Il Big Bang  

Tra i vari modelli di universo, uno dei più diffusi per tutta la prima metà del Novecento era il cosiddetto Modello Stazionario. Esso si fonda sull'osservazione che il cosmo, pur presentando enormi differenze da un punto all'altro, su scala uniforme è assai più uniforme di quanto si possa pensare. Vale infatti il cosiddetto Principio Cosmologico: l'universo è omogeneo, cioè i valori medi dei suoi parametri sono costanti in ogni suo punto, ed è isotropo, in quanto ha le stesse caratteristiche in tutte le direzioni. Questo portò a credere che l'universo mantenga l'omogeneità e l'isotropia non solo nello spazio, ma anche nel tempo, e la sua densità resti costante. Il maggior sponsor di questo modello di universo fu Albert Einstein, secondo il quale l'universo coincideva addirittura con Dio, e dunque era quanto di più immutabile si potesse pensare. Tuttavia, proprio la Relatività Generale elaborata dal grande Einstein era in netto contrasto con questa concezione dell'universo: un universo stazionario, soggetto alla sola gravità, è infatti instabile, perchè tutte le masse tendono a collassare in un punto. Allora Einstein decise di modificare le sue equazioni gravitazionali, introducendo un termine repulsivo, detto costante cosmologica Λ, senza alcuna giustificazione teorica, con il solo scopo di spiegare la stazionarietà dell'universo.

Dopo la scoperta da parte di Hubble e Lemaître del red shift e quindi dell'eterno moto delle galassie, tuttavia, Einstein si rese conto di aver commesso un errore, che gli aveva impedito di prevedere proprio l'espansione dell'universo, l'unica possibilità di impedire il collasso della materia dell'universo in un unico punto. In seguito vedremo come la costante cosmologica Λ, definita da Einstein « il più grande errore della mia carriera », sia stata brillantemente recuperata dalla Fisica degli anni Duemila, dimostrando che gli errori di una grande mente sono più importanti delle cose esatte pensate da una mente mediocre. Nel frattempo, però, il già citato padre Georges Lemaître (1894–1966) aveva proposto per la prima volta un modello alternativo: l'universo non sarebbe eterno, ma avrebbe avuto un inizio, coincidente con un'esplosione primordiale, detta Big Bang ("grande scoppio"), che scagliò in ogni parte del cosmo grumi di materia, sviluppatisi poi in galassie. Il Big Bang diede origine al tempo, dunque non avrebbe senso chiedersi "cosa c'era prima del Big Bang", non essendoci stato un "prima"; e con esso non prese il via solo la corsa delle galassie ad allontanarsi l'una dall'altra, ma cominciò ad esistere lo spazio stesso nel quale le galassie esistevano. Quest'ipotesi affascinante fu poi perfezionata dal fisico ucraino George Gamow (1904–1968), fuggito negli USA per sfuggire alle purghe staliniane, in collaborazione con Ralph Asher Alpher (1921-2007), lui pure figlio di immigrati russi.

George Gamow (Odessa, 4 marzo 1904 – Boulder, 19 agosto 1968)

George Gamow (Odessa, 4 marzo 1904 – Boulder, 19 agosto 1968)

Il modello del Big Bang inizialmente fu rigettato dalla maggior parte dei fisici, ancora legati al vecchio modello stazionario, i quali accusavano padre Lemaître di aver elaborato un modello troppo simile alla Creazione biblica. Inoltre le misure non precise della costante di Hubble-Lemaître fecero pensare a più di uno che l'universo non avesse più di 11 miliardi di anni di età, mentre ad alcune remotissime galassie era assegnata un'età di quasi 15 miliardi di anni. Come poteva l'universo essere più giovane delle sue stelle più antiche? E così, nel 1948 Hermann Bondi (1919–2005) e Fred Hoyle (1915–2001) proposero una nuova versione del modello stazionario, secondo il quale l'universo è sempre esistito, sempre esisterà e la sua densità resta costante nel tempo poiché nel vuoto si crea spontaneamente nuova materia per effetto di un campo enigmatico chiamato campo C. Secondo Hoyle, per mantenere costante quest'ultima compensando l'espansione basterebbe che si formasse un solo atomo di idrogeno per metro cubo di spazio ogni miliardo di anni. Naturalmente nessuna teoria fisica oggi nota giustifica la creazione di materia dal nulla, seppure con un ritmo così ridotto, ma nessuna teoria spiega per esempio né la materia oscura né l'energia oscura.

La prova decisiva a favore della Teoria del Big Bang arrivò nel 1965, ad opera di Arno Penzias (1933–) e Robert Wilson (1936–), ricercatori della Bell Telephone. Mentre stavano provando un nuovo tipo di antenna per microonde, essi scoprirono una sorta di "rumore di fondo" con la frequenza propria delle microonde, che sembrava provenire da ogni parte dell'universo. Inizialmente diedero la colpa del disturbo a un nido di uccelli trovato nell'antenna, ma anche dopo averlo rimosso il disturbo proseguì. In seguito, grazie al contributo di Robert Dicke (1916–1997) della Princeton University, essi compresero di aver captato una radiazione di corpo nero alla temperatura di 2,7 K (oltre 270° sotto lo zero centigrado), che oggi sappiamo essere la temperatura media generale dell'universo. Noi sappiamo che l'atmosfera terrestre è opaca a tale frequenza, per cui la sua origine non poteva essere sulla superficie terrestre. Questa radiazione venne chiamata radiazione cosmica di fondo o CMB (Cosmic Microwave Backround radiation) e rappresenta l'ultima traccia della colossale "bruciatura" dovuta al Big Bang, come l'odore cattivo che permane in una stanza dopo che l'arrosto è bruciato. Per questa scoperta Penzias e Wilson ricevettero il Premio Nobel per la Fisica nel 1978.

