LABORATORIO DI BOTANICA: IL MISTERO DELLA VITA  

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Con questa fotografia comincia un'ampia galleria di immagini dedicate all'universo della vita sulla Terra in tutte le sue forme. Questa foto digitale del fondale marino ripreso al largo di Capo Palinuro è stata scattata dal mio brillante ex allievo Giuseppe Vasile (IV D a.s. 2003/04), esperto subacqueo, ed in essa si vedono rappresentanti di tutti e tre quelli che un tempo venivano chiamati i "regni della natura": minerale (le rocce), vegetale (le alghe), animale (i coralli). Sono convinto che in questa galleria di fotografie ci faccia un figurone: complimenti al fotografo!
"La vita attecchisce dovunque", è uno dei più diffusi luoghi comuni della biologia. Ed in effetti non c'è ambiente terrestre (in termine tecnico bioma) che gli esseri viventi non abbiano colonizzato, inclusi i più ostili come l'Antartide, i deserti più aridi, gli abissi oceanici, le sorgenti caldissime, le grotte più oscure. Per dimostrare questo assunto, basta osservare la foto accanto in cui una piccola felce emerge dagli interstizi di una grata non più larghi di un centimetro!
La foto in esame mostra un pezzo di carne (segnatamente una testa di coniglio) ricoperta da numerose mosche. Cosa ci fa qui? Semplicemente ci ricorda la teoria, assai in voga ancora nell'età moderna, secondo cui le mosche potevano essere generate spontaneamente dalla carne in putrefazione (generazione spontanea). Questa bislacca ipotesi fu dimostrata falsa prima da Lazzaro Spallanzani (1729-1799), e poi definitivamente da Louis Pasteur (1822-1895): la vita può derivare solo dalla vita!
Come poteva aprirsi questo Armadio Virtuale, senza un riferimento al mattone fondamentale della vita, il DNA? In figura potete vedere l'enorme modello di acido desossiribonucleico realizzato dagli studenti del mio Liceo per una mostra in onore del secondo centenario della nascita di Charles Darwin, tenutasi dal 14 al 27  marzo 2010. Per quanto molto semplificato, il modellino mostra chiaramente la principale proprietà del DNA: la sua molecola ha la forma di una doppia elica, come determinarono per primi gli scienziati Francis Crick (1916-2004) e James Watson (1928-vivente).
Accanto al gigantesco modello qui sopra visibile sono stati disposti altri modellini di acido desossiribonucleico (DNA) in scala assai più ridotta. Si tratta di un polimero organico costituito da monomeri chiamati nucleotidi. Le quattro basi azotate che possono essere utilizzate nella formazione dei nucleotidi sono adenina, guanina, citosina e timina, realizzate con colori diversi in questo modellino realizzato da Giovanna Mastroianni (3 H a.s. 2009/10). La disposizione in sequenza di queste quattro basi codifica l'informazione genetica, che ne permette la traduzione in amminoacidi (la sintesi proteica). Negli eucarioti il DNA si trova all'interno del nucleo, in strutture chiamate cromosomi.
Un altro modellino di DNA, alto quasi tre metri, sempre realizzato nell'ambito della suddetta mostra dedicata a Charles Darwin, e tenutasi nel mio Liceo in occasione della Settimana della Scienza 2010. Questo modellino ha il pregio di mettere in evidenza le quattro basi azotate (adenina, citosina, guanina e timina) sotto forma di pezzi ad incastro di dimensioni e colori differenti, in modo da mostrare visivamente l'alto numero di combinazioni diverse cui esse possono dare luogo!
Questa foto, che ricorda da vicino una cucina in disordine, ritrae in realtà tutto il materiale necessario per realizzare la fondamentale esperienza dell'estrazione di DNA dalla frutta; si riconoscono il frullatore, necessario a ridurla in poltiglia, una bottiglia di alcool etilico ed una di detersivo liquido, del sale da cucina; oltre ovviamente alla frutta fresca.
Quest'esperienza è stata eseguita con i suoi studenti dal professor Carlo Puglisi, che ha validamente contribuito alla costruzione di questo laboratorio virtuale. Secondo le sue istruzioni, per estrarre il DNA (acido desossiribonucleico) occorre demolire le membrane cellulari e quelle del nucleo, che sono costituite da fosfolipidi, molecole ricche di grassi. A questo scopo basterà sciogliere tali membrane usando una soluzione di acqua distillata, detersivo liquido e del sale (quest'ultimo serve per facilitare l'eliminazione delle proteine, dette istoni, su cui è avvolto il DNA): è la cosiddetta "soluzione di estrazione". Intanto si frulla la polpa della frutta (pomodoro, arancia, limone, banana, kaki, kiwi e chi più ne ha più ne metta) fino a ridurla ad una poltiglia.

La poltiglia così ottenuta deve essere portata a 60°C per 15 minuti per disattivare l'enzima Dnasi che potrebbe degradare il DNA; si versa la soluzione di estrazione nella poltiglia, la si scalda, poi la si raffredda con cubetti di ghiaccio ed infine si procede alla filtrazione. In tal modo si può raccogliere un liquido ricco di DNA, separandolo dai residui cellulari e dagli altri tessuti che vanno scartati; tale soluzione è visibile sia nella foto precedente che nella parte destra di quella a fianco; i diversi colori indicano l'origine da diversi tipi di frutta! Nella parte sinistra si vede invece il grumo di DNA estratto dalla provetta dal professor Puglisi. Ma come demolire gli istoni per liberare il DNA?

Per ottenere questo scopo si possono usare enzimi proteolitici, oppure semplice succo di ananas, il quale contiene la bromelina, una sostanza capace di demolire le proteine negli amminoacidi, Il DNA è molto solubile in acqua, dove diviene invisibile, mentre è invece insolubile in alcool, nel quale precipita e si rende visibile. Conviene dunque versare lentamente nella provetta dell'alcool raffreddato; il DNA diventa visibile ed appare come un precipitato lattiginoso, così come mostra questa foto che presenta esattamente l'estrazione deil DNA da un kiwi. A questo punto si può procedere all'osservazione al microscopio, ed è di questo che ora parleremo.

Questa strana fotografia non presenta un insolito paesaggio spaziale ma, nella sua parte superiore, una superficie di legno di sughero a circa due ingrandimenti. La presenza di questa immagine a questo punto dell'Armadio Virtuale si spiega perchè fu proprio osservando un pezzo di sughero attraverso il microscopio da lui stesso inventato che, nel 1665, l'inglese Robert Hooke (1635-1703) scoprì le cellule. In realtà Hooke non vide le cellule del sughero, ormai morte, ma le cavità da esse lasciate, simili appunto a delle piccole celle, da cui il nome. Sotto si vedono queste cellette a 200 (a sinistra) e a 400 ingrandimenti (a destra)!
Ed ecco dieci vetrini, supporti mediante i quali è possibile eseguire osservazioni biologiche al microscopio. Si tratta (come dice il nome) di semplici lastrine di vetro di circa 5 cm di lunghezza, sui quali è posto l'oggetto da osservare, opportunamente preparato (deve essere ridotto ad una lamina sottile altrimenti l'osservazione è impossibile). Ad esso è sovrapposto una lastrina più piccola di circa 1 x 1 cm, fatta aderire mediante della colla opportuna (in questa immagine la colla è ingiallita perchè si tratta di vetrini preparati negli anni settanta). Basta porli sotto l'obiettivo del microscopio, ed osservare!
Quest'altra foto illustra il materiale necessario per la preparazione di un vetrino. Il bisturi a sinistra serve per eseguire sezioni del preparato da osservare, e accanto ad esso c'è il cosiddetto vetrino portaoggetto sul quale il preparato verrà posto, protetto da un vetrino coprioggetto. La boccetta a destra contiene l'adesivo per farli aderire. In primo piano c'è un vetrino pronto.
Naturalmente, dopo i vetrini non può mancare il microscopio con cui osservarli. Il microscopio è uno strumento ottico del quale abbiamo già parlato nell'Armadio Virtuale dedicato alle onde; qui basterà aggiungere che per il nostro scopo è sufficiente inserire il vetrino sotto i rebbi e quindi mettere a fuoco l'immagine, agendo sulle opportune rotelle che avvicinano o allontanano l'obiettivo dall'immagine. Le mani che stanno mettendo a fuoco il microscopio sono quella della prof.ssa Enrica Soldavini. Ora siamo pronti per esplorare i Regni della Vita, a partire da quelli degli organismi unicellulari.
Un microscopio da laboratorio, assai più perfezionato del precedente, è raffigurato in questa immagine: si tratta di un microscopio binoculare perchè ha due oculari a cui appoggiare entrambi gli occhi per una visione stereoscopica migliore. Inoltre ha un numero maggiore di ingrandimenti (fino a 1000 x), e la sorgente luminosa che illumina il vetrino per permetterne l'osservazione è alimentata non a pile, come nel caso precedente, bensì dalla corrente di rete. Faccio notare come questo microscopio professionale venga messo a fuoco spostando su e giù l'intero blocco obiettivo-oculare mediante una cremagliera, in sostanza lo stesso principio usato nel piccolo microscopio casalingo della figura soprastante.
Ciò che si vede ritratto in questa fotografia è il materiale necessario per osservare, con i microscopi sopra ritratti, il fenomeno della mitosi cellulare. Si tratta di semplici cipolle appoggiate sul bordo di altrettanti becker pieni d'acqua, in modo che sviluppino apici radicali. Essendo tessuti in crescita, questi apici devono contenere un elevato numero di cellule in fase mitotica nello stesso istante. Basta isolare le radichette ed immergerle per 24 ore in un'apposita soluzione fissatrice, ottenuta miscelando una parte di acido acetico e tre di alcool etilico; le si colora quindi con carminio acetico.
Il tutto viene immerso in un bagno termostatico ad 80° C per 5 minuti. Esso fa sì che il colore faccia presa sulle cellule, ma anche che le pareti cellulari si sciolgano, eliminando l'ostacolo principale alla chiara visione delle fasi mitotiche. Quando eseguii personalmente questo esperimento il 1/3/1985, ai tempi del Liceo, preparai un vetrino con gli apici radicali così trattati e lo osservai al microscopio ottico; non ho scattato in quell'occasione alcuna fotografia, ma ne ho ricavato questo disegno a 630 ingrandimenti. Tutte le cellule erano colorate in rosso, ovviamente, ma io ho evidenziato solo quelle in cui era chiaramente in atto il fenomeno della divisione cellulare. Come si vede, tutte le fasi di quest'ultima sono ben rappresentate.
Quest'altro disegno risalente a quell'epoca mostra le fasi suddette: in alto a sinistra la profase in cui la membrana nucleare si dissolve, in basso a sinistra la metafase in cui i cromosomi si allineano sul piano equatoriale fissandosi alle fibre del fuso, in alto a destra l'anafase in cui i cromosomi migrano ai poli opposti della cellula, ed infine in basso a destra la telofase, in cui si forma la piastra di divisione, atta a generare una nuova membrana e a dividere così definitivamente la cellula in due.
Questa foto e le due seguenti mi sono state gentilmente fornite dal prof. Carlo Puglisi e dal tecnico di laboratorio Elio Tagliaferro, cui va il mio più sincero grazie. Le cellule apicali di cipolla di cui si parlava subito sopra sono state fotografate per mezzo di un opportuno software che "cattura" immagini direttamente da microscopio, per mezzo di un'opportuna telecamera ad essa collegata. Si osservano molto bene la membrana cellulare, il citoplasma e il nucleo. Tuttavia...
...tuttavia, i particolari delle cellule appaiono molto più evidenti se si fa ricorso ad un opportuno liquido di contrasto. In questo caso il liquido utilizzato è il cosiddetto reattivo di Lugol, una soluzione acquosa iodo-iodurata che prende il nome dal suo inventore, il chimico francese Jean Guillaume Auguste Lugol (1786-1851). In alternativa si può usare del carminio-cocciniglia. Se volete scaricare tutta una galleria di magnifiche immagini di cellule di cipolla fornitemi dall'amico Elio Tagliaferro, cliccate qui.
Ed ecco un altro esempio di osservazione al microscopio didattico: quella qui fotografata con la stessa tecnica delle precedenti è una cellula della mucosa boccale umana, prelevata in modo molto semplice da uno studente tramite un tampone. Mentre la fotografia precedente è scattata a 400 ingrandimenti, in questo caso si è giunti fino a 1000 ingrandimenti. In essa sono così ben visibili gli organuli, suddivisi in compartimenti e circondati da citoplasma, separati da esso attraverso la membrana plasmatica.
Nell'ambito della Settimana della Scienza dal 14 al 27 marzo 2010, gli studenti della 3 L a.s. 2009/10 del mio Liceo hanno realizzato anche dei fantastico modellino del cariotipo umano, cioè dell'intero corredo cromosomico di un individuo. Si dicono cromosomi (dal reco "chroma", colore, e "soma", corpo) i corpuscoli che in una cellula eucariota portano dentro di sé l'informazione genica, cioè i caratteri ereditari trasmessi ai discendenti. Sono così chiamati perchè solo colorandoli con sostanze apposite (es. cromatina) diventano visibili al microscopio. Nell'uomo si contano 23 coppie di cromosomi, di cui 22 cromosomi omologhi (cioè simili) non sessuali, ed una coppia di cromosomi diversi, i cromosomi sessuali (eterosomi).
Questo fantastico modellino, realizzato sempre a cura di alcuni studenti della 3 L a.s. 2009/10, mostra un tratto di membrana cellulare, la quale costituisce una barriera chimico-fisica agli agenti patogeni e consente la vita di relazione delle cellule vegetali, mediandone le funzioni metaboliche attraverso vari recettori proteici. La membrana, i ribosomi, la molecola di ATP ed il codice genetico si ritrovano uguali in tutte le cellule, e ciò prova che la vita è nata da un unico modello cellulare!.
Ai due principali Regni della Natura (animale e vegetale) il biologo E. K. Haeckel nel 1894 ne aggiunse un terzo, quello dei protisti, dove raccolse le forme di vita inferiori. R. H. Whittaker nel 1969 ne aggiunse altri due: monere (i procarioti, unicellulari con nucleo privo di membrana nucleare) e funghi. Carl Woese nel 1977 abbandonò il regno delle monere, a favore di quello dei Batteri, i cui tipi fondamentali sono illustrati in questo tabellone da laboratorio. Essi si dividono a loro volta in cocchi, bacilli e spirilli a seconda della loro forma. Sono i responsabili della putrefazione e di molte malattie infettive. 
Un classico esempio di batterio è il Bacillus anthracis, tristemente noto perchè provoca la malattia nota come antrace, dei quali tutti abbiamo sentito parlare dopo la tragedia dell'11 settembre 2001, perchè può trasformarsi in una terribile arma batteriologica. Eccolo ripreso dalla telecamera collegata ad un microscopio scolastico. Si noti che i batteri non vivono sempre isolati: come in questo caso possono formare degli aggregati, ma i loro costituenti conservano autonomia propria delle colonie e non danno vita a tessuti.
Che ci crediate o no, questi batteri chiamati Deinococcus radiodurans potrebbero sopravvivere su un altro pianeta: infatti sopravvivono a livelli altissimi di radiazioni, a temperature estreme, persino alla disidratazione e all'esposizione a prodotti altamente tossici. Sorprendentemente, sono perfino in grado di riparare il proprio DNA entro 48 ore! Batteri di questo tipo sono chiamati estremofili, rappresentano una delle più antiche forme di vita sopravvissute fino ad oggi, e secondo alcuni potrebbero aver colonizzato la terra primitiva provenienti dallo spazio (teoria detta della panspermia). Sicuramente uno dei campi di ricerca più affascinanti per la biologia contemporanea.
Con la fotografia a sinistra lasciamo i batteri per passare agli Eucarioti, caratterizzati dal nucleo racchiuso dentro la membrana nucleare. Esso viene da taluni definito un Impero, comprendendo al suo interno almeno altri cinque Regni: Protozoi, Cromisti, Funghi, Vegetali e Animali. Cominciamo con le alghe verdi o Cloroficee. Un tempo catalogate nei Protisti, nel 2004 Thomas Cavalier-Smith ha proposto di creare un nuovo regno in cui includerle, quello dei Cromisti. Si tratta di organismi unicellulari che vivono in colonie e sono caratterizzati dal tipico colore verde, fornito dai cloroplasti ricchi di clorofilla. Le Cloroficee vivono per lo più nelle acque dolci, ma possono essere osservate anche fuori dall'acqua, sui fusti degli alberi nelle zone particolarmente umide, come su questo tronco di prugno dopo una pioggia abbondante.
La foto qui a fianco è cortesemente concessa dal sito Mad Scientist ed illustra una cianoficea (Oscillatoria limosa), chiamata a rappresentare la classe delle alghe azzurre. Esse sono tra gli esseri viventi più semplici, e si suppone che siano state loro, nella notte dei tempi, ad immettere per la prima volta ossigeno nell'atmosfera terrestre grazie alla fotosintesi. Se ne conoscono oltre duemila specie, tutte procariote (cioè senza un vero nucleo) e talora danno vita a colonie numerosissime. Un tempo catalogate nei Protisti, oggi si pensa di includerle nel regno vegetale.
Anche questa foto proviene da Mad Scientist ed illustra una diatomea (Synedra capitata), appartenente all'omonima classe di alghe unicellulari, che costituisce la maggior parte del plancton lacustre e marino. La lunghezza delle diatomee varia dai 3 ai 500 micron mentre lo spessore non supera i 10 micron; hanno tutte una caratteristica membrana cellulare fortemente silicizzata e formata da due valve incastrate tra di loro, come una scatola con coperchio (da cui il loro nome: "tagliate attraverso"). La membrana, detta frustulo, può avere le forme più varie: circolare, ovale, quadrato, eccetera.
Ed eccoci ad un altro Regno, quello dei Funghi o Micofite (dal greco mycos, fungo), un tempo catalogati come vegetali e poi come protisti. Si tratta di organismi eterotrofi, privi cioè di clorofilla, e perciò vivono da parassiti o da saprofiti. Sono costituiti da semplici filamenti di cellule chiamate ife, che costituisce il micelio; da esso, in genere sotterraneo, si sviluppa all'aria aperta un tipico cappello retto da un gambo, che porta le spore. Taluni, come i tartufi, vivono completamente interrati; altri crescono sui ceppi di alberi in decomposizione Alcune specie sono mangerecce, altre invece velenosissime.
Vediamo ora nel dettaglio alcuni modellini in legno di funghi presenti nella bacheca sopra illustrata. Cominciamo con questa Russula emetica, che fa parte della famiglia delle Russulacee, circa 150 specie con il cappello più o meno concavo, lo stipite piuttosto breve e prive della volva (la sottile membrana alla base del gambo che in origine ricopriva tutto il fungo all'inizio del suo sviluppo). Il nome deriva dal gambo rossastro che in genere sbiadisce sotto la pioggia. Alcune specie sono mangerecce, ma per lo più la polpa di questi funghi è moderatamente velenosa (caratteristica comune a tutti i funghi molto colorati).
I lattari o lattaroli sono funghi imparentati con le Russule, così chiamati perchè la loro polpa è ricca di lattice. La famiglia comprende 150 specie circa; in figura si vede un esemplare alquanto velenoso, il Lattario torminoso (Lactarius torminosus); invece il Lactarius deliciosus o Agarico delizioso è un esemplare commestibile e ricercato (facilmente riconoscibile perchè il lattiche che secerne è rosso carminio). Il maggiore della famiglia quanto a dimensioni è Lactarius piperatus o Agarico pepato. totalmente bianco-giallastro, utilizzato polverizzato come condimento nelle regioni dell'Europa orientale.
Imparentato con le Russulacee è il genere Amanita, chiuse ad uovo da giovani, e dotate sia di volva che di anello alla maturità. L'Amanita caesarea è nota come ovolo buono ed è assai ricercata dai buongustai, ma quest'Amanita phalloides, nota anche come Tignosa verdognola, è invece uno tra i funghi più velenosi che si conoscano: un morso è sufficiente per distruggere il fegato, e per sopravvivere non resta che l'immediato trapianto. Si può riconoscere perchè ha lamelle, anello, stipite e volva tipicamente bianchi., mentre la superficie del cappello è bianco-verdastra. Decisamente da evitare.
Altri funghi particolarmente velenosi della stessa famiglia sono la Tignosa dorata (Amanita muscaria), tutta bianca come la phalloides tranne che per il cappello, rosso e picchiettato di macchie bianche, e la Tignosa grigia (Amanita pantherina), pericolosissima. Altri rappresentanti di questo genere sono l'Amanita virosa, che emette un odore assai sgradevole, l'Amanita verna o Tignosa di primavera, completamente bianca e certamente da evitare, ed infine l'Amanita rubens o Tignosa vinata, finalmente non pericolosa. Quando si raccolgono dei funghi, è sempre meglio farli esaminare da un micologo! 
Molto importante, nel regno dei Funghi, è la famiglia delle Tricolomacee, di cui fa parte la nota Famigliola Buona o Chiodino, assai diffuso nel sottobosco alpino, ed apprezzato dai buongustai. Meno importante è invece la famiglia, ad essa imparentata, delle Rodofillacee: sono tutti abbastanza grandi, non vischiosi, privi di anello e di volva, con lamelle rosee o rossastre. Esemplare tipico di questa famiglia è l'Entoloma lividum, un fungo velenoso con cappello ampio e finemente raggiato, dalla sommità pianeggiante, e con un robusto stipite biancastro. Il cappello colorato serve appunto a riconoscerlo come velenoso.
La famiglia delle Boletinali è invece rappresentata molto bene da questo Porcino malefico il cui nome latino è tutto un programma: Boletus satana. Il genere Boletus comprende oltre 200 specie, in parte commestibili (il noto Porcino, cosiddetto perchè i maiali hanno un fiuto particolare per scovarlo) ed in parte estremamente velenose; il Boletus satana però le batte sicuramente tutte. Si distingue dal porcino non a causa di particolari colorazioni, come fanno altri funghi che "avvisano" in tal modo i predatori, ma per il cappello color grigio camoscio e per i pori rossi, più scuri di quelli del Porcino mangereccio.
I Gastromiceti hanno tipicamente i basidi che maturano dentro il corpo fruttifero, il quale presenta un involucro esterno detto peridio. Questi funghi possono però avere forme e caratteristiche molto diverse da un genere all'altro. In questa collezione di modelli fungari a rappresentarli è chiamato questa Calocera viscosa, famiglia delle Dacriomicetali, caratteristica per la forma a clava e per il cappello coperto di verruche: viene infatti talora confuso con i funghi chiamati Clavarie, appartenenti all'ordine delle Imenomicetali e commestibili. Purtroppo invece la Calocera è piuttosto velenosa, e ciò può creare equivoci pericolosi.
Questa foto, speditami dall'amica Giulia Grazi, illustra uno dei più strani funghi che si possono incontrare nei nostri boschi, il raro Clathrus ruber o fungo lanterna (famiglia delle Clatracee), il cui nome deriva dal latino clathrus, "inferriata", per la sua forma. Le sue caratteristiche più evidenti sono la strana forma del corpo fruttifero, simile ad una gabbia a larghe maglie di color rosso sangue che internamente produce le spore, e soprattutto l'odore pestilenziale che esso emana, simile a quello di un cadavere in putrefazione. Eppure pare che nei paesi del Nord Europa lo si mangi, quando è ancora immaturo!
