Viaggio di un secondo

di Sandro Degiani


Qui l’effetto è ottenuto con una immagine e non con parole, quindi troverete insolitamente inserita una figura in un racconto che è solo testo.
È quasi superfluo dire che il racconto è nato dalla figura e non viceversa.

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La Macchina del Tempo aveva funzionato…. ne avevo la prova inconfutabile e diretta!

Avevo ancora la mente confusa e facevo fatica a concentrare il pensiero su un preciso argomento.

Ma era un effetto prevedibile… le connessioni neurali dovevano ristabilirsi completamente dopo che il mio corpo era stato scagliato attraverso il muro del tempo e riportato indietro in un secondo.

Un giorno, studiando a fondo la Teoria ed affinando la tecnica, gli ingegneri riusciranno a dare alla macchia comandi e regolazioni fini del processo ed i viaggiatori avranno effetti collaterali meno violenti e sgradevoli. Adesso c’era solo un pulsante con la scritta ON/OFF e la mano di Dio a guidare il crononauta.. si… scagliato la parola era giusta… scagliato da una energia enorme senza la possibilità di controllo verso.. già… verso dove?

Mio Dio.. che mal di testa! Annaspo verso il bancone.. apro l’armadietto dei medicinali e sparo una pipetta di Novalgina direttamente sulla lingua.

Dove ero andato? Che cosa avevo fatto in quel secondo nel… nel futuro?

La macchina era stata caricata con l’energia necessaria per stare per circa un secolo nel futuro. Avevo i soldi e le risorse per un solo viaggio.

La macchina poteva effettuare un solo ciclo di lancio e rientro, poi sarebbe stata inutilizzabile.

Ma se la Teoria era corretta avrebbe spedito un uomo nel futuro e lo avrebbe riportato indietro dopo un secondo.

Perché viaggiare verso il futuro? La risposta era ovvia, il passato era prevedibile e non interessava se non gli storici ed i nostalgici, categorie poco propense a spendere soldi (e quanti soldi costava un viaggio di un secondo!) per vedere con i loro occhi ciò che era stato.

Il passato era anche pericoloso, in quanto immutabile. Ogni oggetto era congelato dallo scorrere del tempo. Una mosca in volo era un proiettile mortale, il corpo del crononauta non l’avrebbe fermata, la sua traiettoria era immutabile e stabilita dal tempo, non si posava su di te, ti poteva solo trapassare indifferente.

Il futuro no… era malleabile, fluido, non ancora scritto.. era il futuro la frontiera.

La possibilità di conoscere i risultati e gli effetti di ogni scelta, di poter pilotare la società, l’economia, la tecnica con la certezza dei risultati tangibili scelte fatte.

Dieci anni di lavoro e solo un secondo a disposizione, ma tutto da trascorrere nel FUTURO!

La durata del viaggio era stata un grosso problema, avevo un solo secondo a disposizione e in questo lasso di tempo dovevo procurarmi una prova del viaggio effettuato, qualcosa di inconfutabile, databile con certezza, che potesse spostare le ingenti somme necessaria alla ricerca per l’approfondimento della Teoria e lo sviluppo delle attrezzature tecniche.

Avevo scelto con cura il luogo, doveva essere un posto dove sarei stato sicuro non sarebbe sorta nessuna costruzione nei prossimi cento anni, altrimenti sarei arrivato inglobato in un muro, ci doveva essere a portata di mano una fonte di prove concrete del viaggio… cosa c’era di meglio che una discarica di rifiuti?

Atterra, fotografa un oggetto che dia una prova che sei stato nel futuro e poi ritorna.

Prendere qualcosa è impensabile, nulla di materiale può attraversare la parete del tempo, la legge di conservazione della massa lo impedisce. Ma la prova fotografica è possibile, se usi una macchina digitale, perchè la memoria ritorna indietro con tutti gli atomi con cui è partita, solo disposti diversamente.