Arno Penzias (16 aprile 1933 - vivente) e Robert Wilson (10 gennaio 1936 - vivente)

Arno Penzias (16 aprile 1933 – vivente) e Robert Wilson (10 gennaio 1936 – vivente)

Come mai la radiazione di microonde scoperta dal duo Penzias & Wilson può essere considerata come la prova decisiva a favore del Big Bang? Qualsiasi corpo che si trovi a una temperatura superiore allo zero assoluto emette sempre radiazioni, provocate dall'agitazione termica dei portatori di carica. In particolare, un corpo nero (ad esempio una cavità dalle pareti perfettamente opache) emette una radiazione che dipende solo dalla sua temperatura assoluta. Per la Legge di Wien, più la temperatura è elevata, più alta è la frequenza delle radiazioni. Per questo in radioastronomia ad ogni radiazione è associata una temperatura equivalente, cioè la temperatura di una cavità dentro la quale si deve porre l'antenna affinché essa registri un fascio di onde elettromagnetiche aventi un'intensità, e quindi una lunghezza d'onda, pari a quelle della radiazione ricevuta. La Legge di Wien afferma che la frequenza cui corrisponde la massima emissione di radiazioni è data da:

fMAX = α T          (1)

dove α = 1,034 x 1011 Hz K–1 è la costante di Wien. Inserendo in essa T = 2,7 K si ottiene per fMAX un valore di 2,79 x 1011 Hz, cui corrisponde una frequenza λMAX = 10–3 m, che ricade appunto nell'intervallo delle microonde, e corrisponde al valore misurato da Penzias e Wilson con la loro antenna. La temperatura di 2,7 K corrisponde esattamente a quella prevista teoricamente per la radiazione residua della prima fase caldissima dell'universo primordiale, subito dopo il grande scoppio; dopo 13 miliardi e mezzo di anni, infatti, lo spostamento Doppler verso il rosso ha talmente indebolito la radiazione di fondo, da portarla nel freddo intervallo delle microonde. Questa tenue radiazione fossile è in parte responsabile del disturbo visibile su un comune televisore in un canale non sintonizzato, ed oggi comprende ormai solo pochi fotoni per millimetro quadrato. Per studiare nei dettagli questa radiazione è stata approntata una missione spaziale ad hoc: il satellite COBE (COsmic Background Explorer), lanciato dalla NASA il 18 novembre 1989, misurò lo spettro della radiazione cosmica di fondo a microonde, e cercare eventuali disuniformità in questa radiazione, che apparentemente sembrava omogenea in ogni direzione del cielo. La missione fu un completo successo: dopo aver misurato che la radiazione di fondo corrisponde ad uno spettro di corpo nero ad una temperatura di 2,726 K, in perfetto accordo con le previsioni teoriche), esso ha rivelato per la prima volta piccole variazioni spaziali dell'emissione, comprese fra lo 0,0001 % e lo 0,001 % del valore medio. I due principali ideatori e realizzatori di COBE, John C. Mather (1946-) e George F. Smoot (1945-), hanno ricevuto il Premio Nobel per la Fisica del 2006 per i risultati conseguiti dal loro satellite. Misure ancora più precise sono state ottenute dall'esperimento BOOMERanG, che ha sfruttato tre voli suborbitali di un pallone sonda ad alta quota nel corso del 1997; il satellite WMAP, lanciato il 30 giugno 2001; e il satellite dell'ESA Planck, lanciato dalla Guyana francese il 14 maggio 2009. Planck si trova in orbita nel punto lagrangiano L2 a un milione e mezzo di km dalla Terra, mappando il cielo su nove frequenze comprese nell'intervallo tra 30 e 857 GHz o, se si preferisce, su nove lunghezze d'onda comprese fra 0,35 mm e 1 cm, nel dominio delle microonde. Ruotando attorno sul proprio asse con un periodo di un minuto, il satellite Planck è in grado di completare la mappatura di tutto il cielo in sette mesi. Nel marzo 2013 sono stati comunicati ufficialmente i risultati delle osservazioni, che hanno confermato quelle di WMAP: proprio come afferma il Principio Cosmologico, l'universo su grande scala si presenta uniforme. Ecco la distribuzione della CBM come è stata rilevata dal satellite Planck; il rosso indica anisotropie, cioè fluttuazioni rispetto alla temperatura media, di + 0,001 K, e il blu fluttuazioni di – 0,001 K:

Siccome le fluttuazioni sono comprese in un intervallo di soli 0,002 K, il Principio Cosmologico appare confermato in pieno. Ma l'altissima risoluzione del satellite Planck ha rivelato delle anomalie significative, già suggerite da WMAP, sotto forma di un'asimmetria tra i due emisferi, e in basso a destra si nota una zona blu più scura delle circostanti, e sensibilmente troppo vasta rispetto alle previsioni. I cosmologi sono perplessi di fronte all'idea di dover abbandonare il principio dell'isotropia dell'universo, e quindi di dover pensare ad una geometria dell'universo assai più complessa di quella fin qui immaginata; questa sarà comunque una delle grandi sfide della Fisica del XXI secolo.

Vi è però un'altra ragione per cui alcuni cosmologi, negli anni '40 del secolo scorso, ipotizzarono che qualcosa doveva essere accaduto all'inizio dell'evoluzione del cosmo, per giustificare l'osservazione sperimentale del fatto che l'elio presente nell'universo è molto di più di quello che viene prodotto nelle reazioni di fusione nucleare che avvengono all'interno delle stelle (l'elio rappresenta il 20-25 % della massa dell'intero universo). George Gamow e Ralph Alpher ipotizzarono che una reazione di nucleosintesi primordiale avesse prodotto l'elio, oltre ad un'intensa emissione di radiazione che in seguito fu identificata con quella di Penias e Wilson. In aggiunta a tutte queste scoperte sulla radiazione cosmica di fondo, il satellite Hipparcos (High Precision Parallax Collecting Satellite) dell'ESA, messo in orbita da un razzo Ariane 4 il 18 agosto 1989, ha misurato con grandissima precisione le distanze stellari, portando a rivedere le stime sull'età di alcuni oggetti che erano parsi più vecchi dell'intero universo, e facendo così cadere l'ultimo ostacolo alla definitiva accettazione della Teoria del Big Bang.

In cosa sia consistito esattamente il Big Bang, non si é ancora riusciti a ricostruirlo con sufficiente precisione, e questo principalmente per le grosse lacune che rimangono nella nostra conoscenza della Fisica delle Particelle Elementari: il Modello Standard semplicemente non è abbastanza esauriente per rispondere in modo compiuto a questa domanda. Comunque, possiamo essere certi che non fu un vero e proprio scoppio, come quello di una bomba che va in migliaia pezzi scagliando schegge dappertutto; e questo semplicemente perché all'intorno... non vi era ancora spazio. Fu proprio il Big Bang a creare lo spazio, con l'espansione che ne seguì. E creò anche il tempo, perché là dove non c'é né materia né energia, nessun cambiamento può spontaneamente intervenire, ed é solo la presenza di energia, anche "materializzata", a far avvertire che vi é un "tempo" che può trascorrere. Secondo questa visione, non si può parlare di un "prima del Big Bang", perché é stato il Big Bang stesso a generare il prima ed il dopo. Qualcuno comunque ha cominciato a porsi delle domande circa la possibile causa che ha scatenato il Big Bang, e di questo parleremo in una prossima lezione.