Questo tabellone da laboratorio illustra la muffa bianca (Mucor Mucedo), con la quale entriamo nel territorio delle muffe o Micofite, un tipo di funghi dall'aspetto lanoso e polverulento che cresce su organismi in via di decomposizione (ma anche su agrumi, pane, formaggio, ecc.) Il vello setoloso è dovuto agli sporangi collocati alla sommità delle ife e ben visibili in questo tabellone. Spesso portano malattie, ma alcune sono particolarmente utili. Oltre alla muffa verde tipica del formaggio noto come gorgonzola, basta pensare al Penicillium notatum, scoperto nel 1929, dal quale si estrae la provvidenziale penicillina.
Mi sembra giusto introdurre in questo Armadio Virtuale anche una foto di muffa da me fotografata su di un pezzo di formaggio grana; le macchie di un verde intenso rappresentano gli sporangi di questi funghi microscopici. Per poter coltivare delle muffe in laboratorio naturalmente non si ricorre a formaggio o altro ma a contenitori trasparenti nei quali è stato disposto uno speciale substrato nutriente detto "terreno Sabourod agarizzato", particolarmente adatto alla crescita di tutte le muffe. Fu proprio osservando la muffa che aveva devastato una coltura di batteri, che Alexander Fleming (1881-1955) scoperse la penicillina!
I funghi possono anche causare malattie. La foto mostra la ben nota bolla del pesco, dovuta a Taphrina deformans, un fungo microscopico che perfora con il proprio micelio la cuticola delle giovani foglie e si insinua tra cellula e cellula; sulle foglie compaiono così delle bolle rossastre, con la parte convessa verso l'alto. Le foglie colpite diventano turgide, carnose e fragili, infine si contorcono ed accartocciano, finendo col cadere e col lasciare la pianta spoglia. Lo si può combattere trattando l'albero, al momento della caduta delle foglie, con opportuni medicinali che impediscono l'insediamento del fungo a primavera.
I licheni, come questo esemplare fotografato sul tronco di un albero, non sono organismi singoli, bensì una simbiosi di un fungo e di un'alga verdazzurra; quest'ultima vive all'interno del micelio del fungo. L'alga è autotrofa, e fornisce nutrimento al fungo, che a sua volta le assicura protezione contro un ambiente ostile, oltre ai sali minerali estratti dal terreno dai suoi rizoidi. Un rapporto di questo tipo, in cui due organismi vivono in stretta associazione e traggono reciproco beneficio, è chiamato mutualismo. I licheni costituiscono un alimento per molti animali (es. i cosiddetti "licheni delle rocce"), contribuiscono alla disgregazione delle rocce e sono i primi pionieri a conquistare un ambiente prima disabitato.
La foto in esame è stata scattata sul Campo dei Fiori, una collina verdeggiante poco a nord di Varese, il 26/7/1992, e non può introdurci in maniera migliore nella botanica, il ramo delle scienze naturali che si occupa del Regno Vegetale. Essa fu iniziata dal medico greco Dioscoride (I sec. d.C.), che al tempo di Nerone scrisse un trattato sulle virtù mediche delle piante.
Questa sezione di un ramo d'acacia mostra i tipici anelli di accrescimento dell'albero e la struttura interna del fusto legnoso dell'albero. La parte più esterna è la corteccia, composta di cellule dette "del sughero", che vengono prodotte dal suo strato più interno, detto fellogeno, che è impermeabile ed evita quindi le perdite d'acqua. Verso l'interno il fellogeno produce anche il felloderma che ha funzioni di riserva. Più all'interno si trova il floema o libro (lo strato più chiaro nella fotografia), che contiene i fasci fibrovascolari predisposti a portare verso il basso le sostanze elaborate dalle foglie, e poi il cambio, che ogni anno produce nuove cellule lignee. 
Verso l'interno invece viene prodotto lo xilema (il vero e proprio legno, la parte centrale più scura). La parte più esterna contiene i vasi che  condurre l'acqua e il nutrimento all'interno della pianta verso l'alto, mentre la parte più interna è formata da cellule morte e lignficate. In quest'altra foto è possibile vedere un vecchio ceppo di albero reciso: il particolare ingrandito mostra come, in seguito al meccanismo suddetto, sia possibile misurare l'età di un albero tagliato contando il numero di questi anelli.
Quest'altro tabellone di laboratorio, che ci riporta ad un'altra epoca in cui ancora non esistevano i DVD, illustra i principali tipi di fasci fibrovascolari nei fusti delle piante. Come già detto, il tessuto vascolare delle piante prende il nome di xilema (il comune legno), ed è privo di organi pompanti come il cuore degli animali; il trasporto avviene per osmosi. Dagli spazi tra le particelle del terreno l'acqua passa per osmosi nei peli radicali che caratterizzano le radici, e da qui nello xilema (si parla di "osmosi successiva"). L'acqua trasportata è sotto pressione a causa dello squilibrio di concentrazione e viene "aspirata" dalle foglie sfruttando il fenomeno della coesione tra molecole di acqua, così da superare anche dislivelli notevolissimi!
La riproduzione delle piante inferiori (muschi e felci) avviene per spore, quella delle piante superiori per semi. Oltre alla funzione di proteggere l'embrione con la sua cuticola, il seme ha la funzione di favorirne la dispersione nell'ambiente lontano dalla pianta madre. La germinazione dei semi può essere osservata in tutte le nostre case in maniera assai semplice: basta porre del terriccio (lo si acquista al supermercato) in un contenitore di polistirolo, spargervi i semi (anch'essi si comprano dovunque) e mantenere il terriccio umido spruzzandovi dell'acqua con una bottiglia dotata di manico a spruzzo (allagare la scatola sarebbe nocivo ai semi). Nella foto vediamo germinare delle piantine di pomodoro (Lycopersicus esculentum).
Anche le piante superiori però possono riprodursi asessualmente. Una delle modalità più semplici, facilmente riproducibile in ogni classe e in ogni casa, è la talea. In pratica si prende una porzione di ramo giovane che porta alcune gemme, se ne scorteccia l'estremità del fusto e la si pone in un bicchiere pieno d'acqua. Come mostra la fotografia, ben presto il ramo sviluppa delle radici e dei germogli; trapiantandola nel terreno, essa dà vita ad una nuova pianta. La margotta consiste invece nello scortecciare un ramo ancora attaccato alla pianta madre e porvi attorno un vaso pieno di terra umida finche esso non ha prodotto radici; solo allora lo si taglia e lo si trapianta nel terreno.
Un altro tipo di riproduzione vegetativa delle piante (cioè diversa da quella per semi) è la propaggine: se si interra un ramo della pianta, questo produrrà radici e, una volta reciso, darà vita ad un individuo indipendente. Certi vegetali si riproducono in questo modo anche spontaneamente: è il caso della fragola, la quale dà vita a ramificazioni dette stoloni che corrono sul terreno e presentano dei nodi, in corrispondenza dei quali si sviluppano nuove piantine!
I bulbi sono una delle modalità di riproduzione più frequenti nelle monocotiledoni; consistono in una serie di guaine fogliari ingrossate e carnose, sovrapposte le une alle altre in modo da proteggere la gemma, portata da un fusto notevolmente accorciato. Qui vediamo ad esempio dei bulbi di gladiolo. Il rizoma è invece un fusto orizzontale sotterraneo, scambiato talora per una radice, che permette la riproduzione vegetativa della pianta, emettendo nuove radici e nuovi fusti avventizi.
Il tubero rappresenta invece l'ingrossamento di un fusto che assume forma globosa e funzione di organo di riserva; tipico esempio ne è il tubero della patata (Solanum tuberosum), particolarmente ricco di amido. Originaria delle Ande, la patata era coltivata fin dal 1000 a.C. dalle popolazioni precolombiane; i Conquistadores spagnoli la trapiantarono in Europa e in tutto il mondo, come rimedio alle frequenti carestie che allora mietevano innumerevoli vittime. Fino al settecento, però, era coltivata solo come pianta ornamentale per il suo bel fiore bianco! Dalle patate di estrae la fecola, amido assai utile in cucina.
Poiché stiamo sconfinando nel campo dell'agricoltura, vale la pena di presentare anche questa cassetta da laboratorio che contiene i principali tipi di innesti, che si eseguono trapiantando porzioni di ramo su di un'altra pianta; generalmente la si esegue per rendere fruttifera una pianta selvatica, ma talvolta con essa si riesce a favorire la saldatura fra due specie diverse, in modo che su di uno stesso tronco crescano frutti di natura differente! Se l'innesto non viene eseguito nella stagione adatta, di solito non attecchisce. Come si vede dalla figura, l'innesto può riuscire anche con una sola gemma!
Questa foto di piante di vite e di kiwi in primavera illustra l'operazione della potatura, che consiste nel tagliare una parte dei rami e dei germogli di una pianta per favorirne la fruttificazione su pochi rami più forti. A seconda delle finalità si parla di  potatura di formazione, di produzione, di riforma, di ringiovanimento o di risanamento. La potatura delle foreste mira invece ad eliminare i rami più grossi, onde evitare che nel fusto si formino nodi che rovinino il legname da falegnameria.
Tra le principali strutture esterne di un fusto legnoso ci sono le gemme, formazioni costituite da tessuti protetti che, quando la stagione è matura, si sviluppano in rami, foglie o fiori. Durante l'inverno le gemme sono protette dalle perule, foglie appositamente modificate; alle gemme apicali si deve l'allungamento del fusto durante la stagione della crescita. Le gemme laterali, in genere più piccole di quelle apicali, danno invece vita a diramazioni del fusto. Le zone del fusto e dei rami in cui si sviluppano le foglie sono dette nodi. Quelle in figura sono gemme di una pianta di prugne (Prunus domestica).
Dalle gemme possono svilupparsi anche dei fiori, come questi di Forsizia (Forsythia suspensa).Sono una caratteristica delle piante chiamate angiosperme ("semi dentro un involucro"), mentre le gimnosperme ("semi nudi") ne sono prive, e ne costituiscono l'apparato riproduttore. La forsizia è originaria dell'Asia orientale, fiorisce a primavera con fiori di un giallo brillantissimo ed è coltivata a scopo ornamentale.
Questa primula fornisce un altro bellissimo esempio di fiore ornamentale. Quello delle primule è un intero ordine di piante erbacee, per lo più perenni, comprendente tre famiglie tipiche ed almeno quattrocento specie delle regioni montagnose dell'emisfero settentrionale. La foto mostra bene come il loro fiore sia distinto in calice e corolla, quest'ultima formata da petali (in questo caso di colore giallo e violaceo; al suo interno si trova il pistillo, l'organo riproduttore femminile, e lo stame, l'organo riproduttore femminile, ricco di polline. Nelle zone alpine e subalpine d'Italia crescono specialmente la primula gialla (Primula acaulis o vulgaris) e la primula odorosa (Primula officinalis), un tempo usata nella medicina popolare.
Ed ecco invece un magnifico fiore di tulipano (vedi anche più sotto) che illustra la tipica struttura di un fiore con tutte le sue parti. Il fiore in questione è ermafrodito; l'organo riproduttore femminile è il pistillo, costituito da un ovario alla sua base, da un filamento detto stilo e da una capocchia detta stigma, su cui si deposita il polline; l'ovario contiene gli ovuli. L'organo genitale maschile invece è lo stame, un filamento che regge l'antera, lo sporangio maschile. Si parla di fiore regolare se ha simmetria raggiata (o attinomorfa) come in questo caso, di fiore irregolare se ha simmetria bilaterale (o zigomorfa).
Impossibile non inserire in questo Museo Virtuale anche la foto, realizzata dagli studenti del mio Liceo con la strumentazione messa a loro disposizione dal Laboratorio di Biologia, di una antera di tiglio, tratta dal fiore che si vede illustrato in basso a destra (non a caso il mio Liceo sorge in Viale dei Tigli a Gallarate!). Le antere (dal latino antheros, "fiorito") sono la parte terminale degli stami, e sono generalmente formate da due teche, unite da tessuto connettivo, e perfettamente visibili in questa fotografia. Le teche contengono una o più sacche polliniche o microsporangi, entro i quali si formano i granuli di polline.
Si dice infiorescenza ciascuna delle modalità con cui i fiori si raggruppano tra di loro nelle Angiosperme; quella rappresentata nel modello in figura (un po' datato e danneggiato) prende il nome di infiorescenza ad ombrello semplice, un'infiorescenza di tipo "centripeto" o "acropeto" perchè i fiori più lontani dal centro dell'infiorescenza sono i primi a fiorire; "centrifughe" o "acrofughe" sono invece quelle che cominciano a fiorire dal centro.  Altra distinzione riguarda invece l'asse, a seconda che esso si ramifichi indefinitamente oppure termini con un fiore recandone altri senza l'intervento di ramificazioni.
Il modellino in figura rappresenta invece un'infiorescenza ad ombrello composto, nella quale ogni singola ramificazione ne produce altre, e queste eventualmente altre ancora, e così via. Di solito le infiorescenze altro non sono se non una ripetizione dei tipi di ramificazione del fusto; generalmente i fiori costituenti le infiorescenze sono accompagnati da apposite brattee dette ipsofilli, ora più ora meno evidenti a seconda delle specie. Si chiamano infiorescenze a cima quelle in cui l'asse principale termina con un fiore e reca rami che possono ramificarsi a loro volta; è il caso del Myosotis.
Elenchiamo ora alcuni tipi di infiorescenze. In figura si vede la spiga, con asse allungato che reca numerosi fiori molto ravvicinati; è caratteristica dei cereali. Quella del frumento, tuttavia, è in realtà una spiga composta, avendosi una serie di spighette e non di singoli fiori inseriti sull'asse. Invece il capolino è un ricettacolo convesso in cui sono inseriti numerosissimi fiori tubiformi o a linguetta, i primi a formare un disco centrale, gli altri più grandi disposti tutt'attorno a raggiera, a mo' di petali; è il caso della margherita e del girasole. L'amento è una specie di spiga, però pendula, tipica del noce e del castagno. Infine il siconio è caratteristico del fico, ed in esso i fiorellini piccolissimi sono contenuti in un corpo cavo che darà vita a un falso frutto.
L'amico Carlo Pontesilli, appassionato di foto naturalistiche, mi ha inviato questi scatti, con i quali ho realizzato un collage tutto dedicato al fenomeno dell'impollinazione. Come dice la parola,  si tratta del trasporto di polline dal fiore maschile a quello femminile di una stessa specie. In particolare le foto illustrano la cosiddetta impollinazione entomofila, dovuta ad insetti che suggono il nettare dei fiori e finiscono per trasportare il polline attaccato alla propria peluria. Ma il trasporto può essere mediato anche da diversi vettori: il vento (impollinazione anemofila), gli uccelli (ornitogama), l'acqua (impollinazione idrogama) e così via.
La foto in questione mostra lo sviluppo dei frutti (in questo caso di susine, frutti del Prunus domestica) a partire dall' ingrossamento dell'ovario dopo che l'ovulo è stato fecondato dal polline, a protezione del seme che dall'ovulo si svilupperà. In alcuni casi (es. la mela, frutto del Pyrus malus) ad ingrossarsi non è solo l'ovario ma l'intero ricettacolo fiorale, dando vita al cosiddetto "falso frutto". Il frutto non completamente sviluppato si dice acerbo ed è fortemente acidulo a causa della presenza di acidi che poi, sotto l'azione del sole, danno vita agli zuccheri della polpa fruttifera.
Il plastico in figura illustra in modo chiaro i principali tipi di frutti che esistono in natura. Dopo che il fiore è stato fecondato, quasi tutte le sue parti muoiono, mentre l'ovario si ingrandisce ("matura") divenendo un frutto, ed in esso si sviluppano i semi. Tra i vari tipi di frutto ci sono la bacca (es. il pomodoro), la drupa (ciliegia), la noce (frutti secchi), la peponide (melanzana), il pomo (mela, pera) e l'infruttescenza (mora, fico, ecc.)
Ed eccoci infine in piena estate, con i frutti maturi sui rami: in questo caso si tratta di pesche, presenti in gran numero sui rami dell'omonimo albero. Il sole ha trasformato gli acidi del frutto acerbo nella polpa dalla consistenza carnosa e zuccherina, il cui significato è evidente: gli animali divorano i frutti, ingoiano anche i noccioli, ma questi attraversano indenni l'apparato digerente grazie alla loro custodia legnosa, ed infine possono essere dispersi anche a notevole distanza dalla pianta madre. Le pesche in particolare sono drupe, consistendo in un unico seme racchiuso entro un endocarpo legnoso.
Un altro plastico mostra i principali tipi di frutti secchi, cosiddetti perchè il seme è contenuto dentro uno spesso strato legnoso. Tipici frutti secchi sono: la noce, della quale riparleremo più sotto; il legume o baccello, tipico delle Leguminose, cioè un contenitore a forma di corno che contiene diversi semi, e che può essere oblungo (come nel fagiolo), globoso (come nel cece), spiralato o appiattito; la cariosside, tipica delle Graminacee, in cui i semi aderiscono ad uno stelo centrale (tutolo) e si trovano all'aria aperta, come nel caso del mais; oltre all'achenio ed all'otricolo.
Tra i vari tipi di frutti secchi, come si diceva immediatamente sopra, vi è l'achenio, in cui il pericarpo non aderisce al seme; gli acheni possono essere unici, a coppie (diachenio), caratteristico delle Ombrellifere (come la carota), a gruppi di quattro (il tetrachenio), proprio delle Labiate, o in gruppi più numerosi (poliachenio), come si trova nelle Ranuncolacee. Altro tipo di frutto secco è l'otricolo, rappresentato in questo bel modellino da laboratorio: è un achenio in cui il pericarpo è sottilissimo e talora membranaceo. Esso è tipico delle Amarantacee, piante infestanti dei terreni coltivati, come la cresta di gallo.
La foto qui a fianco mostra invece il sincarpo maturo di un platano, da me raccolto lungo le rive del Tevere, circondate appunto da platani colossali. Esso è erroneamente considerato il fiore e poi, quando è maturo, il frutto dell'albero, ma in realtà si tratta di un'infiorescenza i cui ovari sono fusi in tutto unico (per questo si parla di "ovario composto"). Quando il sincarpo è fecondato, dà vita ad un grappolo globoso di frutticini secchi, proprio come si vede nella fotografia. Il nome deriva infatti dal greco "Syn", insieme, e "karpos", frutto.
I frutti, come tutti sappiamo, sono fatti per contenere i semi. E così, in questa lunghissima carrellata sul mondo vegetale non poteva certo mancare una foto del seme più grande del mondo, da me fotografato durante una visita al Civico Museo di Storia Naturale di Milano. Si tratta del seme della Lodoicea maldivica, una palma che cresce nelle isole Seychelles, che presenta un diametro di 50 cm e un peso tra i 15 e i 20 kg. Il frutto richiede anche 7 anni per giungere a maturazione. Sino a che l'origine di tali semi non fu scoperta nel 1768, era in voga la leggenda che provenissero dai frutti di un albero che cresceva sotto la superficie del mare, battezzato per questo "cocco di mare" (Coco de mer), nome che conserva ancor oggi.
Delle foglie parleremo diffusamente più sotto, quando mostreremo l'erbario virtuale. Piuttosto, questa è l'occasione per descrivere un'esperienza facilmente realizzabile non solo in laboratori scolastici, ma anche nelle case di ciascuno di noi: la cromatografia, cioè la separazione su carta dei pigmenti fogliari, che non sono tutti verdi, come si potrebbe pensare. La foto mostra il materiale occorrente: un vaso di vetro, una bacinella, alcool, forbici, carta e naturalmente alcune foglie (in questo caso sono verdi, ma è consigliabile adoperare anche foglie di lattuga rossa).
Le quattro immagini mostrano le successive fasi dell'esperimento. In alto a sinistra si tagliuzzano le foglie dentro il vasetto, in alto a destra le si copre di alcool, in basso a sinistra si vede l'interno del vasetto che va tappato con un coperchio o, come nel nostro caso, con pellicola trasparente, in basso a destra si immerge il vasetto nella bacinella piena di acqua calda per mezz'ora, avendo cura di girare il vasetto ogni cinque minuti. In laboratorio al posto dell'alcool si usa un opportuno eluente Avio, che ha il potere di separare maggiormente tra loro i pigmenti della foglia.
Dopo aver stappato il vasetto, si inserisce in esso l'opportuna carta da cromatografia; nell'esperimento domestico ho utilizzato carta assorbente e normale carta da cucina. Per capillarità, i pigmenti fogliari separati dall'alcool o dall'eluente risalgono lungo la carta e, siccome non hanno tutti la stessa densità, non giungono tutti alla stessa altezza, e così si separano. In figura si vede il vasetto subito dopo l'introduzione della carta e alcuni giorni dopo, quando gran parte dell'alcool è evaporato. Faccio notare che più i frammenti di foglia sono piccoli e meglio la separazione riesce: l'ideale sarebbe ridurli in poltiglia in un mortaio.
Infine, ecco il risultato. In alto si vede la carta da cucina impregnata con i pigmenti fogliari, che sono di molti colori differenti (il colore giallastro è dovuto alla xantofilla). Sotto invece si vede la foto dell'esperimento condotto in un laboratorio scolastico, messami a disposizione dall'allieva Francesca Piotti (II B cl. a.s. 2007/08). In questo caso con una pipetta si sono estratte alcune gocce di succo ricco di pigmenti, e si è tracciata sulla carta da cromatografia una lunga linea a circa 2 cm dal bordo inferiore; la separazione dei pigmenti di diverso colore è ancora più evidente. L'invenzione della cromatografia viene attribuita al biochimico russo Mikhail Tsvet (1872-1919), il quale nel 1906 riuscì a separare la clorofilla da un estratto vegetale.
Come ci ricorda Yves Montand nella sua canzone "Les feuilles mortes", in autunno le foglie ingialliscono e cadono, come ben mostra questa fotografia ripresa alla metà di settembre. Infatti in autunno, a causa dei cambiamenti nella lunghezza del giorno e delle variazioni di temperatura, le foglie arrestano la fotosintesi clorofilliana, la clorofilla stessa è riassorbita dalla pianta, il colore verde sparisce e divengono visibili altri pigmenti, che conferiscono alla foglia il suo tipico colore giallo-arancione, il "colore dell'autunno". Talune piante, come il liquidambar, diventano addirittura rosso sangue; le querce invece diventano marroni, a seconda dei pigmenti divenuti visibili. Infine il picciolo si secca e si cicatrizza e la foglia si stacca definitivamente.
Tuttavia non tutte le piante sembrano perdere le foglie. Questa fotografia, scattata nell'ottobre 2007, affianca una conifera, cioè una pianta sempreverde, a una pianta a foglie caduche. La prima sembra restare effettivamente verde anche d'inverno, mentre le foglie della seconda ingialliscono e cadono. In realtà anche le sempreverdi perdono le foglie, come dimostrano i tappeti di aghi sotto di esse; tuttavia, esse rinnovano le foglie durante tutto il corso dell'anno, mentre le altre le perdono tutte assieme e le rimettono tutte assieme. Questa è la vera differenza tra di esse!
La foto illustra una serie di spine sul tronco (a sinistra) e sui rami (a destra) di una pianta di limone (Citrus limonum, ordine dei Terebintali, famiglia delle Auranzioidee: i comuni agrumi). La spina è un'escrescenza rigida e puntuta con funzioni di difesa che può derivare dalla trasformazione di foglie, di rametti, di piccioli fogliari o di radici, come avviene in alcune palme.