Così avevo fatto, ero caduto su un mucchio di spazzatura… duro come acciaio. Nemmeno la carta poteva essere piegata ed era rigida come un pezzo di lamiera. Nell’impatto gli occhiali erano volati via… vedevo solo nebbia e coriandoli di colore davanti ai miei occhi... avevo strizzato gli occhi e messo a fuoco con fatica una scritta su una pagina di giornale che si trovava proprio sotto al mio naso…. ricordavo con lucidità e nitidezza la frase, lampeggiava come un neon nella memoria: “Quest’anno rendi il Natale di tua moglie il Natale più felice della sua vita! Comprale una Automobile Elettrica! Annuncio a cura della Electric Vehicle Association of America.”

La mente aveva fatto una associazione automatica ed ovvia: Auto Elettriche = Futuro ed il dito della mano era scattato da solo premendo il pulsante di scatto e poi l’effetto molla del rientro mi aveva risucchiato e riportato al presente, con immagazzinata nella Scheda di Memoria la prova tangibile che era stato nel FUTURO!

Avvio il PC e collego il cavo USB alla macchina fotografica.

Devo stare attento, non posso rischiare distruggere la prova.

Prima di tutto faccio un backup della Scheda di memoria sul PC e poi su un Floppy disk.

Poi apro il visualizzatore e poso gli occhi sul mio trofeo, sulla mia patente di immortalità e eterna gloria.

Ritaglio la foto e poi la ingrandisco per leggere meglio e magari capire di quanti anni ero andato avanti. Per la prima volta lo guardo con attenzione… e la testa riprende a girare vorticosamente.

La Teoria non era valida!!!

Il futuro è ancora precluso all’uomo e chissà se mai schiuderà le sue porte… avevo viaggiato nel tempo, si, ma nel passato, nell’immutabile e già scritto passato.

Non ci credete?? ecco qua l’articolo che avevo fotografato..."

Sandro Degiani

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Aggiungiamo queste osservazioni del Marziano:

Ecco a voi alcune incongruenze nell'universo di "Ritorno al Futuro":

1) Marty che va nel 1955 modifica gli eventi futuri, ma lui rimane lo stesso, come è possibile?
Ad esempio il padre di Lorraine lo investe con l'auto invece di investire suo padre George McFly; a questo punto già cambia il corso della storia poiché, anche se è vero che poi riuscirà a conquistare Lorraine alla festa del ballo, tutta la loro vita futura cambierà. Infatti lo notiamo quando Marty tornando nel 1985 ritrova sì la sua famiglia, ma in condizioni sociali ed economiche completamente diverse, mentre Marty che torna dal passato ha ricordi della famiglia precedente.

2) Nel terzo film, quando il treno investe l'auto, nessuna autoritù (polizia, pompieri, pronto soccorso) si presenta sul luogo dell'incidente. Infatti lui torna con la ragazza, incontra di nuovo il dottore, ma nessuno sembra aver minimamente notato l'incidente, treno compreso. E questo non ha nulla a che fare con i viaggi nel tempo, a meno che, a furia di andare avanti ed indietro, non sia cambiato qualcosa sul funzionamento dei soccorsi in caso di scontri tra treni ed auto...

3) Soprattutto che fortuna ha avuto a non fare un frontale col treno! Bastava facesse il salto pochi secondi dopo, a meno che Doc non avesse gli orari dei treni del 1985, dando per scontato che quel treno fosse in orario spaccato!

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Non possiamo non pubblicare qui questa novella di feder:

Europa

No, non mi riferisco al nostro amato continente, ma alla luna gioviana.
Oggi, non sapendo che fare, ho rimesso in ordine i file del Pc, e ho ritrovato questo mio vecchio racconto. Per chi è interessato, tal racconto si colloca nella timeline che ho delineato nei (Quasi) trecento anni di futuro, che ora sto rivedendo per migliorarla; a voi sta stabilire dove. Ditemi se vi piace.

