Il Console

di Sandro Degiani

Qui vi devo dire proprio poche parole… se siete davvero molto forti in Storia Antica avrete una reazione diversa da chi, come me prima che mi documentassi a fondo per scriverlo, ne ha una conoscenza scolastica.
Taccio… e vi auguro buona lettura!

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La primavera sembrava arrivata in anticipo quell'anno.

Il giardino della villa era già in fiore e, malgrado fosse ancora presto, le prime api ronzavano di fiore in fiore.

Una lama di sole filtrò dalle pesanti cortine e illuminò con una tenue penombra l'intera stanza.

Su uno spartano giaciglio in legno con una vecchia coperta militare gettata sulle spalle, l'uomo dormiva immerso un sonno pesante.

Improvvisamente iniziò a muoversi come in preda ad un attacco epilettico, lanciò la coperta lontano mentre balzava seduto con gli occhi sbarrati che non vedevano… e si svegliò.

"Per Giove… che brutto sogno…!"

Il ricordo stava già svanendo ma ricordava ancora le linee generali del sogno… volava alto, sopra le nubi… sempre più in alto e raggiungeva i Campi Elisi… Giove in persona gli stringeva la mano e lo accoglieva.

Si sentiva leggero, distaccato dalla terra e dei pensieri di sempre…. Ma consapevole che non sarebbe più tornato indietro, non avrebbe rivisto più la moglie… gli amici… bevuto il caldo vino di Fano e gustato la fragranza del pane appena sfornato.

Mentre lo schiavo lo aiutava a vestirsi ed a drappeggiarsi sulla tunica la toga porpora di Senatore sentiva ancora l'oppressione del sogno e il senso di distacco dal mondo che aveva provato.

A tavola con la moglie ricordò il sogno e lo descrisse.

"Che strano, marito mio, anch'io ho avuto sogni terribili stanotte, ho sognato che la casa crollava e tu ti rifugiavi nel mio grembo ma venivi ucciso… mi sono svegliata piangendo..!"

"Troppi sogni, troppi segni ed io sono vecchio e non molto in salute… oggi starò a casa…!"

"Ma non puoi! Tuo figlio ha tanto insistito perché oggi andassi in Senato a far pesare il tuo voto… è così importante per lui!"

"Allora andrò per lui e per te, Calpurnia… ma gli Dei sanno che questo è un peso per me… spero solo che non sia troppo greve!"

***

Oggi era il giorno in cui avrebbe dovuto partecipare ad un importante discussione in Senato.

Ieri sera, partecipando al convivio di Catone, aveva assicurato i suoi sostenitori che non sarebbe mancato e che avrebbe usato tutto il suo potere ed il suo ascendente per portare i voti degli indecisi dalla loro parte. Il figlio aveva tanto insistito perché fosse presente, perché non rinunciasse a far capire quei vecchi orgogliosi ed inutili senatori chi era che a Roma prendeva le decisioni.

Eppure tutto diceva che non avrebbe dovuto andare in Curia… e ogni passo vero il Foro gli sembrava un passo verso il patibolo.

Si sentiva girare la testa… sudava… non si sentiva bene.

Forse un boccale di vino speziato gli avrebbe rimesso le cose a posto.

Si fermò alla Taverna di Peppona e chiese un boccale di vino di Falerno con miele e pepe.

Rimase appoggiato al bancone rivolto verso la strada. Accanto alla fontana c'era il solito mendicante cieco… da quanti anni era lì all'alba ed era ancora lì al tramonto..? Non se lo ricordava. Gli sembrava far parte oramai del paesaggio come la statua di Mercurio nell'altarino accanto alla taverna.

Peppona gli chiese a bruciapelo:

".. abbastanza speziato il vino, mio Signore?"

" … si… grazie… e ottimo anche il miele, sento che mi sta facendo bene…!"

"Non hai una bella cera mio signore… forse dovresti rimandare i tuoi impegni…"

"Anche tu mi sconsigli.. chi altri mi deve dire di non fare ciò che sto per fare?"

"Io, mio Signore……"

Era la voce del mendicante… e il senatore si voltò verso di lui.

"Anche tu hai consigli da darmi, dunque?"

"Io non vedo, ma vedo molto meglio di chi ha gli occhi e non vuole vedere…."

"E sarei io il cieco di noi due?"

"Tu lo dici… io non posso che confermare il tuo giudizio.."

"E cosa non vedrei…?"

"I segni, i presagi, la realtà attorno a te, chi ti vuol bene e chi trama contro di te… tutto tu non vedi, e non vuoi vedere"

"Allora dimmi anche che posso fare…."

"Un amico a volte è la persona che ci può indicare il sentiero davanti ad un bivio.. ma deve essere un vero amico per indicarci la strada giusta e deve aver camminato con noi per lungo tempo…. Hai un amico così, mio Signore?"

"Forse…. "

"Allora vai da lui, parla e poi ascolta… forse stasera ci rivedremo e saprai dirmi se ti ho consigliato bene…"

***

E sia….! Le sue vittorie erano state dettate da precise strategia ma anche da decisioni improvvise ed istintive… era ora non di subire ma decidere il proprio fato… e decise senza rimpianti.

Girò per una stradina che tagliava verso la suburra… aveva un vecchio amico che viva là e che aveva sempre offerto orecchie attente e discrete e dato il consiglio giusto.

Trovò facilmente nei ricordi il percorso trai vicoli stretti e maleodoranti del quartiere le giuste svolte per arrivare all'insula dove viveva Triburzio, il suo centurione ispanico che aveva comandato la sua scorta personale nelle lunghe campagne in Gallia e in Spagna.

Raggiunti i venticinque anni di servizio non aveva voluto nulla dal suo Comandante, aveva venduto il podere che lo Stato gli aveva assegnato e viveva come un comune plebeo nelle città Eterna.

Oltre ad essere un meraviglioso soldato con un senso dell'onore estremo ed assoluto, al suo fianco aveva iniziato a leggere ed a apprezzare gli scrittori della Classicità fino a farne un seconda ragione di vita.

Adesso Triburzio passava le giornate nelle biblioteche di Roma, aveva scelto di vivere lì solo perché non c'era posto al mondo come Roma che possedesse un patrimonio librario confrontabile e una concentrazione di filosofi, storici e poeti così elevata e di eccelse qualità.

La sua esperienza militare e di vita, unita alla cultura che si stava costruendo ne facevano un uomo unico come capacità di analisi e di giudizio e lui era ricorso sovente al suo consiglio e non si era mai pentito di averne accettato e condiviso i giudizi.

Passò accanto ad un negozio di un libraio ed entrò di impeto.

"Desidera, mio Signore?"

"Un libro, di uno storico, il più raro che avete…"

Il negoziante frugo tra i rotoli accumulati sui ripiani e ne trasse un tubo di pelle riccamente sbalzato.