Ed ecco un modello da laboratorio che illustra una sezione di radice. Le sue funzioni principali sono l'ancoraggio a terra della pianta e l'assorbimento dal terreno di acqua e sali minerali. La maggior parte delle piante legnose possiede un sistema di radici ramificate, mentre alcune hanno una "radice a fittone" con una sola radice grossa e lunga, da cui si dipartono radichette secondarie (è il caso della carota). Nella parte esterna terminale della radice si sviluppano i cosiddetti "peli radicali", che devono assorbire l'acqua dal terreno. Sotto l'epidermide vi è un tessuto corticale, con funzioni di riserva, al cui interno si sviluppa un cilindro detto stele, circondato dal periciclo che trasporta acqua e sali minerali verso le foglie.
Ed ecco una foto dal vero che illustra quanto detto sopra a proposito del modello da laboratorio illustrato. Queste radici di carota (Daucus carota), confezionate per l'uso culinario, hanno germinato spontaneamente ed hanno dato vita ad innumerevoli peli radicali, bianchi e sottili. Della carota riparleremo anche più sotto, quando studieremo l'Erbario Virtuale.
Chi ha detto che le piante non si muovono? La crescita di alcuni mughetti è ben visibile in queste fotografie, scattate nell'arco di dieci giorni. Le piante possono compiere inoltre movimenti fotonastici o seismonastici, mediante il piegamento dei piccioli fogliari; i movimenti fotonastici sono dovuti all'alternarsi del giorno e della notte, con l'assunzione delle posizioni di veglia e di sonno; quelli seismonastici sono invece provocati da stimoli vari (urto, calore, ecc.) agenti sulla pianta, come nelle sensitive.
Sempre a proposito di movimenti delle piante, ecco una facile esperienza che tutti possiamo compiere. Si prenda una pianta da appartamento come quella in fotografia e la si ponga vicino ad una finestra: si noterà che ne presto tutti i suoi rami si orientano in direzione della luce solare. Cliccando qui potrete visionare un'altra fotografia che illustra il medesimo fenomeno. L'esperienza può essere eseguita in maniera più spettacolare ponendo dei semi dentro un vasetto e chiudendo quest'ultimo dentro una scatola in cui è stato praticato un foro da cui può penetrare la luce solare. In breve tempo ci si accorge che la pianticina, germogliando, si è orientata proprio verso quell'unico foro!
I muschi si possono considerare tra le più semplici piante terrestri conosciute. Essi appartengono al phylum delle Briofite (dal greco bryon, muschio), che comprende ben 23.000 specie diffuse in tutto il mondo. Si tratta sempre di organismi di dimensioni assai limitate, da 1 mm fino a 25 cm al massimo; i muschi sono inoltre piante non vascolari, cioè prive del sistema di vasi di cui sono dotate le piante superiori. Richiedono un ambiente fortemente umido per la loro crescita, ed infatti la foto qui accanto è stata ripresa durante un acquazzone. I muschi sono utili all'uomo perchè danno vita alle torbiere; inoltre pionierizzano gli ambienti ostili, e sul concime derivato dalla loro decomposizione attecchiscono le piante superiori.
L'immagine tardoinvernale qui riprodotta di un tronco di tiglio (vedi più sotto), albero molto comune dalle mie parti, è molto interessante perchè dimostra in modo molto semplice come il muschio cresca solo sulla parte del tronco rivolta a nord, poiché è l'unica dove il sole non batte e dunque dove esso può conservare l'umidità necessaria a mantenere vitale queste delicate gimnosperme. La scarsa vitalità dei muschi di solito è uno degli indici naturali di degrado e di inquinamento di una zona abitativa.
Oltre ai muschi, le Briofite comprendono le epatiche, pianticelle ancora più primitive che devono il proprio nome alla forma delle foglioline, curiosamente simile a quella dei lobi del fegato. Le loro strutture fotosintetiche si sviluppano sulla superficie dell'acqua o aderiscono al terreno; manca un vero e proprio stelo, a differenza dei muschi. Il plastico da laboratorio illustrato in figura mostra alcune strutture di una epatica assai diffusa, la fegatella di terra (Marchantia polymorpha); in alto a sinistra si vede una porzione di tallo, in basso al centro alcune spore.
Le felci, riunite nella classe delle filicine, phylum delle Tracheofite, sono assai più evolute dei muschi perchè presentano una struttura vascolare, di cui i muschi sono privi. Nel periodo Carbonifero esse dominarono la Terra raggiungendo dimensioni impressionanti; oggi sono per lo più piante di piccole dimensioni. A causa della loro riproduzione per spore, esse necessitano di un ambiente molto umido; se attecchiscono in zone asciutte, tendono ad entrare in quiescenza se non trovano umidità sufficiente.
A differenza dei muschi, nelle felci prevale la riproduzione per spore. Da queste ultime però non si sviluppa la felce vera e propria, bensì un organismo chiamato protallo, illustrato in questo modellino assai datato. Esso ha un diametro di appena un paio di centimetri e contiene sia gli organi di riproduzione maschili (gli anteridi) che quelli femminili (gli archegonii). Dopo la fecondazione, lo zigote inizia a riprodursi nell'anteridio, ma ben presto si sviluppa e diventa una pianta indipendente, detta sporofito: questa è la felce vera e propria. A questo punto il protallo muore. Purtroppo il protallo è molto fragile e richiede abbondanza di acqua per la fecondazione. Per questo sulle felci si imposero ben presto le piante fanerogame.
Questa foto della faccia inferiore di una foglia di felce mostra ben in evidenza delle strutture chiamate sori, che contengono gli sporangi (nell'angolo in alto a sinistra se ne vedono alcuni ingranditi). I sori si presentano in genere come macchie circolari color marrone, che si fanno via via più scure mano a mano che avanza la maturazione delle spore. In certe specie di felci, invece, i sori sono assenti e gli sporangi sono collocati in strutture riproduttive separate.
Si dicono fanerogame (dal greco "sesso palese") quelle che possiedono organi fiorali e producono semi; vengono perciò dette anche antofite (piante con fiori), e rappresentano il massimo grado di evoluzione del mondo vegetale. Come già detto, esse si dividono in angiosperme e gimnosperme, a seconda che possiedano o no un ovario a proteggere gli ovuli. Le gimnosperme, delle quali vediamo qui un altro antico modellino, possiedono delle "foglie fruttifere" che restano aperte e che vengono impiegate per la produzione degli ovuli.
Nel passato remoto della Terra le gimnosperme dominarono la Terra (soprattutto durante il Mesozoico, quando le piante con fiore non erano ancora apparse), oggi ne restano circa 700 specie. Il gruppo più numeroso è costituito dalle conifere o portatrici di coni, caratterizzate dal fatto che le foglie sono ridotte a sottili aghi (vedi fotografia), e per questo vengono chiamate anche aghifoglie, dalla produzione di coni e dal fatto di essere sempreverdi (con l'eccezione del larice).
La maggior parte delle conifere ha semi che si sviluppano senza protezione sulle squame di strutture dette coni o strobili: le comuni pigne, usate anche per scopo ornamentale come le tre in figura. Quando giungono a maturazione, gli strobili seccano e si aprono, liberando i semi. È da notare che in genere le conifere hanno sessi separati: alcune piante hanno solo organi riproduttori maschili, altre hanno solo organi riproduttori femminili.
La grande famiglia delle pinacee comprende dieci generi di alberi, tutti appartenenti all'emisfero settentrionale, che ricoprono i fianchi delle montagne; in pianura sono coltivati per scopo ornamentale. Uno dei genere più importante è rappresentato da cedrus, qui rappresentato da questi cedri dell'Himalaya (Cedrus deodara), molto diffusi nelle nostre città a scopo ornamentale. Sono alberi di enormi dimensioni (fino ad 80 m) dall'aspetto piramidale, generalmente monoici (cioè fiori maschili e femminili compaiono sulla stessa pianta); in generale i coni sono eretti, cioè si trovano al di sopra dei rami. Essi possono arrivare tranquillamente ai 1000 anni di età. "Deodara" deriva dal sanscrito "devadaru", cioè "albero degli dei"!
La fotografia, messami a disposizione dall'amica Giulia Grazi Bracci di Empoli che l'ha scattata a casa sua, rappresenta uno straordinario esemplare di cedro del Libano (Cedrus libani), una conifera che, nonostante il suo nome, non ha proprio nulla a che vedere con l'omonimo agrume. Citato nella Bibbia (il suo legno servì per fabbricare il Tempio di Salomone), oggi è quasi scomparso dalle montagne del Libano a causa dell'intenso disboscamento, ma è distribuito in Anatolia, ed è stato importato nei parchi europei come pianta ornamentale.
Qui invece vediamo ritratto un magnifico esemplare di cedro dell'Atlante (Cedrus atlantica), una specie originaria del Nord Africa, come denuncia il suo nome, ma oggi diffuso in tutto il mondo per via del suo largo impiego ornamentale nei giardini. Può raggiungere anche i 40 metri, tende ad espandersi con l'età, ha un tronco cilindrico, corteccia di colore grigio-bruno assai screpolata, ed i coni compaiono in autunno, giungendo a maturità dopo 2 o 3 anni dalla fioritura. Qui ne vediamo la bellissima variante Cedrus atlantica glauca, i cui aghi sono caratterizzati dal tipico colore azzurrino. Il suo legno è ampiamente utilizzato in falegnameria per realizzare mobili e matite.
Ala famiglia delle pinacee appartiene anche l'abete rosso (Pice abies): qui vedete fotografato un esemplare che cresce savanti al mio Liceo. Alto fino a 40 metri, con tronco diritto e chioma conica relativamente stretta, soprattutto ad alte quote montane, onde contenere i danni provocati dalla neve. La corteccia è sottile e rossastra, e da questa caratteristica deriva il nome comune dell'albero; con l'età diviene bruno-grigiastra e si divide in placche quasi rettangolari. Le pigne sono cilindriche e pendule. Il legno di questo alberha ottime proprietà di amplificazione del suono e, per questa ragione, Stradivari lo usava per i suoi famosi violini!
Ed ecco un magnifico esemplare di pino domestico (Pinus pinea), altro rappresentante immancabile della flora mediterranea, caratterizzato dal tipico ombrello fittissimo a forma di nuvola, che assicura d'estate un'ombrosa frescura, dovuta al fatto che assai precocemente si ramifica in getti tutti della stessa vigoria. Può raggiungere i 25 m di altezza e presenta una diffusione circummediterranea, anche se è coltivato da tempo così immemorabile, che è impossibile distinguere i popolamenti spontanei da quelli artificiali. Resiste bene anche al freddo e può crescere sino a 1000 m di quota.
Qui vediamo rappresentati alcuni magnifici episodi di pini marittimi (Pinus pinaster), fotografati da Giulia Grazi Bracci. Essi sono diffusi in tutta l'area mediterranea, lungo le coste (da cui il nome) della Francia, della Spagna e dell'Italia, e raggiungono i 40 metri di altezza, con chioma tondeggiante e piuttosto rada, ed il tronco piuttosto sinuoso. In Italia è diffuso un po' su tutte le coste, ma sul litorale adriatico è stato portato dall'uomo. Il suo legname è usato per travature e falegnameria mobiliera.
Passiamo al pino silvestre (Pinus silvestris), una delle conifere più diffuse nel mondo. Può raggiungere i 40 metri e la sua corteccia da giovane è color salmone, mentre con il passare degli anni diventa scaglioso e grigiastro. Gli aghi persistono sui rami per 3 o 4 anni. Il cono è piccolo e di forma variabile. Secondo alcuni il suo areale è un residuo delle condizioni climatiche immediatamente post-glaciali: va dalla Sierra Nevada alla Manciuria, spingendosi fino in Scandinavia e in Siberia. L'immagine in questione è tratta da http://www3.unileon.es.
Questo è un esemplare di larice (Larix decidua), l'unica conifera a perdere le foglie durante l'inverno. Come si vede, differisce notevolmente da abeti e pini per la sua chioma assai più leggera, fatta di ciuffi disposti a spirale. I fiori compaiono prima delle foglie ed i coni sono eretti, lunghi e stretti. Il larice europeo raggiunge i 40 m di altezza ed i 2 m di diametro alla base; è una delle piante che si spinge a quote più alte, e richiede moltissimo sole. Praticamente è diffuso in tutte le zone temperate e temperate fredde dall'Europa fino al Nordamerica. Il suo legno è considerato ottimo per strutture di costruzioni.
Altro importante genere di conifere è quello delle Cupressacee, una dozzina di specie di alberi ed arbusti con rami corti, caratterizzati da una forma conica o addirittura cilindrica; le foglie sono piccolissime e squamiformi, così da dare alle loro chiome il caratteristico aspetto. Possono vivere oltre i 500-1000 anni e costituiscono parte integrante del paesaggio mediterraneo. Il più comune è Cupressus sempervivens, coltivato per scopo ornamentale ma anche come frangivento, che raggiunge i 45 m. Sono piante tipicamente associate ai cimiteri, come ricorda Foscolo: "A l'ombra dei cipressi e dentro l'urne..."
Anche la tuia (Thuja orientalis) appartiene alla famiglia delle Cupressacee. Essa possiede un areale vastissimo, esteso dall'Iran alla Corea. Ha numerosissime foglie orticole, e forma boschi di sole tuie oppure in associazione ad abeti e pini. Ha chioma conica e foglie tipicamente verdi-giallastre; è coltivata nei giardini per la bellezza del suo insieme, ma anche come frangimento nelle zone mediterranee, per via della sua folta chioma. Particolarmente apprezzate sono le piante a foglie giallo-dorate. Il legno è profumato, leggero, durevole e facilmente lavorabile per opere di falegnameria.
Una foto eccezionale, che posso pubblicare grazie alla cortesia di Edoardo Tovaglieri che l'ha scattata nell'estate 2009: due esemplari di sequoia (Sequoia sempervirens), della famiglia delle Cupressacee, fotografata nel Bryce Canyon National Park, nello stato dell'Utah. Un esemplare di questo imponente albero raggiunge i 115 m ed è con ciò l'essere vivente più alto del pianeta. Il genere prende nome dal capo Cherokee Sequoyah (1767-1843). Prima delle glaciazioni quest'albero esisteva anche in Europa, anche se di taglia assai più ridotta, ma in seguito nel Vecchio Mondo si estinse.
L'araucaria (Araucaria araucana o imbricata) è una gimnosperma tipica del Sudamerica, che raggiunge i 50 m di altezza; ogni anno si forma un nuovo cestello di rami. Essa è ricoperta di foglie lesiniformi assai indurite, che persistono verdi per circa 10-15 anni per poi trasformarsi in squame brune; da vecchia presenta spesso il fusto completamente spoglio. L'esemplare in figura mostra i caratteristici coni a scaglie legnose. In natura può arrivare fino a 1000 anni. Negli anni recenti è stata trapiantata nell'emisfero boreale come pianta ornamentale, ed io l'ho fotografata proprio in una villa privata del mio paese.
Si dicono angiosperme, come si è già detto, le piante i cui ovuli sono protetti dentro l'ovario di un fiore. Le angiosperme si dividono in due classi: monocotiledoni e dicotiledoni. Si dicono dicotiledoni le piante il cui seme contiene due cotiledoni o embriofilli, cioè due foglioline primordiali presenti già nell'embrione maturo. Ciò comporta notevoli differenze nello sviluppo della pianta. Se erbacee, le dicotiledoni sono annuali o biennali; i bulbi sono rari mentre i tuberi e gli stoloni sono assai frequenti. I fiori ermafroditi sono in genere portati sulla stessa pianta. Le dicotiledoni, delle quali a sinistra vediamo un bel modellino, sono a loro volta divise in Archiclamidee e Metaclamidee.
La galleria delle angiosperme comincia con un albicocco (Prunus armeniaca) ripreso proprio durante la fioritura. Si tratta di una pianta davvero comunissima nei nostri orti, rappresentante dell'ordine delle Rosali, famiglia delle Pomoidee, genere Prunus; questo genere conta 265 specie proprie delle zone temperate dell'emisfero boreale. L'albicocco è un albero di media grandezza originario della Cina con foglie ovali, glabre e seghettate, i cui fiori bianchi, come mostra la foto, compaiono prima delle foglie. Il frutto dal tipico colore giallo-aranciato e dalla superficie vellutata contiene un nocciolo assai voluminoso.
Allo stesso ordine, famiglia e genere appartiene anche il pesco (Prunus persica), che qui vediamo nel momento della sua spettacolosa fioritura. In questo caso però i fiori sono di un rosa intenso; la parentela con l'albicocco, oltre che dalla taglia della pianta e dalla forma del frutto, è indicata dal fatto che i fiori compaiono prima delle foglie. Il pesco è una pianta molto esigente: richiede terreni permeabili e profondi e un clima molto mite. Oggi in commercio vi sono più di tremila varietà di pesco; il Prunus persica laevis è famoso perchè produce le cosiddette pesche-noci, con la buccia glabra.
Dopo l'albicocco ed il pesco, ecco il ciliegio (Prunus cerasus). La pianta è estremamente precoce: fiorisce prestissimo ed i frutti, rossi e sugosi, maturano già a maggio (eloquente il proverbio: "una ciliegia tira l'altra"). I ciliegi sono alberi più grandi degli albicocchi e dei peschi: giungono ai 20 metri; originari dell'oriente, sono coltivati nei climi temperato-freddi con temperature sopra i - 10° C. Qui ne vediamo un esemplare in fiore e, subito sotto, i tipici frutti, prodotti un mese dopo dallo stesso albero.
Altra pianta dello stesso genere è il ciliegio selvatico (Prunus serotina), un albero deciduo a crescita rapida che non è strettamente imparentato con le ciliegie comunemente coltivate; è diffuso in Nord e Sud America, che raggiunge un'altezza tra i 15 e i 25 metri. Il colore delle foglie autunnali va dal giallo al rosso; i fiori sono piccoli e bianchi, raccolti in racemi lunghi 10–15 cm che contengono diverse dozzine di fiori. I fiori danno origine a bacche (drupe, per la precisione) nerastre o rossastro, amate dagli uccelli, che ne diffondono i semi. Quando un giovane ramoscello viene grattato e tenuto vicino al naso, rilascia un odore simile a quello della mandorla, rivelando piccole quantità di composti di cianuro prodotti dalla pianta come meccanismo di difesa contro gli erbivori. L'esemplare qui fotografato cresce proprio dirimpetto alla porta di casa mia!
Restiamo ancora sul ciliegio, ma qui non abbiamo più una foto dell'albero in fiore, come nei tre casi precedenti, bensì una datata ma estremamente suggestiva tavola da laboratorio che contiene diversi elementi della pianta: foglie secche, ramo con fiori, frutto (una bacca detta ciliegia), seme, legno e sezione del tronco. Indubbiamente un ciliegio fiorito con la sua nuvola di fiori bianchi è più suggestiva, ma bisogna ricordare che i ragazzi di città non hanno mai visto un ciliegio (se non in qualche documentario in televisione), e dunque persino una tavola come questa può risultare particolarmente utile da punto di vista didattico; nel seguito vedremo altre di queste tavole.
Sempre del medesimo ordine fanno parte anche le Fragariee, piante erbacee ed arbustive piuttosto diffuse in tutto l'emisfero boreale. L'esponente più noto è certamente la fragola (Fragaria vesca), che si distingue da altre piante affini per il caratteristico falso frutto. Erbacea perenne dei climi temperati, la fragola si riproduce per lo più per stoloni, e rappresenta quindi una pianta di tipo infestante. Il falso frutto tanto apprezzato sulle nostre tavole è un ricettacolo carnoso che porta i veri frutti, acheni, detti erroneamente semi. La Fragaria vesca ha tipici fiori bianchi e gialli e falsi frutti rossi; in questa tavola da laboratorio ne vediamo alcuni elementi. Molto diffusa è anche la Fragaria indica, originaria dell'Asia ma spontaneizzatasi nella Pianura Padana.
Delle Pomoidee fa parte il melo (Pyrus malus), altra pianta che riveste una grandissima importanza economica, essendo coltivato fin dalla più remota antichità; oggi è certamente l'albero da frutto più diffuso nelle zone temperate, fino a circa 66° di latitudine. In Italia sono celebri le mele della Val di Non (TN). Allo stato selvatico è un fruttice spinoso che può raggiungere i 10 metri di altezza; la corteccia grigia è liscia nelle piante giovani, mentre si stacca a scaglie in quelle adulte. La forma del frutto è molto variabile a seconda delle varietà: quasi sferico nella "Rome Beauty", ovale nella "Golden Delicious", schiacciato nella "Durella", costoluta bella "Renetta". La mela è ricca di tannino e di polisaccaridi.
Questa bella tavola da laboratorio contiene invece vari elementi della pianta di pero (Pyrus communis), spontaneo in Europa fin da epoche molto antiche, ma probabilmente originario dell'Asia occidentale. Arbusto spinoso allo stato selvatico, se coltivato può raggiungere i 18 m. Differisce dal melo per la corteccia, bruno-grigiastra a fenditure longitudinali, per le foglie più arrotondate e dentellate, per la tipica forma allungata del frutto (molto variabile a seconda delle varietà), ed anche perchè è meno resistente al freddo del melo. Come la mela, anche la pera è in realtà un falso frutto detto pomo, derivato dall' ingrossamento non solo dell' ovario ma dell'intero ricettacolo fiorale, che diventa carnoso e commestibile.
Parlando delll'ordine delle Rosali non si può fare a meno di nominare il genere che gli ha dato il nome: quello delle Rose. Si tratta di arbusti cespugliosi, talvolta rampicanti, provvisti di possenti spine rivolte verso il basso ed adatte a difendere il fiore dagli animali che cerchino di scalare il fusto. La corolla è formata da cinque petali muniti di una specie di unghietta, che possono presentarsi in tutte le colorazioni immaginabili (persino nere) grazie agli innumerevoli incroci: se ne conoscono 3000 varietà!
Particolarmente vasto è il genere Acacia, che come l'albicocco fa parte dell'ordine delle Rosali. Spesso confusa con l'acacia è il genere Albizzia, che vediamo qui rappresentato da questa Albizzia julibrissin, nota anche come gaggia di Costantinopoli o gaggia arborea. Ha fiori riuniti in capolini rosati, ai quali i lunghissimi stami conferiscono l'aspetto di piumini. Forma ombrelli larghissimi (anche venti metri) ed un'ombra particolarmente gradevole, ragion per cui viene spesso coltivata come pianta ornamentale. Purtroppo è molto delicata e sensibile all'inquinamento.
Al genere Acacia appartiene anche la robinia (Robinia pseudo-acacia), una pianta arborea alta anche 20 metri che viene spesso coltivata nei parchi per l'effetto decorativo delle sue foglie, raggruppate l'una accanto all'altra come mostra la figura, e dei fiori bianchissimi, radunati in grappoli bianchi ed odorosi. Spesso viene piantata su terreni sabbiosi o franosi, che trattiene con il suo potente apparato radicale, e che arricchisce di azoto. Il robineto spontaneo è assai diffuso nelle zone alpine.