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Quartiermastri

Il cilindro gravitazionale ruotava lentamente su sé stesso con un moto contrario rispetto al grosso corpo di metallo e acciaio che era l’astronave. Il rombare dei motori risuonava basso e rassicurante. Adam alzò gli occhi dal tablet su cui stava leggendo. «Hey Leopold, senti questa!». Leopold, assonnato, mosse un arto giù dalla sua branda, che stava sopra quella di Adam, e sollevò leggermente una palpebra, in segno d’assenso. Adam si alzò in piedi. «Altri sviluppi nella cantieristica aerospaziale: i nuovi motori Dell-Inc. permettono un’autonomia più elevata; “vi portiamo fino a Centauri”!» recitò parola per parola Adam dal titolo dell’articolo, accompagnando ogni parola con un passo, quasi in una marcia di piacere. «Hai sentito, Leopold? Pare che ben presto se ne faranno ben poco di missioni come la nostra, se possono andarsene fino a Centauri!» Adam ridacchiò, preso dalla sua battuta. Leopold, invece, non si mosse e non rispose.
«Leopold? Leopold, ci sei?» fece Adam, in tono più cauto. «Non se ne fanno già niente della nostra missione, Adam. A nessun magnate frega nulla di esplorazione e di scoperte scientifiche già in tempi normali, a meno che non ci vedano un ricavo veloce e soprattutto assicurato. E con la guerra alle porte, tutti gli investimenti sono andati a finire lì. È già tanto se dopo sei anni di progetti strappati e di tuoi piagnistei,» - Leopold sembrava non muovere la bocca mentre Adam lo sentiva parlare - «ci abbiano riservato questo catorcio risalente ai primi anni della colonizzazione e quattro smidollati a cui non affiderei neanche le chiavi di una cuccia per cani. E in più» - Leopold si girò donando la vista della sua sola schiena ad Adam - «hai sentito quei grandi geni della Technow che ci hanno concesso questa meraviglia di veicolo: “Europa non promette nulla di buono, entrambi i rover che abbiamo spedito sulla sua superficie non hanno trovato niente e si sono disattivati poco tempo dopo l’atterraggio”.». Seguì un breve silenzio fra i due mentre Leopold tentava di riprendere sonno e ad Adam montava la rabbia.
«Non è vero, Leopold. La nostra missione non è inutile, e tu ne sei consapevole, altrimenti non saresti venuto fin qui. Abbiamo dedicato tutta la nostra vita, fin da bambini, alla ricerca di questo, e non ti permetterò di rovinare tutto solo per via di un po’ di pessimismo. L’unico motivo per cui quelle… quelle mezze calzette non hanno trovato nulla è che non hanno cercato per bene, e a lungo. Lo hanno detto loro stessi che quei rover si sono spenti subito. Come fanno a negare con tale certezza che quello che stiamo cercando» enfatizzò quello con un cambio di tono di voce «non sia lì, o che addirittura non possa esistere?! La possibilità di rinvenire vita aliena, anche allo stato primordiale, negli sconfinati oceani di Europa esiste, ed è concreta.» Adam non l’aveva fatto apposta, ma alla fine del discorso stringeva tanto forte il suo tablet che ci mancava poco perché apparissero crepe. Successe che si rese conto di aver perso le staffe; e di conseguenza chiuse gli occhi, tentando di riacquistare la calma.
«Sconfinati, ma freddi» sentì. «Ora basta!» ululò Adam alzando il pugno chiuso con foga verso il volto di Leopold, che non si mosse di un millimetro. «Io ti ammazzo, maledetto!» sbraitò nuovamente Adam, ma in quel momento si udì la porta scorrevole della cabina aprirsi. Tutto si fermò per un attimo.
«Sono venuto ad avvisarvi che ci stiamo avvicinando a Giove, ragazzi» fece Kurt, il pilota. «Arriviamo...» fu la risposta di Adam, pronunciata con voce assente mentre si allontanava da Leopold.
«Arriviamo...» pensò Leopold, mentre soffocava uno sbadiglio.

