La caduta di Babilonia

La grande prostituta
Ormai ci avviciniamo al culmine dell'Apocalisse, cioè quello che è stato conosciuto nei secoli come Giudizio Universale, ed è stato oggetto di innumerevoli rappresentazioni artistiche e letterarie. In quest'ambito i capitoli 17-19 dell'Apocalisse riprendono, come si è già accennato, il tema del giudizio di Dio su Babilonia/Roma. Essi non aggiungono sostanzialmente niente di nuovo ai temi già fin qui trattati da Giovanni ma, dal punto di vista artistico-letterario, costituiscono una delle sezioni più belle dell'ultimo libro della Bibbia. Non è difficile comprendere perché Giovanni insista cosi a lungo sull'argomento; se ci portiamo alla sua epoca con un'ideale Macchina del Tempo, non ci sarà difficile renderci conto delle pietose condizioni in cui erano costretti a vivere i cristiani di allora, fatti oggetto di una persecuzione senza quartiere che spesso portava alla morte fisica, e che sempre e comunque portava alla morte civile, cioè all'esclusione dalla vita pubblica, dalle attività commerciali, dalle associazioni operaie, e quindi miseria, disprezzo, carcere ed esilio.

La persecuzione di Domiziano, tale da far impallidire quella di Nerone, faceva pensare che tra cristianesimo ed impero romano era impossibile un'intesa, in quanto mai la Chiesa avrebbe accettato di riconoscere all'Augusto dei titoli divini, e che quindi i cristiani, rei soltanto di essere tali, sarebbero stati il bersaglio del formidabile apparato statale romano fino alla loro completa estinzione. Stando cosi le cose, non ci poteva essere una parola di più coraggiosa speranza che quella pronunciata da Giovanni in questa sezione: « È caduta, è caduta Babilonia la grande! »

Ed ecco dunque apparire sulla scena del libro una delle più impressionanti figure da esso tratteggiate: la « grande prostituta che siede presso le grandi acque » (17,1). Come si è già detto, infatti, la Bibbia di solito traduce il termine "idolatria" con l'espressione "prostituzione agli idoli"; senza contare il fatto che presso i cananei era diffusa la cosiddetta "prostituzione sacra". In altre parole, il fedele nel Tempio si accoppiava con una sacerdotessa, e ciò secondo le credenze del tempo equivaleva ad unirsi alla stessa dea: una pratica che la Bibbia condanna a più riprese e con la massima severità. I profeti poi erano soliti designare con il termine di "prostituta" le grandi potenze del loro tempo, come Tiro, Ninive, Babilonia; e San Giovanni non fa certo eccezione a questa regola, applicando ovviamente il termine a Roma. Ecco dunque come egli tratteggia questa paurosa figura:

« L'angelo mi trasportò in spirito nel deserto. Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna. La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, e teneva in mano una coppa d'oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: "Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra." E vidi che quella donna era ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. Al vederla, fui preso da grande stupore. » (17,3-6)

Albrecht Dürer, La Grande Prostituta, xilografia

 

"Seduta sulle grandi acque" si riferisce presumibilmente allo strapotere di Roma sul mar Mediterraneo, definito non a caso dai romani "Mare Nostrum". "Porpora e scarlatto" sono segno di lusso e di grande splendore, perchè questi colori venivano tratti da una conchiglia chiamata murice, ed occorrevano migliaia di conchiglie per tingere di porpora una sola stoffa, il che rendeva questo colore molto costoso e pregiato, e quindi riservato ai ricchi, ai potenti e ai re. Inoltre il manto scarlatto era una delle prerogative degli Imperatori Romani, passata poi agli imperatori bizantini; oggi se ne trova un residuo nel manto rosso dei Papi. La "coppa d'oro" è poi un tradizionale attributo di Babilonia, già presente in Geremia 51,7, e qui trasferito alla nuova Babilonia, Roma. "Ebbra del sangue dei santi e dei martiri" si riferisce alle persecuzioni di Nerone e di Domiziano, ed in questa espressione si riflette probabilmente la descrizione della persecuzione neroniana che ci ha lasciato Tacito nei suoi "Annali":