"Contiene due libri della Storia di Roma di Quinto Valerio Anziate, scritti di suo pugno, li tenevo per un'occasione ed un cliente importante, ma chi è più importante di …"

"Niente nomi, buon mercante… io oggi sono solo un vecchio comandante che va a trovare un compagno d'armi con la mania dei libri."

"Triburzio… ha l'onore di essere vostro amico?"

"Si' è lui il destinatario del dono… mai una parola con lui su quanto l'ho pagato!"

"Certamente mio signore… ma lui lo saprà lo stesso, ha messo gli occhi su questo libro da mesi e sa che non se lo può permettere"

"Allora la prossima volta tu gli farai uno sconto speciale sul libro su cui metterà gli occhi… ed io ti pagherò questo libro il doppio del suo valore."

"Ah… Giove misericordioso, fa' che anche io un giorno abbia un amico come te, o Console!"

"Te lo dovrai guadagnare mettendo la tua vita in gioco per venticinque anni al suo servizio… è un prezzo molto alto!"

"Hai ragione, mio Signore, come sempre…. Sono duecento sesterzi per onorare la vostra amicizia.."

"E per placare la tua cupidigia…. De ne do centosettanta e credo di essere stato anche troppo generoso con te!"

"Tu mi strappi il pane di bocca, mio signore, ma Triburzio è un buon cliente e tu sei troppo importante per inimicarsi il tuo favore… e sia!"

***

Triburzio guardava pensieroso il tubo di cuoio con il prezioso manoscritto che il suo Comandate gli aveva regalato.

Aveva ascoltato in silenzio il racconto del suo comandante e alla sua richiesta di dirgli come la vedeva lui aveva distolto lo sguardo dai suoi occhi, si era preso il mento tra le mani strofinandosi lentamente la corta barba e si era messo a fissare un oggetto come sempre faceva quando voleva ottenere la massima concentrazione.

Stettero in silenzio uno accanto all'altro per molto tempo… da fuori arrivava il vocio della vita che scorreva nei vicoli del quartiere, grida di mercanti, pianti di bimbi, rotolare di ruote sull'acciottolato ed il confuso vocio della folla.

Mentre l'amico pensava il senatore cercava sul suo volto i segni dei venti anni passati uno accanto all'altro.

Nemmeno della moglie poteva dire di conoscere bene il corpo come quello del suo centurione.

Quella cicatrice sulla mascella era la freccia che era destinata al suo cuore e che il centurione, oramai senza scudo aveva deviato frapponendo il suo elmo tra il dardo ed il suo petto. Quel naso rotto era il ricordo di uno scontro con briganti tra i Pirenei, e la falange mancante dall'anulare era rimasta tra di denti di un Gallo che aveva assaggiato il sapore di un legionario assieme al gusto dell'acciaio romano…

Poi, d'improvviso, il vecchio centurione si ricosse dallo stato quasi di trance e iniziò a parlare come se il discorso non si fosse mai interrotto.

"Comandante, lo sai che quando hai adottato un figlio per un debito di onore ti portavi in casa una serpe… adesso non ti stupire se questa sta per morderti…"
"Io ho cercato di amarlo, di comportarmi come un padre… perché gli Dei mi rivoltano contro il figlio che amo?"
"Non cercare di attribuire agli Dei colpe che non hanno… le erbacce crescono anche se gli Dei non le amano, gli uomini sono quello che sono o che vogliono essere e Giove non può farci nulla!"

"Ed io che cosa devo fare?"

"Le mandrie di cavalli che avevi consacrato oggi nitriscono disperate e si rifiutano di mangiare… Spurinna in persona ti mette in guardia con i suoi aruspici. Sai che sta' per accadere…"

"Cosa?"

"Quello che da tempo temi… di trovarti contro chi ami."

"E cosa posso fare?"

"Nulla e tutto… devi decidere tu… come sempre il tuo destino è nelle tue mani… io oggi vedo davanti a me un vecchio di cinquant'anni. Il suo cuore è anche lui invecchiato? O è ancora quello che batteva nel petto di un giovane Console che lottava come un leone con l'astuzia di una volpe?"

"Oggi mi sento come se di anni ne avessi cento…. E vorrei che il cuore smettesse di battere!"

"Non sono le parole che mi aspettavo di sentire da te… sono parole di rinuncia! Eppure a cinquanta anni c'è ancora tempo di perdere e di fondare un nuovo Impero, di cambiare il mondo imponendo alla storia una svolta che nessuno riuscirà più a invertire!"

"E sarei io quel fondatore?"

"Tu ne hai tutte le qualità e l'energia se solo saprai tirarla fuori da dove si è rintanata mentre invece della spada usavi la lingua nel Senato… oggi i segni che gli Dei ti hanno mandato sono chiari: devi scegliere, ha davanti un bivio e una delle vie porta verso l'oscurità,, l'altra la devi tracciare tu!"

"Mi aiuterai, sarai al mio fianco?"

"Come sempre Comandante! Forse hai bisogno di più ispanici al tuo fianco e meno clienti viscidi e servili! Ma aspetta… prima di andare verso il tuo destino voglio ricambiare il dono!"

Andò verso una cassapanca posta nell'angolo della stanza e ne estrasse un rotolo di tessuto.

Lo svolse con attenzione e ne estrasse un corto gladio con una lama larga e triangolare a doppio filo.

Era una lama di splendido acciaio damascato, forgiata da artigiani spagnoli che ne conservavano gelosamente il segreto di produzione. Sottile e flessibile, affilata e mortalmente bellissima. L'impugnatura era a pomolo come le armi militari, adatta a esercitare una spinta con la seconda mano dopo aver sferrato il colpo.

"Questa arma mi è stata data da mio padre quando mi arruolai nell'esercito di Roma ed è stata al mio fianco per venticinque anni. Le devi la vita, mio Comandante, perché è stata lei ad uccidere il sicario che era entrato nella tua tenda a Treviri."

"Perché la dai a me? Io non uso più armi da tanto tempo…"

"Dovrai usarla… presto… molto presto…. E decidere il tuo destino futuro in pochi attimi. Portala con te sempre, è corta e leggera e stà nelle pieghe della toga senza dare nell'occhio. E poi sono sicuro che qualcuno ha controllato se uscivi di casa armato, stamani…"

"Ho pranzato solo con mia moglie e mio figlio…. Chi può sapere come sono uscito di casa… !"

"La saprai e la scoperta non ti stupirà… prima del tramonto del sole tu dovrai decidere ed agire, gli Dei ti hanno deciso che è oggi che si compie il tuo destino. E quando il destino si compie, un legionario lo sa bene, avere una buona lama in mano può essere decisivo!"

"Triburzio, non so se mi alzo più saggio o più disperato, ma forse adesso so cosa devo fare… grazie ancora una volta!"

"Arrivederci mio comandante! Giove sia con te, e se trovi altri libri di Quinto Valerio Anziate pensa a me e contratta bene… non ti far spillare quattrini da vecchi mercanti ebrei….!"

"Ci rivedremo, Triburzio?"