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Capitano

Kurt, il pilota, non era davvero un pilota. Tutto quello che faceva era starsene seduto di fronte ai sensori e monitor della nave di fronte a una grande vetrata che gli mostrava quello che la nave vedeva. Alla sua sinistra, ben mimetizzato fra la miriade di bottoni lampeggianti che non ricordava di aver mai premuto, risiedeva un proiettore che, qualora ci fosse stato bisogno o qualora Kurt lo avesse richiesto, gli avrebbe mostrato un ologramma di una signorina che, a comando, avrebbe condiviso con lui tutte le informazioni di cui era in possesso. Lei era il programma che si occupava di guidare e gestire la nave; lei era la nave. Kurt, il pilota, era solo quel messaggero del popolo degli umani che aveva il compito di intercedere presso la macchina per comunicarle la destinazione che avrebbe voluto raggiungere; o almeno a lui, che aveva un sacco di tempo libero, piaceva vederla così. Si accese un sigaro, lo mise in bocca e, lasciandosi andare sulla sua poltrona da pilota, incrociò le braccia dietro la sua testa.
Non era sempre stato così. Kurt, pur coi suoi cinquant’anni suonati, era troppo giovane per ricordarselo, ma sapeva dai libri di scuola che fino a qualche secolo prima era l’uomo a dover guidare i suoi mezzi di trasporto. I primi ad automatizzarsi erano stati i treni; poi erano seguiti, in ordine, gli aerei, le navi, le automobili, e infine le navi spaziali. Pochissimi al giorno d’oggi sarebbero stati in grado di manovrare uno di quegli aggeggi senza l’ausilio dei programmi di guida, e Kurt non era certo fra questi. Ma Kurt era un uomo medio e semplice; e non gliene importava granché. A dire il vero, da uomo medio e semplice, aveva sentito parlarne solo sulle bocche dei politici d’opposizione, che, nel solco di una delle più pure istituzioni psicologiche umane, soleva e amava fare riferimenti ad un passato glorioso da riportare in auge.
Allo stesso modo, Kurt non ci capiva granché neanche dello scopo della missione di cui faceva parte, né, soprattutto di quegli stramboidi che si portava dietro. Si grattò il capo. Lui era un conto: a lui bastava un piatto gustoso e una birra gelata a un’osteria, dove ridere con i suoi amici e commentare insieme la partita di calcio della domenica; e seppure non fosse certo un genio, non si sentiva affatto stupido a dubitare dei suoi compagni di viaggio. Fra tutti i passeggeri poi, quelli che aveva scoperto prima ad azzuffarsi - o a riprodursi, non ne era troppo sicuro - erano indubbiamente i peggiori. «Forse è la provenienza» rimuginò fra sé e sé. Lui era un buon tedesco e, come ogni buon tedesco, metteva sempre il dovere prima di tutto. Nemmeno il fatto che ora le tasse si pagavano a Pechino e non più a Berlino, come aveva fatto per tutta la sua vita quella povera anima del suo bisnonno, aveva cambiato le cose. Aveva sentito prima parlare a qualche tavernucola o per qualche