Tuttavia, gli studi proseguono di pari passo con l'evolversi della Fisica delle Particelle. Infatti, andando a ritroso nel tempo, man mano che ci avviciniamo al Big bang ci accorgiamo che la densità, l'energia e la temperatura dell'universo aumentano, fino a raggiungere valori inimmaginabili nei primi istanti di vita del creato: gli stessi ai quali abbiamo visto avvenire l'unificazione delle forze. Appare dunque immediato pensare che tornando indietro nel tempo vedremo le interazioni fondamentali si fondono a formarne di nuove, le particelle composte dissolversi e saltar fuori nuovi corpuscoli mai osservati prima. Ecco perchè studiare la cosmologia, e il Big Bang in particolare, richiede una profonda conoscenza della Fisica che governa il cuore della materia. Mediante i maggiori acceleratori di particelle del pianeta Terra, come l'LHC di Ginevra, gli scienziati stanno cercando di ricostruire nei dettagli le stesse condizioni esistenti nei primissimi istanti di vita dell'universo, che era regolato da una Fisica completamente diversa da quella cui noi siamo abituati. A titolo di esempio, nel marzo 2000 un gruppo di Fisici dell'Heavy Ion Programme del CERN è riuscito, facendo collidere tra loro nuclei di piombo accelerati fin quasi alla velocità della luce con un'energia di 33 TeV, a ricreare uno stato esotico della materia di cui abbiamo già parlato, il plasma di quark e gluoni, una specie di "brodo primordiale" nel quale i costituenti più intimi della materia esistevano liberi, prima che nascessero non solo gli atomi, ma anche i protoni e i neutroni. Questo plasma raggiunse una temperatura centomila volte superiore a quella esistente nel nucleo del Sole, ed è sopravvissuto per soli 10–23 secondi.

Rappresentazione artistica della linea cronologica del nostro universo

Rappresentazione artistica della linea cronologica del nostro universo

La storia dell'universo primordiale è stata perciò divisa in epoche, ciascuna caratterizzata da un diverso stato della materia; il passaggio da un'epoca a quella successiva è caratterizzata da una "transizione di fase", che rappresenta una totale riorganizzazione della materia e dell'energia. Le principali epoche finora individuate sono le seguenti:

1) Era di Planck

Essa parte all'istante zero e dura un "tempo di Planck", grandezza caratteristica della Meccanica Quantistica e definita a partire da tre costanti fondamentali, come vedremo in una prossima lezione:

dove h tagliato è la costante di Planck ridotta h / 2π , G è la costante di gravitazione universale e c è la velocità della luce. Si dimostra che essa ha le dimensioni di un tempo e vale 5,391 x 10–44 secondi; è il "quanto di tempo", cioè il tempo più breve di cui abbia senso parlare in Fisica. Quest'era era caratterizzata dalla cosiddetta "gravità quantistica", una Fisica di cui sappiamo ancora pochissimo, e sulla quale torneremo in un'altra lezione. Non possedendo ancora una teoria quantistica coerente della gravitazione, per ora quest'epoca è una "terra di nessuno" che nessuno riesce a descrivere compiutamente. L'unica cosa certa è che in quest'epoca tutte le interazioni fondamentali, compresa quella gravitazionale che è l'oggetto delle nostre ricerche, erano riunite in un'unica forza originaria; le particelle come oggi le conosciamo non esistevano ancora, la gravità era "intrappolata" e probabilmente non esistevano neppure lo spazio e il tempo come noi li intendiamo oggia.

2) Era della GUT

Essa parte dal tempo di Planck ed arriva fino a 10–34 secondi; è caratterizzata da energie dell'ordine di 1015 GeV e da temperature dell'ordine dei 1040 Kelvin. La fine dell'Era di Planck e l'inizio dell'Era della GUT è segnata da una transizione di fase che porta la gravità a separarsi dalle altre forze, che invece sono riunite in un'unica protoforza regolata dalla GUT, tuttora in discussione nell'ambito accademico (ne abbiamo parlato a suo tempo). Le primissime particelle elementari e l'intensissima radiazione sono ancora accoppiate tra di loro in un miscuglio inestricabile di materia e di energia; secondo chi crede in questa teoria, i preoni si confinano dentro i quark e i leptoni che, con le relative antiparticelle, formano ancora un'unica famiglia. I fotoni, appena emessi, vengono immediatamente riassorbiti, ed i neutrini sono in equilibrio termico con le altre componenti di questo indifferenziato brodo primordiale.

3) Era elettrodebole

Comincia 10–34 secondi dopo il Big Bang ed arriva fino a 10–10 secondi. La temperatura scende fino a 1027 Kelvin. Finita l'epoca della Grande Unificazione, con una seconda transizione di fase la forza nucleare forte si separa dalle altre, mentre la forza nucleare debole e la forza elettromagnetica restano ancora unite nell'unica forza elettrodebole. A questo punto, i quark e i leptoni non possono più trasformarsi gli uni negli altri. In quest'era si pensa che possa aver avuto luogo l'inflazione cosmica. A causa di una lievissima asimmetria, si rompe l'equilibrio tra materia ed antimateria, particelle ed antiparticelle si annichilano a vicenda, le seconde spariscono quasi completamente mentre il leggero eccesso di particelle sopravvissute porta alla generazione di tutta la materia che oggi vediamo.

4) Era dei quark

Inizia 10–10 secondi dopo il Big Bang e giunge fino a 10–5 secondi. A causa della rapida espansione, l'energia media dell'universo scende attorno ai 100 GeV, corrispondente a una temperatura di 1015 Kelvin, e paragonabile ai valori energetici ottenibili nei maggiori acceleratori di particelle a nostra disposizione. Il cosmo si trova in uno stato di plasma di quark e gluoni. Mediante una terza transizione di fase la forza elettrodebole si separa in forza nucleare debole e forza elettromagnetica. Tutte e quattro le forze fondamentali oramai sono separate tra di loro. Ecco una rappresentazione grafica (tratta dal sito dell'INFN, che ringrazio) che mostra come "l'albero genealogico" dell'unificazione delle forze viene a coincidere con la linea cronologica dell'universo in cui viviamo:

5) Era delle particelle

Va da 10–5 secondi a circa un minuto dopo il Big Bang. La temperatura si è notevolmente abbassata, fino a 109 Kelvin, anche se rimane altissima per i nostri canoni umani, ma permette ancora l'equilibrio termodinamico tra materia e radiazione. Una quarta transizione di fase fa sì che i quark e i gluoni presenti nel plasma primordiale perdano la loro libertà d'azione, venendo confinati dentro i protoni e i neutroni. I neutrini non interagiscono più con le altre particelle. I fotoni, avendo energie più basse, non possono più produrre nuove coppie elettrone-positrone, le cui annichilazioni si riducono drasticamente di numero; ora vi è un elettrone ogni miliardo di fotoni.

