Le particelle fondamentali  

La ricerca dei costituenti fondamentali della materia iniziò con i filosofi greci vissuti alcuni secoli prima di Cristo. Talete da Mileto (625-547 a.C.) aveva individuato l'origine di tutto nell'acqua; Anassimandro (610-546 a.C.) indicò come costituente fondamentale dell'universo l'ápeiron ("illimitato"), la materia indistinta nella quale tutti i concetti che a noi sembrano opposti sarebbero sintetizzati; invece Aristotele (384-322 a.C.) individuò quattro elementi che, mescolandosi in diverse proporzioni, danno vita a tutto ciò che ci circonda: terra, acqua, aria e fuoco (secondo alcuni esegeti i "quattro esseri viventi" di Apocalisse 4, 6-9 sarebbero proprio la rappresentazione allegorica dei quattro elementi aristotelici). Il sorgere della chimica moderna portò invece a considerare costituenti ultimi e indivisibili della materia gli elementi della Tavola Periodica di Dmitrij Mendeleev (1834-1907). Ben presto però il numero di elementi della Tavola Periodica crebbe fino a sfiorare il numero di 100, oggi ampiamente superato, e così molti cominciarono a chiedersi se il complicato puzzle degli elementi chimici non potesse essere ridotto a un numero veramente esiguo di costituenti, come lo era quello degli elementi aristotelici. Le indagini sui tubi catodici compiute a fine Ottocento da William Crookes (1832-1919) fece comprendere che gli atomi degli elementi chimici non sono indivisibili come afferma l'etimologia del loro nome ("ἄτομος"), ma hanno a loro volta dei costituenti: il primo ad essere individuato fu l'elettrone, scoperto nel 1897 da Joseph John Thomson (1856-1940), seguito poi dal protone, scoperto nel 1919 da Ernest Rutherford (1871-1937), e dal neutrone, scoperto nel 1932 da James Chadwick (1891-1974).

All'inizio degli anni trenta del Novecento, dunque, tutta la materia conosciuta poteva essere descritta mediante tre sole particelle, immaginate come "sferette" fondamentali e indivisibili: il protone, il neutrone e l'elettrone, cui andava aggiunto solo il fotone, il quanto di luce introdotto nel 1905 da Albert Einstein (1879-1955), per interpretare la propagazione delle onde elettromagnetiche. Sembrava un risultato davvero straordinario ed appagante, paragonabile a quello di Aristotele, non a caso definito da Dante « il maestro di color che sanno » (Inf IV, 131): dopotutto lo scopo ultimo della scienza consiste proprio nello sforzo di spiegare l'intera realtà che ci circonda con un numero veramente esiguo di costituenti. E quattro soli costituenti ( e, p+, n, γ ) sono sufficienti per suscitare la soddisfazione anche del più schizzinoso tra gli scienziati. Purtroppo però, come periodicamente accade nella storia della scienza, il proseguire delle ricerche nel campo della Fisica Atomica e Nucleare mandò in pezzi questo schema semplicistico, rivelando l'esistenza di quello che è stato chiamato un vero e proprio "zoo" di particelle elementari!

Tutto cominciò con Paul A.M. Dirac (1902-1984), il quale, nel tentativo di conciliare la Meccanica Quantistica con la Teoria della Relatività Ristretta (la Meccanica Ondulatoria di Schrödinger e la Meccanica delle Matrici di Heisenberg danno solo una descrizione non relativistica delle particelle subatomiche), nel 1927 scrisse una complicata equazione che oggi porta il suo nome: l'equazione di Dirac. Si tratta di un'equazione differenziale alle derivate parziali (come l'equazione di Schrödinger) che, oltre a risultare simmetrica rispetto alle quattro coordinate x, y, z, t in accordo con la Relatività Ristretta, spiega perfettamente il moto dell'elettrone nell'atomo di idrogeno. Applicando infatti a quest'ultimo l'equazione di Schrödinger o i fondamenti della Meccanica Matriciale, emergono solo tre numeri quantici: il numero quantico principale n, che quantizza l'energia dell'elettrone (cioè il loro raggio nel vecchio modello quantomeccanico); il numero quantico angolare l, che quantizza il suo momento angolare (cioè l'eccentricità delle orbite nel vecchio modello quantomeccanico); e il numero quantico magnetico m, che quantizza il suo momento magnetico (cioè la disposizione delle orbite nello spazio nel vecchio modello quantomeccanico). Già da tempo si sapeva però che ogni elettrone (e poi ogni particella) dispone anche di un momento magnetico intrinseco, distinto da quello provocato dal moto lungo il suo orbitale, che è anch'esso quantizzato, e può assumere solo i due valori + h / 4 π e – h / 4 π. (in altre parole il numero quantico di spin s può assumere solo i valori + 1 / 2 e – 1 / 2, detti anche spin up e spin down). Esso venne inizialmente interpretato da Wolfgang Pauli (1900-1958) come dovuto alla rotazione sul suo asse dell'elettrone, interpretato come una sferetta la cui superficie è carica negativamente: l'elettrone si comporterebbe insomma come una trottola, in inglese appunto "spin", e i due valori di spin corrisponderebbero alla rotazione dell'elettrone in senso antiorario o in senso orario. Proprio Dirac tuttavia scoprì che, emergendo in modo naturale dalla sua equazione, lo spin è in realtà un effetto relativistico, dovuto al fatto che l'elettrone si muove intorno al nucleo con velocità prossima a quella della luce, e ciò costringe ad aggiungere un termine piccolo, ma non trascurabile, al suo momento magnetico orbitale.

