I Sette Sigilli

La Corte Celeste
Come detto nell'Introduzione, con l'inizio del capitolo quarto comincia la seconda parte dell'Apocalisse, specificamente profetica; l'ambiente delle visioni si trasferisce nel cielo, dove l'immaginario umano da sempre ha posto la dimora di Dio, perchè le stelle erano interpretate come buchi nel cielo, in grado di lasciar filtrare la luce divina che proveniva dal di sopra. Ancor oggi tuttavia noi usiamo immaginifiche espressioni come "Grazie al Cielo", "Volesse il Cielo" ecc., pur trovandoci nell'Era Spaziale, perchè questa metafora risulta ancora adattissima ad esprimere l'infinita trascendenza di Dio.

« Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo. La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: "Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito." Subito fui rapito in estasi » (4,1-2)

Appare chiaro il senso della grandiosa visione celeste del trono di Dio e della sua corte che si apre davanti a noi, secondo alcuni la più bella visione di tutta l'Apocalisse: il libro della storia è nelle mani di Dio e l'unico che può leggerlo, conoscerlo e farlo conoscere è il Signore Gesù. Egli solo dirige la storia e ne costituisce il fine supremo. Il mistero della storia schiaccia chiunque ma non può opprimere il cristiano. La visione ha al centro un trono, un simbolo caro a Giovanni, che evidentemente voleva contrapporre al trono imperiale di Domiziano, tanto arrogante da pretendere onori divini, quello Celeste dell'Unico Vero Dio.

A dir la verità, il Signore non appare mai direttamente: la Sua rappresentazione è affatto priva di elementi corporei, ma è fatta di pura luce, come poi farà anche Dante Alighieri al termine del suo Poema:

« O luce etterna che sola in te sidi,
sola t'intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi! » (Paradiso XXXIII, 124-126)

Colui che siede sul trono è invisibile nel Suo splendore, raffigurato mediante il brillare delle pietre preziose, attraverso l'arcobaleno, simbolo dell'alleanza perpetua tra Dio e gli uomini (vedi il racconto dell'Alleanza Noachica in Genesi 9,13), e con una profusione di lampi e tuoni, nuovo rimando all'Alleanza di Mosè sul Sinai, oltre che classici immagini per sottolineare la "Shekinah", cioè la Presenza di Dio, ed il "Kabod", cioè la Sua Gloria invincibile (anche a Giobbe JHWH aveva risposto "di mezzo al turbine" in Gb 38,1):

« Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto. Colui che stava seduto era simile nell'aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono. Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio » (4,2-5)

Del diaspro, della cornalina e dello smeraldo riparleremo a proposito della Gerusalemme Celeste. Ad essere descritto nei particolari è invece il "Consiglio della Corona" di Dio, se mi si passa questo termine:

« Attorno al trono, poi, c'erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo » (4,4)

Si tratta presumibilmente dei rappresentanti delle Dodici Tribù d'Israele (l'Antico Testamento) e dei Dodici Apostoli (il Nuovo), così da ribadire l'inscindibilità tra Vecchia e Nuova Alleanza, ma è possibile che il numero faccia riferimento anche alle ventiquattro classi sacerdotali di 1 Cronache 24. In questo caso i ventiquattro vegliardi rappresenterebbero il nuovo popolo di Dio, chiamato a partecipare alla liturgia celeste che Giovanni vede in corso. Come diremo ancora più avanti, il colore bianco è sempre il simbolo della gloria celeste, e le corone d'oro quello della regalità: queste figure simboliche partecipano dunque della potestà e della santità divine.

Ma c'è chi vede nei ventiquattro vegliardi i ventiquattro libri dell'Antico Testamento. Tra questi Dante Alighieri, che riprende l'immagine nel canto XXIX del suo "Purgatorio", quando descrive la processione allegorica che vede snodarsi nel Paradiso Terrestre:

  « Sotto così bel ciel com'io diviso,
ventiquattro seniori, a due a due,
coronati venien di fiordaliso.
  Tutti cantavan: "Benedicta tue
ne le figlie d'Adamo, e benedette
sieno in etterno le bellezze tue!" » (Purg. XXIX, 82-87)

La Visione del Cielo, di Fernando Monzio Compagnoni

La Visione del Cielo, di Fernando Monzio Compagnoni

 