Molto simile alla robinia è il maggiociondolo (Laburnum anagyroides), che fiorisce nello stesso periodo (in maggio), però i suoi fiori, riuniti in grappoli lunghi anche 30 cm, sono tipicamente gialli. A differenza di quelli della robinia, commestibili, questi fiori invece piuttosto velenosi, e per questo non vanno confusi con essi. Anche i semi neri contengono citisina, un alcaloide che li rende estremamente velenosi per l'uomo, per le capre e per i cavalli, ma non per lepri, conigli e cervi e per questo un tempo era ritenuta una pianta magica. Secondo alcuni lo scrittore John R.R. Tolkien si ispirò al maggiociondolo per descrivere Laurelin, uno dei due mitologici alberi del "Silmarillion", uno dei cui frutti fu usato per creare il Sole!
Un altro tipico rappresentante del genere Acacia, famiglia delle Mimosacee, è la mimosa (Acacia catechu), caratterizzata dalla tipica infiorescenza gialla formata da innumerevoli capolini piumosi, che è usanza regalare il giorno della festa della donna (8 marzo). Si tratta di piante arbustive o arboree, spesso rampicanti o spinose, dei climi caldi, ma è coltivata ormai dovunque.
Coltivata a scopo ornamentale è pure l'ortensia (Hydrangea arborescens), ordine dei Rosali, famiglia delle Sassifragacee. Di origine americana, è un arbusto dotato di infiorescenza di lunga durata, che si coltiva facilmente anche in vaso. L'ortensia ha una caratteristica curiosa che ci riporta all'Armadio Virtuale di Chimica: le sue infiorescenze hanno tipicamente un colore blu se il terreno è acido (cioè argilloso, ricco di torba o di stallatico), rosso se è basico (cioè calcareo). Si comporta cioè come un indicatore vivente di pH!
Dell'ordine delle Rosali fa parte anche il nespolo (Mespilus germanica), un alberello contorto a rami spinosi, dotati di foglie di notevoli dimensioni a picciolo carnoso, di un verde cupo sulla faccia superiore, ma bianche e pelose su quella inferiore. I fiori, grandi, bianchi e solitari, compaiono in maggio; i frutti, bruni e pelosi, sono grandi come noci ed hanno la forma di una piccola trottola; vengono consumati dopo un periodo di fermentazione, quando il mesocarpo, ricco di tannino, diventano molli e di sapore acidulo. Nella pianura padana è pianta spontanea di discrete dimensioni.
Il melograno (Punica granatum), che qui vediamo in una bellissima veste autunnale, è un rappresentante delle Mirtali, piante legnose affini alle Rosali. Originario dell'Asia occidentale ma trapiantato in tutta l'Europa submontana, il melograno è alto da 2 a 5 metri, ha foglie lanceolate e caduche e tipici frutti rappresentati da una bacca speciale detta balaustio; il suo pericarpo è assai coriaceo, ed internamente è diviso in più logge disposte su due piani, che contengono moltissimi semi sfaccettati, considerati squisiti, con tegumento rosso esternamente gelatinoso ed internamente legnoso. La pianta fiorisce in giugno e luglio.
Altra rappresentante dell'ordine delle Mirtali è l'eucalipto (Eucalyptus regnans), pianta originaria dell'Australia che però ha attecchito molto bene in Portogallo (dove questa foto è stata scattata dall'autore del sito), tanto che oggi il 30 % della superficie di quel paese è coperto da boschi di eucalpiti. Il suo nome significa "ben nascosto", poichè i petali nascondono il resto del fiore; si tratta di una pianta sempreverde che da giovane ha l'aspetto di un arbusto dalle foglie argentate, ma una volta adulto raggiunge i 25 metri ed ha voglie verdi di forma lunata. Lo si trova anche in Italia, nell'Agro Pontino, e da esso vengono estratti principi attivi utili nella cura delle affezioni della gola.
Della famiglia delle Papilionacee (sempre parte del vasto ordine delle Rosali) fa parte il carrubo (Ceratonia siliqua), da me qui fotografato nei pressi di Gerico, in Palestina. Si tratta di un albero sempreverde e piuttosto longevo, dalle foglie ampie e cuoiose. Possiede grappoli rossi di fiori senza corolla, e produce baccelli grassi e coriacei, pieni di una polpa dolciastra che circonda i semi duri. Spontaneo nelle zone meridionali aride, i suoi semi sono detti "carati" e nell'antichità erano usati per pesare le pietre preziose (da cui il significato attuale di carato). Vengono utilizzati per lo più per l'alimentazione degli animali.
Alla famiglia delle Papilionacee appartiene anche il glicine (Wisteria sinensis), un arbusto rampicante che, in aprile e in settembre, si ricopre di magnifici fiori violacei, molto odorosi, raccolti in grappoli pendenti, qui ingranditi sulla destra. È una pianta poco esigente, che sopporta anche le atmosfere inquinate delle nostre città. Originario della Cina, il glicine viene coltivato in Europa a partire dal 1825; può raggiungere i 20 m di lunghezza e vivere oltre i settant'anni.
Chiudiamo la galleria delle Rosali con un esponente della famiglia delle Crassulacee, così detta perchè le foglie di queste piante tropicali appaiono grasse (latino crassus). Per questa foto devo ringraziare l'amico Roberto Cattaneo, che mi scrive dalla Liguria per inviarmi queste foto di Kalanchoe daigremontiana, una pianta originaria del Madagascar che produce bellissimi fiori di color porporino. Nella sua isola d'origine raggiunge i tre metri di altezza; in Italia, dove è stata importata per scopo ornamentale, non supera i 60-80 cm. Resistentissima, sopporta il caldo e il freddo e richiede poca acqua, grazie alle foglie carnose che immagazzinano molta acqua.
Passiamo al vasto ordine delle Fagali, che comprende tutte le principali latifoglie europee. A rappresentarlo troviamo qui un bell'esemplare di betulla (Betula alba), un alberello infestante e resistente dalla chioma rada e dal tipico tronco bianco zebrato di nero, che sulle Alpi forma caratteristici boschetti al livello della faggeta, e che spesso (come in questo caso) viene piantato in pianura come albero decorativo per i suoi tronchi slanciati e per la chioma, che in autunno diventa dorata. Giunge ai 25 m d'altezza, ha piccole foglie romboidali, i rametti bruni aspri al tatto perchè ricoperti di ghiandole che secernono una resina granulosa, ed è diffusa lungo un arco vastissimo, che va dalla Siberia fino alla Spagna. In Italia si diffuse durante le glaciazioni.
L'ordine delle fagali si articola in due famiglie: Betullacee e Fagacee. Quest'ultima prende nome dal faggio, grande albero deciduo a corteccia liscia i cui fiori maschili sono tipicamente lunghi e penduli; in Europa è diffuso dalla Scandinavia  fino alla Grecia, anche se manca in Sardegna. In Italia forma estesi boschi su Alpi e Prealpi, ad altezze comprese fra i 750 e i 1500 m (il "livello della faggeta"). Il più tipico esemplare è il Fagus sylvatica, esigente quanto ad umidità ma in grado di sopportare le gelate tardive, pianta imponente e longeva. Spesso viene coltivato a scopo ornamentale, com'è il caso di questo Fagus purpurea, le cui foglie hanno un caratteristico colore rosso!
Diffusissimo nei nostri giardini perchè molto ornamentale (questo esemplare è stato fotografato a poca distanza da casa mia) è il cosiddetto faggio piangente (Fagus pendula), tipico rappresentante delle Fagacee il cui nome si indovina facilmente per via della forma dei suoi rami. È un albero originario dell'Europa ma ormai diffuso in tutto il mondo; l'esemplare qui fotografato è abbastanza giovane, ma esemplari più anziani possono raggiungere dimensioni gigantesche e coprire superfici enormi!.
Delle fagacee fa parte anche il vasto genere Quercus, che da solo comprende 300 specie. Si tratta sempre di alberi d'alto fusto, diffusi nell'emisfero settentrionale dalle regioni temperate sino alla Nuova Guinea. I fiori maschili sono tipicamente penduli, mentre il suo tipico frutto è illustrato nella fotografia sottostante. La quercia italiana di maggior mole, con i suoi 50 m d'altezza e 2 m di diametro del tronco, è la farnia (Quercus pedunculata) in figura. È la più longeva (anche 1000 anni di età), ma anche la più esigente; presenta una chioma ricca sostenuta da un'ampia impalcatura di rami; assai apprezzato è il suo legno. Il querceto rappresenta il tipico bosco delle zone submontane italiane.
Come detto, il tipico frutto della quercia è la ghianda, un achenio secco, globoso ed oblungo, coperto sulla sommità da una cupola legnosa. Essa contiene un solo seme, parzialmente avvolto da un involucro (che coincide proprio con la cupola), formatosi per escrescenza del peduncolo. Le ghiande venivano usate un tempo per l'alimentazione dei suini. Durante la Seconda Guerra Mondiale, una volta tostate e macinate, furono usate per preparare infusi come surrogato del caffé (bleah...)
Questa foto è stata scattata dal sottoscritto nel Parco Naturale di Portofino il 14/4/2005 durante una visita d'istruzione, e rappresenta un boschetto di lecci (Quercus ilex), tipici sempreverdi del genere delle querce, caratterizzati dal tronco rigato e da radici molto forti, in grado di trattenere il terreno e di rinforzare l'intera costa ligure. Purtroppo il leccio è molto frondoso e getta un'ombra densa ed oscura, tanto che i nostri antenati credevano che crescesse attorno all'ingresso del regno dei morti! E così fin dal '500 quasi tutti i lecci vennero estirpati per sostituirli con molto più estetici pini. Ma questi hanno scarse radici, e così non trattengono il terreno che tende a franare; inoltre gli aghi di pino non si disfano facilmente nel terreno, mentre le foglie di leccio danno vita ad un ricco humus. Per di più il leccio ha bisogno di ombra quando è giovane e di sole quando è d'alto fusto, e così fa fatica a ricrescere; ed è per questo che lunghi tratti della costa ligure appaiono tuttora assai spogli!
A rappresentare l'ordine delle Iuglandali chiamiamo questo esemplare di noce (Juglans regia), dalle dimensioni veramente imponenti. Il noce è una specie di fossile vivente, esemplare sopravvissuto di una flora preesistente all'attuale, ancor oggi diffuso dall'Europa alla Cina, ma da noi ormai è praticamente solo coltivato. Può superare i 40 metri ed il suo frutto è una drupa con mesocarpo carnoso (il mallo, vedi metà inferiore dell'immagine) al cui interno si forma un endocarpo legnoso (il guscio), che a sua volta contiene il seme (gheriglio), ricco di olio e di omega-3. Per questo la noce non deve mancare in nessuna dieta, anche se va consumata in quantità moderate per via del suo notevole apporto calorico.
Questo maestoso esemplare di salice piangente (Salix babylonica), da me fotografato sulla riva del Lago Maggiore presso Locarno (CH), appartiene all'ordine delle Salicali, e rappresenta una delle piante ornamentali oggi più diffuse, nei pressi degli specchi d'acqua ma anche nei giardini privati. Si tratta di una specie asiatica, forse originaria della Cina, alta fino a 10 m e con lunghissimi rami penduli, coperti di foglie strettamente lanceolate. Una bella leggenda vuole che i suoi rami siano stati utilizzati per fustigare Gesù durante la Passione, e che da allora la pianta abbia cominciato a piangere sulla malvagità degli uomini.
Dell'ordine delle salicali fanno parte due generi: Salix e Populus. Ed ecco alcuni rappresentanti di quest'ultimo: dei comuni e slanciati pioppi (Populus tremula), qui fotografati presso Brunello (VA). Sono piante legnose diffuse dall'Europa centrale fino all'Africa settentrionale, così chiamate perchè le foglie si muovono lungo l'esile e lungo picciolo ad ogni minimo refolo di vento. Raggiunge i 25 m, ha un fusto slanciato e diritto (ricorda la struttura dei cipressi), foglie quasi rotonde, è indifferente al pH del terreno e di rado vive oltre i 120 anni. La pioppicultura è assai diffusa in tutt'Italia nelle regioni collinari e montuose.
Passiamo  ora all'ordine delle Urticali, piante di enorme importanza economica perchè intensamente coltivate in tutto il pianeta. Questa tavola da laboratorio contiene in particolare diversi elementi della pianta del fico (Ficus carica), tipico rappresentante di quest'ordine e della famiglia delle Moracee. Il genere Ficus comprende circa 750 specie delle zone a clima caldo, coltivate fin dalla remota antichità se si pensa che Adamo ed Eva, secondo Genesi 3,7, si sarebbero coperti con foglie di fico dopo il peccato originale! Originario dell'Asia minore, il fico si diffuse in tutto il Mediterraneo, coltivato per la bontà del suo frutto composito (siconio). Molte altre specie del genere Ficus vengono invece coltivate come piante da appartamento.
Al genere ficus appartengono anche molte piante ben note in Europa in quanto coltivate come pianta ornamentale da appartamento. In fotografia si vede un esemplare di ficus benjamina presente nel mio salotto. Originario dell'Asia, tra tutti i ficus è certamente il più bello e con le foglie più lucide, oltre che ovali e decisamente acute in punta. In natura può raggiungere altezze considerevoli, ma in appartamento non supera i due metri. Teme gli ambienti secchi e le basse temperature. Come altre piante similari tende a perdere le foglie e ad essere attaccata dai predatori, e richiede cure pressoché costanti.
È un'Urticale, famiglia delle Moracee, anche il gelso (Morus alba), qui fotografato in aperta campagna, strettamente legato all' allevamento del baco da seta, perchè le lettiere per le larve di quest'ultimo sono realizzate proprio con foglie di gelso. Il gelso è infatti chiamato in alcune regioni d'Italia anche "albero dalla chioma d'oro" perchè produce l'"oro vegetale", cioè la seta. Pare sia originario della Cina; nel VI secolo fu introdotto a Costantinopoli da alcuni monaci assieme al baco; in Italia è coltivato a partire dal 1434. Nelle nostre campagne è ancora utilizzato anche per segnare i confini tra le diverse proprietà.
Alla famiglia delle Ulmacee, ordine delle Urticali, appartiene anche il maestoso olmo (Ulmus campestris), che qui vediamo in una foto tratta dal sito spagnolo http://www.arba-s.org. Si tratta di un grande albero con corteccia finemente screpolata, foglie caduche, fiori piccoli e verdi, e con frutti costituiti sa samare lunghe da 10 a 20 cm. È una pianta di origini eurasiatiche, ma si è spontaneizzata in Africa dopo esservi stata introdotta dai Romani; è piuttosto esigente, cresce in pianura e fino alla zona del castagneto. Il suo legno è particolarmente resistente alla rottura ed è utile per il mobilificio, giacché le sue venature evidenti sono particolarmente apprezzate. In Italia si è diffuso anche il cosiddetto Olmo siberiano, più resistente alle malattie.
La stella di Betlemme (Ornithogalum umbellatum), qui fotografata dal mio caro amico Enrico Pizzo, rappresenta la famiglia delle Asparagacee. Si tratta di una pianta perenne che si presenta in ciuffi di foglie lineari basali, che producono vistosi fiori bianchi di forma stellata, da metà fino a tarda primavera. I fiori si aprono tardi nella giornata (da qui il nome inglese "eleven-o'clock lady"). È originaria dell'Europa meridionale e dell'Africa nordoccidentale; viene spesso coltivata come pianta ornamentale da giardino, ma può diventare invasiva e nociva. La leggenda dice sia nata dai frammenti della stella di Betlemme.
A rappresentare l'ordine delle Centrosperme, famiglia delle Cariofillacee, troviamo questi bellissimi garofani dei poeti (Dianthus barbatus), caratterizzati dall'avere i fiori bianchi, rossi e rosa riuniti in mazzetti. I garofani sono probabilmente originari dell'Europa meridionale, anche se oggi i giardinieri li hanno diffusi in ogni dove. I fiori hanno una o due brattee erbacee sotto una corolla con cinque petali triangolari; solo la spiritromba di particolari farfalle riesce a penetrare dentro il loro calice stretto e profondo. I garofani sono assai apprezzati dai floricoltori che ne hanno ottenuto innumerevoli varietà per mezzo di incroci.
Dell'ordine delle Tricocche (ma non tutti gli autori lo riconoscono come tale) fanno parte piante sia erbacee che legnose, come il qui fotografato bosso (Buxus sempervivens). Si tratta di un arbusto sempreverde alto fino a 5 metri, con piccole foglie ovali coriacee e color verde scuro lucente sulla pagina superiore, verde giallastro su quella inferiore. Cresce su Alpi e Appennini dove fiorisce tra marzo e aprile, ma ormai è stato esportato in ogni dove per realizzare delle belle siepi come nella foto qui accanto. Il legno di bosso è molto pregiato ed utilizzato per le xilografie; le foglie hanno proprietà febbrifughe e lassative.
Un'altra pianta diffusissima nei giardini a scopo ornamentale (anche a ridosso di casa mia) è il Liquidambar, piantato perchè in autunno le foglie assumono una bellissima tinta di un rosso acceso. Le foglie sono palmato-lobate e le infiorescenze sono sferoidali e dotate di un lungo peduncolo. Dalla corteccia si ricavano succhi resinosi di color ambrato, da cui viene il nome della pianta ("ambra liquida"). Questo genere fa parte dell'ordine delle Amamelidali.
Sempre dell'ordine delle Amamelidali fa parte il platano (Platanus orientalis), albero molto comune nei nostri climi, alto fino a trenta metri e caratterizzato dalle infiorescenze sferiche pendule e dalla tipica corteccia che si sfalda in placche sottili e di forma irregolare (come si vede a sinistra). Spontaneo dal Mediterraneo orientale fino all'Himalaya, probabilmente fu introdotto in Italia dai Romani. L'auto accanto all'albero serve per fornire un'idea della maestosità dell'esemplare.
Continuiamo la galleria delle angiosperme con questa bellissima magnolia stellata, una delle prime piante a fiorire nelle zone temperate, il cui nome deriva da quello del botanico del seicento Pierre Magnol. Secondo alcuni la famiglia delle Magnolie (circa 100 specie, ordine delle Policarpiche) è la più antica di tutte le angiosperme; queste piante sono dotate di fiori grandi, vistosi e profumatissimi, e per questo sono amate dai giardinieri. Sono spontanee invece nell'Asia subtropcale e in Giappone. Richiedono terra non calcarea ed una temperatura superiore ai 10°; la loro corteccia ha proprietà toniche ed antireumatiche, mentre dai fiori si ricavano numerose sostanze odorose.
Strettamente imparentata con la magnolia stellata è la magnolia kobus, originaria del Giappone ma spesso piantata nei nostri giardini. Può raggiungere gli 8-15 m di altezza e fiorisce all'inizio della primavera, producendo fiori bianchi e profumati con sfumature rosa pallido che spuntano prima delle foglie. Molto caratteristico è il frutto, che dà vita a grappoli di piccoli semi rossi (vedi figura in basso) che attirano gli uccelli!
Un'altra specie di magnolia molto diffusa nei nostri giardini (anche nel mio) è la Magnolia grandiflora; per capire l'origine del suo nome basta osservare la foto a sinistra, in piena fioritura tra aprile e maggio. Ha voglie verdi lucide superiormente e color ruggine inferiormente, e grandi fiori bianchi; ogni fiore dà vita a numerosi frutti riuniti in grappolo, come allude il nome stesso dell'ordine, visibili sulla destra. La Magnolia grandiflora può raggiungere altezze considerevoli, di alcune decine di metri.
Altre specie di magnolia sono la Magnolia liliiflora e la Magnolia soulangeana, entrambe con grandi fiori i cui petali sono screziati di violetto (vedi nel riquadro) È stata importata nel 1737 dal sud degli Stati Uniti, ma ha dato vita ad un grandissimo numero di varietà, che richiedono tutte molte cure: pur essendo resistente al freddo, teme le gelate tardive e va tenuta al riparo dai venti. Assai pericolosa per questa pianta è anche la famigliola, una malattia provocata da un fungo che causa la putrefazione delle radici. In genere viene fatta riprodurre per talea. La magnolia è l'albero simbolo degli stati americani di Mississippi e Louisiana, tanto che il Mississippi viene chiamato anche "the Magnolia state" per l'abbondanza si magnolie sul suo territorio!
Le ninfee (genere Nymphea) sono uno dei fiori più amati, nei giardini delle grandi ville signorili o dei parchi, perchè si tratta di piante acquatiche di grande bellezza e diffuse nelle acque dolci di quasi tutto il mondo; qui le vediamo fotografate in Cina da una mia amica. Le foglie sono ellissoidali e galleggiano al pelo dell'acqua, la pagina superiore è protetta da uno strato ceroso mentre i fiori vistosi sono collegati ad un lungo peduncolo. Hanno anche rinomate proprietà medicinali.
Ed ecco un magnifico vasi di ciclamini. Il nome del genere (Cyclamen) deriva dalla parola greca kyklos ("cerchio"), in riferimento alle radici tuberose rotonde; fu il botanico francese Joseph Pitton de Tournefort (1655-1708) a introdurlo per primo. Le pianticelle sono alte al massimo 15 centimetri, e crescono a partire da un bulbo arrotondato; hanno foglie cuoriformi e fiori di color carminio, molto profumati; sono diffusi su tutte le Alpi, e vengono abitualmente coltivati come piante da giardino. Non vanno assolutamente ingeriti, perchè sono velenosi; nell'antichità si credeva potessero allontanare i malefici.
Questi sono alcuni esemplari di portulache (Portulaca oleracea), appartenenti alla famiglia delle Portulacacee. Detta anche Porcellana comune, è molto comune dalle nostre parti, in estate produce fiorellini di tutti i colori possibili e immaginabili, che generano frutti contenenti  moltissimi semi. Originaria dell'Asia, fa foglie e fusti carnosi, tanto da sembrare una pianta grassa. Viene spesso coltivata in vaso come pianta ornamentale, per la bellezza dei suoi fiori, ma è anche usata come pianta officinale.
La famiglia delle Leguminose, di cui riparleremo più avanti, è rappresentata non dai soliti ceci o fagioli, ma da questo Spino di Giuda (Glieditsia triacanthos), fotografato nel giardino botanico del mio Liceo: è un albero con fusto eretto dal quale emergono gruppi di spine purpuree lunghe e ramificate. Il nome fa riferimento alla corona di spine di Gesù Cristo (triacanthos significa "a tre spine"). Originario del Nordamerica, fiorisce tra maggio e giugno, dopo lo sviluppo delle foglie; i frutti sono legumi ricurvi, di colore scurissimo e lunghi fino a 40 cm, come si vede nella parte bassa della foto.
Questa foto, inviatami dall'amica Giulia Grazi, rappresenta alcuni esemplari di caprifoglio o madreselva (Lonicera caprifolium), un arbusto legnoso di medie dimensioni dai fiori profumati e colorati di bianco e di rosso, appartenente alla famiglia delle Caprifogliacee. Il suo frutto è una bacca velenosa ovale, di colore rosso vivo e contenente alcuni semi discoidi. Questa pianta è tipicamente originaria dell'Italia, e il suo nome deriva dal fatto che le capre amano brucare le sue foglie. Il suo nome scientifico rappresenta invece un omaggio al botanico di Francoforte Adam Lonitzer (1528-1586).