Tuttavia l'equazione di Dirac conduce anche ad un'altra scoperta: tra le sue soluzioni Dirac scoprì che vi erano anche quelle corrispondenti ad elettroni di energia negativa. Infatti l'equazione relativistica che lega l'energia E alla massa m e alla quantità di moto p è:

E2 = p2 c2 + m2 c4

dove c è la velocità della luce nel vuoto. Nel caso di particelle a riposo, esse hanno p = 0, e quindi la precedente diventa E2 = m2 c4, da cui E = ± m c2. Einstein, che per primo ottenne questo risultato nel 1905, scartò le soluzioni ad energia negativa, credendole prive di significato fisico, ma Dirac sapeva che tutte le soluzioni dell'equazione che oggi porta il suo nome deve averne uno. Per questo, egli avanzò l'ipotesi del cosiddetto "mare di Dirac". Siccome l'equazione di Dirac non prevede alcun limite inferiore all'energia delle sue soluzioni, non è possibile identificare uno stato di minima energia o stato fondamentale del sistema, e di conseguenza non è possibile trovare il sistema in uno stato stabile. Per risolvere questo paradosso, nel 1931 Dirac immaginò che tutti gli stati ad energia negativa fossero già occupati, mentre quelli ad energia positiva fossero ancora liberi. Quando una particella salta da questo "mare" su un livello ad energia positiva, vi lascia una "lacuna", che si comporta a sua volta come una particella. Una particella un po' particolare, però, che può essere interpretata in due modi: come un elettrone che viaggia a ritroso nel tempo, oppure come un elettrone che si muove in avanti nel tempo, ma con carica elettrica opposta, cioè positiva, e per questo chiamato positrone. Era l'atto di nascita delle antiparticelle: particelle in tutto identiche a quelle di materia ordinaria, ma con carica elettrica esattamente opposta.

Nel 1932 l'americano Carl Anderson (1905-1991) stava studiando i raggi cosmici mediante una camera di Wilson immersa in un campo magnetico e montata su un pallone sonda stratosferico, quando osservò la prima traccia che poteva essere attribuita unicamente ad un elettrone positivo, e per questo vinse il Premio Nobel per la Fisica nel 1936, a soli 31 anni. In seguito si comprese che i positroni possono essere emessi nel corso del cosiddetto decadimento beta più:

Ma non solo. I positroni possono essere prodotti in laboratorio bombardando lamine metalliche con raggi gamma molto energetici. I fotoni colpiscono il nucleo e danno vita a una coppia elettrone-positrone: questo fenomeno prende il nome di creazione di coppie. In pratica l'energia dei fotoni si materializza in una coppia particella-antiparticella, sulla base della ben nota equazione E = m c2. La figura qui sotto mostra una camera a nebbia in cui dei fotoni gamma hanno dato origine ad una coppia elettrone-positrone: le due particelle si muovono in direzione opposta poiché é presente un campo magnetico ortogonale alla camera e le due particelle hanno carica uguale ed opposta. Siccome la massa dell'elettrone e del positrone è pari a 9 x 10–31 Kg, per creare tale coppia occorre un'energia di 2 x 9 x 10–31 x ( 3 x 108 )2 = 1,62 x 10–13 J = 1,022 MeV.

Esiste anche il fenomeno inverso: quando una particella incontra la corrispondente antiparticella, si ha la completa trasformazione della loro massa in energia, che viene liberata sotto forma di due fotoni γ che si diffondono in direzione opposta. Tale fenomeno prende il nome di annichilazione. Naturalmente, quando un elettrone incontra un positrone, per quanto detto sopra si generano due fotoni aventi ciascuno l'energia di 511 KeV. L'energia dei due fotoni però può a sua volta materializzarsi dando vita ad ulteriori particelle fondamentali; ed è per questo che negli acceleratori si fanno scontrare fasci di particelle e di antiparticelle, nella speranza di produrre nuovi e sconosciuti componenti fondamentali della materia.

Per creare una coppia formata da un protone e dalla sua antiparticella, invece, sarebbero necessari due fotoni con un'energia di ben 938 MeV ciascuno; l'energia totale richiesta sfiora dunque i 2 GeV, giacché il protone ha una massa 1900 volte maggiore di quella dell'elettrone; produrre questa coppia quindi richiede un'energia enorme, e tale risultato fu ottenuto molto più tardi del positrone. A riuscire nell'impresa nel 1955 furono Emilio Segrè (1905-1989) e Owen Chamberlain (1920-2006), che utilizzarono il Bevatron, un acceleratore appena costruito al Lawrence Berkeley National Laboratory, in grado di produrre un fascio di protoni con l'energia di 6,5 GeV, inviato contro un bersaglio di rame. Essi ottennero l'immagine composita che vedete rappresentata qui sotto, in cui si vedono le tracce lasciate dalle particelle in un'emulsione fotografica. La particella proveniente da sinistra si annichilava incontrando un protone, e quindi non poteva essere che la sua antiparticella. Era stato scoperto l'antiprotone, e per questa scoperta nel 1959 Segrè e Chamberlain vinsero il Premio Nobel.