viottola di una guerra che poteva nascere, e poi di questa nave di disperati che ogni pilota aveva rifiutato di guidare. Il calcolo era stato breve: lui era uno di poche domande, e se avesse potuto guadagnare qualcosa in più da mettere da parte per sua moglie e il suo pargolo in previsione di un avvenire nebbioso, non si sarebbe certo fatto pregare. L’uomo sospirò. Da un po’ erano finiti i tempi in cui le notizie che circolavano potevano dirsi davvero attendibili, se lo erano mai state. Con tutta quella competizione fra emittenti diverse, poi, tutti facevano a gara per smentire e abissare gli altri.
Il sigaro crepitò, avvicinandosi alla sua fine; e il rumore riportò il cervello di chi l’aveva in bocca dai vagheggiamenti a cui era giunto camminando di pensiero in pensiero ad un discorso più vicino a lui. La curiosità aveva poco spazio nel cuore di Kurt, eppure, fra tutti… quei due, quella dannatissima coppia, da dove veniva?
Li aveva scorti pochissime volte fuori dai loro alloggi, e solo quando gli era richiesto di fare rapporto sulle ultime nuove dallo spazio in tono ufficiale. Era stato su moltissime navi e aveva conosciuto moltissime persone, positive e negative, morali e immorali, era abituato ad asettici isolazionisti e non era suo costume lamentarsene, ma questa situazione… questo… non gli suonava del tutto a posto. Sembrava… sembrava quasi che...
«Signor Kurt!» gridò Adam. Erano arrivati, interrompendo le rimuginazioni di Kurt, ed egli si girò di scatto a guardarli. «Woah...» mormorò Adam. Ambo voce e volto del ragazzo ne tradivano l’emozione e la meraviglia. Kurt si voltò nuovamente, seguendo la freccia tesa in avanti che la visuale del ragazzo disegnava.
Il gigante Giove occupava quasi per intero la vetrata della nave. «È proprio bello, eh?» fece.
«Può scommetterci, signore...» rispose Adam con gli occhi che luccicavano.
«E quella là, in alto, verso destra, è il nostro obiettivo» manifestò Leopold indicando un puntino luminoso in mezzo a un mare di stelle. Kurt seguì la direzione che gli veniva indicata: Europa… Era vero che la curiosità aveva una dimora ristrettissima dentro di lui; ma era anche vero che nessuno aveva sentenziato dovesse rimanere sopita; ed ebbe la meglio. In un solo istante Kurt escogitò un’idea per conoscere di più dei suoi strani compari.
« Scusate, ragazzi... » i due distolsero lo sguardo dal grande pianeta per rivolgerlo a lui.
«Ma noi… che andiamo a fare su Europa?» chiese. Leopold lo fissò. Fu Adam a rispondergli, senza battere ciglio: «Noi andiamo su Europa per cercare alieni, signore».
«Alieni?» fece eco. Adam annuì circospetto con una lenta freddezza senza pari, badando bene a non lasciare nessuno spiraglio di debolezza, né a lasciar trapelare qualsiasi particolare che potesse farci pensare, a movenza della tigre catturata in uno zoo a cui viene offerto il primo pasto caldo. Kurt stette zitto un momento. Poi scoppiò in una fragorosa risata.