Nell'ambito delle Policarpiche, le Calicantacee costituiscono una piccola famiglia ben rappresentata da questo Calicanto d'inverno (Chimomantus praecox), un arbusto dalla corteccia aromatica che ha la caratteristica di fiorire in pieno dicembre, quando tutto il resto del mondo vegetale si trova immerso nel letargo invernale, con una cascata di fiori gialli, profumati e di forma stellata. La fioritura avviene sull'arbusto privo di foglie; qui invece il calicanto è fotografato in maggio, nella sua veste estiva, piena di foglie e di piccoli frutti marroni. Originario del Nordamerica, è stato importato in Europa nel 1726.
Restando nell'ordine delle Policarpiche, famiglia delle Lauracee, troviamo l'alloro (Laurus nobilis), pianta un tempo carica di significati religiosi perchè sacra ad Apollo, come testimonia la famosa leggenda di Apollo e Dafne, ripresa da Ovidio nelle sue "Metamorfosi". Di alloro erano coronati i vincitori delle Olimpiadi e i generali in trionfo, ed ancor oggi chi supera l'università riceve una "laurea"! Pianta sempreverde, ha foglie coriacee, dai margini appuntiti e ricche di sostanze oleose; le infiorescenze sono gialle e per lo più ermafrodite. Può diventare un albero alto fino a dieci metri, tipico della macchia mediterranea dove forma interi boschetti detti laureti. Le foglie sono utilizzate in cucina per aromatizzare carni ed arrosti.
Qui vedete un terrario con una coltivazione di brugo (Calluna vulgaris), una pianta dell'ordine delle Ericali il cui nome in greco significa "spazzare", perchè un tempo il brugo veniva usato per realizzare scope; in Polonia viene chiamata wrzos, da cui deriva il nome del mese di settembre (wrzesien), quando il brugo fiorisce. Si tratta di un piccolo arbusto perenne che cresce fino ad un'altezza di 50 cm, comunissimo ai piedi delle Prealpi lombarde, dove costituisce le vaste "brughiere" o "zone delle baragge". Questi esemplari sono stati raccolti proprio nelle brughiere che circondano il mio paese natale.
Quella qui fotografata è la poinsettia (Euphorbia pulcherrima), comunemente chiamata Stella di Natale. Il suo nome deriva da quello di Joel Robert Poinsett, il primo Ambasciatore degli Stati Uniti in Messico, che introdusse la pianta negli Stati Uniti nel 1825. Essa appartiene all'ordine delle Euforbiacee, ed è diventata una dei simboli del Natale per via della sua corona di brattee rosse, erroneamente credute la corolla del fiore: i veri fiori, detti ciazi, sono piccoli e gialli al centro delle brattee. È una pianta fotoperiodica o brevidiurna, e per questo la sua fioritura avviene in pieno inverno, quando le giornate sono più corte. Questo fatto e le brattee rosse hanno contribuito ad associarla alle festività natalizie.
Dell'ordine delle Parietali fa parte la famiglia delle Violacee, attivamente coltivate per via dei bellissimi fiori che le ornano. Le viole sono piante per lo più erbacee e perenni, con fiore ermafrodito costituito da cinque petali colorate di blu o di giallo nelle specie spontanee (come questa, proveniente dal mio giardino). In Italia si contano almeno trenta specie spontanee ed una quantità innumerabile di incroci ed ibridazioni. La più diffusa è quella della foto, la Viola hirta o viola mammola, di appena 3-10 cm con fiori del colore che ha lo stesso nome della pianta, molto odorosi. Due petali sono eretti verso l'alto, due sono rivolti di lato e l'inferiore è più largo. I suoi decotti si usavano un tempo contro le affezioni delle vie respiratorie.
Un'importante famiglia delle Parietali è quella delle Caricacee, piante diffuse soprattutto nella fascia tropicale. Il suo più famoso rappresentante è la papaya (Carica papaya), una pianta a fusto cilindrico alta da 3 a 10 metri, con un ciuffo di foglie apicali, dotata di fiori bianchi, gialli o verdi, molto profumati. Il suo frutto pesare in media un chilo, ha la buccia giallognola e presenta una cavità centrale zeppa di semi neri. La polpa zuccherina è gialla e profumata, ed ha conosciuto di recente una larga diffusione anche in Europa. Esso contiene la papatina, che rende più facile la digestione delle carni consumate insieme alla papaya.
Una parietale è anche il lauroceraso, molto utilizzato per formare siepi, non solo per l'indiscussa bellezza delle sue foglie, ma anche perchè molto tollerante alle potature. Le foglie, di un bel verde lucido, sono persistenti e coriacee e tollerano bene i vari inquinanti urbani; l'arbusto è sempreverde, folto e compatto, ed i fiori bianchi e profumati danno luogo a drupe nerastre, simili a piccole olive nere velenose. Le siepi di lauroceraso sono molto fitte e possono diventare alte diversi metri.
Come rappresentante dellle Readali (famiglia delle Papaveracee) ho scelto questi papaveri (Papaver rhocas), piante erbacee con quattro petali di un rosso intensissimo, ciascuno con una macchiolina nera alla base, sepali pelosissimi ed uno stelo alto fino a mezzo metro. Crescono nei campi e sui muri, dalla zona marina a quella alpina in tutta Italia, dove fioriscono da marzo a luglio. Risultano diffusi anche in Asia, Africa ed America del nord. Nel lattice si trova la roedina, che conferisce al suo infuso un' azione sedativa. Purtroppo il Papaver somniferum ha frutti che, se incisi quando sono acerbi, secernono un lattice dal quale si estrae l'oppio, donde si estraggono la morfina e l'eroina, vere piaghe della nostra civiltà occidentale.
Delle Readali fa parte la famiglia delle Crocifere, formata da piante erbacee molto note nell'orto o in erboristeria. Qui vediamo un suo tipico rappresentante, la Brassica oleracea, varietà sabauda, meglio nota agli erbivendoli come cavolo verza. Si tratta di una pianta biennale originaria dell'Europa mediterranea, con radice a fittone e foglie rotonde, di color verde scuro e dal picciolo assai corto; può diventare alta anche oltre mezzo metro. Le foglie sono tenere e commestibili da giovani; il cavolo verza è ottimo bollito o in minestra, e contiene moltissimi sali minerali e vitamine. Nei paesi di cultura tedesca viene fatto fermentare per dare vita ai popolari crauti. Nell'antichità era considerata una panacea contro molti mali, soprattutto contro le coliche.
Il cavolfiore (Brassica oleracea) è un ortaggio apprezzato in cucina, di colore bianco, verde o violetto, a seconda delle varietà. Ma una mattina del 1971 a Bradford (Ontario, Canada) un agricoltore notò una strana macchia arancione nel bel mezzo del suo campo di cavolfiori: era un esemplare divenuto di un colore arancione acceso per via di una mutazione genetica casuale. Anziché strapparlo lo fece esaminare, e scoprì che la mutazione era dovuta a un gene che aveva causato un accumulo anomalo di caroteni nei cromoplasti delle cellule. Dopo anni di studi e incroci con cavolfiori bianchi è nata una nuova varietà che è apparsa anche sugli scaffali del supermarket vicino a casa mia, dove io l'ho fotografato!
Quella fotografata in figura è una coltivazione di colza (Brassica napus) alla periferia del mio comune, Lonate Pozzolo. Fa parte della famiglia delle Crocifere, ed il nome deriva dall'olandese "Koolzad", che significa seme di cavolo. Diffusa fin dal Medioevo nell'Europa centro-settentrionale, dai suoi semi veniva estratto l'olio da impiegare nell'illuminazione pubblica. Oggi è coltivata come alimento per animali (come nel caso in questione), come fonte di olio vegetale alimentare e come combustibile nel biodiesel. Caratteristica è l'infiorescenza di un giallo brillante, che sboccia tra marzo e aprile.
Dell'ordine delle Guttiferali (ma non tutti accettano questa suddivisione) fanno parte le teacee o cameliacee, circa trenta generi con 500 specie delle regioni subtropicali. Sono alberi ed arbusti con il fiore a disposizione spiralata e stami numerosi. Del genere Camelia fanno parte bellissime piante ornamentali, che nel paese d'origine (il Giappone) raggiungono i 12 metri d'altezza, mentre in Italia, come nel caso della foto, superano raramente i due. Per ovvi motivi ornamentali, queste piante sono state esportate praticamente in tutto il mondo, generando migliaia di varietà, talvolta credute addirittura specie a sé stanti.
Ed ecco un magnifico fiore di Camellia japonica, principale rappresentante del genere delle camelie; praticamente tutte le camelie da noi coltivate sono varietà di questa specie. Ha foglie lucide e coriacee e fiori con cinque sepali verdi e coriacei circondati da brattee; qui sono ben visibili i numerosi stami gialli in mezzo ai cinque petali carnosi a simmetria raggiata. Fiorisce con un'esplosione di rosso da novembre a maggio; l'ha resa famosa Honoré de Balzac con la sua "Signora delle Camelie", da cui poi Verdi ha tratto uno dei più famosi melodrammi di tutti i tempi, "La Traviata"..
Pochi lo sanno, ma del genere Camellia fa parte anche il (Camellia sinensis). Qui mi vedete fotografato insieme a tre ben note varietà di questa deliziosa bevanda, apprezzata in tutto il mondo ma diffusa soprattutto dagli inglesi: il celebre tè "Earl Grey" (il tè delle cinque per i britannici), il tè adatto per la colazione ed il celeberrimo tè verde. Per ottenerlo, poco dopo la raccolta le foglie vengono sottoposte a un trattamento termico chiamato "stabilizzazione" (in inglese "fixation") che inibisce gli enzimi responsabili dell'ossidazione e permette al tè di mantenere il proprio colore verde!
La famiglia delle Actinidiacee fa parte delle Guttiferali e comprende vari arbusti diffusi in Asia ed Oceania. Questa famiglia ben difficilmente sarebbe rappresentata in questa galleria se non fosse per il kiwi (Actinidia chinensis), originario della Nuova Zelanda e così detto perchè il frutto marrone, una bacca ricchissima di vitamina C, è ricoperto di peluria e ricorda l'omonimo uccello, che vive proprio in Nuova Zelanda. L'Italia ne è uno dei massimi produttori mondiali, ed il frutto (la cui polpa è verdissima e zuccherina) difficilmente manca nelle nostre macedonie.
A rappresentare le columnifere o malvali chiamiamo questi esemplari di tiglio (Tilia europaea). Si tratta di una pianta arborea il cui nome deriva dal greco ptìlon, "ala", con riferimento alla brattea di cui sono dotati i frutti, e ne facilita la disseminazione in zone lontane dalla pianta madre per effetto del vento, proprio come un'ala. In Italia la si trova nei boschi di latifoglie fino a 1200 m di quota, assieme a querce, aceri e castagni; richiede ambienti piuttosto soleggiati ma, grazie ad un apparato radicale assai tenace e profondo, una volta adulta resiste alle condizioni climatiche più avverse. Raggiunge i 30 m ed è spesso usata per decorare parchi e viali alberati, come nel caso della fotografia.
Naturalmente l'ordine delle malvali prende il nome dalla Malva (Malva rotundifolia), pianta erbacea nota fin dall'antichità per le proprietà toniche dell'infuso delle sue foglie e dei suoi calici floreali; un suffumigio realizzato con quest'infuso è utile per distaccare il catarro durante le affezioni della gola e della trachea. Viene però coltivata anche per la bellezza dei suoi fiori violacei. Colpisce la stretta parentela tra questa pianticella dalle foglie rotonde e gli enormi tigli della foto precedente; ma anche questo fatto contribuisce a rendere tanto straordinaria l'osservazione della Natura.
La foto a fianco mi è stata inviata dall'amico Salvatore Argenziano, appassionato di fotografia, e mostra un bellissimo fiore di Ibisco (Hibiscus rosa-sinensis), sempre dell'ordine delle Malvali. In Italia meridionale cresce spontaneo, ed infatti Salvatore vive in Campania. Le piante in vaso hanno una crescita veloce e raggiungono in breve tempo 1,5 m di altezza. Cliccando qui potete scaricare una bellissima presentazione di Power Point dell'amico Salvatore che mostra lo sbocciare di un fiore di Ibisco!
Dell'ordine dei Geraniali fa parte ovviamente il geranio (il nome allude alla gru per il tipico becco del frutto), tipica pianta erbacea con il fusto nodoso, le cui foglie hanno una tipica nervatura palmata, tipicamente odorosa. Anche i fiori sono caratteristici, riuniti in ombrellini e dotati di cinque sepali persistenti e di cinque petali caduchi. Se ne conoscono circa 600 specie delle dimensioni più diverse; sono coltivate come piante ornamentali, ma anche per le sostanze oleose che forniscono.
Passiamo all'ordine delle Terebintali, piante legnose ricche di balsami, olii e resine. Sicuramente la più importante famiglia di quest'ordine è quella delle Auranzioidee, cui appartengono gli agrumi, tutti sempreverdi, coltivati nelle regioni calde di entrambi gli emisferi, e così detti perchè il loro tipico frutto (detto esperidio) ha un tipico sapore agro; la buccia esterna è vivacemente colorata e ricca di olii essenziali, mentre la polpa è divisa in logge o spicchi ed è formata da cellule ingrossate e strapiene di un succo acidulo. Questa bella tavola da laboratorio contiene vari elementi della pianta di limone (Citrus limonium), originaria dell'estremo oriente e trapiantata in Europa verso il 1200. Tipici sono i suoi frutti allungati del color dell'oro.
Dello stesso ordine e famiglia fa parte anche il mandarino (Citrus nobilis), dotato di foglie piccole e lanceolate e di frutti molto più piccoli del limone e dell'arancio, assai compressi in senso longitudinale; i loro spicchi sono facilmente separabili tra loro ed anche la buccia si distacca da essi piuttosto facilmente. Questo fatto, unitamente alla dolcezza della sua polpa, ha favorito la fortuna commerciale di questa pianta. Originaria della Cina (ma qualcuno dice del Laos), è stata trapiantata praticamente in tutto il mondo ed i suoi frutti non mancano in nessun mercato ortofrutticolo, anche se spesso sono associati al menù natalizio.
Non tutti lo sanno, ma il sequenziamento del genoma di alcuni agrumi ha permesso di dimostrare che quasi tutti gli agrumi coltivati al mondo sono il risultato di incroci di sole tre specie: il cedro, il mandarino e il pomelo (Citrus maxima). Quest'ultimo lo vedete a sinistra: è largo fino a 30 cm di diametro, ha una forma a pera e ha molto albedo (la parte spugnosa bianca non commestibile). È nativo del Sud-Est siatico ed è stato introdotto in Spagna dagli Arabi attorno all’anno 1000.
Della famiglia delle Aceracee fa invece parte l'acero, del quale si conoscono ben 120 specie, tutte diffuse esclusivamente nell'emisfero boreale, e tutte di grandi dimensioni e a foglia caduca. Tipiche sono le foglie riprese in questa fotografia, divise in tre grandi lobi (la foglia d'acero campeggia sulla bandiera del Canada), ed i frutti, formati ciascuno da due acheni, che da parti opposte presentano ciascuno una lunga ala membranosa, atta a favorirne la diffusione per mezzo del vento.
Un altro esponente dell'ordine delle Terebintali, ma appartenente alla famiglia delle Ippocastanacee, è l'ippocastano (Aesculus hippocastanum), albero assai diffuso in Italia per adornare i parchi per via della chioma folta ed ombrosa e della bella fioritura primaverile. Raggiunge i 30 metri con corteccia scagliosa e tipiche foglie obovali, cuneiformi e dentellate. I fiori, radunati in pannocchie, danno vita a grosse capsule sferiche e spinose, ciascuna delle quali contiene un solo seme lucido e bruno che ricorda vagamente una castagna (donde il nome); tale seme è ricco di amido ma velenoso per la presenza di argirescina, un glucoside amaro. In gioventù l'albero è sensibile alle gelate tardive, ma nei climi temperati resiste bene.
Ed ecco un frutto tropicale: il mango (Mangifera indica), sempre appartenente all'ordine delle Terebintali. famiglia delle Anacardiacee. È un albero è sempreverde con la corteccia resinosa, il legno rosso, le foglie appuntite e lucide, i fiori giallastri o bianco-rosati. Di origine indiana, appare in molte leggende e anche oggi viene considerato sacro dagli Indù, che lo usano come ornamento per i loro templi. Oggi viene coltivato in quasi tutti i paesi tropicali. Il frutto arriva al chilo di peso ed ha la polpa gialla, profumata e gustosa. La sua buccia può essere di colore verde, giallo, rosso, oppure un mix di questi colori.
Altro frutto tropicale è l'avocado (Persea americana), così chiamato dal nahuatl āhuacatl, "testicolo", per analogia con la forma di quest'organo. È originario dell'America centrale e può essere alto più di 10 metri. Il frutto è una drupa a forma di pera, lunga dai 7 ai 20 centimetri, con un grosso seme centrale; è ricco di betacarotene e glutatione ed è molto calorico. Come si vede nella foto, è ottimo sminuzzato e cosparso di sale e di limone; di solito lo si consuma come contorno di piatti salati.
Dell'ordine delle Celastrali, piante dotate di un disco posto nel fiore all'interno degli stami, fa parte l'agrifoglio (Ilex aquifolium), l'unica pianta del genere rappresentata nella flora italiana. Esso raggiunge anche i 20 m, ma per lo più, come in questo caso, ha la stazza di un cespuglio; vive anche 300 anni, ha corteccia liscia e foglie coriacee di un intenso color verde scuro, lucide di sopra e con i bordi spinosi. I frutti maturano in autunno avanzato e sono bacche rotonde grosse come piselli. Si tratta di un tipico albero per decorazioni natalizie; secondo la mitologia nordica era sacro, perchè su di esso sarebbe caduto Balthur, il dio del bene figlio di Odino, dopo essere stato ucciso da Loki, il dio del male.
Non può mancare un accenno alla vite (Vitis vinifera), facente parte dell'ordine delle Ramnali, famiglia delle Vitacee; presumibilmente originaria delle coste del Mar Nero, si diffuse poi in tutto il mondo grazie alla coltivazione, iniziata già nel 6000 a.C. (una leggenda racconta che fu il diavolo ad insegnare a Noè a coltivare la vite per indurre gli uomini ad ubriacarsi). Dal fusto contorto si dipartono rami detti tralci, dotati di viticci, rami trasformati ed atti ad avvinghiarsi a supporti. Le infiorescenze a forma di pannocchia danno vita ai grappoli di acini. Come si vede dalla foto, l'uva può essere bianca o nera. 
« Pace, o pampinea vite! Aureo s'accoglie / il sol nel tuo lungo grappolo mite: / aurea la gioia, e dentro le brunite / coppe ogni cura in razzi d'oro scioglie ». Così cantava Giovanni Pascoli nelle sue "Myricae". La viticoltura risale addirittura alla fine del Neolitico (secondo la Bibbia il primo viticoltore fu il patriarca Noè), e la sua diffusione in Italia è dimostrata da questa magnifica foto dei vigneti presso Cinto Euganeo (PD), inviatami dall'amico Enrico Pizzo!
Dell'ordine delle Umbelliflore, famiglia delle Araliacee, fa parte l'edera (Hedera helix), un tempo nota con il nome di "abbracciabosco", ed il perchè è facilmente spiegato osservando questa fotografia: è un rampicante, cioè si aggrappa ai tronchi degli alberi, ma anche alle rocce a strapiombo ed ai muri, mediante radici avventizie. Può anche serpeggiare sul terreno; si conoscono esemplari il cui fusto è lungo addirittura 50 m. È una pianta ornamentale, ma anche abbastanza velenosa. Invece è nota con il nome di "edera spinosa" la specie Smilax aspera, che fa parte di tutt'altro ordine, quello delle Liliiflore.
È un'umbelliflora, sempre della famiglia delle Araliacee, anche questa Schefflera actinophylla, indigena dell'Australia ma esportata praticamente in tutto il mondo per la bellezza del suo fogliame, che ne fa una tipica pianta d'appartamento. Purtroppo se temperatura ed umidità non sono quelle giuste, comincia inesorabilmente a perdere le foglie.
Una pianta arbustiva delle Alpi, a tutti ben nota, è il rododendro (Rhododendron ferrugineum), dell'ordine delle Ericali, che all'inizio dell'estate si abbellisce con fiori intensamente rosei o violacei. Può attecchire fino a 2500 metri ed è diffusa fino ai Carpazi; le specie dell' Himalaya giungono ai 15 m. Purtroppo è assai velenosa; il cosiddetto "olio di marmotta" usato come vulnerario, si ricavava in realtà dall'infusione delle galle giallo-rosse che si trovano spesso sulle loro foglie, dovute al fungo Exobasidium rhododendri.
Un genere di fiori derivato dai rododendri è quello delle azalee (dal greco azaléos. "secco"), di cui qui vediamo un bellissimo esemplare. Si tratta di specie arbustacee (Rhododendrum indicum) alte al più un metro, che formano fitti tappeti cosparsi di piccoli fiori, in origine rosei o rossi, ma poi ottenuti di tutti i colori possibili grazie a pazienti incroci. Crescono anche su terreni poveri, purché siano acidissimi; di qui l'abitudine, da parte di alcuni giardinieri, di cospargere il suolo intorno alle loro radici con bucce di agrumi finemente sminuzzate. Queste piante resistono fino a - 40° C, crescono sino a 3000 m e fioriscono a maggio.
Passiamo all'ordine delle Diospirali o Ebenali, piante legnose anche di grandi dimensioni, essenzialmente tropicali. Almeno un rappresentante di quest'ordine è ben noto a tutti noi: si tratta del kaki (Diospyros kaki), originario della Cina merdionale (per questo è detto anche "mela d'oriente") ma trapiantato in Europa e in America a partire da metà ottocento. Le grandi foglie sono ovali e lucenti, mentre i frutti sono grosse bacche sferoidali, di colore giallo-aranciato, e vengono consumati solo dopo essere giunti a sovramaturazione, con la polpa molliccia. Il kaki viene chiamato anche “l’albero della pace”, perchè al terribile bombardamento nucleare di Nagasaki dell’agosto 1945 sopravvissero soltanto alcuni alberi di questa specie.
L'ulivo (Olea europaea), ordine delle Ligustrali, è una delle più antiche piante coltivata dall'uomo, perchè i suoi frutti (olive) vengono premuti in un frantoio per la produzione dell'olio o direttamente per l'alimentazione umana. Originario dell'Asia Minore, l'olivo è coltivato in tutto il mondo, ma soprattutto nelle regioni mediterranee. Quelli nella foto sono olivi famosissimi e millenari, poiché si trovano a Gerusalemme nel cosiddetto Getsemani, dove Gesù venne arrestato la sera del Giovedì Santo. Questa foto mi è stata inviata dall'amico Stefano Rota, che ringrazio calorosamente.
Dell'ordine delle Genzianali fa parte l'oleandro (Nerium oleander), un sempreverde mediterraneo che forma arbusti alti anche più di un metro, com'è il caso dell'esemplare qui fotografato, che si trova in casa mia. Le foglie sono lunghe e lanceolate, con apice molto acuto, ed i fiori sono intensamente rosati, ma anche bianchi o di un rosso vivo. Si tratta di una pianta fortemente velenosa, i cui principi però possono venire usati per curare l'insufficienza cardiaca.