Sempre usando il Bevatron, nel 1956 Bruce Cork (1916-1994) scoprì l'antineutrone, l'antiparticella del neutrone. A questo punto voi mi direte: ma l'antiparticella è in tutto identica alla particella corrispondente, tranne che nel segno della sua carica. E il neutrone non ha carica. In realtà però particella e antiparticella differiscono anche per il segno del momento magnetico, e neutrone e antineutrone differiscono appunto per questa caratteristica. Per questo un neutrone e un antineutrone si annichilano tra di loro esattamente come un protone e un antiprotone. Esistono particelle con spin semintero che coincidono con la propria antiparticella? Se esistono, tali corpuscoli prendono il nome di fermioni di Majorana, in onore del fisico Ettore Majorana (1906-?) che la postulò nel 1937. A tutt'oggi non sono mai stati osservate sperimentalmente particelle di questo tipo, anche se qualcuno suggerisce che il neutrino (di cui parleremo tra poco) potrebbe esserlo. Se fosse così, sarebbe possibile osservare un tipo di decadimento molto raro, il doppio decadimento beta senza neutrini, la cui ricerca è attualmente in corso. Nel 1965 al CERN una nostra vecchia conoscenza, Antonino Zichichi (1929-), produsse anche l'antideutone, formato da un antiprotone ed un antineutrone

E così, la scoperta delle antiparticelle portò a raddoppiare il numero dei corpuscoli subatomici conosciuti; ma era solo l'inizio. Infatti, come abbiamo detto in un'altra lezione, Enrico Fermi interpretò il decadimento beta meno attraverso la trasformazione di un neutrone in un protone più un elettrone. Tuttavia ci si accorse ben presto che l'energia associata ai prodotti di reazione è sensibilmente inferiore a quella che ci si sarebbe aspettata in base al calcolo del difetto di massa. Inoltre, nelle reazioni nucleari lo spin complessivo dei reagenti deve essere uguale a quello complessivo dei prodotti, come conseguenza della conservazione del momento magnetico. Ora, un nucleo con un numero pari di nucleoni ha complessivamente uno spin intero o nullo, perchè sia il protone che il neutrone hanno spin ± 1 / 2, e la somma algebrica degli spin di un numero pari di tali particelle può dare solo zero oppure un numero intero. Ma noi sappiamo che un decadimento beta lascia inalterato il numero di massa A, per cui anche lo spin del nucleo risultante deve restare inalterato. Tuttavia anche l'elettrone (e il positrone) hanno spin ± 1 / 2; ne consegue che lo spin finale non può più essere intero! Lo stesso ragionamento vale se A è dispari. Conclusione: il decadimento beta viola la conservazione dello spin. E non è tutto. Già nel 1914 James Chadwick, futuro scopritore del neutrone, si era accorto che l'energia dei raggi beta emessa dai nuclei radioattivi non aveva un valore costante, ma variava con continuità all'interno di un certo intervallo di valori, arrivando ad un certo punto ad essere nulla. Ciò può accadere solo se viene emessa un'ulteriore particella la cui energia va da zero fino ad un massimo, che può essere ottenuta a discapito degli elettroni beta, rendendo la sua energia variabile.

Per risolvere queste difficoltà, nel 1931 il fisico Wolfgang Pauli (1900-1958) propose l'esistenza di una nuova particella subatomica, priva sia di carica che di massa (o perlomeno con massa estremamente piccola) e con spin 1 / 2. Naturalmente l'assenza di massa e di carica avrebbe spiegato perchè i rivelatori a disposizione degli scienziati non riuscivano a rivelarla. Il famoso Niels Bohr (1885-1962) era scettico circa l'esistenza di fantomatiche particelle che sembravano "create ad hoc" per risolvere i problemi dei fisici nucleari, e proponeva in alternativa che il decadimento beta potesse eccezionalmente violare la conservazione dell'energia e del momento di spin; invece Fermi era dalla parte di Pauli e lo incoraggiò a pubblicare la sua teoria. Nel 1932 Edoardo Amaldi (1908-1989) nel corso di un colloquio con Enrico Fermi la battezzò scherzosamente neutrino, nome poi diventato ufficiale nella letteratura scientifica. Il simbolo ufficialmente adottato per il neutrino è ν. L'esistenza di tale particella venne dimostrata sperimentalmente solo nel 1956 dagli americani Clyde Cowan (1919-1974) e Frederick Reines (1918-1998) nel corso di un esperimento eseguito al reattore a fissione di Savannah River (Sud Carolina), esperimento che era stato battezzato in codice "Progetto Poltergeist". Questo termine (in tedesco "spirito fracassone") è infatti utilizzato dagli spiritisti per indicare strani fenomeni in cui gli oggetti in casa si sposterebbero da soli, come mossi da mani invisibili; nonostante molti giurino di aver assistito a tali fenomeni in tutto il mondo, nessuno è mai riuscito a trovare le prove scientifiche dell'esistenza di una simile entità (derisa dagli scienziati accademici), e per questo "Poltergeist" sembrava il nome più adatto per un programma di ricerca di quella che oggi sappiamo essere una delle particelle più elusive dell'universo, anche se oggi dell'esistenza del neutrino è stata dimostrata, a differenza dello spiritello burlone.