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Ciurma

L’intero equipaggio, chi seduto, chi in piedi, era radunato attorno a quel tavolo quando Leopold entrò nella piccola sala debriefing alle calcagna di Adam. Si guardò intorno; seppure abitasse su quella nave da più di due mesi, non era mai stato lì; ma anche quella stanza dava l’impressione di essere più adatta ad un esposizione archeologica che ad una gita nel sistema solare esterno, dove ben pochi, oltre a loro, erano mai stati. Prese posto su di una sedia poco scostata sulla sinistra e si mise a guardare con gli occhi socchiusi Adam, che, come da copione, aveva già iniziato a discutere a gran voce con il ragazzo dall’altra parte della tavolata. «Non è possibile! Non possiamo tentare l’atterraggio di esseri umani sulla superficie! Stiamo parlando di una luna ghiacciata in orbita di Giove! È già abbastanza pericoloso avvicinarsi a questa distanza senza alcun sistema protettivo contro le possibili anomalie gravitazionali di un pianeta gigante, come pretende che lottiamo contro la spaventosa forza d’attrazione del pianeta per atterrare su un corpo satellitare minuscolo come Europa e addirittura senza urtare o distruggere nulla, è una follia! Non ho alcuna intenzione di morire per le sue sciocche curiosità scientifiche, signor Rentiklov!» schiamazzava Li Cheng, alzatosi in piedi con la sua abitudine di battere i pugni sul tavolo per ogni concetto che illustrava, come se temesse che da sole le sue parole non fossero abbastanza forti per esprimere ciò che provava. Leopold, cui di primo acchito venne da chiedersi come mai coloro che provenivano dalla Provincia Imperiale trovavano tanto denigratorio abbassarsi ad ascoltare il parere degli altri, emise un tenue verso di tedio, al quale nessuno badò. Trovava una passione fastidiosa quella dell’ira.
Mentre Adam con la sua consueta parlantina aveva già preso a ribattere, Leopold osservò ancora l’altro lato del tavolo con sguardo leggermente più attento verso i presenti, quasi per ispezionarli. Nella sua mente, aveva stabilito molto tempo addietro di suddividere gli esseri umani in tre categorie: i buoni, vale a dire chi gli portava vantaggio, i cattivi, ossia chi gli poneva ostacoli dinanzi, e gli indifferenti, cioè chi non gli faceva né caldo né freddo. Aveva anche imparato che questi, di certo, erano i peggiori: imprevedibili e amorfi, non incontravano i suoi gusti perché capaci di tutto; e ora si imbarcava nella missione di catalogare anche questi esemplari di umanità che si trovava davanti. Aveva già trovato che a quest’ultima categoria, la più vasta, apparteneva anche una buona percentuale dei membri della spedizione, tra cui Kurt, che con la coda dell’occhio vedeva in disparte in un angolo. Ai buoni apparteneva Adam; e ai cattivi, o paurosi, o devoti, comunque si voglia chiamarli, apparteneva Li Cheng, il deputato imperiale che, come da prescrizione governativa, doveva essere presente su ogni missione scientifica di qualche rilevanza per rendicontarne privatamente i risultati all'imperatore. I due discutevano ormai animosamente da circa dieci minuti; ed erano contenti così. «Non rinuncerò mai al sogno della mia vita perché lei ha timore di uno stupido e banale atterraggio! Noi uomini abbiamo messo piede sulla Luna, abbiamo messo piede su Venere, abbiamo messo piede su Marte, possiamo superare anche questa sfida!» arringava Adam con la lieta furia di chi è convinto di star proteggendo il progresso dell’intera umanità.
E ciò aveva i suoi effetti: per il tempo in cui il discorso di Adam progrediva, così l’uomo alla sinistra di Cheng mostrava sempre più orgoglio per la sua specie, e sempre meno fifa. Si trattava, a prima vista, di un indiano, forse della leva proveniente dalla nuova provincia, ma Leopold non ne sapeva molto. Era gracile e doveva avere molta paura di sincerarsi pubblicamente contrario alla discesa su Europa; l’unico compito che Leopold avrebbe visto bene per quest’uomo era quello di ingegnere tuttofare, rintanato fra cavi e tubature, nascosto dagli altri. Con tutta probabilità, aveva deciso di andare per il male minore affidandosi a Cheng come portavoce della sua insicurezza. Leopold sospirò. Certo che se qualcosa di buono l'Impero l'aveva fatto, fra devastazioni, guerre e genocidi, era di unificare l'umanità sotto un (quasi) unico stendardo. D'altronde, com'è che dicevano quelli di qualche tempo fa? Si vis pacem, para bellum...
Alla parola “Marte”, invece, l’uomo alla destra di Cheng si mosse appena, quanto bastava per attirare l’attenzione di Leopold. Aveva un aspetto robusto, probabile frutto di una salutare crescita protetta nelle cupole abitate, e a prima vista si presentava come l’Ercolino della missione; odorava di sabbia rossa, di cibo liofilizzato, e di rocce rare. "Probabilmente è un colono, vissuto su Marte e sfruttato in miniera", conlcuse fra sé e sé. Da lui percepiva una certa ostilità incapace di indirizzarsi. Si può ragionevolmente dire che era padrone della forza, ma non del linguaggio: credeva in Cheng per discutere al posto suo, qualcosa di cui evidentemente non era capace.
Speranze mal riposte, però: per quanto Cheng potesse essere il miglior oratore fra i tre, non poteva eguagliare Adam in retorica. Si trovarono tutti d’accordo che chi avesse voluto sarebbe potuto rimanere in orbita sulla nave intorno al satellite con il compito di badare che tutto andasse bene, mentre gli altri sarebbero scesi sulla superficie con un modulo e carburante a sufficienza per tornare alla nave.
Laddove tutti si alzavano e passo dopo passo tornavano alle loro mansioni, Leopold rimase brevemente indietro con lo sguardo fisso su un punto vuoto. «Colui che riesce a convincere gli altri che il suo sogno personale sia un’ideale condiviso e necessario è il peggior bugiardo e il miglior condottiero che una brigata d’uomini possa avere» sentenziò per sé stesso in conclusione.
Poi scese dalla sedia e seguì Adam in cabina.