6) Era dei nuclei

Essa va da un minuto a circa 379.000 anni dopo il Big Bang. Quinta transizione di fase: man mano che la temperatura diminuisce, protoni e neutroni cominciano a dare vita ai primi nuclei atomici (nucleosintesi), a partire dai più leggeri: il deuterio e l'elio. Gli atomi cominciano a formarsi quando i nuclei riescono a catturare i primi elettroni. L'universo si trova per lo più allo stato di plasma. La temperatura scende fino a 5000 Kelvin e la densità scende fino a 10–20 grammi per centimetro cubo; alla fine di quest'era i fotoni non sono più in grado di distruggere gli atomi.

7) Era della materia

Va da 379.000 anni dopo il Big Bang fino ad oggi. Al di sotto dei 5000 K avviene una sesta e fondamentale transizione di fase in cui l'equilibrio termodinamico tra materia e radiazione si rompe, e i fotoni possono finalmente liberarsi. L'universo diventa per la prima volta trasparente: è il famoso « Sia la luce! » dei primi versetti della Genesi. A questo punto ha origine la famosa radiazione cosmica di fondo osservata da Penzias e Wilson, di cui abbiamo parlato in quel che precede. Nel 2003 gli astrofisici sono riusciti a scattare una formidabile foto dell'universo risalente a tale periodo, grazie al telescopio italo-americano sospeso ad un pallone aerostatico nell'ambito della missione BOOMERanG (Balloon Observation Of Millimetric Extragalactic Radiation and Geophysics), frutto di otto anni di cooperazione tra l'Università di Roma La Sapienza, diretta dal professor Paolo de Bernardis, e dal California Institute of Technology, diretto dal professor Andrew Lange:

La materia comincia a strutturarsi nelle forme che noi conosciamo, dando vita e forma all'universo a noi noto. Come già accennato sopra, i satelliti COBE, WMAP e Planck hanno potuto misurare delle leggerissime disuniformità nella radiazione cosmica di fondo: queste piccolissime fluttuazioni primordiali, probabilmente formatesi all'inizio dell'era della materia per motivi che ancora ci sfuggono, rappresentano i "semi" da cui si svilupparono le primissime stelle e alle primissime galassie, tra cui la citata GN-z11. Intanto la temperatura scende sempre più, fino ad arrivare ai 2,7 K attuali, che rappresentano la temperatura media generale dell'universo. Le esplosioni delle prime supernovae diffondono nello spazio gli elementi chimici pesanti, che si diluiscono nelle nubi di gas interstellari; queste ultime, contraendosi, danno vita alle più svariate configurazioni dell'universo attuale: le stelle, le comete, gli asteroidi, i pianeti, la vita, l'uomo. Tutta questa successione di ere, segnate dalla continua espansione dell'universo, prende il nome di Modello Cosmologico Standard, detto anche modello LCDM (acronimo di Lambda Cold Dark Matter)

Aggiungiamo che nel dicembre 2017 è stata annunciata la scoperta di un quasar incredibilmente remoto, la cui luce è stata emessa quando l'universo era neonato, solo 690 milioni di anni dopo il Big Bang, e ha impiegato la bellezza di 13 miliardi di anni per arrivare fino a noi ed essere rilevata dagli strumenti del Gemini Observatory, sulla cima del monte Mauna Kea, nelle Isole Hawaii. Tale quasar, indicato con la difficile sigla ULAS J134208.10+092838.61, è stato scoperto da Eduardo Bañados della Carnegie Institution for Science di Pasadena in California. Il nuovo quasar fornisce importanti indizi sul processo di reionizzazione, un fenomeno avvenuto tra 150 milioni e un miliardo di anni dopo il Big Bang, quando gli oggetti che iniziavano a popolare l'universo diventavano via via abbastanza energetici da ionizzare l'idrogeno neutro, formando un plasma di elettroni e protoni liberi. La presenza di elettroni liberi rende lo spazio opaco alla radiazione elettromagnetica, e quindi alla luce, perché gli elettroni diffondono i fotoni, perturbandone la propagazione. Ma l'espansione del cosmo ha reso il plasma progressivamente più rarefatto, favorendo sempre più la libera propagazione della radiazione elettromagnetica. La reionizzazione quindi caratterizza il passaggio da un universo buio a un universo trasparente, poiché ha squarciato quella opaca nebbia primordiale, composta da idrogeno gassoso elettricamente neutro, che permeava il cosmo dei primordi. La luce del quasar scoperto da Bañados e colleghi mostra che una frazione significativa dell'idrogeno era ancora neutra 690 milioni di anni dopo il Big Bang: ciò significa che la reionizzazione è avvenuta relativamente tardi.

Ormai la Teoria del Big Bang ha ricevuto così tante conferme osservative e sperimentali, che nessuno più la metterebbe seriamente in dubbio. Tuttavia, alcune incongruenze insite nella linea temporale sopra descritta hanno portato l'americano Alan Guth (1947–) del Massachusetts Institute of Technology e il giapponese Katsuhiko Sato (1945–) dell'Università di Tokyo a formulare nel 1981 una particolare teoria, anch'essa generalmente accettata dal mondo scientifico, riguardo a ciò che accadde tra 10–36 e 10–32 secondi dopo il Grande Scoppio. Mentre il modello classico del Big Bang propone un'espansione dell'universo con ritmo pressoché costante, e comunque senza brusche variazioni, Guth e Sato proposero, indipendentemente l'uno dall'altro, che in quel breve lasso di tempo il cosmo, ancora confinato dentro una sfera di dimensioni piccolissime, abbia subito un'improvvisa espansione esponenziale, crescendo come mai aveva fatto prima e come mai avrebbe fatto più, tanto da aumentare di oltre 1030 volte le proprie dimensioni lineari!