Occorre però precisare che il decadimento beta meno non produce un neutrino, bensì un antineutrino, indicato con ν (le antiparticelle possono essere indicate con un soprassegno sulla particella corrispondente). Infatti, il neutrone decade secondo questo schema:

n → p+ + e + ν

Nelle reazioni nucleari deve conservarsi infatti sia il numero dei barioni (le particelle come il protone e il neutrone) sia il numero dei leptoni (le particelle come l'elettrone e il neutrino). A sinistra c'è un neutrone e a destra un protone, per cui il numero dei barioni resta inalterato. Invece a sinistra non c'è alcun leptone, per cui a destra non possono comparirne due: devono esserci un leptone e un antileptone, in modo che il numero complessivo resti pari a zero. Analogamente, il decadimento beta più si basa su questa reazione:

p+ → n + e+ + ν

In questo caso a secondo membro compare un neutrino, essendoci già un antileptone, il positrone.

Oltre alla teoria della forza nucleare debole, necessaria per interpretare il decadimento beta, Fermi è autore anche della teoria della forza nucleare forte. Infatti egli, tanto geniale quanto teorico che come sperimentatore, suggerì che ciò che teneva uniti i protoni e i neutroni dentro il nucleo atomico fosse una forza di scambio, cioè che essi restassero uniti continuando a scambiarsi una particella. Fermi pensò che tale particella fosse l'elettrone, e suppose che protone e neutrone rappresentassero in realtà la stessa particella in due diversi stati quantici, in modo che la transizione tra di essi avvenisse proprio attraverso l'emissione o l'assorbimento di un elettrone. Tuttavia il fisico giapponese Hideki Yukawa (1907-1981) stimò la massa che avrebbe dovuto avere la particella scambiata tra i nucleoni, usando il seguente metodo. Se il tempo di mediazione è finito si sa che, per il principio di indeterminazione, non è possibile misurare l'energia e il tempo con una precisione migliore di quella espressa dalla formula:

Possiamo stimare ΔE e Δt in questo modo:

dove R è il raggio d'azione della forza nucleare forte. Sostituendole nella precedente otteniamo:

Considerando un valore di R pari a circa 1,5 Fermi = 1,5 x 10–15 m, Yukawa trovò un valore di 2,3 x 1028 kg, cioè di 132 MeV/c2, 260 volte superiore alla massa dell'elettrone! Dunque l'elettrone non poteva coincidere con la particella di Yukawa. Avendo una massa intermedia tra quella dei barioni (dal greco "βαρύς", "pesante") come il protone e quella dei leptoni (dal greco "λεπτός", "leggero") come l'elettrone, la chiamò mesotrone. Werner Heisenberg, il cui padre era stato professore di greco all'Università di Monaco, suggerì il nome mesone, più corretto (Yukawa non conosceva il greco), e questo nome fu accettato da tutti fin da subito.

Francobollo giapponese che raffigura Hideki Yukawa

Francobollo giapponese che raffigura Hideki Yukawa

Nel 1936 Carl Anderson (già scopritore del positrone) e il suo studente Seth Neddermeyer (1907-1988). studiando i raggi cosmici, scoprirono che, nell'attraversare un campo magnetico, alcune particelle deviavano la propria traiettoria in maniera diversa dagli elettroni e da altre particelle note; in particolare, venivano deflesse con una curvatura minore rispetto agli elettroni, ma maggiore rispetto ai protoni: era evidente che esse avevano una massa intermedia tra quella del protone e quella dell'elettrone. La carica di queste nuove particelle invece risultava identica a quella dell'elettrone. Anderson e Neddermeyer supposero che tale particella fosse proprio quella ipotizzata da Yukawa, e per caratterizzarla la chiamarono mesone mu o muone, perchè la lettera greca mu (μ) equivaleva alla m latina, iniziale di "mesone". La sua antiparticella è l'antimuone (μ+). Il muone ha una massa di 105, 7 MeV/c2, pari a 207 volte quella dell'elettrone, una vita media di 2,2 microsecondi (2,2 x 10–6 s) e spin 1 / 2.