Il frutto dell'oleandro è un follicolo fusiforme, stretto e allungato, lungo dai 10 ai 15 cm. Una volta maturo, esso si apre longitudinalmente lasciando fuoriuscire i semi. Il seme ha dimensione variabile dai 3 ai 5 mm di lunghezza, ha circa 1 mm di diametro e, come si vede in questa fotografia, è circondato da una fitta e lunga peluria disposta ad ombrello, detta pappo, che permette al seme di essere trasportato dal vento anche per lunghe distanze. Un modo veramente efficace per disperdere i semi di oleandro lontano dalla pianta madre!
Le tubiflore sono un grande ordine di dicotiledoni con fiore tipicamente ristretto alla base in un tubo più o meno sviluppato, donde il nome. Di solito sono piante erbacee; di quest'ordine fanno parte tutti i più famosi ortaggi come la patata, il pomodoro, il tabacco, la salvia, la menta e, naturalmente, il peperone qui illustrato (Capsicum annuum), che fa parte della famiglia delle solanacee. Indigeno dell'America centromeridionale, fu importato in Italia nel '500 e produce tipiche bacche cave di colore dolce o piccante, come si vede in figura, contenenti molte vitamine e la capsaicina, un eccitante della mucosa gastrica.
Di quest'ordine fa parte anche il pomodoro (Solanum lycopersicum), originario dell'America, ma importato dagli Spagnoli dal natio Perù, dove era attivamente coltivato. Il termine dialettale "tumatis" con cui è conosciuto in Lombardia, infatti, trae origine dal nome azteco della pianta, "tumatl". Oggi non manca in nessuno dei nostri orti, anche se i maggiori produttori italiani si trovano in Campania e Puglia, dove si è diffusa la "pizza c'a pummarola". In genere la pianta necessita di tutore; i fiori hanno forma stellata, mentre i frutti (in basso a sinistra) possono avere le forme più varie, globosa o cuoriforme, allungata o a forma di ciliegia, a seconda delle varietà, spesso destinate alla conserva. La pianta soffre il freddo e richiede molto sole.
Il genere Digitalis delle Tubiflore presenta una tipica corolla allungata e campanulata. La specie più famosa e più diffusa nei nostri giardini è la Digitalis purpurea, alta sino ad un metro e tipicamente rampicante su colonne e recinzioni. Se ne ricava la cosiddetta digitalina, usata un tempo per curare l'insufficienza cardiaca; azione simile, ma meno tossica, anno i glucosidi della varietà Digitalis lanata, dell'Europa orientale.
Delle Tubiflore, che come si è detto è un ordine molto vasto, si conoscono più di 20.000 specie, tra cui la lavanda (Lavandula spica), appartenente all' ordine delle Labiate. Essa viene coltivata per ricavarne un'essenza dal delicato profumo mediante distillazione delle sommità fiorite. Cresce fino a 2000 m, ha un fusto legnoso e robusti rami a cespuglio coperti di foglie grigiastre e lineari. Nelle case è diffusa l'abitudine di profumare la biancheria ponendo negli armadi un sacchetto di infiorescenze di lavanda.
Dell'ordine delle Tubiflore, famiglia delle Labiate, fa parte anche il comune rosmarino (Rosmarinus officinalis), tipica pianta mediterranea perchè assai esigente quanto a temperature: in Italia settentrionale è spontaneo solo intorno al lago di Garda grazie al clima assai mite delle sue coste. Cresce fino a 2 m e sviluppa un numero enorme di ramificazioni; le foglie sono lanceolate, verdi sopra e biancastre di sotto, fortemente odorose e per questo assai apprezzate in cucina (il nome deriva da "ros marinus", rugiada marina); i fiori compaiono a fine inverno all'apice dei rami, e sono di un bellissimo colore violaceo.
Sempre nello stesso ordine viene classificata un'altra erba assai utilizzata per insaporire le vivande, la salvia (Salvia officinalis). Spontanea nel sottobosco della macchia mediterranea, soprattutto in Dalmazia, è attivamente coltivata (anche nel giardino di casa mia) come erba aromatica. Alta fino a un metro, presenta foglie lanceolate e fittamente venose, mentre i fiori, che compaiono all'apice del fusto, sono particolarmente vistosi e colorati. Le si attribuiscono fin dall'antichità proprietà toniche e digestive, e viene particolarmente utilizzata per insaporire gli arrosti.
Thymus vulgaris, meglio noto come timo, è una labiata verde-grigiastra alto non più di 20 cm, tipica della vegetazione della macchia mediterranea, anche se lo si può trovare spontaneo anche sulle Langhe è in Val d'Aosta. Come si vede in figura, produce piccole infiorescenze rosate; essendo fortemente odorosa, è particolarmente indicata per insaporire arrosti. L'aroma caratteristico è prodotto da un olio essenziale che contiene timolo; veniva perciò usata anche nell'arte delle tisane con una funzione battericida ed antielmintica (cioè adatta ad eliminare dal corpo gli elminti, vale a dire i vermi).
Una labiata molto comune è la menta (Mentha piperita), e mi dispiace davvero che da Internet non si possano scaricare anche i profumi, affinché possiate apprezzare quello di questa pianta, alta sino ad un metro e coltivata proprio per i suoi effluvi. In cucina è utilizzata per aromatizzare arrosti e secondi piatti; è però molto usata anche in farmacologia, non solo come digestivo e carminativo (aiuta ad espellere i gas intestinali), ma anche perchè se ne estrae il mentolo, utilizzato per aromatizzare i dentifrici e le pastiglie altrimenti amare. I suoi oli essenziali sono assai utilizzati in profumeria.
Chiudiamo la famiglia delle Labiate con il basilico (Pcymum basilicum), originario dell'Asia tropicale ma diffuso in tutti i nostri orti come erba aromatica, per il suo sapore intenso. Molti lo ritengono erroneamente originario della Liguria perchè il pesto, salsa composta da olio, basilico e pinoli tritati, è uno dei condimenti più famosi di quella regione. A differenza della menta ha foglie globose e glabre e piccoli fiori bianchi che formano lunghe infiorescenze. Si è scoperto che contiene una sostanza cancerogena; ma, per essere pericolosa per l'uomo, andrebbe ingerita in quantità industriali.
La famiglia delle Caprifogliacee è qui rappresentata da questo sambuco (Sambucus nigra), la cui foto mi è stata inviata dalla cara amica Giulia Grazi Bracci. Questa pianta invade facilmente i luoghi incolti e sassosi e le siepi, ed è poco amata da molti perchè certe specie emanano un odore piuttosto sgradevole. È un arbusto a foglie composte ed è molto frequente dal livello del mare fino ai mille metri di quota; i fiori fritti sono apprezzati dai buongustai. Impossibile non farsi venire in mente i versi di una notissima canzone di Fabrizio de Andrè: « e frustando il cavallo come un ciuco / tra i glicini e il sambuco / il re si dileguò...»
Le Cucurbitali sono un ordine qui ben rappresentato da questa comunissima zucchina (Cucurbita pepo), importata dall'America meridionale dai Conquistadores spagnoli. La forma più diffusa nei nostri orti è la variante italica, per l'appunto qui fotografata nel giardino di casa mia. Il suo frutto viene mangiato ancora immaturo e prende il nome comune di "zucchina" per analogia con le zucche più grandi. Se ne mangiano anche i fiori carnosi e gialli, ottimi fritti o bolliti.
Questo datato ma utilissimo plastico da laboratorio illustra la margherita (Bellis perennis), il bel fiore dei prati il cui nome deriva dal latino "margarita", perla, per il colore di quelli che sembrano i suoi petali. In realtà, come mostra lo spaccato, il cosiddetto "fiore" è in realtà una complessa infiorescenza formata da fiorellini tubolari gialli al centro, circondati da ligule bianche sfumate di rosso all'apice, che sono fiori anch'essi. La fioritura è così precoce che la margherita rappresenta uno dei tradizionali annunciatori della primavera. Essa fa parte dell'ordine delle Sinandrali, famiglia delle Asteracee.
La foto accanto mostra una Gerbera jamesonii, magnifico rappresentante delle Asteracee. Il suo nome deriva dal naturalista tedesco Traugott Gerber (1710-1743), amico di Linneo. Il genere Gerbera è spontaneo in Africa, Madagascar, Asia tropicale e Sudamerica, e comprende oltre cento specie. I fiori, a capolino, spuntano in cima a lunghi steli coperti da una leggera peluria bianca, sono molto durevoli e compaiono all'inizio dell'estate; sfoggiano colori brillanti che vanno dal bianco al giallo fino al rosso scuro. Per questo motivo la coltivazione delle gerbere è oggi diffusa in tutto il pianeta.
Qui vedete un bellissimo vaso di Nemesia, un genere di arbusti annuali e perenni nativi delle coste sabbiose del Sud Africa. Per la bellezza dei suoi fiori ne sono state selezionate diverse varietà, e i giardinieri li usano per decorare le aiuole o li coltivano in vaso. I fiori hanno due petali, con il petalo superiore costituito da quattro lobi e il petalo inferiore due lobi. In particolare qui vedete la varietà universalmente nota come sunsatia.
Il carattere distintivo dell'ordine delle Sinandrali è quello di avere le antere saldate tra loro. Delle sinandrali fa parte la famiglia delle Composite, cui appartiene anche il comune carciofo (Cynara scolymus). Si tratta di una pianta spinescente che presenta stilo ingrossato ed il tipico capolino fiorale a forma di pigna con squame ovali che terminano con una spina pungente (nei carciofi romani invece esse sono tronche e senza spine). La sua coltivazione cominciò in Italia nella seconda metà del XV sec.
È una sinandrale composita anche il soffione o dente di leone (Taraxacum officinale), un'erba di piccola taglia a vegetazione assai precoce, comune nei prati di tutt'Italia. All'inizio della primavera produce una rosetta di foglie dal bordo dentellato, da cui evolve un vistoso capolino giallo-dorato (a sinistra). Esso produce poi un'infruttescenza globosa fatta di semi ancorati a delle specie di piccoli paracadute naturali (a destra), atti a disperderli sulle ali del vento. La pianta ha proprietà medicinali (è tonica e diuretica) conosciute sin dall'antichità.
Dello stesso ordine, famiglia delle Composite, è il crisantemo (Chrysanthemum, in greco "fiore d'oro"), che nella tradizione occidentale rappresenta il tipico ornamento delle tombe; in Giappone, paese di cui è originario, ha tutt'altro significato (è il fiore nazionale). Una leggenda nipponica racconta che una bambina aveva offerto alla dea Amaterasu un crisantemo per la salute della mamma malata, ma la dea le rispose che le restavano da vivere tanti anni quanti i petali del fiore. Allora la bimba tagliò i petali del fiore in striscioline sottilissime, e così la madre poté vivere per lunghi anni!
Questa magnifica fotografia ritrae un campo di girasoli (Helianthus annuus), celeberrime piante il cui paese d'origine più probabile è il Messico, ma furono introdotte in Europa fin dal 1596. Superano anche i tre metri di altezza, con un grosso fusto ramificato solo nella parte superiore; le foglie sono cuoriformi, ruvide e seghettate; l'immensa infiorescenza è creduta seguire il sole nel suo movimento, da cui deriva il suo nome. I semi sono ricchi d'olio, ormai assai diffuso sulle nostre tavole.
Ed ecco un esemplare di edelweiss o stella alpina (Leontopodium alpinum), fotografato dall'amico Carlo Pontesilli. Si tratta di un fiore famosissimo che cresce sulle pietraie delle Alpi tra i 1700 e i 3500 m di quota, si è fatto raro a causa della caccia indiscriminata datale dai turisti, ed è coperto da una fitta lanugine bianca, che le serve per trattenere i liquidi ma anche per non gelare e per mimetizzarsi nella neve. Purtroppo nel periodo estivo perde un po' di peluria e si asciuga con i raggi del sole.
La rassegna delle Sinandrali e delle Composite ha termine con questo esemplare di ambrosia (Ambrosia elatior), una pianta che purtroppo non ha niente a che vedere con l'omonima pianta degli dei la quale, secondo la leggenda, concedeva l'immortalità a chi la beveva: si tratta infatti di un vegetale nordamericano infestante, naturalizzato nei nostri giardini ed in grado di provocare un fastidiosissimo raffreddore da fieno a chi ne è allergico. Per legge, chi la trova nei giardini deve estirparla.
Chiudiamo le dicotiledoni con un paio di esemplari di pianta grassa. Il primo è questo Echinocactus Grusonii, meglio noto con il divertente nome di cuscino della suocera. E' una pianta grassa dal fusto globoso con costole in rilievo, appiattito alla sommità, dove sbocciano i fiori gialli ed imbutiformi, avvolti da fitta lanugine. Queste piante sono abituate ad ambienti desertici, e quindi le foglie sono ridotte a terribili spine per ridurre la traspirazione; come si vede, è il fusto a contenere clorofilla e a svolgere la fotosintesi. Originaria dell'America Settentrionale, allo stato spontaneo raggiunge un diametro di 90 cm, ma anche in appartamento può assumere dimensioni notevoli. Avviso alle suocere: non sedetevici sopra!
Ed ecco ora un Echinopsis eyriesii, fiorito per la prima volta dopo vent'anni, di proprietà del mio collega Luigi Tenconi, che mi ha spedito queste magnifiche fotografie. Il suo nome deriva dal greco "Echinos" (riccio di mare) e "opsis" (aspetto), poichè ha una forma globulare ricoperta di spine, così da ricordare un riccio di mare. È originario dell'America Latina, e il suo fusto è ricco di costolature, da cui si sviluppano le spine. Di quest'esemplare colpiscono soprattutto i fiori, che possono raggiungere i 15 cm, molto profumati, di colore rosa, bianco, rosso, o arancione, collegati alla pianta mediante un lungo picciolo; durano al massimo un giorno, e questo li rende ancora più belli e preziosi.
La presenza di una sola fogliolina embrionale caratterizza le monocotiledoni, delle quali qui vediamo un modellino da laboratorio. Queste piante sono assai meno numerose delle dicotiledoni e presentano un apparato radicale le cui radici partono tutte dalla base del fusto, poiché la radichetta primaria dell'embrione si distrugge ben presto. Spesso presentano un rizoma o un bulbo, che permette la sopravvivenza delle gemme durante la stagione fredda, e foglie strette o lanceolate. L'ordine delle palme è caratterizzato invece da tronchi non ramificati che si risolvono in un'ampia chioma di foglie di dimensioni notevoli.
L'ordine delle Liliiflore è sicuramente uno dei più ricchi di specie di tutte le Angiosperme. Si tratta di monocotiledoni dotate di ovario diviso in tre logge, con il perigonio diviso in sei tepali tutti uguali tra loro, per lo più arborescenti. Un bell'esempio è rappresentato dal gladiolo, della famiglia delle Ixioidee; se ne conoscono almeno 300 specie originarie dell'Africa. Esso ha foglie lanceolate simili a piccole spade (da cui il nome "gladiolus") ed un'infiorescenza spettacolare a forma di spiga.
Dell'ordine delle Liliiflore, famiglia delle Amarilloidee, fa parte anche il narciso, genere che comprende 60 specie distribuite nelle regioni mediterranee e in Asia fino al Giappone. Questo fiore si riconosce perchè, all'interno del perigonio diviso in sei tepali, presenta una caratteristica scodelletta colorata. Talvolta dà vita a coloratissime infiorescenze; talvolta, come in questo caso, il fiore è isolato. In Italia si trovano allo stato selvatico il Narcissus poëticus, con la corolla chiara bordata di rosso, ed il Narcissus pseudonarcssus, con fiori completamente gialli. Il nome è collegato al celebre mito del giovanetto che si innamorò della propria immagine riflessa.
La famiglia delle Iridacee comprende molte belle specie floreali tra cui l'Iris, genere che comprende oltre 250 specie diffuse in quasi tutti i continenti. Di solito si riproduce per bulbo o per rizoma ed ha un grosso fusto, circondato alla base da foglie lanceolate, sul quale si erge una tipica infiorescenza coloratissima, coltivata fin dall'antichità. Questi fiori sono stati presi da sempre come emblemi araldici: sia il "giglio di Firenze" che il "giglio di Francia" riproducono in realtà la struttura di un iris. 17 specie di iris in Italia vengono comunemente denominate giaggioli; la più nota è Iris fiorentina, di un bel colore bianco.
Passando alla famiglia delle Liliacee, nota per la bellezza dei fiori che ad essa appartengono, ecco una magnifica composizione di gigli recisi. Il giglio (Lilium candidum) è il genere più ricco di specie dell'intera famiglia, ed infatti ne comprende più di cento, distribuite nelle regioni temperate dell'emisfero boreale. Si riproduce vegetativamente per bulbo anzichè per semi, ha il fusto diritto, foglie lanceolate e grandi fiori di ogni colore. Il giglio bianco o giglio di Sant'Antonio pare sia originario della Palestina ed è diventato simbolo universale di castità e purezza: spesso nell'iconografia Maria Vergine te tiene in mano uno o un mazzo. Assai apprezzati sono anche il giglio rosso e il giglio tigrino, con i fiori purpurei bordati di bianco.
Sempre nella famiglia delle Liliacee troviamo il tulipano, le cui 60 specie sono diffuse dalle regioni Mediterranee fino all'Asia minore ed al Giappone. Si tratta di piante con un unico fiore eretto, dal tipico perigonio a campana rovesciata, variamente colorato; grazie agli incroci se ne è ottenuto un numero impressionante di varietà (maestri nella coltivazione dei tulipani sono gli olandesi). La varietà più frequentemente coltivata è Tulipa gesneriana, dal tipico colore rosso vivo. Nella letteratura e nel cinema è diventato famoso il "Tulipano Nero", leggendario bandito operante al tempo della Rivoluzione Francese.
Alla famiglia delle Asparagoidee appartiene invece il mughetto (Convallaria majalis) specie erbacea che da maggio a giugno fioriscono nei boschi di latifoglie aprendo la loro delicata infiorescenza, fatta di fiorellini piccoli, bianchi e profumatissimi. pendenti lungo uno stelo comune. La pianta si riproduce tipicamente per stoloni; le sue grandi foglie ovali sorgono direttamente dalla base della pianta. Tale pianticella è spontanea nel sottobosco ombroso dell'Europa, dell'Asia e dell'America del Nord; è coltivata assai spesso per ornare i giardini, e se ne raccolgono anche i fiori recisi.
Quello qui fotografato è un giovane esemplare di sansevieria (Sansevieria zeylandica), rappresentante dell'ordine delle Agavali, cui appartengono anche l'agave e la yucca. Sono almeno 60 specie distribuite dall'Africa equatoriale all'India, caratterizzate da un rizoma dal quale si eleva un fusto cortissimo, o direttamente una serie di foglie lanceolate che possono anche superare il metro d'altezza, dalla consistenza assai coriacea e di colori assai variegati, con tutte le possibili sfumature del verde e bordate da una fascia gialla. Questa caratteristica ne ha fatto delle tipiche piante d'appartamento, ma sono molto delicate ed un'eccessiva irrigazione fa marcire facilmente il rizoma. In India forniscono fibre tessili.
Ed ecco un'agave, la pianta che ha dato il nome all'ordine delle Agavali. Si tratta di una pianta tipica dei climi caldi, ma varie specie si sono naturalizzate anche in Europa, come questa fotografata sui Pirenei. Nei luoghi d'origine può raggiungere dimensioni davvero imponenti. Sostenuta da un grosso rizoma ramoso, porta foglie larghe, lanceolate, rigide e carnose, dotate di grosse spine lungo i margini. Caratteristica di questa pianta è il fatto che fiorisce una volta sola nella vita, dopo di che muore.
Ed ecco un assortimento di ananas (Ananas sativus), rappresentante della famiglia delle Bromeliacee, distribuite nelle regioni calde dell'America, dal Messico al Paraguay, ma coltivate anche in Europa a scopo ornamentale.  L'ananas ha un'ampia rosetta basale di foglie lineari e spinose; produce una grossa spiga di fiori bluastri, terminante alla sommità con un ciuffo di foglie. L'asse dell'infiorescenza si ingrossa assieme agli ovari, dando vita al tipico frutto ricco di bromelina (del quale abbiamo già parlato)
Questa invece è una Guzmania sanguinea, anch'essa appartenente alla famiglia delle Bromeliacee. Originaria di Porto Rico, ha foglie lanceolate verdi soffuse di rosso e giallo, le brattee rosse formano una rosetta con un'infiorescenza centrale composta da fiori bianchi-giallognoli. Il nome del genere ricorda Anastasio Guzmán, naturalista spagnolo morto in Ecuador nel 1807. Si tratta di piante epifite, cioè che vivono su altre piante come semplice sostegno, e non per procurarsi il nutrimento Osservando l'esemplare, è facile comprendere perchè queste infiorescenze vengono regalate in occasione di compleanni o ricorrenze di matrimonio.
L'ordine delle Ciperali comprende un'unica famiglia, le Ciperacee, cui appartengono 75 generi e circa 4000 specie. Sono tutte piante erbacee e munite spesso di rizomi, da cui sorgono fusti a sezione triangolare. Hanno una vastissima distribuzione, tanto da essere considerate cosmopolite. Sicuramente l'esponente più famoso di quest'ordine è il papiro (Cyperus papyrus), che in tempi antichi era coltivato (specialmente sulle rive del Nilo) per ricavare dal suo midollo delle strisce che, incollate assieme, fornivano materiale su cui scrivere; purtroppo però i papiri sono molto fragili e deteriorabili, e pochi sono giunti in buone condizioni fino a noi. In Italia questa pianta è spontanea presso Siracusa, ma è coltivata ovunque a scopo ornamentale.
Una tipica monocotiledone, diffusa praticamente dovunque dalle nostre parti, è la festuca, appartenente all'ordine delle Graminacee, uno dei più importanti per la vita dell'umanità, giacché ad esso appartengono tutti i cereali. Sono piante per lo più erbacee, con fusti dotati di caratteristici nodi e i semi portati dalla tipica spiga. Certamente la Festuca pratensis qui illustrata non ha l'importanza del grano o del mais, tuttavia ha anch'essa la sua importante funzione: è infatti utilizzata come erba da fieno per foraggiare gli animali domestici (oggi purtroppo si fa sempre più ricorso invece a mangimi animali). Può raggiungere il metro d'altezza ed è una pianta infestante: cresce praticamente dovunque, in questo caso in una crepa tra l'asfalto e un muricciolo!
Ecco un cereale sicuramente più utile: l'orzo (Hordeum vulgare), di origini antichissime, tanto da essere citato nella Bibbia e nei libri sacri cinesi. Ha portamento simile al grano, e possiede una spiga in cui le spighette, di un solo fiore, sono disposte in righe verticali. Coltivato anticamente sulle rive del Mar Nero e nella valle del Danubio, l'orzo si è diffuso enormemente sia verso nord che verso sud con le sue innumerevoli varietà. Un tempo era usato per la panificazione, oggi serve soprattutto per la birra.
Originario dell'America del Nord è il mais (Zea mays), il cui nome deriva da una parola in lingua araucana, noto in Europa anche come granoturco. Il fusto arriva ai 3 metri di altezza, certamente un primato tra le Graminacee; le grosse infiorescenze sono diverse tra maschi e femmine, e quelle femminili formano le famose "pannocchie", avvolte da grandi brattee e da cui sporgono come una barba gli stigmi, lunghissimi e scuri. Maturando, l'asse della pannocchia diventa legnoso (tutolo), e su di esso sono disposti i semi (cariossidi), di vario colore a seconda della razza. Purtroppo sono poveri di vitamine.