Questo sensazionale fenomeno fu battezzato con il nome di inflazione, per analogia con l'inflazione economica, un termine inizialmente usato dai detrattori della teoria, che poi però divenne di uso comune. Secondo Alan Guth, l'improvviso "balzo in avanti" dell'universo neonato sarebbe dovuto ad una transizione di fase, simile in certo modo a quella che subisce l'acqua quando passa allo stato di ghiaccio: quando l'acqua solidifica, da uno stato energetico più alto passa ad uno a più bassa energia. Allo stesso modo, l'inflazione sarebbe legata a una transizione dal vuoto ad alta energia ad una ad energia più bassa: l'energia del vuoto si è liberata tutta d'un colpo, tanto da far dire a Guth che « l'universo ha cominciato la sua esistenza con un pasto completamente gratuito servito dal nulla ».

Per quanto questa teoria possa sembrare strampalata, ha il merito di risolvere moltissimi problemi legati alla teoria classica del Big Bang. Tanto per cominciare, come potevano formarsi stelle e galassie in uno spazio assolutamente omogeneo e pervaso uniformemente dalla radiazione di fondo a microonde? La teoria dell'inflazione ipotizza invece che, a seguito della violentissima espansione, le piccole fluttuazioni casuali predette dalle teorie quantistiche dei campi si siano gonfiate anch'esse in modo abnorme, dando così origine all'attuale distribuzione eterogenea della materia nello spazio. Inoltre, se l'ipotesi inflazionaria è vera, tutto l'universo osservabile si sarebbe sviluppato da una regione causalmente connessa, cioè così piccola che la luce avrebbe potuto attraversarla interamente nel brevissimo tempo intercorso fra la "nascita" dell'Universo e l'inizio dell'inflazione, e perciò avente in ogni punto le stesse caratteristiche, quali temperatura e densità; e ciò spiegherebbe perchè la stessa Fisica vale in tutti i punti del nostro universo.

Secondo alcuni Fisici Teorici, la rapidissima inflazione sarebbe stata provocata da un campo scalare chiamato inflatone, un presunto parente del campo magnetico manifestatosi nel "brodo primordiale" quando le particelle si trovavano in una situazione di altissima energia e di caos assoluto. Questo inflatone avrebbe prodotto una pressione tale da vincere l'attrazione gravitazionale, agendo come forza repulsiva e quindi come "motore" dell'inflazione; esso inoltre avrebbe generato nella materia primordiale fluttuazioni quantistiche di densità, le quali avrebbero rappresentato i "semi" per la nascita delle galassie. Nel 2006 le misure di anisotropia della radiazione di fondo cosmico da parte di BOOMERanG e del satellite WMAP hanno fornito dati in eccellente accordo con le predizioni teoriche dell'inflazione, che ha visto così crescere i consensi nella comunità scientifica.

Il fisico russo Andrej Dmitrievič Linde (1948-) ha portato alle estreme conseguenze questa ipotesi, elaborando la cosiddetta teoria dell'inflazione eterna. Essa suggerisce che l'inflazione non si sia arrestata pochi attimi dopo il Big Bang, ma sia continuata per sempre, almeno in alcune regioni dell'universo, facendo crescere indefinitamente il suo volume. Come abbiamo visto alle scale più piccole, dell'ordine della lunghezza di Planck, la spazio ribollirebbe a causa di fluttuazioni di energia, perché secondo la Meccanica Quantistica il vuoto non esiste: il "vuoto quantistico" sarebbe "schiumoso", e ciò creerebbe bolle e wormhole nello stesso modo caotico in cui si formano bolle nell'acqua e sapone. Per questo il modello di Linde è chiamato anche "inflazione caotica". Ogni bolla si autoalimenterebbe per mezzo di processi quantistici, espandendosi fino a formare un nuovo universo, che sarebbe andato incontro ad un'espansione a lungo termine, permettendo la formazione sia di materia che di strutture galattiche a grandissima scala. La famosa energia oscura sarebbe una delle consegueze di questo fenomeno. Ognuno di questi "universi-bolla" sarebbe caratterizzato da proprie leggi fisiche diverse dagli altri, e sarebbe collegato agli altri universi tramite i wormhole teorizzati da Einstein. L'insieme di questi universi prende il nome di multiverso.

Il nostro universo insomma sarebbe solo uno tra gli infiniti possibili. Questo concetto, che riprenderemo nella penultima lezione, è in accordo con l'interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica, proposta in maniera rigorosa per la prima volta nel 1957 da Hugh Everett III (1930-1982). Il multiverso permetterebbe di risolvere anche uno dei principali problemi della Fisica moderna: infatti i parametri fisici del nostro universo sembrano avere i valori esatti per permettere in esso l'esistenza della vita, e quindi di noi uomini. Se le costanti fisiche (ad esempio la costante di struttura fine) avessero solo dei valori leggermente diversi, non esisterebbe neppure la materia. Questo ha portato alla formulazione del cosiddetto "principio antropico forte": l'universo sembra "programmato" per l'esistenza dell'uomo e della sua intelligenza. Quante probabilità ci sono che queste coincidenze si verifichino? Praticamente zero. Se invece non esiste un solo universo, ma infiniti, noi vediamo tali coincidenze perchè viviamo in uno degli universi i cui parametri casualmente sono compatibili con la vita. Non vediamo valori diversi perchè negli universi corrispondenti non ci può essere alcun osservatore a misurarli (è il cosiddetto "principio antropico debole"). Se il multiverso esistesse, si tratterebbe dell'ennesima predizione della fantascienza che si avvera.

La maggior parte degli scienziati però rigetta la teoria del multiverso ritenendola metafisica e non verificabile sperimentalmente, anche perchè in questi infiniti universi ogni diversa situazione, anche la più improbabile, si potrebbe verificare, anzi potrebbe verificarsi infinite volte; e si sa che una teoria che prevede tutto, finisce per non prevedere nulla. I sostenitori dell'inflazione eterna hanno risposto tentando di analizzare in maniera approfondita la radiazione cosmica di fondo, perchè se due universi paralleli entrassero in collisione, ciò dovrebbe lasciare una serie di "tracce circolari" rivelabili nella radiazione cosmica di fondo. Il progetto BICEP2 (Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization), coordinato da John Kovac, mediante radiotelescopi e apparecchiature situate al Polo Sud presso la base americana Amundsen-Scott, ha osservato la radiazione cosmica di fondo per verificare che le piccolissime differenze di densità fra le varie regioni dello spazio dopo il Big Bang sono state effettivamente amplificate dall'inflazione. Il 17 marzo 2014 Kovac e collaboratori hanno annunciato di aver scoperto nella radiazione cosmica di fondo alcuni particolari modi di polarizzazione, detti modi B, che secondo loro avrebbero rappresentato la prima evidenza indiretta delle onde gravitazionali primordiali. Tuttavia nel giugno successivo tali osservazioni non sono state confermate dalle misure effettuate dal satellite Planck dell'ESA: la ragione dell'errore è stato attribuito alla presenza della polvere galattica, che avrebbe falsato i dati, e per ora il modello dell'inflazione eterna resta una pura ipotesi.