I muoni possono formare i cosiddetti atomi muonici, osservati per la prima volta nel 1952, in cui un elettrone è sostituito da un muone. Per produrli si bombarda la materia con protoni molto energetici (almeno 440 MeV); prima di decadere, i muoni possono essere catturati in orbite atomiche esterne, al posto degli elettroni. Poiché i muoni si comportano come elettroni pesanti, è possibile ripetere per essi i calcoli relativi al modello di Bohr, dai quali si deduce che il raggio delle orbite muoniche è più piccolo del raggio delle corrispondenti orbite elettroniche di un fattore 207 (perchè il muone è 207 volte più pesante dell'elettrone). Il muone è quindi molto più vicino al nucleo di quanto non sia l'elettrone, e gli atomi muonici sono estremamente piccoli, addirittura poco più grandi di un nucleo. I muoni restano più a lungo nelle immediate vicinanze del nucleo, e questa grande vicinanza tra la particella e la carica nucleare implica energie di legame e di eccitazione molto elevate. Come ci ha insegnato Niels Bohr, nell'effettuare transizioni verso orbite più interne, i muoni emettono radiazioni di frequenza corrispondente alla differenza di energia tra le due orbite; a differenza degli atomi ordinari, in cui queste frequenze si trovano nella regione spettrale della luce visibile o degli ultravioletti, per gli atomi muonici tali differenze ricadono nella regione dei raggi X. La presenza di atomi muonici dunque è rivelata da un'emissione di raggi X, la cui intensità si attenua progressivamente, con un tempo di dimezzamento pari a quello del muone. L'interesse per gli atomi muonici è giustificato dal fatto che in essi i muoni si avvicinano al nucleo assai più degli elettroni, il che rende possibile uno studio più approfondito del potenziale nucleare. Inoltre qualcuno spera di poter utilizzare gli atomi muonici per catalizzare la reazione di fusione nucleare.

Esiste anche il muonio (Mu), un atomo esotico composto da un antimuone positivo al posto del nucleo e da un elettrone; esso ha una vita media di 2 µs, durante i quali può formare composti, come il cloruro di muonio (MuCl) e il muoniuro di sodio (NaMu). A causa della differenza tra le masse dell'antimuone e dell'elettrone, il muonio si comporta chimicamente come l'atomo d'idrogeno: il suo raggio di Bohr e la sua energia di ionizzazione differiscono solo per lo 0,5 % da quelle del protio, del deuterio e del tritio, tanto che qualcuno considera il muonio il secondo radioisotopo dell'idrogeno dopo il tritio.

Nel 1962 Leon Max Lederman (1922-), Melvin Schwartz (1932-2006) e Jack Steinberger (1921-) dimostrarono che esistono tipologie diverse di neutrini: quello scoperto da Cowan e Reines nel 1952 era il neutrino elettronico, indicato con il simbolo νe, ma esiste anche un neutrino muonico o neutrino mu, indicato con il simbolo νμ. Per questo Lederman, Schwartz e Steinberger vinsero il Premio Nobel per la Fisica nel 1988. Il terzo tipo di neutrino conosciuto, il neutrino tauonico o neutrino tau (ντ), ipotizzato già negli anni settanta, fu osservato solo nel luglio 2000 grazie all'esperimento DONUT del Fermilab! Ebbene, il muone non decade emettendo un solo neutrino o un solo antineutrino, come fanno gli altri mesoni oggi conosciuti, ma il suo decadimento emette sia un neutrino che un antineutrino:

μ → e + νe + νμ

μ+ → e+ + νe + νμ

Si noti che il numero leptonico è conservato, ed anzi si conserva persino il numero dei leptoni-e e dei leptoni-μ a destra e a sinistra! Oggi sappiamo che gli altri mesoni sono degli adroni, cioè particelle composte da quark e soggette alla forza nucleare forte, mentre nel 1945 gli italiani Oreste Piccioni (1915-2002), Ettore Pancini (1915-1981) e Marcello Conversi (1917-1988) dimostrarono che i muoni non avvertono la forza nucleare forte e quindi sono più simili all'elettrone che ai nucleoni. Oggi sappiamo che, a dispetto della sua massa, il muone non è un mesone; come l'elettrone, appartiene invece alla famiglia dei leptoni. Dunque esso non era la particella richiesta per mediare l'interazione forte. Inoltre, secondo i calcoli di Yukawa doveva esistere anche una versione neutra della particella, per spiegare l'interazione fra protone e neutrone. E siccome non è mai stato trovato un muone senza carica, era necessario cercare altrove.

Nel 1947 l'inglese Cecil Frank Powell (1903-1969), il brasiliano Cesare Mansueto Giulio Lattes (1924-2005) e l'italiano Giuseppe Occhialini (1907-1993) scoprirono nei raggi cosmici un'altra particella che battezzarono mesone π o pione. Di esso esistono tre varianti: π+, π e, appunto, π0 di carica nulla. I mesoni π±, l'uno l'antiparticella dell'altro, hanno una massa di 139,6 MeV/c2, vicinissima al valore previsto da Yukawa, e una vita media di 2,6 × 10−8 s; invece il π0 ha una massa di 135 MeV/c2 e una vita media di appena 8,4 × 10−17 s. I mesoni π hanno spin nullo, come tutti i mesoni, e il π0 è antiparticella di se stesso. I π± decadono secondo questo schema, che è tipico degli adroni:

π+μ+ + νμ

πμ + νμ

Si noti che si conserva sia il numero barionico B (zero barioni a sinistra, zero a destra), sia il numero leptonico mu Lμ (zero leptoni mu a sinistra, un leptone mu e un antileptone mu a destra). Invece il π0 decade secondo due possibili schemi:

π0 → 2 γ   , oppure   π0γ + e+ + e

I pioni si formano nell'alta atmosfera per interazione tra i raggi cosmici e gli atomi dell'aria:

p+ + p+2H + π+

I π+ e i π possono combinarsi per formare un atomo esotico chiamato pionio, che ha una vita media di circa 3 × 10−15 s. Risultò che i mesoni π± erano proprio i mesoni previsti da Yukawa, che ottenne il Premio Nobel per la Fisica nel 1949.