« Nessuno sforzo umano, nessuna elargizione dell'imperatore o sacrificio degli dei riusciva ad allontanare il sospetto che si ritenesse lui il mandante dell'incendio. Quindi, per far cessare la diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e colpì con pene di estrema crudeltà coloro che, odiati per il loro comportamento contro la morale, il popolo chiamava Cristiani. Colui al quale si doveva questo nome, Cristo, nato sotto l'impero di Tiberio, attraverso il procuratore Ponzio Pilato era stato messo a morte; e quella pericolosa superstizione, repressa sul momento, tornava di nuovo a manifestarsi, non solo in Giudea, luogo d'origine di quella sciagura, ma anche a Roma, dove confluisce e si celebra tutto ciò che d'atroce e vergognoso giunge da ogni parte del mondo. Quindi dapprima vennero arrestati coloro che confessavano, in seguito, grazie alle testimonianze dei primi, fu dichiarato colpevole un gran numero di persone non tanto per il crimine di incendio, quanto per odio nei confronti del genere umano. E furono aggiunti anche scherni per coloro che erano destinati a morire, che, con la schiena ricoperta di belve, morissero dilaniati dai cani, o che fossero crocefissi o dati alle fiamme e, tramontato il sole, utilizzati come torce notturne. Per quello spettacolo Nerone aveva offerto i suoi giardini ed allestiva uno spettacolo al circo, confuso fra la folla in abito da auriga o salendo su una biga. Quindi, benché le punizioni fossero rivolte contro colpevoli ed uomini che si meritavano l'estremo supplizio, sorgeva una certa compassione nei loro confronti, come se i castighi non fossero stati inflitti per il bene pubblico, ma per sadismo di un solo uomo » (Annales XV, 44)

Tacito era noto per la sua astiosità nei confronti dei cristiani, come dimostrano le espressioni "pericolosa superstizione", "odio nei confronti del genere umano" ed "uomini che si meritavano l'estremo supplizio": per un pagano del I secolo d.C., la convinzione che la fine del mondo ed il giudizio finale fossero vicini dovevano probabilmente apparire come avversione nei confronti dell'umanità ed odio nei confronti dell'ordine costituito. Eppure, nonostante questo, egli arriva a provare "compassione" per gli odiati cristiani; da buon repubblicano, egli manifesta la sua avversione verso Nerone sospettando che sia il suo "sadismo" l'unico vero motore della persecuzione.

Il simbolismo della Bestia
A questo punto, lo stesso angelo che guida Giovanni nelle sue visioni gli fornisce una spiegazione dettagliata della visione: forse una delucidazione richiesta dai suoi stessi discepoli.

« "La bestia che hai visto era ma non è più, salirà dall'Abisso, ma per andare in perdizione. E gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo, stupiranno al vedere che la bestia era e non è più, ma riapparirà.
Qui ci vuole una mente che abbia saggezza. Le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta la donna; e sono anche sette re. I primi cinque sono caduti, ne resta uno ancora in vita, l'altro non è ancora venuto e quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco.
Quanto alla bestia che era e non è più, è ad un tempo l'ottavo re e uno dei sette, ma va in perdizione. Le dieci corna che hai viste sono dieci re, i quali non hanno ancora ricevuto un regno, ma riceveranno potere regale, per un'ora soltanto insieme con la bestia. Questi hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia. Essi combatteranno contro l'Agnello, ma l'Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re e quelli con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli."
Poi l'angelo mi disse: "Le acque che hai viste, presso le quali siede la prostituta, simboleggiano popoli, moltitudini, genti e lingue. Le dieci corna che hai viste e la bestia odieranno la prostituta, la spoglieranno e la lasceranno nuda, ne mangeranno le carni e la bruceranno col fuoco. Dio infatti ha messo loro in cuore di realizzare il suo disegno e di accordarsi per affidare il loro regno alla bestia, finché si realizzino le parole di Dio. La donna che hai vista simboleggia la grande città, che regna su tutti i re della terra." » (17,8-18)