Ed ecco una collezione di cereali fotografata nel Laboratorio di Scienze Naturali del mio Liceo. Oltre ai cereali già citati qui si possono vedere anche alcune varietà di farro. Questo termine indica tre differenti specie del genere Triticum: farro piccolo (Triticum monococcum), farro medio (Triticum dicoccum, il farro comunemente inteso) e farro grande o spelta (Triticum spelta). Si tratta del più antico tipo di frumento coltivato dall'uomo fin dal Neolitico, ed è famoso per essere stato la base dell'alimentazione delle legioni romane che sottomisero il mondo: la parola "farina" deriva proprio da "farro"!
Questa foto non può mancare in una galleria di Botanica, soprattutto parlando di cereali, e ritrae una delle attività umane più importanti ed antiche: l'agricoltura, praticata fin dal Mesolitico. Nella Mezzaluna Fertile si cominciò a coltivare il grano, l'orzo, l'ulivo e la vite fin dall'8000 a.C., anche se studi recenti fanno pensare che il primo albero a venire coltivato potrebbe essere stato il fico. In alto si vede un campo di grano (genere Triticum) prima della mietitura, e sotto lo stesso a mietitura avvenuta, con la paglia raccolta nei caratteristici covoni. Il grano, originario forse del Caucaso, è oggi coltivato in ogni dove.
Qui vedete alcuni degli studenti della mia 5 C che, nell'anno scolastico 2015/16, hanno provato essi stessi a seminare e a far crescere del frumento nell'orto botanico del nostro Liceo, seminando diverse qualità di grano, come mostra la foto sottostante. Il risultato è visibile sulla destra: vere spighe cariche di chicchi. Un'iniziativa importantissima, utile per far comprendere ai moderni Millennials cosa dovevano fare per vivere i loro antenati fino a non troppi decenni fa!
Questa palma di San Pietro Martire (Chamaerops humilis) è stata da me fotografata presso il santuario di S.Maria a Brunello, presso Varese, e ciò sta a dimostrare che questa pianta può crescere fin verso le pendici delle Alpi. Fa parte dell' ordine delle Spadiciflore, famiglia delle Palme, e può raggiungere alcuni metri di altezza; le foglie raggiungono dimensioni ragguardevoli e sono divise in 10-15 lacinie allungate con picciolo legnoso. Il fusto viene ricoperto dalle guaine fogliari sfibrate e disseccate; rappresenta un elegante ornamento dei giardini anche nelle regioni ad inverno freddo (nel mio giardino io ne ho due).
Con la fotografia a sinistra rimaniamo nella famiglia delle palme, ma passiamo a due magnifici esemplari di palma da datteri (Phoenix dactylifera), da me stesso fotografati a Lanciano, provincia di Chieti. Esse richiedono un clima assai più caldo della palma di San Pietro Martire, ed infatti in Italia crescono solo lungo le coste del mare o dei laghi subalpini. La coltivazione di questa pianta è antichissima: gli antichi Caldei la chiamavano "l'Albero della Vita", termine poi passato nella Bibbia. Tutte le sue parti sono utili, ed infatti un proverbio arabo dice che un cammello che entra in un'oasi coltivata a datteri ne può uscire con una bardatura completa! I suoi frutti estremamente zuccherini sono un ingrediente fondamentale della tavola natalizia.
La foto ritrae alcune noci di cocco, i celebri frutti dell'altrettanto celebre palma da cocco (Cocos nucifera), alta fino a 30 metri. Essa viene sfruttata in ogni sua parte: il tronco fornisce legname; i giovani germogli sono consumati come ortaggi; le foglie vengono usate per ricoprire le abitazioni; il succo che sgorga dalle infiorescenze recise serve alla preparazione di un vino di palma; dalla polpa si ricava l'olio di cocco usato nell'industria dei saponi, ma anche nell'alimentazione umana!
Una delle più belle piante da fiore che si possono trovare nei nostri giardini, ma anche in vaso negli appartamenti. è la calla (Zantedeschia aethiopica), appartenente alla grande famiglia delle Aracee, sempre nell'ordine delle Spadiciflore. Come dice il nome, è originaria delle zone umide e paludose dell'Africa orientale e meridionale; le foglie, con un picciolo lunghissimo come si vede in figura, sorgono da un grosso rizoma, dal quale si innalza anche la magnifica infiorescenza avvolta da una grande spata, tubolare in basso ma aperta in alto come un trombone, per lo più bianca o gialla. Il fiore esala anche un gradevole profumo.
Fa parte delle Aracee anche l'Alocasia, popolarmente detta "orecchia di elefante", che qui vedete fotografata nel mio giardino. Originaria dell'Asia sudorientale, ha fusto carnoso e grandi foglie cuoriformi appuntite, di dimensioni anche superiori ai 30 cm, la cui forma goistifica il nome. I fiori sono simili alle infiorescenze delle calle e sbocciano in estate, ma difficilmente gli esemplari coltivati in vaso producono fiori. Il colore delle foglie della specie Alocasia macrorrhiza è verde brillante, ma ne esistono con foglie di colore verde scuro o verde giallastro, con il margine o le venature in colore contrastante. L'Alocasia richiede molta luce, ma senza sole diretto, e un ambiente molto umido.
L'elodea (Elodea canadensis) è una pianta acquatica della famiglia delle idrocaritacee, che vive completamente sommersa nell'acqua dolce, ad eccezione dei piccoli fiori che germogliano sulla superficie in alcuni periodi dell'anno. Infatti, spesso viene erroneamente scambiata per un'alga. Essa è caratterizzata da fusti di colore verde carnosi, flessibili e lunghi fino a 3-4 metri. L'Elodea è chiamata anche "erbaccia acquatica" perché infesta i corsi d'acqua, ed è spesso utilizzata come ornamento per gli acquari. Data la carnosità delle foglie affusolate, essa si presta in laboratorio per l'osservazione dei suoi cloroplasti al microscopio, ed è per questo che viene coltivata nel nostro laboratorio, come mostra la foto!
Particolarmente diffuso è l'ordine delle Orchidee, vegetali dai vistosi fiori irregolari, formati da sei elementi coloratissimi con l'aspetto di petali (vedi il modello in figura). All'interno vi è una tipica formazione a colonna, costituita dal pistillo con il quale sono concresciuti gli stami fertili. Il nome deriva loro dalla curiosa somiglianza del fiore di molte di queste specie con lo scroto maschile; è da notare che la somiglianza non è casuale, giacché molte orchidee ingannano gli impollinatori (ad es. i bombi) assumendo la forma e i colori dell'addome di un insetto femmina. Hanno pseudotuberi sotterranei e radici aeree, ricoperte da un particolare strato che assorbe acqua dall'aria. Le orchidee sono per lo più erbacee e comprendono oltre 20.000 specie (sono quindi uno degli ordini vegetali più numerosi); diffusa in Italia è la cosiddetta bocca di leone (Antirrhinum majus).
Tra tutte le possibili orchidee, ho scelto di porre qui una Phalaenopsis che mi è stata regalata da un'amica, perchè si tratta di un bell'esempio di pianta epifita, cioè di quelle piante che vivono su altre piante, di solito usate come semplice sostegno e non per procurarsi il nutrimento, come ad esempio fanno muschi e licheni. Il nome Phalaenopsis deriva dal latino phalaen, "farfalla", e opsis, "simile a", per la somiglianza del fiore alla forma delle farfalle. Hanno foglie grandi e carnose e fiori multicolori, talvolta di più di 10 cm. di diametro; possiedono un rizoma e grosse radici aeree, molto delicate, e presentano attività fotosintetica. Sono molto diffuse nelle nostre case come piante ornamentali.
Comincia con questa immagine l'ultima sezione di questo Armadio Virtuale, dedicata all'erbario. Si tratta di un antico metodo per raccogliere erbe, foglie e fiori: li si pone tra due fogli di carta assorbente e si mette il tutto sotto pressione. La carta assorbe tutta l'umidità dei campioni, che così seccano e si conservano, talvolta anche con il loro colore originale. Qui vediamo un erbario di ottima fattura, risalente agli anni cinquanta e contenente 100 pagine, di cui ora ne vedremo alcune nel dettaglio.
Iniziamo con questo fior d'Adone (Adonis autumnalis), famiglia delle Ranuncolacee. I campi di grano, avena e mais sono spesso infestati da erbe velenose come questa, con foglie simili a quelle della camomilla e con piccoli fiori dotati di petali rossi e stami dalle curiose antere violacee. Il Fior d'Adone ricorda un personaggio mitologico, a sua volta derivato dalla divinità fenicia della vegetazione (corrispondente all'ebraico Adonai, uno dei nomi di Dio), cantato nel poema omonimo da G.B. Marino.
Alla stessa famiglia appartiene anche il botton d'oro o luparia (Ranunculus sceleratus), i cui fiori gialli sbocciano nelle località montane tra gli 800 e i 1800 metri. Il fiore ha da 5 a 16 sepali gialli, dall'aspetto globoso, che danno il nome alla specie, mentre i petali sono ridotti a una linguetta nettarifera. Esso è stato introdotto anche nei giardini perchè molto ornamentale.
Una Ranuncolacea è pure la vitalba (Clematis vitalba), che abbona nelle siepi e nei boschi fino a 1500 m di quota. Essa è una pianta rampicante e può raggiungere i 5 m, con foglie composte da un numero di foglioline variabile da tre a sette. Questa pianta produce una notevole quantità di fiori, solitari o sotto forma di infiorescenze, senza petali ma con grandi sepali bianchi o gialli.
Restiamo ancora nella stessa famiglia e passiamo allo speron di cavaliere (Delphinium consolida), pianta dotata di fusto peloso e fiori irregolari, radunati in vistose pannocchie azzurre con cinque sepali petaloidei, di cui il posteriore è conformato a sperone (donde il nome), mentre i petali sono ridotti, così come nelle specie testé viste. Dai suoi semi si ricava un alcaloide con proprietà insetticide.
Del papavero (Papaver rhocas) abbiamo già trattato sopra; qui aggiungiamo solo il fatto che l'espressione "alti papaveri" utilizzata per indicare i maggiorenti di una comunità deriva da un episodio narrato da Tito Livio secondo cui Tarquinio il Superbo, per spiegare al figlio come conquistare la città di Gabi, troncò con un bastone i papaveri che spuntavano sopra le erbe del prato, indicando così che occorreva indebolire la città eliminandone i cittadini più eminenti..
Questa è la Fumaria officinalis, nota anche come fumosterno o erba acetina, famiglia delle Fumariacee, ordine delle Readali (lo stesso delle Papaveracee). È alta fino a 60 cm, e la si trova comunemente sui muri e lungo le siepi di tutt'Italia Ha proprietà medicinali note fin dall'antichità: è depurativa, tonica, stimola la secrezione gastrica e serve per curare gli eczemi cutanei.
Cogliamo l'occasione per vedere un'altra pianta della famiglia delle Papaveracee, la celidonia (Chelidonium majus): bienne o perenne, è alta fino a 70 cm, ha un fusto ramificato con nodi ben evidenti, foglie picciolate che risultano verdi nel lato superiore e glauche in quello inferiore e fiori gialli. Si trova nei luoghi boscosi, nelle siepi e lungo i fiumi.
È invece una Crucifera la violacciocca (Matthiola incana), alta dai 30 ai 60 cm, con foglie lanceolate e fiori profumati con petali bianchi, rosei o porporini. Cresce sui muri e nei luoghi sabbiosi dalla zona mediterranea a quella submontana di tutta l'Italia, e fiorisce da marzo a maggio. Se ne coltivano diverse varietà, tra cui la "violacciocca di Pasqua", rossa e perenne.
Un'altra Crucifera: la borsa dei pastori (Capsella bursa pastoris), erba annua alta dai 20 ai 40 cm, con foglie picciolate di varia forma a margine seghettato, fiori piccoli cruciformi e piccoli frutti che ricordano nella forma, per l'appunto, la borsa di un pastore, da cui il nome. Comunissima nei luoghi coltivati, fiorisce da marzo a dicembre praticamente in tutt'Italia. In questa pagina si vede anche la Draba verna, un'erba annua alta  fino a 15 cm, tipica dei luoghi sassosi dell'Europa centromeridionale.
Alla famiglia delle Resedacee appartiene la Reseda lutea, eponima della famiglia, detta anche erba guada, alta fino ad un metro con foglie lanceolate, quattro sepali e da tre a cinque petali di colore giallo. Si trova sui muri e nei luoghi incolti, dal mare fino alla zona montana di tutt'Italia, dove fiorisce da aprile a giugno; erba cosmopolita, la si ritrova in tutti i continenti.
È invece una Cariofillacea come il garofano la cosiddetta erba lattaria (Cerastium tormentosum), una pianta infestante a rapido accrescimento, che compare nei giardini tra aprile e agosto con fusticini argentei e belle infiorescenze bianche. La si trova nei boschi di conifere e nelle faggete, dove riesce a colonizzare anche i terreni aridi e sabbiosi.
La saponaria (Saponaria officinalis) è una cariofillacea perenne dai fusti striscianti, coltivata fin dal Medioevo per le sue proprietà detergenti a causa del suo alto contenuto di saponina, sostanza presente nei gambi, nelle foglie e nelle radici. Un decotto di saponaria era un tempo usato per ridare splendore a tessuti antichi che hanno in parte perso il loro colore.
Cambiamo completamente genere con le Ipericacee, il cui eponimo è questo iperico o cacciadiavoli o erba di San Giovanni (Hypericum perforatum): una pianta erbacea perenne alta fino ad 80 cm, diffusa nei campi e sui muri di tutt'Italia, dove fiorisce in primavera e in estate. La sommità fiorita contiene un olio volatile, utile per le sue proprietà astringenti.
Del tiglio (Tilia europaea) abbiamo già parlato più sopra. Qui basterà aggiungere che in Italia, nei boschi fino a 1200 m di quota, insieme ad aceri, querce e castagni si trovano due specie di tiglio: Tilia platyphillos (quella le cui foglie sono visibili nel nostro erbario) e Tilia cordata, da vari botanici considerati in realtà due varietà di Tilia europaea.
Anche della malva (Malva silvestris) abbiamo parlato sopra, ma vale la pena di vedere l'aspetto di questa piantina conservata nel nostro Erbario Virtuale. Aggiungiamo che questa pianta è una delle più antiche ricordate dalla letteratura, dato che il poeta latino Orazio la menziona nella sua dieta assai parca ("Me pascunt olivae, me cichorea, me malvae"). Pare che la malva fosse piantata anche sulle tombe, nella convinzione che i trapassati potessero nutrirsi di essa (sarà...)
Non abbiamo ancora parlato invece del lino (Linum usitatissimum), che appartiene all'ordine delle Geraniali e alla famiglia delle Linacee. Pianta annua alta fino ad 80 cm, è importantissima perchè fu una delle prime piante coltivate a scopo tessile: le mummie egizie sono avvolte in bende di lino. Originaria dell'Asia occidentale, oggi è coltivata praticamente dovunque.
L'acero (Acer negundo) è una nostra vecchia conoscenza, avendone già incontrato sopra le foglie ed i frutti ancora sulla pianta. Qui li vediamo secchi nel nostro Erbario Virtuale, ma si può notare come il colore e la forma di entrambi siano rimasti praticamente inalterati. Questa pagina dimostra, meglio di tante altre, qual era l'unico modo per insegnare botanica in epoche in cui la fotografia ancora non esistevano, e i libri illustrati con artistiche incisioni erano decisamente troppo cari.
L'evonimo o fusaria o fusaggine (Evonymus europaeus) è un cespuglio delle Ramnacee diffuso nelle zone temperate d'Europa e dell'Asia occidentale, frequente nelle siepi e facilmente riconoscibile in autunno per i vistosi frutti di forma ovale che gli hanno valso anche il nome di berretta da prete. La corteccia contiene un glucoside, l'evonimina, usato come purgante.
Iniziamo una lunga galleria di Leguminose con l'erba medica (Medicago sativa), una pianta comunissima e molto coltivata a scopo di foraggio: in Italia si arrivò a coltivare ad erba medica fino ad un milione di ettari! Ha foglie composte da tre foglioline ovali e pelose e fiori violetti, che sbocciano in primavera e in estate. L'umidità la danneggia gravemente.
Sempre al genere Medicago appartiene anche questa Medicago lupulina, detta anche trifoglino o luppolina, perchè le sue spighe gialle somigliano ai coni del luppolo. Si tratta di un'erba usata per il foraggio degli animali. Qui la vediamo insieme ad un esemplare di Medicago orbicularis, altra pianta foraggera dai bei fiorellini gialli, visibili in questa pagina dell'Erbario Virtuale.
L'erba nota come Medicago lupulina è detta trifoglino o luppolina perchè le sue spighe gialle assomigliano ai coni del luppolo; come l'erba medica, sua stretta parente, era usata come foraggio. Assieme ad essa qui vediamo una terza erba dello stesso genere, Medicago orbicularis detta fragolino per la forma dei suoi frutti, anch'essa coltivata come foraggera.
Il trifoglio violetto o spadone (Trifolium fragiferum) è il genere più comune di trifoglio, noto per le sue tre foglioline che talora possono diventare anche quattro o più (il famoso quadrifoglio portafortuna), e per la stretta infiorescenza a spiga. Si trova praticamente dovunque, dalla pianura fino a 3000 m di quota, nei luoghi erbosi e boschivi; è usato come foraggio, ma anche come pianta mellifera, poiché la sua impollinazione avviene ad opera delle api. Infesta persino i vasi da fiore.
Sempre alle Leguminose appartiene il rubiglio (Pisum arvense), un pisello selvatico molto diffuso come infestante. Le sue foglie terminano in viticci atti ad abbarbicarsi a bastoni, ad altre piante o anche a rocce, nelle varietà striscianti. I fiori, solitari o raggruppati in paia, sono bianchi e portati da lunghi peduncoli. Il frutto è un legume contenente semi globosi, i tipici piselli. Nella varietà coltivata, i piselli sono avvicendati al frumento perchè arricchiscono il terreno di basi azotate.
Un'altra leguminosa è la cicerchia (Lathyrus sativus), simile alle vecce, eccetto che per i rami dotati di poche foglioline. Spontanea dalla pianura alla montagna, a partire dal XVIII secolo è entrata nei giardini, grazie agli stupendi colori dei suoi fiori. I semi, simili a piselli, sono usati per l'alimentazione, ma contengono la latirina, che in alte dosi può causare fenomeni di paralisi.
Le specie del genere Lathyrus sono simili alle vecce, eccezion fatta per le foglioline più rade; questo è un esemplare di Lathyrus silvestris o pisello del diavolo. Infatti i suoi semi ricordano molto da vicino i piselli alimentari (Pisum sativum), ma contengono la latirina, una sostanza velenosa che con il tempo può provocare una grave paralisi nota come latirismo.
La cicerchia (Vicia cracca) è un esempio di veccia, erba tipica delle regioni temperate con fiori bianchi o turchini, a gruppi di due o di quattro, e legumi rivestiti all'interno da una lanugine biancastra. Essi contengono da tre ad otto grossi semi verdastri, vagamente simili a fagioli, utilizzati un tempo come alimento per gli animali domestici. Molto spesso le vecce si trovano come infestanti tra le colture, e possono essere utilizzate anche come foraggere.
Ed ecco la lenticchia (Ervum lens), leguminosa di antica coltivazione tanto da essere nota anche alla Genesi: è noto che Esaù vendette al fratello la primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie. Pianta annua, con peli vischiosi e foglie terminanti in viticci, ha piccoli fiori bianchi e legumi contenenti due soli semi di forma lenticolare, da cui il nome della specie. Le lenticchie sono coltivate da millenni perchè costituiscono un cibo nutriente e di facile digestione.
Delle leguminose fanno parte anche le Lotee, che prendono il nome dal genere Lotus. Ad esso appartiene la mullaghera o trifoglio giallo (Lotus corniculatus), dalle deliziose infiorescenze gialle, spontanea nei luoghi aridi e sabbiosi fino a 2500 m d'altitudine. Coltivata, fornisce un buon fieno.
Come le lenticchie, anche i ceci (Cicer arietinum) sono legati alle necessità alimentari dell'uomo e perciò coltivate fin dall' antichità più remota. Si tratta di una pianta pelosa a foglie seghettate, con fiori rossastri, bianchi o blu e legumi ovali, rigonfi, pelosi e penduli, con uno o più semi globosi. Originaria dell'oriente, oggi è coltivata in ogni dove; i ceci costituiscono un alimento assai calorico, e per questo da consumare parcamente.
Una leguminosa unicamente foraggera è invece la sulla o guardarubio (Hedysarum coronarium), spontanea sui pascoli alpini e sulle rocce, e particolarmente diffusa nell'Italia meridionale. È una pianta erbacea perenne, alta fino a 120 cm, con il fusto cavo e ramificato, di colore verde, e fiori rosso porpora, raramente bianchi.
Chiudiamo la lunga dinastia delle Leguminose con questa vetturina (Melilotus alba), diffusa in tutti i climi temperati e anche in Italia, dal litorale fino alla zona delle conifere. Essa ha grappoli di fiori gialli e profumati. Specie rustica, viene utilizzata per fornire foraggio agli animali domestici.
E riecco la mimosa (Acacia catechu), da noi già vista in precedenza. Forse essa deriva il suo nome dal latino mimus, che allude alla capacità della pianta di cambiare aspetto con l'alternarsi del giorno e della notte, a causa della variazione di turgore dei pulvini motori; tale movimento, detto "fotonastico", è massimo nella mimosa "sensitiva".
Lasciamo le Leguminose e torniamo ad esaminare alcuni rappresentanti della famiglia delle Rosacee. Già in precedenza abbiamo incontrato la mimosa in fiore (Mimosa pudica); ecco come si presenta questa pianta, tanto cara alle donne, nella sua versione dell' Erbario Virtuale.
Una rosacea molto famosa e diffusa è la rosa di macchia (Rosa canina). Oltre alla bellezza dei suoi fiori, di questa pianta vengono consumati anche i frutti, scarlatti e setolosi, utilizzati per produrre marmellate. Oltre che coltivata, la si ritrova spontanea nelle siepi di campagna.
Il genere Rubus è noto agli uomini fin dall'antichità per la dolcezza dei suoi frutti e per le sue spine acuminate. Il comune rovo (Rubus discolor) è un cespuglio con fiori rosa o bianchi e frutti nerastri detti more, in cui gli acheni aderiscono direttamente al ricettacolo; invece nel lampone (Rubus idaeus) gli acheni sono facilmente staccabili dal ricettacolo.
Un'altra rosacea assai comune è il biancospino (Crataegus oxyacantha), particolarmente diffuso nelle siepi e nei boschi. Si tratta di un alberello spinoso, con corteccia bianca a sfumature rossastre e fiori nettariferi, i quali in primavera conferiscono alla pianta l'aspetto di una grande nuvola bianca (da cui il nome). Il frutto è una piccola drupa carnosa, rossa o nera.
Il cotogno (Cydonia vulgaris) è noto per il frutto, detto "mela cotogna", intensamente profumato e non commestibile crudo, ma utilizzato per canditi e cotognate. È un arbusto tortuoso con foglie ovali e fiori bianco-rosati e solitari; il frutto è giallo e peloso. Può servire come portainnesti per altri alberi da frutto, specialmente pero e melo, e come pianta ornamentale da siepe. Si adata bene ai terreni aridi e sassosi.