Produzione di un kaone neutro e di un barione lambda in camera a bolle

Produzione di un kaone neutro e di un barione Λ in camera a bolle (da questo sito)

Ma non basta. Nel 1947, a Manchester, George Rochester (1908-2001) e Clifford Charles Butler (1922-1999) studiarono un grande numero di fotografie in camera a nebbia di particelle facente parte di sciami penetranti di raggi cosmici, e vi scoprirono le tracce dovute ai prodotti della disintegrazione di una particella neutra di massa pari a circa 1000 masse elettroniche, diversa da quella di tutte le particelle fino ad allora conosciute. Nel 1949, usando la tecnica dell'emulsione fotografica, Cecil Frank Powell ed i suoi collaboratori ottennero la fotografia di una particella di un raggio cosmico e la battezzarono mesone K o kaone, che può disintegrarsi in tre mesoni:

K+π+ + π+ + π

Anch'essa esiste in più stati possibili: K+ e K hanno una massa di 493,7 MeV/c2 e una vita media di 1,24 × 10−8 s; K0 ha una massa di 497,7 MeV/c2 ed è il risultato della sovrapposizione quantistica di due particelle, una di vita media più lunga pari a 5,1 × 10−8 s ed una a vita più breve di 8,9 × 10−11 s, con modalità di decadimento tra loro diverse. Un comportamento di per sé già abbastanza insolito.

Fino ai primi anni Cinquanta del ventesimo secolo, l'unica sorgente disponibile di nuove particelle era rappresentata dai raggi cosmici, ma la frequenza con cui si incontrano particelle cosmiche di elevata energia in strumenti di dimensioni normali è molto piccola. Fortunatamente, grazie al rapido sviluppo della tecnologia per costruire acceleratori di particelle ad alta energia, diventò possibile accelerare particelle fino all'energia di 1 GeV (pochissimo rispetto all'odierno LHC, ma per allora un traguardo incredibile). Quando nel 1953 la prima di tali macchine, chiamata cosmotrone, cominciò a funzionare al Brookhaven National Laboratory di Long Island (New York), diventò possibile produrre kaoni a comando in laboratorio. Ci si rese conto che la disintegrazione dei mesoni K mostrava uno strano comportamento: essi avevano grandi sezioni d'urto di produzione, le quali suggerivano che il processo fosse governato dall'interazione forte, ma relativamente lunghi tempi di decadimento, tipici invece dell'interazione debole. Ad esempio, per un'altra particella scoperta nei raggi cosmici nel 1947 da Rochester e Butler, il barione lambda o Λ, la vita media calcolata usando gli strumenti della Meccanica Quantistica era di appena 10−22 s, mentre quella misurata sperimentalmente risultò di 2,6 x 10−10 s: ben mille miliardi di volte più lunga! Poiché tale comportamento giungeva inatteso, a queste particelle si diede il nome collettivo di particelle strane. Oggi sappiamo che sono caratterizzate da una grandezza detta carica di stranezza; il numero quantico di stranezza che la quantizza è indicato con S, il kaone ha S = + 1 e il barione lambda S = − 1. Se S è diverso da zero, tra i costituenti di quella particella vi è il quark strange, che non entra a far parte né dei nucleoni né dei pioni. Dal 1947 al 1953, poi, la lista delle particelle strane si ampliò con la scoperta dei cosiddetti iperoni, barioni di massa maggiore dei nucleoni: le particelle sigma (Σ), delta (Δ±), csi (Ξ±), omega (Ω), che manifestano tutte la stessa anomalia: prodotti da interazioni di tipo forte, decadono su tempi tipici dell'interazione debole.

L'ingresso del Brookhaven National Laboratory a Long Island (New York)

Avete ormai compreso come, mediante gli acceleratori di particelle, il numero di particelle fondamentali conosciute, e per di più con proprietà davvero inaspettate, all'inizio degli anni sessanta si era moltiplicato a dismisura, tanto da far parlare di "zoo" delle particelle; tutto ciò fece crollare il sogno di poter costruire tutto l'universo creato con soli quattro corpuscoli, corrispondenti ai quattro elementi di Aristotele. Si tentò allora di trovare un ordine in questa variegata fauna di particelle, classificandole in gruppi, esattamente come gli elementi chimici furono raggruppati in gruppi e periodi della Tavola Periodica. La più semplice classificazione fu fatta usandone la massa, come abbiamo già accennato in quel che precede. Le particelle vennero cioè divise in barioni (le particelle più pesanti, come protone e neutrone, e poi gli iperoni), mesoni (particelle di massa intermedia, come muoni, pioni e kaoni) e leptoni (le particelle più leggere, come elettrone e neutrino). Il termine "barione lo dobbiamo allo svizzero Ernst Stueckelberg (1905-1948) che lo ideò nel 1938; il termine "mesone" fu introdotto, come si è detto, nel 1935 da Hideki Yukawa e da Werner Heisenberg; mentre il termine "leptone" fu usato per la prima volta nel 1948 dal belga Léon Rosenfeld (1904-1974). Come abbiamo già fatto notare, però, tale suddivisione risultò artificiosa e inadeguata, giacché ad esempio il muone ha la massa tipica dei mesoni ma si comporta come un leptone; oggi è tuttora usata, ma con un altro significato. Come vedremo, i barioni sono le particelle formate da tre quark, i mesoni quelle formate da una coppia quark-antiquark, i barioni e i mesoni insieme costituiscono gli adroni che risentono della forza nucleare forte, mentre i leptoni sono particelle senza costituenti conosciuti che risentono della forza nucleare debole. I barioni sono dotati di numero barionico B = + 1, i mesoni e i leptoni di numero barionico B = 0, gli antibarioni di numero barionico B = − 1.