Andiamo per ordine. Della bestia cavalcata dalla prostituta si racconta la morte, ma anche una strana risurrezione: « salirà dall'Abisso, ma per andare in perdizione ». Secondo alcuni si tratta di un riferimento alla crisi dinastica che colpì l'Impero Romano dopo il suicidio di Nerone: l'impero fu dilaniato dalle lotte intestine, le truppe stanziate nelle province elevarono alla dignità imperiale i propri comandanti, e in pochi mesi si susseguirono ben quattro imperatori: Servio Sulpicio Galba, Marco Salvio Otone, Aulo Vitellio Germanico e Tito Flavio Vespasiano, a cui si aggiunsero le ribellioni di Gaio Giulio Vindice, governatore della Gallia Lugdunense, di Lucio Virginio Rufo, prefetto delle legioni della Germania superiore, e del prefetto del pretorio Ninfidio Sabino. La potenza di Roma parve sul punto di disgregarsi, come narra Svetonio, ma l'elezione imperiale di Vespasiano, fondatore della dinastia Flavia, il 22 dicembre del 69 d.C., riportò l'ordine e spezzò le speranze di coloro che speravano davvero di assistere alla caduta di Roma.

Naturalmente, come si è già detto parlando del Dragone che insidiava la Donna Vestita di Sole, le sette teste rappresentano i sette colli su cui Roma è costruita (Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale e Viminale), ma anche sette sovrani: « i primi cinque sono caduti, ne resta uno ancora in vita, l'altro non è ancora venuto e quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco ». Si pensa che i primi cinque, già morti, siano Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone; quello in vita sarebbe Vespasiano, e quello che rimarrà per poco sarà Tito, che effettivamente regnò solo per due anni. Ma c'è un ottavo re, identificato con la Bestia tornata in vita: probabilmente si tratta di Domiziano, ritenuto la reincarnazione della Bestia, cioè di Nerone (vedi il discorso intorno al numero 666), perchè ripeté le sue ben poco eroiche gesta scatenando la persecuzione contro i cristiani. Naturalmente, essendo Domiziano regnante (e questo ci riporta al tempo di composizione dell'Apocalisse), Giovanni si guarda bene dal chiamarlo per nome, indicandolo tuttavia con una perifrasi che ai cristiani suoi contemporanei doveva apparire chiara come il sole.

Quanto alle dieci corna, qui sono identificate con dieci re vassalli di Roma che, alleandosi con la Bestia, riescono ad ottenere un successo effimero: essi regneranno tutti per un'ora soltanto, cioè per un tempo brevissimo. Forse Giovanni aveva in mente dei re specifici, perchè a quel tempo Roma aveva tutta una cintura di regni satelliti: l'Armenia, il Regno del Bosforo, il regno dei Nabatei nell'attuale Giordania, la Mauretania, e molti altri. A noi non è più possibile rintracciare i nomi di questi vassalli, ma una cosa è certa: essi collaborarono alla persecuzione, scatenando una guerra senza tregua contro l'Agnello che è Cristo. Naturalmente secondo Giovanni l'esito di questa battaglia è scontato perchè Dio non può che trionfare, essendo « il Signore dei signori ». Ma non solo: i re vassalli si rivolteranno contro la Prostituta, cioè contro Roma, e la annienteranno, mangiandone le carni, cioè spartendosi il bottino, e bruciandola con il fuoco, cioè mettendola a ferro e fuoco. Paradossalmente, questa profezia si è compiuta davvero quattro secoli più tardi, attraverso le invasioni barbariche, anche se l'impero era ormai già divenuto cristiano. In ultimo si ribadisce una volta per tutte l'identità di questa donna: è « la grande città, che regna su tutti i re della terra », e dunque altri non può essere se non Roma, la potenza politica di turno, dopo l'Egitto, l'Assiria, Babilonia, la Persia e la Siria seleucide, che opprime il Popolo di Dio.

Ed eccoci ora di fronte alla caduta di Babilonia/Roma, annunciata da un angelo che discende dal Cielo ed illumina tutta la Terra con il suo splendore (un'allusione forse agli Angeli che nella notte di Natale annunciarono ai pastori la nascita del Salvatore): La descrizione della fine della potenza romana è intessuta, come al solito, con parecchie citazioni veterotestamentarie, in particolare dai capitoli 14, 21, 47 di Isaia e dai capitoli 50 e 51 di Geremia.