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Contrarrembaggio

Alla fine erano scesi in tre sul gelido suolo europiano: Adam, Leopold e Kurt. Solo loro tre ne avevano avuto il coraggio. Ma non era certo questo a passare per la mente di Adam; il pensiero non lo scalfiva neanche. Piuttosto, il suo cervello era in fibrillazione, il suo cuore immerso in una gioia senza fine, dal primo momento in cui aveva toccato tramite la sua tuta quell’immensa distesa di ghiaccio.
Europa è uno degli oggetti più piatti dell’intero Sistema Solare, privo di grandi montagne e crateri da impatto, quasi nulla ad interrompere kilometri e kilometri di deserto glaciale, limpido e liscio come la pelle di un bambino appena nato; ciononostante i suoi occhi non si saziavano di immagini e continuavano a spostarsi instancabilmente da un ghiacciaio all’altro, spogli di fatica o sforzo, e, ciò che più stupisce, senza apparente necessità di alcun ristoro: Adam alloggiava su quel corpo celeste da quasi quattro giorni, e non aveva chiuso occhio una volta, completamente ebbro di felicità. Più di una volta i suoi compagni lo avevano scoperto a battere i piedi in rapida sequenza per poi spiccare un alto balzo accompagnato da un sorriso raggiante sul suo volto: era lì. Ce l’aveva fatta. Tutto il giorno si impegnava come un matto nell’analisi di dati raccolti dalle strumentazioni, e la notte usciva fuori dalla loro piccola base per esporsi al terribile gelo europiano, che a lui suonava caldo come l’abbraccio di una madre. Finchè non si impegnava nella manutenzione, riparazione e sostituzione dei sistemi rovinati dalla bassissima temperatura, correva verso la base di uno degli spettacolari geyser più alti del monte Zhumulangma che animavano il territorio e ci si sedeva accanto, incurante dei pericoli; osservava il cielo in religioso silenzio fantasticando sui mille mondi che gli rimanevano da scoprire fino a quando il suo nuovo compagno finalmente non eruttava d’acqua liquida, lasciandogli sul vetro del casco un universo di gocce d’acqua, le quali potevano ognuna contenere la speranza di un nuovo amico alieno da scoprire e schedare. Allora volava a perdifiato alla base ed esaminava meticolosamente ogni singolo campione che aveva raccolto.

Ma non aveva ancora trovato nulla. E poco a poco alla letizia si sostituì la persistenza, rifiutando le prove trovate, addossando la colpa prima ai macchinari, poi a sé stesso. Lentamente sotto gli occhi dei suoi coinquilini Adam cambiava. Spesso non toccava né cibo né acqua, esente dalle loro preoccupate sollecitazioni: i suoi unici viveri erano sudore e sangue. Ora passava fuori dalla cupola termoriscaldata la maggior parte della sua giornata, respingendo categoricamente la possibilità di rientrare senza aver raccolto abbastanza campioni da analizzare; non passarono più di due giorni prima che riscontrasse i sintomi di più di una brutta malattia. Alla terribile scoperta, i due gli avevano intimato di tornare immediatamente a bordo della nave con il modulo di ritorno per ricevere cure mediche, ma la risposta di Adam era stata furiosa: rifiutandosi assolutamente di abbandonare il suo sogno, aveva aggredito con violenza Kurt, mollandolo svenuto a terra per più di due ore; al risveglio di questo, egli aveva deciso di allontanarsi dalla superficie insieme a Leopold con il modulo di ritorno. Era passata appena una settimana, e Adam ne resistette appena una di più razionando viveri e ossigeno, incalzato dall’incessante ritmo del morbo. Neppure l’irreparabile e definitivo guasto delle attrezzature riuscì a fermarlo: quando la sua trivella da escavatore si ruppe, Adam continuò a scavare a mano il buco circolare di diametro un metro e mezzo che stava applicando al permafrost europiano. E finalmente nell’acqua lo vide: un alieno. Aveva le guance scarne, i capelli bianchi caduti in parte e un colorito grigio pallido che sicuramente denotavano la difficoltà di alimentarsi in un ambiente ostile come l’oceano subglaciale di una luna gioviana; indossava una tuta bianca e un casco rotondo con visiera in vetro come i suoi, che senz’altro gli servivano per isolarsi dal tremendo freddo di quel mare nascosto e gli garantivano una necessaria e costante fornitura della sua aria. E ciò che lo stupì di più, quell’incredibile mostro che aveva tanto cercato reagì proprio come lui: dopo la grandiosa sorpresa del primo contatto fra due specie di due mondi diversi, sorrise di un sorriso che lasciava trapelare la più pura felicità di cuore.