Un'altra importantissima suddivisione tra le particelle è quella in base allo spin. Le particelle con spin semintero (1/2, 3/2, 5/2...) obbediscono alla cosiddetta Statistica di Fermi-Dirac, dai nomi dei suoi autori che la introdussero nel 1926, e sono dette fermioni. Essi obbediscono al principio di esclusione di Pauli (non ne esistono due distinti caratterizzati dagli stessi numeri quantici) e possiedono sempre una massa. Sono fermioni il protone, il neutrone, l'elettrone, il muone; in pratica, tutta la materia conosciuta è costituita da fermioni, che sono responsabili, direttamente o attraverso la loro forza attrattiva, di tutta la massa rilevabile in natura. Invece le particelle con spin intero (0, 1, 2,...) obbediscono alla Statistica di Bose-Einstein, introdotta nel 1925 dall'indiano Satyendra Nath Bose (1894-1974) e da Albert Einstein, sono dette bosoni. A differenza dei fermioni non obbediscono al principio di esclusione di Pauli e sono liberi di affollare in gran numero uno stesso stato quantico; essendo i fotoni dei bosoni, è questo il principio che permette di costruire il laser. Vedremo che tutte le particelle mediatrici delle forze fondamentali sono bosoni, detti bosoni di gauge, ma anche tutte le particelle composte che contengono un numero pari di fermioni sono bosoni.

Esiste però una terza importante grandezza, oltre alla massa e allo spin, in base alla quale le particelle vengono classificate: sto parlando dell'isospin. Nel 1932 Werner Heisenberg introdusse il concetto di isospin per spiegare la simmetria fra il protone e il neutrone, che era stato scoperto da poco tempo; tale concetto costituì una base fondamentale per gli sviluppi teorici successivi. Il nome "isospin" (contrazione di "isotopic spin") venne introdotto nel 1937 da Eugene Wigner (1902-1995). Il numero quantico di isospin, indicato con la scrittura I3, rappresenta un vettore adimensionale con una propria legge di conservazione (o simmetria) che si esplica nelle reazioni tra nucleoni in cui interviene la forza forte. L'idea di Heisenberg era che il protone e il neutrone fossero due stati quantici diversi della stessa particella, il nucleone, analoghi agli stati up e down di una particella con spin 1/2. Il protone insomma sarebbe stato il nucleone con isospin up ( I3 = + 1/2 ) e il neutrone quello con isospin down ( I3 = − 1/2 ). In realtà, anche se si trascura la loro carica, protone e neutrone non sono completamente simmetrici, il neutrone è leggermente più pesante, e quindi l'isospin non è una simmetria perfetta della forza nucleare forte; tuttavia, Heisenberg ci aveva visto giusto anche stavolta. Oggi sappiamo che, nel Modello Standard, l'invarianza dell'isospin nell'interazione forte è un risultato del fatto che le particelle differiscono solo per la sostituzione di un quark up con un quark down, e l'invarianza dell'isospin è una conseguenza dell'invarianza del cosiddetto "sapore" delle interazioni forti. L'invarianza dell'isospin è assente nelle interazioni deboli e in quelle elettromagnetiche, poiché queste dipendono dal sapore dei quark. Anche l'isospin, come lo spin e gli altri numeri quantici, deve rispettare il Principio di Esclusione di Pauli.

Riassumiamo ora i principali dati sui barioni e sui mesoni di cui abbiamo parlato in questa tabella. I barioni sono indicati in blu, i mesoni in verde e le masse sono misurate in MeV/c2. Ricordiamo che il neutrone è stabile finché è confinato nel nucleo, ma decade con un'emivita di 881,5 secondi (cioè 14 minuti e 41,5 secondi), una volta estratto dal nucleo.

Nome

Massa

Q B I3 S vita media
protone 938,27 + 1 + 1 + 1 / 2 0 stabile
neutrone 939,56 0 + 1 − 1 0 14,8 minuti
antiprotone 938,27 − 1 − 1 1 / 2 0 stabile
lambda 1115,68 0 + 1 0 − 1 2,6 x 10−10 s
sigma più 1189,37  + 1 + 1 + 1 − 1 8,0 x 10−11 s
delta più 1232 + 1 + 1 + 3 / 2 0 5,6 x 10−24 s
csi meno 1321,71 − 1 + 1 + 1 / 2 − 2 1,6 x 10−10 s
omega ch. 2695,2 0 + 1 0 − 2 6,9 x 1014 s
pione più 139,57 + 1 0 + 1 0 2,6 × 10−8 s
pione zero 134,98 0 0 + 1 0 8,4 × 10−17 s
kaone più 493,68 + 1 0 + 1 / 2 + 1 1,2 × 10−8 s
ro più 775,11 + 1 0 + 1 0 4,4 × 10−24 s
Iota/psi 3096,9 0 0 0 0 7,2 × 10−21 s