"Voglio sperare che accada ancora per ancora parecchi anni… poi andremo assieme a vedere se l'ambrosia degli Dei è davvero così inebriante! Ma non senza aver compiuto il nostro destino fino in fondo… senza mai voltarci indietro ma guardando sempre avanti! Ave mio comandante…!"

"Ave Triburzio, amico mio… "

***

Era oramai quasi il tramonto, il sole dorato traeva dai marmi di Roma effetti di luce calda e avvolgente.
La seduta del Senato doveva essere finita da un pezzo, la sua assenza avrebbe sollevato polemiche e avrebbe offeso i Senatori ma chi se ne importava?

Lui non doveva essere lì, non aveva voluto essere lì e anche gli Dei erano di quel parere… altrimenti non si sarebbero scomodati a mandare così tanti segni…

Stava costeggiando il porticato della Via Sacra quando vide il figlio con venirgli incontro a grandi passi con Publio Servilio Casca e Gaio Cassio Longino ai due lati e capì…. infilò la mano destra sotto la toga come cercasse qualcosa riposto tra le pieghe e strinse forte nel pugno il corto gladio che gli aveva dato il suo fido centurione.

Quando gli fu vicino e lo abbracciò, non attese che il figlio calasse il pugnale che teneva dietro la schiena ma affondò il suo gladio nel petto e lo torse avanti ed indietro per più volte.

A occhi spalancati il figlio cadde riverso sui bianchi marmi del Foro arrossandoli con il suo sangue mentre la mano che teneva dietro la schiena adesso annaspava verso il cielo brandendo ancora il pugnale… poi si contrasse, tremolò, ed infine le dita si aprirono lasciarono cadere l'arma che cadde sul marmo emettendo un tintinnio che parve assordante.

Le persone che stavano alle spalle del figlio rimasero immobili… anche le loro mani erano nascoste nelle pieghe della toga.

Il senatore punto verso di loro il gladio arrossato e chiede con voce di comando:

"Qualcuno vuole unirsi a mio figlio nel viaggio verso l'Ade? Magari Caronte vi farà viaggiare assieme sulla sua barca e risparmierete l'obolo!"

Volarono sguardi torvi e obliqui e parole biascicate ma era chiaro che il serpente aveva perso la testa ed ora non poteva più mordere. Si allontanarono uno ad uno, curvi e esitanti, prendendo direzioni diverse, ma il senatore li aveva guardati negli occhi ad uno ad uno… i conti li avrebbe pareggiati prima o poi… e sarebbero stati conti molto salati!

***

Il Medicante era ancora là, seduto sul bordo della fontana accanto alla taberna di Peppona, col volto rivolto agli ultimi raggi di sole che arrivava dall'astro che stava per tuffarsi tra i pini del monte Capitolino.

Si avvicinò, fendendo tra la folla che scorreva come tutti i giorni senza badare troppo a scansare gli altri pedoni, la sua toga purpurea li faceva scansare all'ultimo momento con uno scarto improvviso ed uno sguardo meravigliato nel vedere un Senatore a piedi.

Era a tre passi quando il volto del Mendicante si voltò verso di lui con le spente pupille che lo fissavano glauche.

La bocca sdentata sorrise lievemente e poi, per la prima volta in tanti anni gli rivolse la parola chiamandolo per nome, scandendolo come se fosse un esercizio oratorio, la completa genealogia:

"Allora, Caio Giulio Cesare figlio di Venere, è stata una giornata che gli Dei hanno voluto segnare in molti modi… se sei davanti a me al calar del sole vuol dire che hai saputo ascoltarli … e adesso hai davanti a te una nuova vita, usala bene perché questa è un dono degli Dei più della prima!"

"Si mio caro aruspice… credo che la userò bene, il mio nome non significherà per i posteri solo conquista e vittoria ma progresso e civiltà… forse oggi, a Giove e Minerva piacendo, inizia una nuova Era per Roma e per l'Impero… "

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Da qui possono partire infinite ipotesi… se Cesare non fosse stato ucciso, la cartina sottostante avrebbe potuto essere realistica? Gli Urali e l'Indo confini naturali dell'Impero Romano? E se Cesare avesse deciso una evoluzione tecnologica della Civiltà Romana, che cosa avremmo avuto dopo 2000 anni? Una Galassia solcata dalle potenti Astronavi delle Invitta X Legio? Un Impero Multietnico e Multirazziale con un Divus Caesar Imperator al vertice? I Vegani che pagano "ob torto collo" le tasse a Roma in Sesterzi ed Aurei?

Sandro Degiani

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Se Cesare non fosse stato assassinato, forse l'Impero Romano avrebbe raggiunto questi confini...

Se Cesare non fosse stato assassinato, forse l'Impero Romano avrebbe raggiunto questi confini...

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A proposito, questa è la cronologia del romanzo ucronico "Romanitas" di Sophia McDougall, speditaci da aNoNimo:

Cronologia di "Romanitas"

933 aUc: Marco Aurelio muore. Diventa imperatore il figlio Commodo.
945 aUc: Commodo, durante il suo sanguinario regno, impoverisce Roma. Viene assassinato da un gruppo di cospiratori, tra cui il suo ciambellano, la sua concubina e Laetus, il capo dei pretoriani. I cospiratori fanno credere che Commodo sia morto per apoplessia e fanno diventare imperatore Pertinace, figlio di un liberto.

945-957 aUc: Agli inizi del regno di Pertinace, Laetus incoraggia un complotto contro l'imperatore, ma viene scoperto. Laetus viene bandito. Pertinace mette al bando i Pretoriani, con la creazione di una forza di polizia da lui scelta, fa in modo da evitare ancora complotti a danno dell'imperatore. Pertinace toglie le tasse messe da Commodo, taglia alcune spese di palazzo, diminuisce le imposte ai contadini e incentiva il commercio e ridà potere al Senato di Roma.

957 aUc: Morte di Pertinace. Dopo la disastrosa successione di Commodo, Pertinace fu riluttante, prima della morte, a nominare suo figlio Publio Elvio Pertinace II Cesare ed erede al trono, ma il Senato accetta la successione.

957-973 aUc: Pertinace II continua le riforme economiche del padre, risanando le finanze imperiali. Ristruttura l'esercito, stacca le legioni dalle guarnigioni di frontiera per creare una forza più snella e mobile. Lega la paga dei soldati al tasso d'inflazione e li rende meno propensi alla corruzione e ne migliora pertanto la disciplina.

978 aUc: Il re persiano Ardashir uccide l'ultimo re dei Parti e crea l'Impero Sasanide. Lo zoroastrismo diviene la religione di Stato.

991 aUc: Continui attacchi delle tribù germaniche lungo il Reno ed il Danubio, ma l'esercito romano resiste e le ricaccia indietro. Per assicurarsi di aver disinnescato la minaccia, Pertinace II ordina alle legioni della Britannia, nonostante le proteste dei romano-britannici, di abbandonare l'isola e decide di attaccare la Germania e la Sarmazia.