Leggiamo insieme l'immaginoso commento a questo brano scritto da Pietro Citati nel suo splendido libro "La Luce della Notte":

« Se non raffigurò Dio, Giovanni raffigurò la Sua Gloria: il kabod, la forza, il prestigio, la magnificenza, lo splendore che Egli emanava. Intorno a quel centro vuoto, indescrivibile ed innominabile, dispose un tesoro di pietre preziose: ricordando Ezechiele e Daniele, lavorò un'oreficeria infuocata, lampeggiante e febbrile, quasi che la fantasia, sopraffatta dall'infinito, si attaccasse a ciò che, come le gemme, è più di ogni altra cosa limitato e definito. L'arcobaleno formava un baldacchino intorno al trono: il rosso, l'arancio, il giallo, il verde, l'azzurro, l'indaco, il violetto non disegnavano liberamente le loro tinte cangianti sopra le nuvole, come quando Dio stabilì il Suo Patto con gli uomini, ma si concentravano sopra la pietra di un cristallo di rocca: giacché i colori sono la prima manifestazione visibile di chi non ha colore. Tra le pietre preziose, Giovanni osservò che la Gloria prediligeva il diaspro, la gemma simile al cristallo, che lascia passare la luce, emana luce e non è altro che un'ininterrotta energia luminosa. Un'altra le stava accanto: il rosso sardio. Poi Giovanni osservò la stessa antitesi tra la trasparenza del cristallo e il fulgore del rosso: l'oceano celeste, che si stendeva ai piedi del trono, era formato insieme di vetro cristallino e di fuoco. »

I Quattro Esseri Viventi
Ed ecco che fanno la loro apparizione quattro enigmatici personaggi:

« Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti e di dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola. I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere: "Santo, santo, santo il Signore Dio, l'Onnipotente, Colui che era, che è e che viene!" » (4,6-8)

La descrizione dei "quattro esseri viventi" è modellata su Ezechiele 1,1-28 e su Isaia 6,1-4, ma probabilmente fa riferimento anche ai "cherubini" della tradizione apocalittica giudaica, visti come esseri metà umani e metà animali, un po' come le famose statue che ornavano le porte di Ninive e di Babilonia. Essi ricorrono spesse volte nella Bibbia:

Dante in Paradiso XXVIII, 99 li colloca nella prima gerarchia angelica, ma come si vede in origine essi erano ben lontani dall'immagine di tenero puttino che di loro ci ha consegnato la tradizione. Il loro nome potrebbe derivare dall'ebraico "principe delle corti [celesti]", ma secondo altri sarebbe di origine mesopotamica, ed in origine avrebbe appunto indicato i mostri alati della tradizione assiro-babilonese.

In ogni caso, questi esseri viventi sono pieni d'occhi da ogni parte, evidente simbolo dell'onniveggenza e quindi della Provvidenza di Dio, ma anche della vigilanza, un termine su cui San Giovanni ritorna innumerevoli volte in questo libro. Così li descrive Dante nel Purgatorio, raffigurandoli nell'ambito della processione simbolica che attraversa il Paradiso Terrestre:

« Vennero appresso lor quattro animali,
coronati ciascun di verde fronda. 
Ognuno era pennuto di sei ali;
le penne piene d'occhi; e li occhi d'Argo,
se fosser vivi, sarebber cotali. » (Purgatorio XXIX, 92- 96)

Il loro numero, quattro, richiama i quattro punti cardinali, i quattro fiumi che nascono dal Giardino di Eden ed i quattro elementi (terra, aria, acqua, fuoco): essi dunque rappresentano l'intero universo, su cui troneggia Dio e da cui parte la liturgia perenne che per prima canta la gloria di Dio. Vale la pena di riportare quanto scrive in proposito lo studioso tedesco Manfred Lurker (1928-1990) nel suo "Dizionario delle immagini e dei simboli biblici":

