12,7-9)

L'Arcangelo Michele
La lotta furibonda è ingaggiata dall'Arcangelo Michele, tradizionale protettore del Popolo Ebraico e quindi anche della Chiesa, che infatti è sempre rappresentato con la spada in mano, nell'atto di schiacciare il diavolo sotto i piedi. Ed ora l'Avversario (tale è in ebraico il significato di "Satana") è chiamato per nome senza ambivalenze: egli è il "serpente antico", quello di Genesi 3,14 che sedusse Eva e la convinse a commettere il Peccato Primordiale; è il "diavolo", dal greco "colui che divide", che mette gli uomini l'uno contro l'altro; è il Seduttore, colui che sobilla gli uomini al Male dopo essersi presentato loro con la pelle dell'agnello indosso, perchè dobbiamo ricordare sempre, come dice un mio collega insegnante di filosofia, che l'Anticristo non è il Male, ma il Male che si traveste da Bene. Subito dopo si aggiunge un altro titolo: l'Accusatore, che ci mostra il diavolo nella sua veste di Pubblico Ministero nel processo intentato contro l'anima umana dopo la sua morte; è in questa veste che ce lo presenta il Libro di Giobbe, nell'atto di accusare quest'ultimo davanti a Dio di essere pio solo perchè il Signore gli ha concesso molti beni. Si noti che in 12,4 si diceva che « la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra »: sulla scia di Giuda 6 e di 2 Pietro 2,4 si tratta di una probabile allusione alla caduta degli angeli ribelli, precipitati da Michele nell'Abisso: un tema caro alla letteratura apocalittica giudaica, tanto da essere al centro del "Libro dei Vigilanti", una delle sezioni del Libro Apocrifo di Enoc.

Guido Reni, Michele sconfigge Satana (1635), chiesa di Santa Maria della Concezione, Roma

Guido Reni, San Michele sconfigge Satana (1635),
chiesa di Santa Maria della Concezione, Roma

 

A questo punto le immagini fantasmagoriche si accavallano come in un racconto fantasy: il drago si avventa contro la Donna, simbolo dell'eterna persecuzione di cui è fatta oggetto la Chiesa di Cristo, ma le vengono date « due ali della grande aquila, per volare nel deserto verso il rifugio preparato per lei per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo lontano dal serpente » (12,14). Il deserto è il rifugio tradizionale dei perseguitati: Israele fugge nel deserto rincorso dal Faraone, Elia scappa nel deserto per sfuggire all'ira di Gezabele, ed anche Gesù Bambino fugge attraverso il deserto verso l'Egitto per scampare ad Erode. Lì la donna resterà tre anni e mezzo, cioè i soliti 1260 giorni, simbolo ricorrente della vittoria solo temporanea del Maligno. Ma il drago non si accontenta e cerca di travolgere la Donna con un fiume d'acqua vomitato dalla sua bocca: come abbiamo visto, l'acqua travolgente è simbolo del Male e della Morte. Ma la terra stessa si squarcia ed inghiotte l'acqua vomitata dal Serpente. Fallito ogni assalto contro di lei, « il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù. E si fermò sulla spiaggia del mare » (12,18-19). Riecco il mare, solito simbolo del male e del disordine. Ciò significa che la persecuzione che ha colpito Cristo si estende lungo l'arco della storia a tutti i cristiani, fedeli al Vangelo di Cristo, e che il Dragone sta in agguato, sempre affamato di anime. Ma, come ricorda l'inno incastonato al centro del capitolo, « guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è precipitato sopra di voi pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo » (12,12). Il Bene, non il Male, avrà l'ultima parola, ed il tempo in cui il demonio potrà imperversare sugli uomini, per quanto lungo, è comunque finito. Gesù Cristo con la Sua Passione e Morte ha vinto Satana in via definitiva ed ha dato sicurezza alla Chiesa che crede e spera in Lui. Si tratta indubbiamente di un messaggio di speranza per tanti cristiani terrorizzati dalla persecuzione di Domiziano, uno dei corni del grande Drago.

Ma il Dragone, purtroppo, è in buona compagnia. Per scoprire di chi, cliccate qui e proseguite il viaggio.