983-993 aUc: Ardashir invade l'India e la Siria romana. Poco dopo il figlio Shapur diventa imperatore.

991-995 aUc: Pertinace conquista la Germania e la Venedia, spingendosi fino in Finnia ed in Gothia.

995-1009 aUc: Guerre contro i Persiani. Ripresa la Siria.

1009 aUc: Morte di Pertinace II. Al trono Lucio Elvio Pertinace Sarmaticus. Vittorie romane in Europa orientale.

1013-1018 aUc: L'esercito romano, rinforzato da truppe germaniche e grazie all'aiuto del Regno di Palmira, attacca e conquista l'Impero Persiano.

1018-1044 aUc: Nonostante alcune ribellioni nella Persia romana, il controllo di Roma nella regione rimane saldo.

1044-1066 aUc: Sotto Gaio Flavio Sulpiciano, figlio adottivo di Sarmatico, Roma perde la Persia e la Mesopotamia.

1066-1098 aUc: Marco Flavio Sulpiciano Cruento riconquista la Mesopotamia e la Persia. Migliaia di Persiani vengono uccisi o ridotti in schiavitù. Persecuzione degli Ebrei, dei Cristiani e degli Zoroastriani. Invasione e conquista dell'Arabia. Cruento esporta la religione romana nella parte orientale dell'Impero.

1100-1200 aUc: Seconda dinastia Flavia (1066 AUC-1234 AUC). Riconquista della Britannia, compresa la Caledonia e l'Hibernia. Qui c'è stata una rinascita della cultura celtica, ma la nostalgia per la dominazione romana ha portato ad una vittoria, per l'Impero, abbastanza agevole. Sporadiche incursioni di Unni, i quali vengono respinti, o assorbiti, da Roma. Graduale espansione verso la Scizia.

1200-1300 aUc: Dinastia Acilia (1234-1618 aUc). Continua la conquista della Scizia. Attraverso la Persia, inizia l'espansione verso l'India. Lunghe guerre per conquistarla. Le divinità indiane vengono romanizzate.

1300-1400 aUc: Le rivolte in India tengono perennemente occupate le forze militari.

1400-1500 aUc: Tentata espansione infruttuosa verso la "Sina". Continui problemi in Siria, Persia e India.

1500-1600 aUc: Confini contesi con la Sina. In India ed in Persia, benché sottomesse, ad ogni segno di debolezza dell'Impero, scoppiano ribellioni. In questo periodo le persecuzioni ai danni degli Zoroastriani, dei Cristiani e degli Ebrei sono finite, a loro viene negata la cittadinanza romana.

1600-1700 aUc: Dinastia Cordia. Le province nordafricane tentano di rendersi indipendenti da Roma, ma esse sono strategicamente importanti perché sono il granaio dell'Impero, pertanto in questa zona viene incrementata la presenza militare.

1700-1800 aUc: La dinastia Song unifica e stabilizza la Sina. Roma è inizialmente preoccupata per l'aumentato potere della Sina, ma gli imperatori capiscono che Roma adesso è inattaccabile, nuovi tentativi di conquistare la Sina sarebbero costosi e soprattutto non c'è la necessità di rischiare il lucroso commercio con l'Oriente. Così le relazioni tra i due stati restano cordiali, anche perché la Sina sostiene il controllo romano sull'India.

1800-1900 aUc: Dinastia Blandia. I romani difendono i Song contro i Jurchen. A Roma arrivano molte innovazioni cinesi, tra cui la carta moneta, le banche, certi tipi di abbigliamento, che vengono romanizzati, e la polvere da sparo.

1900-2000 aUc: Roma parteggia per la Sina contro i Mongoli, così la dinastia Song riesce a salvarsi. Nel frattempo riescono a comprendere le applicazioni militari delle invenzioni cinesi. Primo contatto di Roma con Nionia. I prodotti orientali sono ardentemente ambiti, ma Roma ne ha scarso interesse politico, dato che sono attraversate da lotte intestine.

2000-2100 aUc: Armati di cannoni, i Romani invadono l'Etiopia. La Sina sta a guardare con preoccupazione. Go-Daigo, imperatore di Nionia, visita Roma, viene a conoscenza delle esplorazioni e delle conquiste romane e delle applicazioni della polvere da sparo.

2100-2220 aUc: Go-Daigo guida la Restaurazione Keemu, combatte i suoi nemici, usando le armi da fuoco. Restaura il potere dell'imperatore e riunisce la Nionia. Intanto Roma, dopo le continue conquiste in Africa, in tale zona si trova in difficoltà per le continue ribellioni proprio in questa zona. Degli esploratori romani tentano di circumnavigare il globo, ma trovano una nuova terra ad ovest, chiamata "Terranova", ma non c'è al momento possibilità per avventure militari. Grave piaga in Europa ed in parte della Sina. L'imperatore Blandio postumo muore improvvisamente. Lotta di potere mai vista in oltre mille anni.

2220-2300 aUc: Prima macchina elettrostatica. Dopo un susseguirsi di imperatori che hanno durata breve, il senato porta al potere Sesto Vincio Sacerdote. Dinastia Vincia (2204-2509 aUc). Mentre Sacerdote sta assicurandosi la sua posizione, Nionia invade la Corea ed attacca il territorio cinese. Sina chiama Roma per essere sostenuta, ma l'impero non è in grado di rispondere all'aiuto, perché in lotta per la sua stessa sopravvivenza e deve far fronte alle sue spaccature interne, alle tensioni nella regione indo-persiana ed agli effetti devastanti della piaga che ha decimato la popolazione. Sina batte Nionia da sola, ma perde larghe porzioni di territorio. Le relazioni di Roma sia con la Sina sia con la Nionia sono guastate. Roma prova a riprendersi dai gravi danni degli ultimo secolo, con lo scopo di ripristinare la solidarietà romana, Sacerdote estende la cittadinanza a tutti gli abitanti dell'impero, senza distinzione di nazionalità o religione, rifiutando solo la possibilità ai liberti di accedere alle cariche politiche.

2300-2400 aUc: Nel frattempo cresce la potenza di Nionia. Gli esploratori giapponesi scoprono il continente meridionale, che lo chiamano "Goshu". Quando Nionia inizia a colonizzare Goshu, Roma è preoccupatissima per la crescente potenza di questa, poiché sta diventando una temibile rivale. Roma inizia a premere affinché Nionia cessi ad espandersi e prona Sina a sostenerla. Sina, diventata uno stato cuscinetto tra Roma e Nionia, diventa sempre più introspettiva ed il governo cinese rifiuta di esporsi. Completata conquista dell'Africa. Ancora esperimenti sull'elettromagnetismo. Roma inizia l'espansione nella parte centrale e meridionale di Terranova, dilagando prudentemente anche in Mexica, Maia ed in Aravacia. Successivamente anche Nionia entra a Terranova dall'estremo Nord. A Roma inizia il dibattito se muovere guerra, ma per la disaffezione di molti, non si fa niente. C'è molta terra, con la sua popolazione, da contendere tra le due potenze.