« Nel IV e III secolo prima di Cristo, i segni zodiacali del toro, leone scorpione e acquario erano le costellazioni nel cui segno la posizione del sole annunciava l'inizio delle quattro stagioni. Il toro era la costellazione dell'equinozio di primavera, il leone presentava il solstizio d'estate, lo scorpione l'equinozio d'autunno e l'acquario il solstizio d'inverno. Secondo una concezione dell'antico Oriente, le quattro costellazioni si trovavano ai quattro angoli del mondo delimitato dallo zodiaco. Poiché l'antichità superstiziosa riteneva poco rassicurante il segno zodiacale dello scorpione, questo veniva frequentemente sostituito dalla vicina costellazione dell'aquila.  Nella religione e nell'arte dell'antica Mesopotamia, figure alate metà uomo e metà animale erano manifestazione delle forze divine. Ricordiamo anche gli dei astrali babilonesi Nabu (acquario), Nergal (leone alato), Marduk (toro alato) e Ninurta (aquila). »

A partire da Sant'Ireneo (Adversus haereses III,11,8), tuttavia, i quattro esseri viventi hanno assunto anche altri significati, a partire dai quattro evangelisti: l'assegnazione a ciascun evangelista del suo Essere Vivente si basa sul contenuto dei paragrafi iniziali di ogni vangelo, in linea con la tradizione biblica che, nel primo elemento di una serie, vede l'insieme. Così l'uomo rappresenterebbe Matteo (il suo Vangelo comincia con la genealogia umana di Gesù), il leone Marco (il suo Vangelo inizia con Giovanni Battista che ruggisce come un leone nel deserto), il toro Luca (il suo Vangelo inizia nel Tempio di Gerusalemme, dove si immolavano tori), l'aquila Giovanni (il suo Vangelo inizia con un volo nelle sfere celesti fino al Verbo di Dio). L'arcivescovo di Tours Ildeberto di Lavardin (1056-1133) ha invece visto nei quattro esseri viventi quattro attributi di Cristo e della Sua Rivelazione: Uomo per nascita, Toro perchè viene sacrificato, Leone perchè risorge vittorioso, Aquila perchè ascende al Cielo. Per altri poi i quattro esseri rappresenterebbero le virtù cardinali: prudenza, fortezza, giustizia e temperanza. In ogni caso, l'interpretazione dei quattro esseri come patroni dell'universo è oggi la più accettata. Essi intonano il canto dei Serafini nel Tempio di Gerusalemme (cfr. Isaia 6,3), celebrazione della Santità suprema di Dio, ed al loro coro si associa quello dei ventiquattro vegliardi, che gettano le loro corone davanti al trono in segno di sottomissione e levano un inno a Dio creatore.

L'Agnello immolato
Nella sala del trono di Dio si compie un atto simbolico, che richiama quanto descritto in Ezechiele 2,9-10: viene introdotto un « un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli » (5,1). Il numero sette indica come al solito la totalità, quindi quest'espressione indica un libro praticamente impossibile da aprire e da leggere. Questo libro contiene il senso vero della Storia e degli eventi umani, che a noi appare come un caos inestricabile di ingiustizie e di perversioni. Di fronte all'incapacità da parte di ogni essere vivente di aprire il libro e di decifrare il mistero che avvolge la sua storia, l'uomo si sente angosciato e smarrito, e ciò è ben rappresentato dal pianto di Giovanni, simile a un personaggio pirandelliano che si accorge di colpo di vivere in un universo dominato apparentemente dal cieco caso. Ma ecco avanzare il protagonista dell'opera: « il Leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide », due titoli messianici tolti rispettivamente da Genesi 49,9 e da Isaia 11,1 (Nazareth significa per l'appunto "germoglio"). Ritto in mezzo al trono ora non c'è più genericamente « uno », bensì un « Agnello come immolato ». Evidente è il riferimento a Cristo, morto eppure tornato in vita: l'Autore sottolinea « ritto in mezzo al trono », cioè risorto nonostante la sua immolazione. Egli è dotato di sette corna, simbolo di onnipotenza, e di sette occhi, « simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra », e quindi dello Spirito Santo, sulla scia di Isaia 11,1-2: ancora un riferimento alla Provvidenza divina. Il consiglio della corona di Dio lo esalta come l'unico che può rompere i sigilli del libro che svelerà ogni mistero, intonando un inno dal tipico andamento liturgico, cui fa eco il "Tuo è il Regno, Tua e la Potenza e la Gloria nei secoli", che ripetiamo in ogni Messa. L'Agnello è degno di spezzare i sigilli proprio in virtù della sua morte e resurrezione.