Del melo (Pyrus malus o Malus communis) abbiamo già parlato sopra. Sullo stesso foglio dell'Erbario Virtuale si trova anche un rametto di ciliegio selvatico o ciliegio degli uccelli (Prunus avium), diffuso nei boschi europei. Albero più alto del melo (raggiunge i 20 m), fornisce ciliege note come "duracine", "tenerine" e "visciolone". Per la bellezza dei suoi fiori primaverili è coltivato anche come albero ornamentale.
Entriamo nel mondo delle Ombrellifere con la cicuta (Aeethusa cynapium), celeberrima perchè fu con quest'erba che venne eseguita la condanna a morte del filosofo Socrate, secondo quanto narra Platone nel "Fedone". La sua velenosità deriva da alcuni alcaloidi che agiscono sul midollo spinale. Si tratta di una pianta comunissima nell'area mediterranea.
Gli antichi scrittori greci narrano che gli abitanti della Sardegna sacrificavano a Crono i genitori che avevano superato i 70 anni, e che questi morivano ridendo: da questo rito sarebbe nata l’espressione "riso sardonico", che compare per la prima volta nell' Odissea. La cosiddetta herba sardonia usata per questo macabro scopo sarebbe il finocchio giallo o prezzemolo del diavolo (Oenanthe crocata), le cui sostanze tossiche producono paralisi facciale, da cui il "riso sardonico"!
Daucus carota è la comunissima carota, la più diffusa e coltivata delle Ombrellifere, che cresce anche spontanea in luoghi sabbiosi e incolti. Le sue radici carnose rivestono un ruolo fondamentale nell'alimentazione umana per il loro alto contenuto di zuccheri e di carotene (protovitamina A). Molto bella anche l'infiorescenza bianca a forma, appunto, di ombrello.
Dell'ordine delle Umbelliferali fa parte il finocchio (Foeniculum officinale), originario del Mediterraneo orientale, con le sue molte varietà oggi in commercio per via delle sue foglie basali, carnose e commestibili, ma anche per il suo seme aromatico, che sostituisce spesso quello dell'anice nella preparazione di dolci e tisane.
Nel nostro Erbario Virtuale non manca neppure una pagina dedicata all'edera (Hedera helix), di cui pure abbiamo parlato in quel che precede. Qui aggiungiamo solo che la cissoide, curva del terzo ordine della quale riparleremo nell'Armadio Virtuale dedicato alla Matematica, trae il suo nome proprio dal greco kissós, "edera", per la sua caratteristica forma.
All'ordine delle Rubiali appartiene invece l'erba nota come caglio giallo (Gallium verum), che si trova in prati e pascoli fino a duemila metri di quota; ha fusticini alti, foglie piccole e strette e fiori crociati di un colore giallo vivo, da cui il nome.
È una rubiale anche il comune caprifoglio (Lonicera caprifolium), che si trova comunemente presso le siepi ed i boschi, dalla pianura fino alla montagna. Pianta rampicante, raggiunge i 5 metri e si avvolge tanto strettamente alle altre piante da deformarle. I fiori, bianchi all'esterno e poroporini all'interno, sono assai profumati, ed il profumo si avverte in particolar modo di sera.
Il Viburno lantana (Viburnum lantana), originario dell'Europa meridionale, è diffuso in Italia nelle regioni cento settentrionali fino a 1000 m. Si tratta di un arbusto che può raggiungere l'altezza di 4 m, con corteccia bruna e rugosa negli organi legnosi più vecchi. Ha fiori ermafroditi che fioriscono in primavera, dopo l'emissione delle foglie. Il frutto è una drupa ovale, rossa e poi nera alla maturità. A volte è utilizzato per formare siepi miste.
"E frustando il cavallo come un ciuco / tra i glicini e il sambuco / il re si dileguò". Così cantava Fabrizio de Andrè nella sua celebre canzone dedicata a Carlo Martello. Il sambuco (Sambucus nigra) invade siepi, boschi e luoghi sassosi, e talora emette un odore sgradevole. È una rubiale erbacea a foglie composite, alta fino a 6 m, con fiori bianchi e frutti costituiti da drupe carnose, dalla cui fermentazione si ricava il cosiddetto vino di sambuco.
Con l'abrotano (Artemisia abrotanum) entriamo nelle Composite. Invadente nei luoghi rupestri e sulle morene glaciali, è un'erba che emette un odore talvolta sgradevole, con pannocchie ampie e foglie biancastre sulla pagina inferiore; in montagna viene utilizzato con altre erbe per produrre liquori (il "genepì"). Qui vediamo anche una pratolina o margheritina (Bellis perennis), il fiore universalmente più diffuso nei prati, che rappresenta tipicamente il preannuncio dell'arrivo della primavera.
La bardana (Arctium lappa) è un'erba cespugliosa che abita i margini stradali, gli edifici diroccati, i luoghi sassosi; i fusti, striati, sono di colore rossiccio, alti fino a un metro e mezzo, e portano foglie cuoriformi, alcune delle quali raggiungono notevoli dimensioni. I fiori porporini sono racchiusi in un involucro squamoso. Le squame terminano con un uncino giallo e duro, che aderisce al pelo del bestiame e favorisce la disseminazione lontano dalla pianta madre.
Il millefoglio (Achillea millefolium) è molto diffuso nella flora italiana. Alto fino a 90 cm, trae il nome dalle foglie oblunghe, minutamente suddivise. I suoi capolini bianchi, o più raramente rosei, sono facilmente riconoscibili. La pianta è particolarmente amara e dotata di proprietà astringenti.
L'Anthemis tinctoria, visibile in questa pagina del nostro Erbario Virtuale, è una composita della flora italiana, dai capolini gialli, vagamente simili a quelli della camomilla; a differenza di questa, però, emette un odore fetido. L'Anthemis tinctoria deriva il suo nome dal fatto che un tempo era usata per tingere di giallo le stoffe. Cosmopolita, la si trova nei coltivati di tutta Italia.
Un'altra pianta famosissima ed immancabile in ogni erbario è la camomilla (Matricaria chamomilla), molto simile alla comune margherita, e ben nota perchè l'infuso dei suoi fiori gialli e tubolosi ha proprietà leggermente calmanti. Resa famosa dal pistolero Coccobill creato da B.Jacovitti, se ne conisiglia il consumo prima di coricarsi per un sonno tranquillo e riposante.
Le erbe perenni del genere Solidago crescono per lo più nel Nordamerica. Presente anche in Italia è la verga d'oro (Solidago virga aurea), pianta eretta non ramificata di varia statura, con foglie dentate e infiorescenze di un giallo intensissimo (donde il nome), che appaiono verso la fine dell'estate. Nei boschi montani raggiunge il metro, nei pascoli non più di 15 cm.
Chiudiamo le Composite con il comune fiordaliso (Centaurea cyanus), tipicamente diffuso nelle messi con il suo capolino azzurro (in greco kyanos) i cui fiori sono disposti a raggera. La pianta, annua, ha un aspetto esile, è dotata di foglie lanceolate ed è particolarmente pelosa. L'infuso di fiordaliso era un tempo utilizzato come collirio. A partire dal XII secolo il fiordaliso diventò l'emblema araldico del regno di Francia.
Passiamo ora alle Cucurbitali con questa brionia o zucca matta (Bryonia dioica), un'erba delle siepi e delle boscaglie ombrose, diffusa in tutt'Italia. Ha sessi separati (come indica il nome latino).. I fusti sono sottilissimi, con foglie per lo più triangolari e dotate di viticci. I piccoli fiori formano grappoli bianco-verdastri; le piante femminili maturano poi bacche rosse e grosse come piselli. La radice ingrossata contiene una resina con azione purgante.
Dell'olivo (Olea europaea) abbiamo abbondantemente parlato più sopra. Qui possiamo aggiungere che si tratta di un albero sempreverde con il tronco contorto; le foglie ovali e lucide, i fiori piccoli e bianco-verdastri. Rappresenta sicuramente uno dei più tipici rappresentanti della vegetazione mediterranea ed è citato nella Genesi, in Omero e in Erodoto, a testimonianza dell' antichità delle sue coltivazioni. In botanica si parla addirittura di "zona dell'olivo" per indicare il clima mediterraneo!
Delle Tubiflore, ordine del quale abbiamo già fatto conoscenza in precedenza, fa parte questa borragine (Borago officinalis), un'erba assai ispida al tatto, con fiori stellati azzurro-violacei, consumata nelle insalate quando è giovane e tenera. Il suo nove deriva presumibilmente da borro, burrone, perchè cresce preferibilmente in riva a crepacci e torrenti.
La Borragine dà nome ad una famiglia, quella delle Borraginacee, di cui fa parte anche l'erba ragna o erba viperina  (Echium vulgare), particolarmente comune nei luoghi incolti di tutt'Italia con le sue corolle di un azzurro porporino. I fiori, regolari nella Borragine, sono invece irregolari in questa specie; il frutto è un tetrachenio che quando è maturo si separa in quattro parti, irte di aculei per favorire la disseminazione da parte degli animali.
Parente della borragine e dell'erba ragna è anche la polmonaria (Pulmonaria officinalis), dotata di una fioritura rosea o violetta, con grandi foglie ovali macchiate di bianco; quest'aspetto aveva fatto pensare agli erboristi del Medioevo che la pianta possedesse virtù medicamentose contro le affezioni polmonari, per la loro vaga rassomiglianza con un polmone umano.
L'importantissima famiglia delle Solanacee comprende numerose piante di grande importanza economica, tra cui la patata (Solanum tuberosum), un rametto della quale vediamo conservato nel nostro Erbario Virtuale. È un pianta erbacea ramosa con grandi foglie, che sviluppa anche rami sotterranei dai quali si formano i tuberi, particolarmente ricchi d'amido. Essi presentano numerose gemme dette "occhi", dalle quali possono avere origine nuove piante. Della sua origine abbiamo già parlato sopra.
Pure il pomodoro (Solanum lycopersicum) è una nostra vecchia conoscenza, avendone già mostrato in precedenza le piante cariche di frutti rossi e sugosi in piena estate. Valeva però la pena di mostrare anche il rametto di pomodoro contenuto nel nostro Erbario Virtuale. Qui basti aggiungere che il suo nome pare derivi dai "pomi d'oro" delle Esperidi, andare a rubare alcuni dei quali costituì una delle Fatiche del mitologico Ercole.
Il giusquiamo (Hyosciamus niger) è una bienne erbacea alta fino a 70 cm, quasi del tutto estranea alla flora italiana: le piante selvatiche più occidentali si trovano ad Idria, in Slovenia. Ha fiori giallastri che crescono nell'ascella delle foglie. Un tempo veniva utilizzata in farmacia perchè contiene scopolamina, con funzione narcotica. 
La linaria (Linaria vulgaris) qui visibile fa parte della famiglia delle Antirrinoidee, è alta fino a 60 cm, ha foglie lanceolate e fiori di un bel giallo oro. Nella stessa pagina dell'Erbario Virtuale si vede la perlina della sera (Odontides verna), una pianta ramosa con piccoli fiori gialli poste in infiorescenze ascellari, frequente in tutta Italia nelle radure secche dei boschi.
Ed eccoci al famoso origano (Origanum vulgare), reso arcinoto dal condimento della pizza napoletana, che fa parte dello stesso genere della maggiorana (Origanum majorana), comunissima nei prati. L'origano è frequente nei luoghi secchi: ha fusto sottile e rigido, spesso rossiccio, foglie ovali ed appuntite ed infiorescenze di minutissimi fiori rosei.
Il mentastro (Mentha sylvestris) è una delle piante del genere Mentha più diffuse in Italia: di alta statura, può arrivare sino al metro, con spighe cariche di fiori color rosa, poste nelle ascelle delle foglie. Cresce su suoli generalmente umidi.
La mentuccia (Calamintha parviflora) è un tipo di menta a foglie piccole, dal profumo molto meno penetrante della più famosa menta piperita (vedi), e per questo molto usata dalla cucina romana. A volte la si confonde con un'altra pianta quasi identica detta nepetella, distinguibile però dall'infiorescenza: verticale con fiori singoli quella di quest'ultima, tondeggiante con fiori ravvicinati quella della nostra mentuccia.
La persicaria (Polygonum persicaria) appartiene all'ordine delle Poligonali come il noto rabarbaro. Si tratta di una pianta annua con fusto eretto, ramificato ed alto fino a un metro e mezzo. Le foglie, di forma lanceolata, presentano spesso delle macchie nere al centro della lamina. I fiori, riuniti in spighe, sono invece biancastri o bianco-verdastri; il frutto è un achenio lenticolare. Fiorisce da maggio all'autunno ed è pressoché cosmopolita.
Delle Amarantacee fa parte l'amaranto (Amaranthus retroflexus). Quest'erba ha foglie semplici e fiori unisessuali, riuniti in infiorescenze avvolte da brattee colorate, mentre il frutto è un achenio. Manca solo nelle regioni fredde e spesso fa da infestante nei campi coltivati, ma a volte essa stessa è coltivata per le infiorescenze vivacemente coltivate e le foglie commestibili.
Spostiamoci nelle Urticali; questa pagina dell'Erbario Virtuale ci mostra un rametto di luppolo (Humulus lupulus), componente fondamentale per la produzione della birra. Si tratta di un'erbacea perenne e dioica, con un rizoma ramificato dal quale si sviluppano annualmente fusti che possono raggiungere i 10 metri di altezza, coperti di peli rigidi. I fiori verdastri si trovano su piante separate: quelli maschili riuniti in pannocchie pendule, quelli femminili protetti da brattee. I frutti sono piccoli acheni.
Dell'olmo (Ulmus campestris) abbiamo già parlato in precedenza, ma qui ne vediamo un rametto con le foglie in bella evidenza. Un questa sede basterà aggiungere che, secondo la mitologia scandinava, Odino creò l'umanità a partire dai tronchi di un frassino e di un olmo trovati sulla riva del mare. L'uomo si chiamò Askr, "frassino", e la donna Embla, "olmo"!
Una pianta diffusissima ma di cui non abbiamo mai finora parlato è l'ortica (Urtica dioica), una pianta infestante ed urticante, ma di larga applicazione in cucina e in farmacia. Infatti, dopo l'appassimento, i caratteristici peli impregnati di un fastidioso veleno perdono la loro efficacia, e la si può usare come foraggio degli animali. In tempo di guerra ne è stata perfino tratta una fibra tessile. I germogli sono ottimi cotti come gli spinaci; gli estratti di ortica hanno azione cardiotonica e diuretica.
Delle Tricocche fa parte la famiglia delle Euforbiacee, il cui eponimo è l'Euforbia (Euphorbia peplus). Si tratta di un'erba annua con fusto eretto e ascendente, a volte ramificato alla base, foglie ovate e fiori unisessuali riuniti in ciazi, infiorescenze particolari con fiori assai ridotti e disposti in modo da avere al centro l'unico fiore femminile, circondato da parecchi stami, ciascuno dei quali è un fiore maschile assai ridotto. Cresce nei luoghi erbosi di tutt'Italia, ed è diffusa anche nell'Africa boreale.
Venendo alle Salicali, ecco il Salice (Salix grandifolia), una pianta legnosa dioica, diffusa praticamente su tutto il pianeta Terra. Le foglie hanno picciolo breve con le due pagine di colore diverso, i frutti stipole ed il legno è molto usato in falegnameria. Il Salix alba tocca i 25 m, il Salix grandifolia si ferma ai 15 ma ha foglie più grandi. Se ne conoscono resti fossili cenozoici.
Un'altra pianta di cui non abbiamo parlato è l'ontano; colmiamo qui la lacuna con queste fogglie di ontano nero (Alnus glutinosa), un albero alto sino a 25 m con la chioma ovoidale o appuntita, un tronco grigio-scuro coperto di caratteristiche placche bianche e foglie molto vischiose da giovani. Diffuso in tutta l'Eurasia, in Italia cresce fino ai 1500 metri; il legno, tenero e facilmente lavorabile, è utilizzato nei moli per la sua durevolezza sott'acqua. Appartiene all'ordine delle Fagali.
Restiamo nelle Fagali con il nocciolo (Corylus avellana), arbusto alto fino a 5 metri con foglie ovali, pelose sulle nervature ed appuntite. Diffuso nelle regioni temperate di tutta l'Europa, nel sottobosco ombroso delle latifoglie, è largamente coltivato per via del suo frutto, ricco d'olio ed usatissimo nell'industria dolciaria. Il carbone ricavato dal suo legno era usato per disegnare.
Colmiamo un'altra lacuna mostrando delle foglie di castagno (Castanea sativa), altro esponente delle Fagali tipicamente mediterraneo, ma ormai diffuso un po' dovunque, perchè ha costituito per lunghi periodi un'importantissimo albero da frutto. I castagneti  ad alto fusto (anche 30 m) giungono ai 1600 m sull'Etna. Tipico del castagno è il frutto spinoso detto riccio, che si apre in autunno lasciando cadere fino a cinque castagne, lucide e di forma emisferica.
Anche del faggio (questo è un rametto di Fagus sylvatica) si è parlato ampiamente in quel che precede. Che aggiungere qui? Osservando queste foglie, parte un tempo di una chioma vastissima ed ombrosa, non può non venire in mente il primo verso della prima Bucolica di Virgilio: « Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi, / silvestrem tenui musam meditaris avena... »
Con il ginepro (Juniperus communis) ritorniamo alle Conifere. Quest'albero rientra nella famiglia delle Cupressacee, è molto diffuso nell'emisfero settentrionale, in genere non supera il metro e mezzo e fornisce la famosa "acquavite di ginepro".
Anche della tuia abbiamo parlato già in quel che precede, ma questo è un rametto di Thuja occidentalis, detta anche "White Cedar", una conifera della famiglia delle Cupressacee originaria della regione americana dei Grandi Laghi. Si noti la bellezza dei rametti, per cui la tuia è spesso coltivata nei giardini delle ville private italiane.
A questo punto l'Erbario Virtuale ci riserva un asparago (Asparagus officinalis), esponente delle Liliiflore già da noi incontrate più indietro, che viene coltivato per raccoglierne il giovane germoglio, una prelibatezza. Se invece è lasciato sviluppare, i suoi fusti diventano lunghi e molto ramificati, sorretti da un grosso rizoma e con le foglie ridotte a squame. I fiori unisessuati hanno l'ovario diviso in tre logge; tipica è la piccola bacca rossa o nerastra. Alcune specie sono coltivate a scopo ornamentale.
Ed eccoci alle Graminacee, da noi già incontrato. Qui però veduiamo una graminacea che non aveva ancora trovato posto in questo Armadio Virtuale: il mais (Zea mays). Originario dell'America centrale, fu importato in Europa già nel XVI secolo. È un'erbacea alta anche tre metri con foglie molto grandi, vistose infiorescenze e tipiche pannocchie piene di chicchi o cariossidi.
L'orzo (Hordeum vulgare) e il grano (Triticum vulgare) ci sono invece già ben noti, avendone parlato a proposito delle Monocotiledoni; qui possiamo osservarne le spighe da vicino. Possiamo aggiungere che dall'orzo, oltre che da segale e mais, si ottiene un liquore russo di fortissima gradazione alcolica, universalmente noto come vodka; ma dall'orzo disseccato si ricava anche il malto, fondamentale nella produzione della birra. Una graminacea per ubriaconi!
Non abbiamo invece parlato ancora dell'avena (Avena sativa), caratterizzata dalle tipiche pannocchie con grandi spighette, pendule od erette, formate da un numero compreso tra due e sei fiori. Spontanea nei prati, è coltivata nell'Italia settentrionale per fornire foraggio; ma le cariossidi, ricche di amido e di proteine, servono anche per preparare i famosi "fiocchi d'avena", integratori delle diete moderne. L'avena è anche alla base del famoso "porridge" inglese.
Un'altra graminacea che cresce spontanea sui muri e nei luoghi incolti è la Fienarola indurita (Sclerochloa rigida), utile per formare spiazzi erbosi come i fondi dei campi da gioco. Pianta più rara rispetto alle altre graminacee presentate in quest'Erbario Virtuale, vegeta da aprile a giugno fino ai 600 metri ed è nota anche con il nome latino di Poa (da cui la famiglia delle Poacee).
Il genere Bromus comprende monocotiledoni erbacee con foglie dotate di guaine e pannocchie generalmente rivolte verso il basso, come mostra questa pagina dell'Erbario Virtuale, formate da spighette con numerosissimi fiori. Bromus sterilis è il popolare forasacco, che da adulto ha pannocchie dure e pungenti, da cui il nome. Serve come foraggera.
«Il regno dei cieli si può paragonare ad un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò » (Matteo 13, 25-26) Questa notissima parabola del Vangelo ha reso universalmente noto il loglio o zizzania (Lolium temulentum), da cui l'espressione "seminare zizzania". La gramigna (Agropyrum repens) è un'altra pianta infestante che, come il loglio, rischia di soffocare le colture di grano.
L'Erbario Virtuale lascia spazio, nelle sue pagine conclusive, anche alle Felci (vedi sopra) come questo Nephrodium filix-Mas, una delle specie più comuni in Italia, nota anche semplicemente come felce maschio. Chiunque può coglierne le fronde, che talora raggiungono il metro ed hanno un picciolo relativamente molto corto, nelle zone più ombreggiate dei giardini, e riporle a seccare tra pagine di carta assorbente. La felce maschio è diffusa in Eurasia, Africa ed America.
La penultima pagina dell'Erbario ci mostra un lichene (precisamente Ramallina fraxinea) ed un'alga: in questo caso Ulva lactuca, la lattuga di mare, così detta per la sua somiglianza con una foglia di lattuga terrestre.
L'ultima pagina dell'Erbario Virtuale è dedicata ai Funghi, e precisamente a quelli che producono due famose malattie delle piante: il carbone del grano (Ustylago carbo) e la peronospora della vite (Plasmopara viticola). Quest'ultima produce una muffa bianca, violacea o grigiastra sulle foglie colpite, formata dagli sporangi del fungo che tanti danni causa alla viticoltura.
Questa foto, scattata nella farmacia del mio amico dr. Castelletti, dimostra come le erbe abbiano sempre avuto un largo uso in farmacia. Lo attestano questi contenitori d'epoca, in cui sono contenute foglie secche di Belladonna, di Eucalipto e di Tabacco. Miscelando queste erbe i farmacisti del passato realizzavano medicamenti per curare qualsiasi patologia.
Chiudiamo questo Armadio Virtuale con un modellino di nepente (genere Nepenthes), tipico rappresentante delle cosiddette piante carnivore. Le sue foglie terminano infatti con una piccola urna detta ascidio, con o senza coperchio, sul cui fondo ristagna un liquido dall'odore nauseabondo. Esso attira gli insetti, che scivolano senza possibilità di scampo su formazioni pelose e viscide rivolte verso l'interno, e quindi vengono lentamente digeriti. È caratteristica delle regioni tropicali del Vecchio Continente e delle isole della Sonda, ma viene coltivata anche dalle nostre parti con scopo ornamentale, per via del suo curiosissimo aspetto. E con le piante che si nutrono di animali lasciamo la botanica ed entriamo nella zoologia.
I testi delle didascalie sono stati realizzati con la fattiva collaborazione del prof. Carlo Puglisi
Queste immagini possono essere liberamente utilizzate da chiunque, purché se ne citi la fonte

 

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