2400-2500 aUc: Nionia si spinge verso sud, fino a quando Roma capisce che i suoi possedimenti in Terranova sono minacciati. La guerra ora è inevitabile e dura circa un secolo. I due eserciti si affrontano sul continente. I Romani si spingono verso nord dalla costa sudorientale della parte settentrionale del continente, obbligando gli indigeni a sostenerli. Le successive fasi della guerra - variano di intensità e sono interrotte da brevi armistizi - sono cruente, con battaglie navali nell'Oceano Atlantico e nei pressi di Nionia. Il costo della guerra viene pagato salato in termini di vite umane che si tratti di Romani, Nioniani o "Terranovani". L'imperatore Vincio Arcadio muore in circostanze sospette e Nasennio, il fratello di questi, prende il potere. L'economia romana è stata danneggiata dalla guerra. Durante un momento di tregua, negli ultimi anni del venticinquesimo secolo, c'è una prima rivolta nella provincia africana di Lundae. Il primo, lento ed inefficiente, veicolo elettrico a trazione magnetica riesce a viaggiare.

2500-2600 aUc: La pazzia fa la sua comparsa nella famiglia Novia. Gli africani sono momentaneamente sottomessi. Nella seconda rivolta del 2503 AUC una legione romana, male equipaggiata, viene annientata nei pressi di Mausitania (Mosi-oa-Tunya). Per questo disastro, Nasennio è accusato. Oppio Novio, nipote acquisito di Nasennio, guadagna popolarità in Senato. Dopo un'epidemia di vaiolo a Roma, Nasennio si suicida senza lasciare figli. Oppio Novio sale al potere. Dinastia Novia 2509 AUC-Presente. Roma si assicura il Nordafrica, mentre il sud chiede l'indipendenza. Sebbene Roma riesca a tenere la parte settentrionale del continente africano, però, la prima volta dopo secoli, perde il controllo della parte sud. Problemi appaiono in altre parti dell'Impero, poiché si presentano tensioni a Terranova ed in India. Nel 2512 aUc Servio, il fratello di Oppio, muore di pazzia. Oppio cerca di ristabilire le relazioni internazionali. Cerca di rovesciare le fortune romane in Terranova settentrionale, dove i romani avanzano verso Nord. Il suo compito è facilitato anche da nuove tecnologie, quali il telegrafo inventato nel 2511 AUC. Ciò permette di migliorare il governo dei territori oltremare. Le linee telegrafiche vengono installate sotto l'Atlantico ed attraverso l'Africa. Trent'anni dopo arriva anche il telefono. Così Roma è in grado di rispondere molto più rapidamente in caso di future inquietudini. Ci sono tentativi per trovare il modo di volare. Militarmente Roma è più forte di Nionia, però è impossibile espellere i Nioniani da Terranova. Alla fine Roma trova un accordo con Nionia e definiscono i termini per spartirsi la parte Nord di Terranova. Secondo i trattato di "Mixigana", un enorme muro viene costruito nel continente per separare le due potenze. Il commercio riprende, ma la rivalità resta. Roma sviluppa nuovi potenti esplosivi. Nionia sembra che stia sempre guadagnando terreno nel gap tecnologico con Roma. Roma inizia ad espandersi nella Terranova meridionale. Roma migliora la rete stradale, mentre costruisce, nell'Impero, vie a trazione magnetica.

2600-2700 aUc: Sviluppo del volo usando ali circolari, fornite di motore. Colonizzazione di Terranova settentrionale e meridionale. Corsa alle armi tra Roma e Nionia.

2696 aUc: Nascita di Tito Novio Fausto.

2702 aUc: Nascita di Lucio Novio Fausto.

2711 aUc: Nascita di Terzo Novio Fuasto.

2722 aUc: Tito si sposa con Giulia Sabina.

2724 aUc: Giulia dà alla luce Novia Faustina ("Makaria").

2730 aUc: Lucio si sposa con Drusilla Terenzia.

2732 aUc: Drusilla Terenzia fa nascere Druso Novio Fausto.

2734 aUc: Lucio è colpito da pazzia ereditaria.

2735 aUc: Gaio Novio Fausto Rixa muore. Tito diventa imperatore. Terzo Novio va a reprimere una rivolta Azteca, il suo coraggio gli fa guadagnare l'agnomen "Leone". Viene onorato con un grande trionfo, ma è turbato dalla visione di centinaia di liberi Aztechi ridotti a schiavi.

2736 aUc: Fausto divorzia da Giulia.

2737 aUc: Leone si sposa con Clodia Albina. Con l'approvazione senatoriale, Leone diventa cesare ed erede al trono.

2741 aUc: Clodia dà alla luce Marco Novio Fausto Leone.

2749 aUc: Fausto si sposa con Tullia "Tulliola" Marciana.

2757 aUc: A metà agosto Leone e la moglie Clodia sono uccisi in un incidente stradale nelle Alpi Galliche. Da qui prendono le mosse gli eventi del romanzo.

aNoNimo

Legionario Romano in versione fantascientifica! (creata con Bing Image Creator)

Legionario Romano in versione fantascientifica! (creata con Bing Image Creator)

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Passiamo a un racconto sullo stesso tema ma di tutt'altro tenore, scritto per noi da Enrica S.:

L'ultima missiva

C. I. Caesar Cleopatrae Suae Salutem Dicit.

O Regina delle Regine, Luce dei miei occhi ormai offuscati dalla malattia, mentre tu ti conservi nello stesso splendore circondata dal quale ti vidi quel lontanissimo giorno in cui uno dei tuoi servi srotolò il suo tappeto davanti a me, mostrandomi la tua bellezza per la prima volta; voglio che sia indirizzata a te l'ultima missiva che scriverò di persona ad un essere umano. Non ti stupiscano queste parole, o figlia dei Tolomei: è vero, tutte le volte che ci siamo incontrati negli ultimi anni, in pubblico o nel segreto dell'alcova, io apparivo come l'immagine stessa del vigore, incarnazione della potenza di Roma che ha spinto i suoi confini fino alla Germania e all'Eufrate. Tuttavia tu sei una delle poche a conoscere il mio segreto: fin dalla mia infanzia nella Suburra io soffro del morbo sacro. Come Socrate, come Alessandro il Grande, come molti altri prediletti degli dèi, mi hai detto tu stessa con la tua voce degna della Musa Calliope, la prima volta che ho avuto una crisi del mio male davanti a te. E come darti torto? Chi più di me nella storia di Roma ha colto tante prestigiose vittorie, chi ha sconfitto tanti nemici, da quando combattevo i pirati in oriente sotto il comando di Servilio Isaurico, fino alla mia recente vittoria di Munda sugli ultimi pompeiani in Spagna? Eppure, il grave morbo di cui soffro non è solo un regalo della mia divina protettrice Venere, madre di Enea, capostipite della Gens Iulia cui mi glorio di appartenere.