La presentazione di Gesù Cristo come l'Agnello è caratteristica del Libro dell'Apocalisse: sulla scia del suo Vangelo (Giovanni 1,29.36), San Giovanni si riferisce a Cristo come all'Agnello per ben 29 volte in tutta l'Apocalisse. Nel simbolismo giovanneo, l'agnello indica docilità e rimanda al suo offrirsi senza ribellarsi ai sacrifici rituali, in particolare a quello pasquale. Rappresenta perciò una figura appropriata per Gesù Cristo ed il suo cruento sacrificio sul Golgota; pur essendo sgozzato, si regge in piedi e in 14,1 lo vedremo « ritto sul Monte Sion », quindi vittorioso per sempre sul Sinedrio che lo voleva morto.

La visione della Corte celeste e dell'Agnello immolato costituiscono la cornice, la necessaria introduzione alla seconda parte dell'Apocalisse, cioè al vero e proprio messaggio profetico del libro. Esso sembra articolarsi in due grandi sezioni: la prima di esse (6,1-11,19) ha per oggetto il giudizio divino su quella che Giovanni ha chiamato la « Sinagoga di Satana », cioè sul mondo ebraico che ha rifiutato Cristo e che durante tutto il primo secolo dell'era cristiana è stato il primo e più accanito persecutore della Chiesa Cristiana. La seconda sezione (12,1-18,24) invece tratta del giudizio divino sul mondo pagano ostile a Cristo, e quindi su Roma, l'Impero nel cui nome Cristo è stato crocifisso e tanti innocenti mandati al martirio. Ma la prospettiva profetica di Giovanni non si limita all'impero romano, estendendosi piuttosto a tutti gli imperi politici futuri che si metteranno contro il cristianesimo e che, perciò, hanno nell'impero romano il loro degno prototipo.

I Sette Sigilli
La prima sezione profetica è costruita mediante l'artificio di due settenari: quello dei sigilli e quello delle trombe. Nel simbolismo apocalittico il numero « sette » viene spesso adoperato con il significato di un insieme assolutamente completo, perchè sette erano i Giorni della Creazione, Sette gli Spiriti che stanno alla presenza di Dio (Tobia 12,15) e sette i pianeti nella concezione cosmologica del tempo: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno (da cui la metafora dei "sette cieli"). Nel nostro caso si tratta dell'insieme dei castighi di Dio contro l'umanità peccatrice.

Ma perché due settenari di seguito? È opinione generale che il primo, il quale occupa i capitoli 6-7 dell'Apocalisse, sia soltanto un settenario di presentazione ideale, di visione allo stato statico, mentre il secondo (capitoli 8-11) sarebbe invece il settenario dinamico della realizzazione di quanto presentato ed annunciato. Ogni settenario è a sua volta diviso in due gruppi di quattro più tre, con una variazione di esposizione; vedremo anche che, dopo ciascun sesto elemento di un settenario, si ha una scena antitetica a quanto precede. Indubbiamente si tratta di una costruzione perfetta, sufficiente per annoverare Giovanni tra i massimi scrittori di ogni tempo.

Locandina de "I Quattro Cavalieri dell'Apocalisse" di Vincente Minnelli

I Quattro Cavalieri dell'Apocalisse
Il primo settenario, conseguente all'apertura uno per volta dei primi quattro sigilli del libro, vede apparire sulla scena quattro terrificanti cavalieri:

« Quando l'Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: "Vieni". Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.
Quando l'Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: "Vieni". Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.
Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: "Vieni". Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: "Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati".
Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: "Vieni". Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra. » (6,1-8)

Questa cavalcata infernale si ispira al testo di Zaccaria 6,1-8, dove quattro carri sono trainati da cavalli rossi, neri, bianchi e pezzati. Essi incarnano evidentemente sciagure e flagelli che si abbattono in ogni tempo sul Pianeta Terra. Il colore bianco è il simbolo della vittoria, per cui si pensa che il primo cavaliere rappresenti il flagello della guerra, la quale, anche se vinta, porta con sé solo lutti e tragedie; certo non a caso il generale inglese Wellington disse che "L'unica cosa peggiore di una guerra persa, è una guerra vinta"! Secondo alcuni però il cavaliere sul cavallo bianco rappresenterebbe il popolo dei Parti, che con le sue vittorie e le sue conquiste nel I secolo d.C. mise a dura prova le frontiere orientali dell'impero romano. Solo pochi anni dopo la composizione dell'Apocalisse l'imperatore Traiano tenterà inutilmente la conquista dell'impero partico, provocando lutti e distruzioni in tutto il Medio Oriente: una profezia avveratasi?