« È caduta, è caduta Babilonia la grande, ed è diventata covo di demoni, carcere di ogni spirito immondo, carcere d'ogni uccello impuro e aborrito e carcere di ogni bestia immonda e aborrita. Perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con essa e i mercanti della terra si sono arricchiti del suo lusso sfrenato. » (18,2-3)

« Scendi e siedi sulla polvere, vergine figlia di Babilonia. Siedi a terra, senza trono, figlia dei Caldei, poiché non sarai più chiamata tenera e voluttuosa. Siedi in silenzio e scivola nell'ombra, figlia dei Caldei, perché non sarai più chiamata Signora di Regni. » (Isaia 47,1.5)

« Proclamatelo fra i popoli e fatelo sapere, non nascondetelo, dite: Babilonia è presa, Bel è coperto di confusione, è infranto Marduk: sono confusi i suoi idoli, sono sgomenti i suoi feticci. Poiché dal settentrione sale contro di essa un popolo che ridurrà la sua terra a un deserto, non vi abiterà più nessuno; uomini e animali fuggono, se ne vanno » (Geremia 50,2-3)

Da notare come Roma al tempo di Giovanni sia ancora ben salda e potentissima, ma l'Evangelista ne dà notizia come se la sua caduta fosse già avvenuta; per lui, infatti, Roma è ormai condannata per colpa dei suoi orribili peccati, e la sua caduta può essere solo procrastinata, ma non rimandata. Da notare, per inciso, come a quel tempo esistessero quattro grandi imperi nel Vecchio Mondo: oltre a quello Romano c'erano l'Impero dei Parti nelle attuali Persia e Afghanistan, l'Impero Kushano in India e Asia centrale, e l'Impero Cinese degli Han. Ora, al giorno d'oggi esistono tuttora Iran, India e Cina, e si tratta di quattro grandi nazioni, il cui ruolo non si limita più a quello di potenza regionale. Invece l'Impero Romano, caduto convenzionalmente nel 476, non si è mai più ricostituito nonostante gli sforzi in tal senso di Giustiniano, Carlo Magno, Ottone il Grande, Federico Barbarossa, Carlo V, Napoleone ed Hitler. Un'eco della condanna definitiva pronunciata su Roma e sul suo impero dall'Angelo ammantato di luce del capitolo 18 dell'Apocalisse?

La caduta di Babilonia, arazzi del castello di Angers (Anjou, Francia), XIII secolo

La caduta di Babilonia, arazzi del castello di Angers (Anjou, Francia), XIV secolo

 

Si è detto che la descrizione del crollo di Babilonia assomiglia a un grandioso arazzo, e tale appare davvero osservando gli arazzi di Angers, capoluogo del dipartimento della Maine-et-Loire, in cui si trova uno dei celeberrimi Castelli della Loira. Questo castello ospita proprio un importante ciclo di arazzi, una serie di sei pannelli con 69 soggetti eseguiti tra il 1373 e il 1382 da Nicolas Bataille per il duca Luigi I d'Angiò, ed interamente dedicati all'Apocalisse; qui sopra se ne vede un esempio tra i più eloquenti, che mostra proprio la caduta della Città degli Uomini. Questa superpotenza del mondo antico, che sottomise tutte le millenarie civiltà del bacino del Mediterraneo e tentò a più riprese anche l'assalto al Medio Oriente, viene descritta al culmine della sua potenza, e subito dopo sprofondata nell'abisso e messa a ferro e fuoco:

« I suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità. Pagatela con la sua stessa moneta, retribuitele il doppio dei suoi misfatti. Versatele doppia misura nella coppa con cui mesceva. Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione.
Poiché diceva in cuor suo: "Io seggo regina, vedova non sono e lutto non vedrò";  per questo, in un solo giorno, verranno su di lei questi flagelli: morte, lutto e fame; sarà bruciata dal fuoco, poiché potente Signore è Dio che l'ha condannata» (18,5-8)

Qui probabilmente è al lavoro la suggestione di quanto capitato al grande Impero Assiro quasi 700 anni prima: come annunciato dai profeti, esso passò in pochi anni dall'apogeo della propria potenza e della propria espansione territoriale, sotto Sennacherib, Assaraddon e Assurbanipal, al crollo fin dalle fondamenta, perchè non si trattava di una nazione coesa: i molti popoli assoggettati erano tenuti assieme solo dal terrore suscitato dai vincitori, che non esitavano a radere al suolo intere città, sterminandone o deportandone le popolazioni. Questa costruzione artificiosa era destinata a rovinare alla prima seria sconfitta subita dagli Assiri, come accadde all'impero napoleonico dopo la disastrosa campagna di Russia del 1812; dunque l'Autore dell'Apocalisse si dice convinto che la stessa cosa capiterà a Roma, che ha trattato i vinti allo stesso modo. Certamente è una visione lontana mille miglia dagli ottimistici versi di Virgilio:

« Tu regere imperio populos, Romane, memento
(hae tibi erunt artes): pacique imponere morem,
parcere subiectis et debellare superbos » (Aen. VI, 851-53)
[Tu con l'imperio reggere le genti
devi, Romano, è l'arte tua: dettare
norme alla pace, esser clemente ai vinti
e debellare i popoli superbi] (trad. di Guido Vitali)

Contemporaneamente, si ribadisce la certezza che Domineddio è l'unico vero Signore della storia, non l'Augusto o il governatore di turno, e quindi Egli potrà spezzare l'arroganza del tiranno nonostante l'apparente inossidabilità del suo potere.

Tutti gridano in coro
Giova osservare come la rappresentazione della caduta di Babilonia è affidata a un coro di voci, esattamente come accadeva nel teatro antico, in cui al coro era affidato il racconto degli eventi salienti del contesto in cui si svolgeva l'azione dei protagonisti. Giovanni si rivela perciò anche buon conoscitore della cultura ellenistica dei suoi tempi, né c'è da stupirsene, visto che operò il suo ministero nell'Asia Proconsolare, cioè l'ex regno di Pergamo, che fu uno dei centri propulsori dell'Ellenismo.

Il coro è composto dalle voci di personaggi reali e fittizi, legati in qualche modo alla vicenda romana, sia sostenitori dell'Impero che avversari in attesa del suo castigo da parte della Divinità. Il tutto è aperto da una voce che scende dall'alto, quasi "fuori campo", tanto per continuare ad usare il linguaggio teatrale e cinematografico. Essa si rivolge ai cristiani residenti in Roma, sulla scia di 1 Pietro 5,13, invitandoli ad abbandonarla prima che su di essa piombino i castighi divini. Su questo ammonimento pesa probabilmente la suggestione dell'invito lanciato dagli angeli a Lot affinché abbandoni Sodoma prima della catastrofe.

« Udii un'altra voce dal cielo: "Uscite, popolo mio, da Babilonia per non associarvi ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli!" » (18,4)

"Morte, lutto, fame e fuoco" è ciò che l'angelo promette alla grande città. Questi flagelli richiamano in maniera inconfondibile quelli con cui i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse sono autorizzati a vessare il genere umano:

« Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra » (6,8)

Inoltre Giovanni fa sfoggio di immagini tolte come al solito dal repertorio profetico: Isaia 21, Isaia 47, Geremia 50-51 ed Ezechiele 26-28. Il concetto di Babilonia resa "vedova" dall'intervento del Signore è preso di peso da Isaia 49,7. 

Udiamo poi le voci lamentose dei costernati ammiratori della potenza romana, cioè i re vassalli, i mercanti e i naviganti che si sono arricchiti con il bottino rastrellato dalle legioni. Logicamente il coro viene aperto dalla voce degli alleati dell'impero:

« I re della terra che si sono prostituiti e hanno vissuto nel fasto con essa, piangeranno e si lamenteranno a causa di lei, quando vedranno il fumo del suo incendio, tenendosi a distanza per paura dei suoi tormenti, e diranno: « Guai, guai, immensa città, Babilonia, possente città; in un'ora sola è giunta la tua condanna! » (18,9-10)

Questi re indicano evidentemente il potere politico, che imita in tutto le infedeltà di Roma /Babilonia. Continuano il lamentoso coro i mercanti, indicati con il termine greco "emporoi", che solitamente designa i commercianti all'ingrosso e gli importatori di merci molto richieste; anch'essi sono presentati in una luce molto negativa, perchè sono stati gli strumenti della prosperità di Babilonia, e quindi della sua corruzione, traendo volentieri profitto dalla rapacità e dall'ingordigia dei maggiorenti della città:

« Anche i mercanti della terra piangono e gemono su di lei, perché nessuno compera più le loro merci: carichi d'oro, d'argento e di pietre preziose, di perle, di lino, di porpora, di seta e di scarlatto; legni profumati di ogni specie, oggetti d'avorio, di legno, di bronzo, di ferro, di marmo; cinnamomo, amomo, profumi, unguento, incenso, vino, olio, fior di farina, frumento, bestiame, greggi, cavalli, cocchi, schiavi e vite umane (...) I mercanti divenuti ricchi per essa, si terranno a distanza per timore dei suoi tormenti; piangendo e gemendo, diranno: "Guai, guai, immensa città, tutta ammantata di bisso, di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle! In un'ora sola è andata dispersa sì grande ricchezza!" » (18,11-13.15-17)