Non voglio tenerti oltre sulle spine, mia diletta, madre del nostro figlio Tolomeo Cesare, e per questo ho deciso di dirti tutta la verità, per quanto dolorosa essa possa risultare ai tuoi occhi di regina. Il mio medico personale Antistio è stato chiaro: l'intensificarsi degli attacchi epilettici e delle atroci emicranie che ormai quotidianamente mi perseguitano, paragonabili solo ai dolori provati dal sommo Giove quando diede alla luce Minerva dalle proprie tempie, sono chiaro sintomo di un male a rapido decorso, degenerativo e incurabile, che lui ha chiamato cancro al cervello. Non vi è modo di arrestare la sua repentina crescita, né facendo ricorso a tutta la scienza di Ippocrate di Coo e di Erasistrato di Ceo, né levando preghiere a quegli déi dell'Olimpo che tu veneri con tanto commovente pietà, e nell'esistenza dei quali invece io non ho mai realmente creduto, pur ricoprendo da tanti anni la carica di Pontefice Massimo. So che gli Egiziani, che hanno la fortuna di avere te come loro Sovrana, praticavano la trapanazione del cranio e la rimozione di mali come il mio fin da tempi immemorabili, quando Osiride ancora regnava sul Duplice Regno, ma so anche che, nelle mie condizioni attuali, non sopravvivrei mai ad un intervento chirurgico così invasivo. E questo significa una cosa sola, o Figlia dei Faraoni, o prediletta di Horus che si libra in forma di falco sulle acque iridescenti del Nilo: la mia lunga ed avventurosa vita è giunta al capolinea. Tutte le imprese che ho progettato, dalla sottomissione dei Germani che tante volte hanno interferito con la mia conquista della Gallia alla definitiva sconfitta dei pirati dalmati, dall'occupazione della Dacia di Re Burebista fino alla resa dei conti finale con i Parti per aprire una via commerciale diretta verso l'India, resteranno per me solo come il sogno di un vecchio febbricitante, come un commentario scritto sulla sabbia del mare che viene cancellato dall'arrivo di un'onda imbizzarrita. Forse dopo di me sorgerà chi realizzerà questi sogni: magari proprio il mio fidato Marco Antonio, che ho già inviato una volta presso di te quale latore dei miei messaggi, oppure mio nipote Quinto Pedio, mentre non credo che il mio diciottenne pronipote Caio Ottaviano, che pure amo molto, avrà mai un ruolo davvero importante nella storia di Roma, malaticcio e inetto alla battaglia com'è.

Spero vivamente che il mio successore nella Dittatura, chiunque esso sia, sia degno di raccogliere il mio testimone; ma questa non è la mia sola preoccupazione, in questo momento. So infatti che la malattia di cui soffro mi ridurrà ad un rottame d'uomo, forse addirittura ad un vegetale che non ricorderà neppure il nome di uno dei campi di battaglia sui quali mi sono coperto di gloria. E io in questo modo non voglio finire, per Ercole. Questa sera stessa, a casa di Marco Emilio Lepido, pur senza fargli intendere alcunché circa la terribile condanna a morte che mi pesa sulla testa come la proverbiale spada di Damocle, ho affermato che preferirei mille volte una morte improvvisa e rapida allo sfinimento della vecchiaia o di una malattia; e non stavo affatto mentendo. Ho già predisposto ogni cosa, o figlia di Iside e di Osiride, o pupilla di Ra, così come predisponevo sempre minuziosamente ogni particolare, prima di ingaggiare battaglia con qualsiasi nemico. So infatti di avere più nemici che amici, qui nella città di Roma. Il partito nobiliare è insofferente della mia Dittatura, e il defunto Pompeo ha più seguaci di quanti nessuno potrebbe mai immaginare, sui Sette Colli di Roma, a partire da quel Cicerone che tante volte ha già voltato gabbana negli ultimi anni. Ho le prove sicure che persino alcuni tra coloro che sono sempre stati al fianco fin dalle guerre di Gallia, come Gaio Trebonio, Decimo Giunio Bruto Albino, Lucio Minucio Basilo e Servio Sulpicio Galba, tramano contro di me. E soprattutto, mi si sono rivoltato contro anche i due Pretori per quest'anno, Gaio Cassio Longino e Marco Giunio Bruto. Anche tu, Bruto, figlio mio! E non solo adottivo, visto che egli è nato da una mia relazione con sua madre, la bellissima Servilia, quando avevo solo diciannove anni, anche se egli lo ha sempre ignorato.

I miei informatori mi dicono per certo che essi hanno organizzato una congiura per eliminarmi, onde restaurare quella Repubblica che essi mi accusano di aver abbattuto, per farmi re e trasformare Roma in un mio potentato personale. Ma i miei avversari pensano forse che io sia cosi sprovveduto da non accorgermi dell'astio crescente nei miei confronti, e dei discorsi che si fanno dietro le mie spalle per impedire che io instauri un'autocrazia e una dinastia, come quella di Tolomeo cui tu ti vanti di appartenere? Poveri stolti: nulla può sfuggire al mio occhio di falco, almeno finché la malattia inguaribile non lo avrà ottenebrato. Io però ho deciso di non muovere un dito per fermare i congiurati, ed anzi di favorirli! Ho rinunciato volontariamente alla scorta della mia fidata guardia personale, affinché essi si sentano liberi di tramare nell'ombra ai miei danni. Ho fatto in modo che Marco Antonio non sia con me, quando verrà il momento ferale. Ma soprattutto, ho disseminato tutt'attorno a me segni di falsi presagi, che sembrino annunciare la morte di un personaggio influente. Alcuni giorni fa, durante un sacrificio, ho fatto finta di non trovare il cuore della vittima, il che è stato interpretato come un presagio di malaugurio. Ho pagato un aruspice, un certo Spurinna, acciocché mi gridasse in faccia pubblicamente di guardarmi dalle Idi di Marzo, così da provocare i congiurati e da offrire loro un'occasione più che ghiotta per venire allo scoperto. Ho fatto mettere in giro ad arte la voce che le mandrie di cavalli da me fatte liberare al momento del passaggio del Rubicone, cinque anni fa, hanno cominciato inspiegabilmente a piangere a dirotto. A questo punto i congiurati sono cotti a puntino, e sono sicuro che domattina, quando entrerò nel Foro di Pompeo, mi si faranno incontro per mettere in atto il loro tristo progetto. L'unico ostacolo alla realizzazione del mio piano, volto ad assicurarmi una morte gloriosa a fil di spada anziché una ignobile per mezzo di un'orribile malattia, è rappresentata da quell'ingenuo filosofo, Artemidoro di Cnido, il quale va dicendo a tutti nelle Basiliche dell'Urbe che i miei nemici si apprestano ad uccidermi, e che più volte mi ha fatto pervenire tutta una serie di messaggi per avvisarmi di non recarmi, domani, alla seduta del Senato: devo essere certo che non convinca i congiurati a rinunciare al loro proposito, sentendosi scoperti, altrimenti il mio piano andrà in fumo come le offerte sui bracieri sacrificali. Infatti ho posto a Bruto e Cassio un preciso limite temporale, onde forzar loro la mano, affermando che il 16 marzo sarei partito per la mia nuova campagna contro i Parti onde recuperare le insegne romane sottratte a Crasso; se per colpa di Artemidoro essi dovessero rimandare la loro azione, sarei costretto a partire e dovrei affrontare la mia Nemesi, il cupo morbo che mi ridurrebbe ad un morto quando ancora sarei in vita.