Osserviamo che la carica Q, l'isospin I3, il numero barionico B e la stranezza S dei barioni e dei quark sono legate tra di loro dalla cosiddetta legge di Gell Mann-Nishijima, ideata indipendentemente tra di loro da Murray Gell-Mann (1929-2019) e Kazuhiko Nishijima (1926-2009):

Esempio 1: Il protone ha Q = + 1, I3 = + 1 / 2, B = + 1 e S = 0. Infatti Q = + 1 / 2 + 1 / 2 ( + 1 + 0 ) = + 1

Esempio 2: Il neutrone ha Q = 0, I3 = − 1 / 2, B = + 1 e S = 0. Infatti Q = − 1 / 2 + 1 / 2 ( + 1 + 0 ) = 0

Esempio 3: Il barione Λ ha Q = 0, I3 = 0, B = + 1 e S = − 1. Infatti Q = 0 + 1 / 2 ( + 1 − 1 ) = 0

Esempio 4: Il barione Σ ha Q = + 1, I3 = + 1, B = + 1 e S = − 1. Infatti Q = + 1 + 1 / 2 ( + 1 − 1 ) = + 1

Esempio 5: Il barione Δ+ ha Q = + 1, I3 = + 3 / 2, B = − 1 e S = 0. Infatti Q = + 3 / 2 + 1 / 2 ( − 1 + 0 ) = + 1

Esempio 6: Il mesone π+ ha Q = + 1, I3 = + 1, B = 0 e S = 0. Infatti Q = + 1 + 1 / 2 ( 0 + 0 ) = + 1

Esempio 7: Il mesone K+ ha Q = + 1, I3 = + 1 / 2, B = 0 e S = + 1. Infatti Q = + 1 / 2 + 1 / 2 ( + 1 + 0 ) = + 1

Provate voi a verificare la legge di Gell Mann-Nishijima per le altre particelle elencate nella tabella soprastante.

Bisogna aggiungere che esiste tutta una classe di particelle chiamate risonanze, dalla vita media estremamente breve, dell'ordine di 10−24 s. Sono state messe in luce a partire dagli anni sessanta del Novecento, e possono essere prodotte nelle reazioni ad alta energia; a causa della brevissima vita media, percorrono brevissime distanze tra la produzione e la disintegrazione, non possono essere studiate direttamente, ma le loro proprietà vengono ricavate dall'analisi dei prodotti di decadimento. Oggi sappiamo che si tratta di sistemi composti da una particella e dalla sua antiparticella, che vivono insieme per brevissimo tempo in una sorta di stato eccitato.

La prova della produzione di J/Ψ al Fermilab

La prova della produzione di J/Ψ al Fermilab

Un caso particolare è rappresentato dal mesone J/ψ, che fu scoperto indipendentemente da due gruppi di ricerca, uno allo Stanford Linear Accelerator Center, capeggiato da Burton Richter (1931-), e uno al Brookhaven National Laboratory, condotto da Samuel Ting (1936-). Entrambi i gruppi annunciarono le loro scoperte l'11 novembre 1974. Dopo essersi consultato con Leonidas Resvanis (1944-), greco di nascita, per decidere quale lettera greca fosse ancora disponibile, Richter scelse la lettera Psi per analogia con SPEAR, il nome dell'acceleratore dello SLAC. Ting invece assegnò alla particella il nome J, la lettera precedente a K, nome del già noto mesone K o kaone; inoltre il carattere cinese con cui si scrive il nome "Ting" è molto simile a una J. J era anche l'iniziale del nome della prima figlia di Ting, Jeanne. Per questo la particella di cui stiamo parlando ebbe entrambi i nomi, J/ψ, ed è l'unica particella elementare ad avere un nome con due lettere. Il primo stato eccitato della J/ψ venne chiamato ψ'. Questo mesone ha una vita media di 7,2 × 10−21 s, mille volte più lunga delle aspettative sulla base della Meccanica Quantistica, poiché i principali decadimenti di questa particella risultano proibiti dalla sua stessa natura. L'importanza di questa scoperta è evidenziata dal fatto che la successiva serie di rapidi cambiamenti nella fisica delle particelle del tempo divenne nota come la "rivoluzione di novembre". A quel tempo infatti erano noti solo tre quark: up, down e strange, e quattro leptoni (elettrone, muone e i rispettivi neutrini). Oggi invece sappiamo che J/ψ è costituito da un quark charm e da un antiquark charm, uno stato legato chiamato charmonio. Ciò permise di scoprire il quarto quark, e questo spianò la strada anche alla scoperta dei quark bottom e top. Fu così chiaro che i costituenti della natura sono dodici, sei quark e sei leptoni: è quello che oggi chiamiamo Modello Standard. In conseguenza di tutto ciò, Burton Richter e Samuel Ting vennero premiati con il Premio Nobel per la fisica nel 1976.