Negli Anni Duemiladieci, la teoria dell'inflazione ha perso molti consensi, anche se resta uno dei cardini della nostra Cosmologia. Francesco Lucchin nella sua magistrale "Introduzione alla cosmologia" (1990) ha scritto: « Ben lontano da avere un riscontro sperimentale diretto, il modello inflazionario è divenuto attualmente una sorta di paradigma necessario per risolvere molti e complessi problemi del modello cosmologico standard ».  Tra i critici della teoria dell'inflazione c'è poi Paul Steinhardt (1952–), dell'Università di Princeton, secondo il quale tutte le simulazioni del presunto comportamento di questo inflatone danno vita a universi completamente diversi dal nostro, cioè con una densità di galassie troppo elevata rispetto a quella che noi osserviamo: solo un ristrettissimo intervallo di valori dei parametri in gioco potrebbe dar vita alla densità giusta, e ciò è giudicato troppo poco probabile affinché si sia realizzato. Molto pesante è ad esempio il giudizio espresso dal celeberrimo cosmologo britannico Sir Roger Penrose (1931-) dell'Università di Oxford:

« L'inflazione cosmica serve a spiegare perché l'Universo è uniforme e piatto: la fase di espansione rapidissima, chiamata inflazione e verificatasi pochi istanti dopo il Big Bang, avrebbe stirato e appiattito tutte le irregolarità. Ma c'è bisogno di una fisica inventata ad hoc, a cominciare dall'inflatone, particella la cui esistenza serve solo a giustificare l'inflazione. È una teoria artificiosa, che non risolve il problema fondamentale sull'origine dell'Universo: cos'è davvero il Big Bang? L'esplosione da cui tutto ha avuto origine non è, come si potrebbe immaginare, l'inverso di un buco nero che collassa su se stesso. Mentre nel collasso di un buco nero la massa è dominata dalla gravità, nel Big Bang la gravità è soppressa. E l'inflazione non spiega perché. » (tratto da questo link)

Anche John Horgan (1953-), dello Stevens Institute of Technology, è fortemente scettico nei confronti della teoria dell'inflazione, e infatti sulle colonne di Scientific American ha dichiarato:

« L'inflazione è sempre stata un prodotto della fantasia più che di prove sperimentali. Il meccanismo su cui si fonda, l'inversione della gravità, non ha mai avuto più di un supporto circostanziale ed euristico. Peggio ancora, la teoria ha tante forme diverse. La mia preferita è il modello di multiverso inflazionario caotico eternamente autoriproducente proposto da Andrei Linde che, insieme ad Alan Guth e Paul Steinhardt, è considerato l'inventore dell'inflazione. In effetti l'inflazione, come la teoria delle stringhe, ha sempre sofferto di quello che viene spesso chiamato il "problema del ristorante di Alice". Come il locale celebrato nella famosa canzone di Arlo Guthrie, l'inflazione è disponibile in così tante versioni diverse che può darti "tutto quello che vuoi". In altre parole, non può essere falsificata, e quindi - come la psicoanalisi, il marxismo e altre ipotesi eccessivamente flessibili - non è una teoria realmente scientifica. » (tratto da questo link)

Credo che questo problema continuerà a turbare a lungo i sonni dei cosmologi. Alla fine degli anni Duemiladieci però è sorto un altro problema, che ha messo letteralmente in crisi il modello cosmologico standard sopra esposto; vale la pena di accennare ad esso, prima di cambiare argomento. Determinare il valore della costante di Hubble-Lemaître introdotta nel capitolo precedente è stato infatti da sempre croce e delizia dei cosmologi, e addirittura la prima stima effettuata da Edwin Hubble era sbagliata di un fattore dieci, provocando il paradosso di un universo che sembrava più giovane della nostra Luna, e ispirando la famosa frase di Lev Landau: « I cosmologi sono sempre senza dubbi e sempre in errore »! In tempi più recenti, con il progredire delle tecniche di misurazione, ci si sarebbero aspettati risultati più precisi. Il fatto è che la famosa costante di Hubble-Lemaître è stata calcolata in due modi diversi. Il primo metodo sfrutta le "candele standard", cioè fonti di luce che restano sempre uguali e la cui luminosità ne indica la distanza relativa. Ad esempio, una lampadina da 40 Watt appare sempre più fioca man mano che ci allontaniamo da essa, ma se sappiamo che la sua potenza è proprio di 40 Watt possiamo dedurre quanto e lontana da noi. Nei 2001 l'Hubble Space Telescope Key Project completò la prima misurazione affidabile della costante di Hubble-Lemaître, usando come "candele standard" le variabili Cefeidi, stelle che diventano più fioche o più luminose con una regolarità che corrisponde dalla loro luminosità assoluta. La scoperta di queste stelle la dobbiamo ad Henrietta Swan Leavitt (1868-1921), matematica assunta per svolgere calcoli manuali quando ancora non erano stati inventati gli elaboratori elettronici:. Lavorando presso l'Osservatorio dell'Harvard College al servizio del noto astronomo Edward Pickering (1846-1919), la Leavitt era incaricata di misurare lastre fotografiche per catalogare le posizioni e la luminosità delle stelle. Fu proprio grazie a questo lavoro che nel 1912 arrivò a scoprire una proprietà fondamentale delle variabili cefeidi: la celebre relazione periodo-luminosità, adesso nota anche come Legge di Leavitt: grazie ad essa, misurando il periodo di variazione della loro luminosità, è possibile determinarne la luminosità intrinseca della stella, conoscendo la quale è immediato calcolarne la distanza. Poiché la relazione periodo-luminosità può essere calibrata con grande precisione utilizzando le stelle cefeidi più vicine (la cui distanza è misurata con il metodo geometrico della parallasse), le distanze trovate con questo metodo erano tra le più accurate disponibili; scoprendo variabili cefeidi nelle galassie lontane, Hubble fu in grado di determinarne la distanza e di formulare la legge sull'espansione dell'universo che abbiamo già visto. Il Key Project ha portato a un valore di H = (72 ± 8) km/s per Megaparsec. In seguito un'altra ricerca puramente astronomica del valore della costante H fu effettuata da SH0ES ("Supernovae, H0, for the Equation of State of Dark Energy"), un gruppo di ricerca guidato da Adam G. Riess (1969-), che è stato insignito del Premio Nobel per la Fisica nel 2011, usando come candele standard sia le Cefeidi che le supernove di tipo Ia, tra cui le supernovae più lontane mai osservate. Il risultato più recente ottenuto da SHOES, nel 2019, è stato di (74,03 ± 1,42) km/s per Megaparsec. Tutte queste misurazioni fanno uso dell'approccio tradizionale dell'astronomia: si parte dal presente, cioè da quello che i cosmologi chiamano il tardo universo, e si scruta sempre più lontano nello spazio, il che equivale a scrutare sempre più indietro nel tempo, fino a dove si riesce a vedere.