E questo è tutto, mia Regina, splendore della Valle del Nilo, la cui bellezza supera quella delle più celebrate eroine dell'antichità. Quando leggerai questa mia ultima lettera, i pugnali dei miei nemici mi avranno già colpito, convinti di avermi sorpreso a tradimento proprio nel momento in cui credevo di essere acclamato Rex Populi Romani, e sarò asceso al cielo in modo eroico, invece di spegnersi in una lenta agonia. Non ci vedremo mai più, e tu non potrai più stringermi tra le tue braccia, ma preferisco così a uno struggente addio, tra un diluvio di lacrime e una marea di litanie dei sacerdoti di Giove Ammone. Inoltre, forse non tutto è perduto per il nostro amore. Forse, se vedrai un pavone volare fino alla tua reggia di Alessandria e appollaiarsi sul tuo balcone, intonando uno struggente canto d'amore, ecco, quello sarà il mio spirito che, prima di raggiungere i Campi Elisi ove soggiornano i leggendari eroi dei tempi mitici, è venuto a salutarti per l'ultima volta. Gloria e splendore a te, o Figlia dei Faraoni, erede di Alessandro Magno, Gemma dell'Oriente, Madre di mio Figlio. Si Vos Bene Valetis, Ego Valeo. Sempre tuo Caio Giulio Cesare, Dittatore Perpetuo

Enrica S.

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E ora, diamo spazio all'idea di GJXIII:

Nuova Italica

Anno 43 d.C. Accampamento della La Legio IX Hispana, nei pressi di ITALICA.

Il comandante Aulo Plauzio, sedeva di fronte al tramonto del sole , sorseggiando un calice di vino delle colline romane, che era arrivato dai suoi vigneti.

La giornata era stata dura, le popolazioni locali, erano di nuovo in ribellione contro la centralità di Roma,e giungeva voce che anche le popolazioni a nord erano in ribellione, e quella terra chiamata Britannia era il prossimo obbiettivo di Roma.

-tu sei l'unico capace di conquistare quella terra- gli aveva detto Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, prima di partire da Roma.

Aspettava con impazienza gli ordini per la partenza e la successiva invasione della Britannia.

La legio IX HISPANA contava su un totale di 50.000 fanti, 10.000 veterani della IX legione di Caio Giulio Cesare, 7.000 cavalieri, 2000 arcieri 1000 ausiliari, e altre 2000 unità di supporto.

La legio IX HISPANA era il meglio delle legioni di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, che volle potenziare per espandere il dominio di Roma oltre le terre conosciute!

Cesio Nasica, comandante in seconda della LEGIO IX, si sedette accanto al comandante.

"Mio buon amico, è giunto l'ordine?" fece, porgendogli una coppa di vino

"Tito Flavio Vespasiano è stato avvistato a poche leghe da qui, tempo un passaggio di clessidra!"

Restarono ad ascoltare le urla e i canti dei legionari.

"Potremmo conquistare Roma e divenire imperatori con questa legione", sussurrò Cesio Nasica.

"Conquisteremo nuove terre."

"La Britannia?"

"Nuove terre!"

"Sei ermetico, amico mio, gli déi non ti puniranno per quello che chiedo."

"Gli déi no, Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico invece sa essere crudele, a volte!"

"Mi fai rabbrividire."

"Non temere, appena arriva Tito Flavio Vespasiano sarai messo al corrente di tutto!"

I Falò erano stati accessi, quando Tito Flavio Vespasiano si presentò al comandante Aulo Plauzio.

"Ben arrivato generale, un buon boccale di vino?"

"Grazie, comandante!"

"Sono gli ordini dell'imperatore", disse porgendogli una pergamena.

Il Comandante Aulo Plauzio la lesse in silenzio.

"Bene, generali, si parte tra due giorni, ogni centurione prepari le sue falangi!"

"Destinazione Britannia?" chiese Cesio Nasica.

Il comandante Aulio Plauzio, poggiò una mano sulla spalla dell'amico:

"No, destinazione la costa nord ovest, verso la HISPANIA GALLECIA!"

"C'è il mare lassù, dobbiamo conquistare il mare?"

"C'è anche il porto di IRIA!"

"Credevo che attraversando la Gallia si raggiungesse la Britannia!"

"Non andiamo alla conquista della Britannia, che spetta alla X e XII legione!"

"Non capisco: cosa dobbiamo conquistare con la IX?"

"Una terra al di là del mare!"

"Per gli déi! Cosa c'è, al di là del mare?"

"Altre terre, un'altra Roma da fondare, un'immensa, eterna Roma! Una nuova ITALICA!

GJXIII

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Diamo infine la parola a Dario Carcano:

Gaius

Quel giorno un sole caldo ed estivo splendeva sul Palatino, ma un vento freddo preannunciava il prossimo arrivo dell’inverno; insomma, era un giorno di autunno, e quel giorno di autunno nel portico del palazzo del Palatino due persone attendevano di essere ricevute dall’Imperatore Gaio Cesare Germanico. Erano entrambi di religione ebraica, ma entrambi vestivano alla greca, il che non sorprende considerando che provenivano da Alessandria d’Egitto, uno dei maggiori centri dell’Ellenismo nell’Impero. Nell’attesa, il più giovane dei due iniziò a dire all’altro:

“In un ergastolo ci sono due uomini in una cella. Il primo chiede al secondo:

«Cosa hai fatto?»

«Niente!»

«E a cosa sei stato condannato?»

«Decapitazione.»

«Allora è impossibile che tu non abbia fatto nulla. Chi non ha fatto niente viene solo strangolato!»”

Risero entrambi. Poco dopo uscì da un portone un uomo che disse loro che l’Imperatore era pronto a riceverli. I due si alzarono e si diressero verso il portone, ma uno dei due, il più giovane, esitò, e chiese all’uomo:

“Ma è vero quello che si dice di lui?”

“Di Gaio? Sono anni che sono al suo seguito, e ho imparato a conoscerlo. Se seguite queste dritte, non avrete problemi: non scherzate con lui, anche quando è in vena di scherzi, voi non state al gioco; non parlate male delle capacità militari di suo padre; non criticate le sue battute, e sforzatevi di ridere quando ne fa; e soprattutto, sperate che non abbia una delle sue emicranie.”