Il cavallo rosso incarna presumibilmente la violenza gratuita e sanguinaria, perchè il colore rosso è quello dell'ira di Dio; secondo alcuni commentatori va però inteso come la guerra civile, in opposizione alla guerra portata dall'esterno, rappresentata dal bianco cavaliere (non dimentichiamo che l'impero romano usciva da un secolo e mezzo di guerre intestine). Nessun dubbio invece sul cavallo nero, che è il colore della carestia: esso incarna la fame, come dimostrano la bilancia, i costi ingenti dei generi di prima necessità e l'invito a non sprecare nulla, quanto mai attuale nel nostro tempo di crisi. Infine, essendo verdastro il colore dei cadaveri e delle pustole infette, è da intendere che l'ultimo cavaliere, il più lugubre e l'unico chiamato per nome, rappresenti la pestilenza, che in quelle epoche imperversavano senza pietà. Ma c'è qualcuno che la intende in senso letterale, ed allora il quarto cavaliere verrebbe per ultimo perchè la morte pone fine ad ogni cosa, ed infatti è seguito dalla sinistra personificazione dell'Aldilà.

Spada, fame, peste e fiere della terra sono i quattro flagelli con cui l'umanità viene percossa dai Cavalieri. Essi sono modellati sui castighi che Dio riserva a Gerusalemme infedele:

« Dice infatti il Signore Dio: Quando manderò contro Gerusalemme i miei quattro tremendi castighi: la spada, la fame, le bestie feroci e la peste, per estirpare da essa uomini e bestie, ecco vi sarà in mezzo un residuo che si metterà in salvo con i figli e le figlie » (Ezechiele 14,21-22)

Albrecht Dürer, "I quattro cavalieri dell'Apocalisse", xilografia (1498)

Albrecht Dürer, I Quattro Cavalieri, xilografia

 

L'impatto che questa sconvolgente visione ha avuto sugli uomini di ogni tempo è paragonabile a quello di poche altre pagine della Bibbia, non solo nel Medioevo quando le guerre, le carestie e le pandemie infuriavano in ogni dove e venivano percepite come dei castighi divini: ancora nel XX secolo sono stati girati due lungometraggi tratti dal romanzo dello spagnolo Vicente Blasco Ibañez (1867-1928) intitolato "Los cuatro jinetes del apocalipsis", entrambi con lo stesso titolo. Il primo è del 1921, diretto da Rex Ingram con Rodolfo Valentino, la cui esibizione nel tango è entrata nella storia del cinema, ed il secondo è del 1962, diretto da Vincente Minnelli con Glenn Ford ed Ingrid Thulin; da notare che il primo è ambientato nella Prima Guerra Mondiale, l'altro nella Seconda, e in entrambi i casi due parenti, schierati sui fronti opposti, si uccidono a vicenda. Ibañez ha colto perfettamente l'attualità della vicenda dei Quattro Cavalieri, che percorrono la Terra in ogni tempo e non solo alla fine del mondo, seminando lutti, distruzione e rovine. Dei Quattro Cavalieri con tutto il loro armamentario di armi e cavalli, non potevano non appropriarsi gli scrittori del genere fantasy: essi in persona compaiono infatti, sotto forma di spiriti maligni, nel romanzo "I Talismani di Shannara" (1993) di Terry Brooks (1944-vivente), e ad essi sono certamente ispirati i nove Nazgûl, gli spettri a cavallo che perseguitano Frodo ne "Il Signore degli Anelli" (1955) di John R.R. Tolkien (1892-1973), segno questa della straordinaria vitalità e potenza dell'immagine creata da San Giovanni.

Da notare che la terribile cavalcata può imperversare al massimo su un quarto dell'umanità: questa limitazione vuole rappresentare icasticamente la misericordia di Dio anche quando castiga, e richiama la nozione del « resto d'Israele » tante volte proclamata dai Profeti dell'Antico Testamento, tra cui il passo di Ezechiele appena ricordato. Insomma, anche le forze più distruttive dell'universo sono tenute saldamente in pugno dal Signore, e non eseguono la propria, ma la Sua volontà.