Nell'ultima ventina d'anni, tuttavia, alcuni ricercatori hanno iniziato a usare l'approccio opposto: cominciare dall'istante di tempo più lontano possibile e procedere verso il presente. Il  confine tra quello che possiamo e quello che non possiamo vedere, tra l'universo primordiale e quello più recente, è la radiazione cosmica di fondo o CMB, di cui abbiamo parlato sopra. Essa è la radiazione residua risalente al periodo in cui l'universo, quando aveva appena 379.000 anni, si era raffreddato abbastanza da permettere la formazione degli atomi di idrogeno, dissipando la fitta nebbia di protoni ed elettroni liberi e permettendo ai fotoni di viaggiare liberi per il cosmo: insomma, quando l'universo è diventato trasparente alla luce. Sebbene la prima immagine della CMB da noi ottenuta fosse una distesa uniforme, i teorici ritenevano che, ad una risoluzione più elevata, la radiazione di fondo avrebbe rivelato variazioni di temperatura che rappresentavano i semi di densità da cui si sarebbe evoluta la struttura dell'universo come la conosciamo: galassie, ammassi di galassie e superammassi di galassie. Nel 2003 il già citato WMAP della NASA ha fornito una risoluzione molto più elevata che ha permesso ai fisici di identificare la dimensione delle onde sonore primitive prodotte dalla materia primordiale. Come ci si può aspettare da onde sonore che hanno viaggiato quasi alla velocità della luce per 379.000 anni, i punti densi nella radiazione cosmica di fondo condividono un raggio comune di circa 379.000 anni luce. E poiché quei punti sono cresciuti portando all'universo che studiamo oggi, i cosmologi possono usare questa dimensione iniziale come una specie di "righello standard" con cui misurare la crescita e l'espansione della struttura su larga scala fino ai giorni nostri. Queste misurazioni, a loro volta, rivelano il tasso dell'espansione, cioè la costante di Hubble-Lemaître. Ebbene, inizialmente i risultati ottenuti da questo metodo parevano in accordo con quelli del metodo delle "candele standard", ma nel 2014 il nuovo osservatorio spaziale Planck dell'ESA, che lavorava con una risoluzione senza precedenti, fornì un risultato totalmente diverso: (67,4 ± 1,4) km/s per Megaparsec. I risultati dei due metodi erano evidentemente inconciliabili tra loro, e si cominciò a parlare di "tensione di Hubble-Lemaître", se non addirittura di "crisi del Modello Cosmologico Standard". A complicare il tutto si aggiunsero le ricerche di Wendy L. Freedman (1957-), astrofisica dell'Università di Chicago, che era stata ricercatrice principale del Key Project, la quale sempre nel 2014 presentò un risultato in controtendenza basato sulla cosiddetta "Punta del Ramo delle Giganti Rosse" ("Tip of the Red Giant Branch", TRGB). Freedman e colleghi usarono un tipo diverso di "candela standard", cioè le stelle giganti rosse che, sul punto di estinguersi, sperimentano un "flash di elio" che ne indica in modo affidabile la luminosità intrinseca costante. Esse sono poste negli aloni delle galassie, dove gli effetti di oscuramento della polvere sono trascurabili e dove la contaminazione della luce di altre stelle è altrettanto bassa; hanno quindi molti vantaggi rispetto alle cefeidi. Con questo metodo la Freeman ottenne un valore di (69,8 ± 0,8) km/s per Megaparsec. Purtroppo i progetti LIGO e VIRGO, che hanno cercato di ottenere il valore di H sfruttando le onde gravitazionali da poco osservate per la prima volta, per ora non sono riusciti a risolvere la questione, fornendo risultati affetti da un errore troppo alto: (70,3 ± 5,0) km/s per Megaparsec.

I cosmologi speravano che qualche soluzione della cosiddetta "tensione di Hubble-Lemaître" potesse arrivare dalle osservazioni del nuovissimo James Webb Space Telescope (JWST), messo in orbita il 25 dicembre 2021 dopo oltre un decennio di trepidante attesa, che sta osservando il cielo nella regione dell'infrarosso, ma questa speranza è andata delusa. Nel 2024 il già citato gruppo di ricerca SH0ES ha pubblicato una ricerca, basata proprio sulle osservazioni del JWST, su una delle possibili fonti di errori nella calibrazione: l'"affollamento" di stelle nella fotometria delle variabili cefeidi. Quando si osservano galassie lontane, diventa sempre più difficile distinguere le singole stelle, che appaiono raggruppate e sovrapposte ad altre stelle vicine. A questo problema si aggiunge anche la presenza della polvere, che rende ancora più complicate le osservazioni, in particolare nella luce visibile. Grazie alla migliore risoluzione del JWST rispetto ad Hubble, Riess e collaboratori hanno potuto studiare le variabili cefeidi con grande dettaglio e arrivare alla conclusione che con le osservazioni del telescopio spaziale Hubble era già stato fatto un ottimo lavoro di calibrazione; in particolare, le misurazioni di Hubble continuano a rimanere affidabili mano a mano che saliamo più in alto lungo la scala delle distanze cosmiche. Nel dettaglio, le nuove osservazioni del JWST includono cinque galassie ospitanti otto supernove di tipo Ia, contenenti un totale di 1000 cefeidi, le quali permettono una calibrazione della scala delle distanze cosmiche molto accurata, raggiungendo anche la galassia più lontana dove le cefeidi sono state ben misurate (NGC 5468), a una distanza di 130 milioni di anni luce. « Sembra sempre più probabile che manchi qualcosa nella nostra comprensione dell'universo », ha concluso amaramente Riess: « abbiamo bisogno di nuovi strumenti capaci di raccogliere ulteriori dati e di nuove idee. » Altre missioni spaziali, come il futuro telescopio spaziale Nancy Grace Roman della NASA e la missione Euclid dell'ESA, ci aiuteranno a chiarire la natura del problema. o peggioreranno ulteriormente la tensione di Hubble-Lemaître? Il dubbio è legittimo.