Entrarono tutti e tre. La stanza era buia, le tre finestre erano state coperte con delle spesse tende scure che facevano passare solo un filo di luce, unica illuminazione oltre ad un lume ad olio, acceso su un tavolo su cui stava un segretario.
L’Imperatore non si curò subito delle persone appena entrate, e continuò a discorrere con un ufficiale che gli stava seduto accanto:

“Com’è andato il mio cavallo preferito?”

“Annio Cominio? Ieri ha denunciato quattro senatori.”

“Strano! Cominio di solito ne denuncia almeno sei al giorno.”

Poi l’Imperatore si accorse dei nuovi entrati e disse:

“Ah, Callisto! Suppongo che loro siano la delegazione degli ebrei di Alessandria.”

“Sì Gaio, sono loro. Come stai?”

“Terribilmente! Stanotte non ho chiuso occhio per colpa di due barbari che non sanno guidare un carro!”

“In che senso, Gaio?”

“Nel senso che mentre stavo per addormentarmi, in strada sue carri si sono scontrati e le urla dei due conducenti mi hanno ridestato. Non ho capito che lingua parlassero, ma credo che non si siano detti cose amichevoli. Come se non bastasse, ho una delle mie emicranie. Mi sembra di avere un coltello infilato nella testa. Non avevo già dato disposizione al Prefetto Urbano di far vietare la circolazione nella strada qua sotto?”

“Sì, Gaio.”

“E allora perché quei due barbari stanotte erano qua sotto a infastidirmi coi loro incomprensibili balbettii?”

“Non so, Gaio.”

“Perché è un imbecille! Un fannullone! Un buono a nulla! Ecco cos’è! Dovrei far crocifiggere lui e tutti gli altri incapaci che appestano la Repubblica!”

Dopo quello scoppio d’ira, Gaio si accasciò sulla sedia portandosi le mani sulle tempie pulsanti. Avrebbe voluto cercare sollievo mettendo la sua testa sotto un fiotto d’acqua gelida. Chiuse gli occhi, perché la vista di quel lume ad olio gli intensificava l’emicrania. Come se già non fosse abbastanza forte. Aveva spesso sentito di persone che pur di liberarsi da quel supplizio, avrebbero abbracciato la morte; un tempo Gaio ne rideva, ma ora li capiva. Qualsiasi cosa pur di far cessare quel tormento. Si volse verso i due ebrei appena entrati, cui disse con cordialità:

“Scusatemi se vi ho fatto assistere ad una simile scena, ma credo sia inevitabile reagire così quando i propri sottoposti non agiscono secondo le aspettative. Cosa vi ha portato a Roma? Spero sia qualcosa di interessante, perché qui oltre ad annoiarsi si fa poco altro.”

“Egemone – disse il più anziano dei due – il mio nome è Filone, e lui è Demetrio. Siamo stati mandati dalla comunità ebraica di Alessandria per chiedere la tua protezione contro le persecuzioni dei gentili.”

“Sì, ho ricevuto ieri una lettera del Prefetto di Alessandria, Pollione, il quale mi ha spiegato come si sono svolti i fatti. I ‘gentili’, come li chiamate voi, hanno reagito alle vostre provocazioni.”

“È falso, Egemone. Noi non abbiamo provocato i gentili, sono stati loro a saccheggiare i nostri templi. Noi ci siamo solo difesi.”

“Io so solo quello che mi scrivono i miei funzionari, e se il prefetto Pollione mi scrive che i gentili hanno reagito alle vostre provocazioni, io so solo quello.”

“Certo, Egemone.”

“Comunque, la questione si può risolvere facilmente. Se mettete una mia statua nei vostri templi, questi saranno considerati luoghi di culto dell’Imperatore, pertanto protetti dalla legge sulla lesa maestà”

“Ma questo noi non possiamo farlo!” disse Demetrio. Filone gli rivolse uno sguardo con cui, senza dire nulla, lo invitò a lasciar parlare lui.

“Egemone, il nostro Dio non ci consente una cosa simile. Sarebbe una violazione ai comandamenti che ci ha dato.”

“È un Dio complicato il vostro! I nostri Dei ci chiedono solo di sacrificare un animale quando abbiamo qualcosa da chiedere, il vostro invece vi impone dei comandamenti da rispettare. Non mangiate carne di maiale, circoncidete i vostri figli… A proposito, voi siete circoncisi?”

“Sì, Egemone.”

“Ma è una barbarie! Pensandoci, il vostro Dio non chiede di sgozzargli un agnello però chiede che mutiliate i genitali dei vostri figli. Quindi un tributo di sangue lo richiede!”

I presenti nella stanza risero, tranne Filone e Demetrio, che nonostante la raccomandazione che Callisto aveva fatto loro prima che fossero ricevuti, erano rimasti impassibili e col volto serio. Gaio riprese:

“Avete già portato la questione al Prefetto di Alessandria?”

“Sì, Egemone, abbiamo incontrato sia Pollione che l’idiologo. Entrambi ci hanno suggerito di fare quello che ci hai suggerito tu, mettere nei nostri templi una statua dell’Imperatore.”

“Però voi non siete intenzionati a farlo.”

“È così, Egemone.”

“Però capite anche voi che così io posso fare ben poco per proteggervi. Se i vostri templi non sono protetti dalla legge sulla lesa maestà, eventuali saccheggi o omicidi dei membri della vostra comunità sono un affare che riguarda solo voi e i ‘gentili’, in cui io e il mio Prefetto non possiamo intervenire.”

“Quindi, Egemone, non farai nulla contro i ‘gentili’ che hanno saccheggiato i nostri templi?”

“Non farò nulla perché, come vi ho appena spiegato, non posso fare nulla.”

Filone e Demetrio rivolsero a Gaio le consuete riverenze e uscirono, accompagnati da Callisto, il quale si affrettò a spiegare loro:

“Gaio e i suoi funzionari devono mantenere la pace in un Impero di mille lingue e cento religioni. Schierarsi apertamente a favore di questa o quella fazione vorrebbe dire farlo cadere nel caos. Seguite il suo consiglio, mettete una sua statua nei vostri templi, e i gentili smetteranno di saccheggiarli.”

“Abbiamo scelta?” gli disse laconico Filone.

“Purtroppo no. Credo che Caligola sia stato abbastanza chiaro.”

“Perché lo chiamano così?”

“Una vecchia storia di quando era bambino e sua madre lo vestì da legionario. Era al tempo delle campagne in Germania di suo padre.”

Ma questa è un’altra storia.

Dario Carcano

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Novelle di Sandro Degiani

Il Console Pharaon Ulysses Kursk 1943 Capoverde 1944 New York 1946 Jevah Ritorno al Passato La minaccia del Krang Il Bianco muove e dà matto in tre mosse Gatto di Bordo Pilota Anche gli Dei devono morire Il Valore di un giorno Viaggio di un secondo Briciole Breve Storia del primo McDonald su Marte Volpiano Sud

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