Lo sconvolgimento cosmico
Alla rottura del quinto sigillo non si ha più la presentazione di un castigo di Dio, ma entrano in scena di persona i martiri, immolati come l'Agnello, e per questo schierati ai piedi dell'altare, le cui anime invocano a gran voce il Signore affinché giustizia sia fatta: una scena da Ghost Movie non meno agghiacciante dell'irruzione sulla scena dei Quattro Cavalieri. Dio ordina di dare loro delle vesti candide, il che rivela che essi si trovano già nella beatitudine eterna ben prima del Giudizio Finale (secondo diversi pensatori invece il Giudizio Particolare e il Giudizio Finale coinciderebbero, ma Giovanni è estraneo a questa concezione); tuttavia, è esplicitamente detto loro che le vie di Dio sono diverse da quelle umane, e che essi (e con loro l'uomo di ogni tempo, ansioso di giustizia) deve armarsi di pazienza e saper attendere. Certamente la divina giustizia si attuerà, ma non spetta al cristiano insegnare a Dio il quando e il come, o addirittura volerGli forzare la mano.

Con l'apertura del sesto sigillo si assiste a un vero e proprio sconvolgimento dell'intero universo, attraverso un insieme di castighi aventi tutti il carattere di flagelli cosmici, descritti secondo la fantasmagoria apocalittica tanto in voga al principio dell'era cristiana; da notare che, oltre alla spada, alla fame, alla peste e alle fiere, i quattro modi elencati in 6,8 in cui era più facile morire anzitempo all'epoca di Giovanni, il discorso escatologico di Matteo 24,7 e Marco 13,8 elencava anche il terremoto; ed ecco che puntualmente esso ha luogo.

« Quando l'Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: "Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?" » (6,12-17)

La fonte è certamente l'Apocalisse di Isaia, contenuta nel capitolo 24 del suo libro, di cui si è già parlato nell'Introduzione. Ma queste immagini sono entrate talmente nell'immaginario collettivo, da ritrovarsi tali e quali nel noto Spiritual « When The Saints Go Marching In », reso celeberrimo da Louis Armstrong:

« And when the sun refused to shine, when the sun refused to shine,
Oh Lord let me be in that number, when the sun refused to shine!
And when the moon has turned to blood, when the moon has turned to blood,
Oh Lord let me be in that number, when the moon has turned to blood ! »

Certamente pagine come queste sembrerebbero giustificare l'abuso da parte di tanti di adoperare il termine "apocalittico" come sinonimo di "immane sventura". Si tratta in realtà di un armamentario di immagini desunte dalla letteratura profetica e usate anche da Gesù per rappresentare il Giudizio di Dio sulle vicende umane, e non va certamente inteso in senso letterale, come fanno molti ancor oggi. Per dare un'idea dell'impressione suscitata sugli artisti di ogni tempo da simili fantasmagorie, basta pensare alla celebre raccolta di xilografie di Albrecht Dürer (1471-1528), della quale abbiamo già parlato nell'Introduzione: qui sopra si vede la xilografia intitolata "I quattro cavalieri dell'Apocalisse".

I Centoquarantaquattromila
Nonostante tutto, però, e San Giovanni ci tiene a sottolinearlo con forza, i Giusti attraversano indenni questa serie impressionante di cataclismi, tale da ricordarci da vicino il famoso "Day After Tomorrow" postglaciale dell'omonimo film catastrofico del 2004 (vedi la sua scheda sull'Internet Movie Database), ed anzi occupano tutta la scena dopo che « le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte » (Mc 13,25).

« Vidi poi un altro angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: "Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi". Poi udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d'Israele » (7,3-4)

Questo numero ha suggestionato mistici ed esegeti di ogni tempo, e da alcuni è stato preso alla lettera, come dalla chiesa dei Testimoni di Geova, i quali predicano che questo sarà l'esatto numero di quelli che potranno accedere alla vita eterna (peraltro concepita come un eterno pic-nic all'americana), né uno di più, né uno di meno. Ora, secondo alcuni calcoli, dalla comparsa dell'uomo sulla Terra ad oggi sono vissuti circa 80 miliardi di persone; se questo numero andasse inteso alla lettera, si salverebbe solo un uomo ogni cinquecentomila. È vero che nel Vangelo sta scritto « Molti i chiamati, pochi gli eletti » (Mt 22,14), ma se fosse davvero così il Paradiso apparirebbe veramente come un club un po' troppo esclusivo, all'americana appunto.