I calcoli effettuati con tutti i metodi sopra elencati sono risultati esatti, anche perchè corroborati da osservatori indipendenti tra di loro, ed è probabile che il James Webb Space Telescope ne confermi l'esattezza. Ma allora, se la motivazione della crisi del Modello Cosmologico Standard non sta né nelle osservazioni dell'universo recente né in quelle dell'universo primordiale, allora i cosmologi hanno poca scelta: resta solo cercare una "nuova fisica". Come abbiamo detto parlando di un altro Modello Standard, quello delle Particelle Elementari, ormai da decenni gli scienziati si sono accorti dell'esistenza di fenomeni che ricadono al di fuori dell'attuale conoscenza dell'universo. Il Macrocosmo, che opera secondo le regole della Relatività Generale di Albert Einstein, si è rivelato matematicamente incompatibile con il Microcosmo, che opera secondo le regole della Meccanica Quantistica. Finché i due ambiti non si incontravano, i fisici hanno potuto ignorare il problema, ma la scoperta della CMB ci ha portati a pensare che il Macrocosmo sia effettivamente emerso dal Microcosmo, e cioè che le galassie e gli ammassi di galassie studiati mediante la Relatività Generale siano cresciuti da fluttuazioni quantistiche. La crisi del Modello Cosmologico Standard nasce proprio dal tentativo di conciliare queste due fisiche. Le fluttuazioni quantistiche della radiazioni cosmica di fondo prevedono che l'universo "crescerà" con un certo valore della costante di Hubble-Lemaître, mentre le osservazioni effettuate oggi in base alla Relatività Generale dimostrano che essa ha raggiunto un valore diverso. Adam Riess ha paragonato questa differenza alla crescita di una persona. Se prendiamo un bambino di due anni, ne possiamo misurare la statura in modo molto preciso, e poi usare quello che sappiamo su come crescono gli esseri umani (un grafico della crescita, insomma) per prevedere a quale statura arriverà da adulto. Se tutto va bene, previsione iniziale e misurazione finale coincidono. Nel caso del nostro universo, questo non succede. D'altronde, come ha fatto notare Riess, « noi non abbiamo un grafico della crescita che dica come crescano di solito gli universi ».

Il "Grande Arco" e il "Grande Anello" del Cielo

Il "Grande Arco" e il "Grande Anello" del Cielo

Aggiungiamo che al 243° incontro dell'American Astronomical Society che si è tenuto dal 7 all'11 gennaio 2024 a New Orleans, Alexia Lopez, studentessa di PhD all'Università del Lancashire Centrale, ha presentato una ricerca che mostra l'esistenza di quello che ha battezzato "Grande Anello del Cielo", una struttura circolare con un diametro di circa 1,3 miliardi di anni luce formata da galassie e ammassi di galassie nella direzione della costellazione di Boote. Il Grande Anello si trova a 9,2 miliardi di anni luce da noi, ha una circonferenza di 4 miliardi di anni luce, ma non è visibile a occhio nudo: se lo fosse, sarebbe grande quindici volte la Luna piena. Secondo le attuali teorie, una megastruttura non potrebbe essere più grande di 1,2 miliardi di anni luce, altrimenti contraddirebbe il Principio Cosmologico secondo cui l'universo a grande scala è omogeneo, pur non essendolo su scala locale, con i superammassi di galassie distribuiti a caso in modo che non dipende dal nostro punto di osservazione. Da ciò ne deriva che al momento del Big Bang l'Universo doveva già essere omogeneo. Già nel 2022 Alexia Lopez aveva scoperto un'altra struttura che sfida le leggi che reggono le strutture dell'universo: il cosiddetto "Arco Gigante", che si estende per 3,3 miliardi di anni luce, e che si trova nei pressi del Grande Anello. Né il Grande Anello né l'Arco gigante sono spiegabili con le attuali teorie cosmologiche: ma allora, a cosa sono dovute queste enormi strutture che "non dovrebbero esistere"? Secondo una prima ipotesi, il Grande Anello potrebbe essere collegato alle cosiddette "Oscillazioni Acustiche Barioniche", osservabili nel fondo cosmico a microonde, e dovute alle fluttuazioni nella densità dei barioni. Una seconda teoria chiama in causa la "Cosmologia Ciclica Conforme", proposta dal premio Nobel Roger Penrose, secondo cui il Grande Anello sarebbe un segnale degli infiniti cicli degli Universi. Una terza ipotesi fa riferimento agli effetti delle stringhe cosmiche, che potrebbero essere state create nell'Universo primordiale e che secondo un altro premio Nobel, Jim Peebles (1935-), potrebbero aver avuto un ruolo nella distribuzione delle galassie a grande scala.

Viste le difficoltà di spiegare tutto questo, i cosmologi hanno preso in considerazione l'idea rivoluzionaria che il Modello Cosmologico Standard non sia completo come pensavano. Secondo alcuni, una nuova varietà di neutrino nell'universo primordiale, non prevista dal Modello Standard delle Particelle Elementari, potrebbe alterare la distribuzione di massa ed energia quanto basta per giustificare le differenze nelle misurazioni. Un'altra possibile spiegazione proposta da altri suggerisce che l'influenza dell'energia oscura, di cui parleremo più avanti, non sia costante, ma cambi nel corso del tempo: una possibilità ragionevole, considerando che i cosmologi non sanno come funzioni questa energia, e nemmeno che cosa sia. Invece Alessandro Melchiorri della "Sapienza" di Roma, invece, le irregolarità nella temperatura della CBM su piccola scala sarebbero state percepite come meno pronunciate rispetto alle previsioni, alterando il valore di H, per via dell'effetto di "lente gravitazionale" provocata da tutta la materia dell'universo attraversato da quei fotoni primordiali. A causa di tale effetto, oggi ben conosciuto, i fotoni della radiazione cosmica di fondo si sarebbero rimescolati, allo stesso modo in cui un'immagine osservata  dietro una lente opaca appare sfocata: di conseguenza le irregolarità della CBM apparirebbero "appiattite", causando la discrepanza di cui si è parlato tra i due metodi per misurare la costante di Hubble-Lemaître. Comunque, come ha scritto il divulgatore scientifico Richard Patek, « il Modello Cosmologico Standard resta uno dei maggiori trionfi scientifici moderni: forse non è completo come credevano i cosmologi fino a poco tempo fa, ma rimane un esempio da manuale del modo in cui funziona la scienza al suo meglio: suscita domande, fornisce risposte, suggerisce misteri. »

Tutto ciò riguarda la nascita dell'universo; ma che dire del suo destino ultimo?