La lista delle merci elencate in questo passo è composta non a caso per lo più da articoli di lusso, che Roma era solita importare dalle varie province dell'impero e dalle regioni più lontane, fino alle remote e misteriose Indie. Il cinnamomo è la cannella (nome scientifico Cinnamomum zeylanicum), nativa dello Sri Lanka e costosissima per via del lungo viaggio necessario per l'importazione di questa spezia. L'amomo o zenzero del Malabar (Zingiber officinale) è una pianta aromatica dell'India sudorientale da cui si ricavava un unguento molto usato per i capelli. Con il termine "profumi" (in greco thymiamata) si indicavano in generale essenze come l'incenso, ricavato in Arabia dalla Boswellia sacra, atte ad essere accese per purificare l'aria (siccome è usato tipicamente nei templi, i Re Magi lo portano in dono a Gesù bambino come simbolo della sua divinità). La mirra è una gommaresina aromatica, estratta dalla Commiphora myrrha, diffusa in Somalia, Etiopia, Sudan e penisola arabica. Già conosciuta nell'antico Egitto, dove era utilizzata nell'imbalsamazione, veniva usata anche come profumo, e come tale è citata sette volte nel Cantico dei Cantici; anch'essa fu portata in dono dai Re Magi al Bambino Gesù, come simbolo della sua sofferenza e della sua morte per l'espiazione dei peccati del mondo. Il bisso è una specie di seta naturale marina, ottenuta da un filamento secreto dal mollusco Pinna nobilis, la cui lavorazione era molto diffusa nell'area mediterranea; dal bisso si ricavavano pregiati e costosi tessuti con i quali si confezionavano, nell'antichità, gli abiti dei personaggi più altolocati. Dello scarlatto e della porpora si è detto già sopra.

Il triplice coro di lamenti, che ricorda le prefiche care alla tradizione antica, si chiude con i naviganti che facevano affari d'oro trasportando le merci destinate a Babilonia/Roma, e che ora si gettano sul capo manciate di polvere in segno di lutto, e riconoscono che Dio sta rendendo giustizia alle vittime delle persecuzioni scatenate dall'immensa città: la caduta della città peccatrice segna infatti la fine delle loro fortune.

« Tutti i comandanti di navi e l'intera ciurma, i naviganti e quanti commerciano per mare se ne stanno a distanza, e gridano guardando il fumo del suo incendio: "Quale città fu mai somigliante all'immensa città?" Gettandosi sul capo la polvere gridano, piangono e gemono: "Guai, guai, immensa città, del cui lusso arricchirono quanti avevano navi sul mare! In un'ora sola fu ridotta a un deserto! » (18,17-19)

La successiva voce è quella di un nuovo Angelo che, con un gesto quasi michelangiolesco, raffigura simbolicamente la caduta della città, sollevando un enorme masso e scagliandolo nel mare, quasi volesse ripetere la caduta dell'astro Assenzio, per pronunciare poi la condanna definitiva sulla superba metropoli:

« Con la stessa violenza sarà precipitata Babilonia, la grande città, e più non riapparirà. La voce degli arpisti e dei musici, dei flautisti e dei suonatori di tromba, non si udrà più in te; ed ogni artigiano di qualsiasi mestiere non si troverà più in te; e la voce della mola non si udrà più in te; e la luce della lampada non brillerà più in te; e voce di sposo e di sposa non si udrà più in te. Perché i tuoi mercanti erano i grandi della terra; perché tutte le nazioni dalle tue malie furono sedotte. In essa fu trovato il sangue dei profeti e dei santi, e di tutti coloro che furono uccisi sulla terra » (18,21-24)

Le espressioni usate per costruire questa sorta di "Dies Irae" sono quelle adoperate dai profeti, in particolar modo da Geremia ed Ezechiele, per descrivere il giudizio divino su Gerusalemme e su altre potenze del loro tempo, ma Giovanni è bravissimo ad attualizzarle e trasportarle ai propri giorni. Ecco in proposito il commento del grande teologo Ugo Vanni:

« Babilonia la Grande, la Prostituta (17,1) è una concentrazione di tutto il male. Essa cavalca un mostro vestito di scarlatto (17,3): si tratta della città secolarizzata, nel senso più radicale del termine. È sorretta, questa città mostruosamente consumistica, da uno Stato, il mostro scarlatto, che si fa adorare, cioè pretende di essere al di sopra di tutto e si sente al di sopra di tutto. Alla distruzione della "Grande Prostituta" farà riscontro il trionfo della Città-Sposa, la Gerusalemme Celeste »

The Day After
In netto contrasto con il lamento intonato sulla terra dai signorotti e dai trafficanti di merci preziose, si passa ora al canto di gioia ed alla liturgia celeste in onore della giustizia divina: il coro degli eletti intona un inno che celebra il crollo della Città del Male, madre di ogni oppressione e di ogni idrolatria. Sconvolgente in particolare è la visione del fumo dell'incendio della perversa Babilonia, che sale in eterno verso il cielo quale monito per tutte le genti, e ci ricorda da vicino l'analoga sorte toccata a Sodoma nel libro della Genesi:

« Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore; contemplò dall'alto Sodoma e Gomorra e tutta la distesa della valle, e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace » (Genesi 19,27-28)

«Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio; perché veri e giusti sono i Suoi giudizi, Egli ha condannato la grande meretrice che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi! Alleluia! Il suo fumo sale nei secoli dei secoli! » (19,1-3)

Tuttavia questa visione ci richiama alla mente anche un "fumo" molto più attuale: gli spettrali funghi atomici che si levano al cielo dopo l'esplosione di ordigni nucleari nell'atmosfera. Per questo ho inserito qui sopra una sequenza del celebre film "The Day After" (1983) di Nicholas Meyer, che mostra i devastanti effetti sulla popolazione e sulle infrastrutture di Kansas City di una guerra nucleare tra USA ed URSS, scatenata in seguito al degenerare della contesa sulla città di Berlino (cliccate qui per vederne la pagina sull'Internet Movie Database). Una situazione che, secondo molti analisti, poteva verificarsi sul serio; in questo caso la Babilonia di Giovanni viene ad identificarsi con la nostra superba civiltà tecnologica, che veramente « in un'ora sola » verrebbe spazzata via dagli ordigni atomici, asseverando l'affermazione di Albert Einstein: "Io non so con quali armi si combatterà la Terza Guerra Mondiale, ma la Quarta si combatterà con asce e frecce"!!

Non è certo un caso se è stato battezzato "Orologio dell'Apocalisse" (Doomsday Clock) un orologio simbolico ideato dagli studiosi del "Bulletin of the Atomic Scientists" dell'Università di Chicago nel 1947: la mezzanotte di tale orologio indica la fine del mondo, causata nel nostro caso da una guerra atomica. Al momento della sua invenzione, l'orologio è stato impostato sette minuti prima della mezzanotte, e la lancetta dei minuti è stata ripetutamente spostata avanti o indietro, durante la guerra fredda, a seconda dello stato delle politiche mondiali e del pericolo nucleare. Tra il 1953 e il 1960 l'orologio è giunto a soli due minuti dalla mezzanotte, quando in tutto il mondo si diffuse la psicosi da conflitto nucleare, ed anche il gruppo heavy metal "Iron Maiden" incise un brano intitolato "2 Minutes to Midnight", un chiaro riferimento al rischio che gli incubi di San Giovanni diventassero realtà; nel 2010 l'Orologio dell'Apocalisse si trova alle 23.54. Certamente il rischio della mutua distruzione ha finora impedito il compiersi della profezia su Babilonia nel nostro XXI secolo, ma in un'epoca di terrorismi come la nostra la guardia deve sempre rimanere alta, pur confidando nella verità delle parole cantate dalla folla celeste: « gloria e potenza sono del nostro Dio; perché veri e giusti sono i Suoi giudizi »!

Locandina (apocalittica) del film TV "The Day After" (1983)

Ma ecco che, proprio in mezzo alla visione di tante distruzioni e rovine, quali sono illustrate nel filmato soprastante, ritorna sulla scena il protagonista assoluto di tutta l'Apocalisse e di tutto il Nuovo Testamento. Per saperne di più, cliccate qui e passate con me alla pagina successiva.