In realtà, si tratta di una cifra simbolica, il cui significato è perfettamente rintracciabile. Il numero 144.000 deriva dal prodotto 12 x 12 x 10 x 10 x 10; naturalmente 12 sono le Tribù d'Israele, 12 gli Apostoli, ed il loro prodotto dà una sintesi dell'intera Storia della Salvezza; il tutto è moltiplicato per la terza potenza di 10, che rappresenta immensità e completezza assolute. I 144.000 segnati con il Sigillo di Dio rappresentano quindi la totalità e l'universalità del Popolo di Dio, ed interpretare alla lettera questo numero sarebbe come cercare nei cimiteri lombardi le tombe di Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, che invece sono personaggi di pura fantasia, con buona pace di ogni integralismo cristiano.

Il numero dodici domina l'intera rappresentazione, perchè per formare questo numero 12.000 giusti sono presi da ciascuna delle dodici Tribù d'Israele. Fino a qui, la salvezza apparirebbe riservata al popolo d'Israele; ma subito dopo ecco apparire in visione « una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani.  E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello" » (7,10-11) Il nuovo popolo di Dio non ha più vincoli etnici, nazionali o linguistici, ma è aperto a tutti gli uomini di buona volontà. Il simbolismo della palma è, tradizionalmente, quello della vittoria: veniva infatti portata nei cortei trionfali, dopo un successo in battaglia, come testimonia 1 Maccabei 13,51. Inoltre questa scena richiama prepotentemente l'acclamazione del popolo di Gerusalemme al momento dell'ingresso di Cristo in quella che non a caso è ricordata come la Domenica delle Palme, secondo il racconto di Giovanni 12,13. Là infatti il popolo cantava "Osanna al figlio di Davide!", ma Osanna significa "Salva!", esattamente come sentiamo gridare questa moltitudine innumerabile, abitante la nuova Gerusalemme Celeste.

« Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. » (7,14-15)

La moltitudine dei salvati, miniatura dall'Apocalisse di Valenciennes

La moltitudine dei salvati, miniatura dall'Apocalisse di Valenciennes

 

Dunque anche costoro sono martiri, avendo subito la stessa sorte di Gesù Cristo; da notare il fatto che Dio stende la propria tenda sopra di loro. Un'immagine cara a Giovanni, che già nel Prologo del suo Evangelo aveva scritto « Il Verbo si fece carne e piantò la sua tenda in mezzo a noi » (Gv 1,14) Il destino di gloria di questi eletti è espresso usando immagini tratte dal profeta Isaia (25,8 e 49,10): essi appaiono come un gregge che marcia nel deserto con Cristo alla testa, ma non soffre fame né sete né colpi di calore, e viene guidato « alle fonti delle acque della vita » (7,17) Una visione decisamente consolante, dopo i quattro cavalieri, il terremoto ed il crollo di tutti i corpi celesti sulla terra! Vengono in mente le seguenti parole di uno dwei più grandi biblisti dei nostri tempi, il Cardinale Carlo Maria Martini:

« Stiamo andando verso l'Apocalisse? È questa l'impressione che hanno molti di noi rispetto ai grandi cataclismi di questi ultimi tempi e anche alle guerre e agli odi che travagliano molti popoli. La risposta vera dovrebbe essere di sì. Il cristiano crede che questo mondo dovrà un giorno finire, e del resto la scienza lo conferma. Perciò molti si chiedono con paura: "Maestro, quando accadrà questo, e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?" (Lc 21,7). Gesù invita a non lasciarsi spaventare: "Vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo... ma nemmeno un capello del vostro capo perirà" (Lc 21,9.11.18). Il cristiano ha la certezza che Dio gli verrà in soccorso. Di fronte ad esempio al violentissimo terremoto giapponese dell'11 marzo 2011 contempliamo l'immagine di uomini che si difendono da questa angoscia mortale impegnandosi totalmente al servizio di fratelli sventurati, con grande dignità e coraggio. »

E il settimo sigillo, che diede il titolo a un celeberrimo film di Ingmar Bergman? Se volete saperne di più, cliccate qui e proseguite con me il viaggio nell'Apocalisse!