Era così simile a lui, tanto uguale che Adam vedeva attraversare sul suo volto le stesse emozioni che lui sentiva stessero attraversando il suo: la sua fotocopia, il gemello di un mondo diverso che non aveva mai potuto incontrare; ed Adam sentì raggiungere dentro di sé la pienezza d’animo. Inspiegabilmente sentiva una comunione di spirito con quell’essere che poteva dire di avere veramente provato nella sua vita solo con sé stesso. Ed Adam si gettò in acqua per raggiungerlo.

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Quale bottino?

Ormai erano entrati in orbita lunare, e Kurt poteva ricordare alla nave di abbassare l’uso di combustibile. Alzando gli occhi dai sensori al monitor per sincerarsi visivamente della distanza dalla stazione spaziale della Technow, poté distintamente scorgere una furtiva ombra scura avvicinarsi al suo posto a sedere, ragion per cui non si scompose a sentire un miagolio provenire da dietro di lui.
«Avanti Leopold, sta' calmo; siamo quasi arrivati» mormorò abbassando una mano ad accarezzare il gatto nero che si era accostato a lui, attento a non distogliere lo sguardo da uno schermo in particolare. L’attesa non fu lunga; e ben presto vennero contattati. «Navetta sonda YC-1942, rapporto sull’andamento della missione di esplorazione di Europa e del sistema gioviano» recitò da procedura una voce metallica che fuoriuscì da un microfono in mezzo a tanti altri.
Kurt pronunciò due sole parole. «Rapporto: positivo». Era comune avere un ritardo di pochi secondi comunicando nello spazio, ma Kurt avrebbe giurato che in questo contesto aveva giocato un ruolo importante anche l’incredulità del suo interlocutore. «Come, prego? Rapporto: positivo? Avete trovato alieni sulla superficie europiana?!» Kurt sorrise fra i baffi. Ci avrebbe giurato. «Abbiamo trovato un alieno, sì».
E sia lui, sia Leopold si volsero all’indietro a guardare l’immobile, recuperata bara di Adam R. Rentiklov, l’alieno.

feder

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Diamo ora la parola a Vittorio Catani:

Il cazzotto lunare

Litigare sulla Luna ha i suoi pro e i suoi contro...

Dicono che io sia un attaccabrighe, un violento, ma che significa oggi questa parola? D'accordo, ho litigato col datore di lavoro e col padrone di casa, ma siamo nel 2030 e le relazioni interpersonali avvengono in telepresenza olografica, insomma non sono così dirette come un tempo, e alla fine diventa difficile infuriarsi davvero con un interlocutore via cavo, evanescente, che magari abita agli antipodi. Voglio dire: riuscireste a mollargli una sberla via Rete?

Tuttavia avevo acquisito questa pessima fama e presi una decisione drastica. Mi dissi che ero sempre voluto restare solo nella vita, e che di denari non ne avevo mai visti molti, perché non andare ad abitare in cima a un monte?

Fu da lì che mi venne la geniale idea: sulla Luna! Lassù per quattro soldi si svendono vasti territori, alla portata perfino delle mie tasche. Mi sembrò un'idea magnifica.

Comperai dieci ettari di Luna, località Mare delle Crisi. Dalla non lontana Base americana acquistai (a rate) un'unità prefabbricata, già arredata, mi attrezzai adeguatamente, e fu così che mi piazzai lì, con relativa facilità. Ora finalmente vivo in pace, pensai, e sfido chiunque a farmi litigare perfino qui.

E invece...

Una settimana più tardi, dalla vicina Base mi chiamò via satellite un tipo, tale mister Waxman, venuto appositamente sulla Luna per dimostrarmi che vantava diritti di proprietà sul mio suolo, e per ingiungermi di sloggiare. Si presentò poche ore dopo l'avviso, vidi la sua figura in scafandro bianco avanzare, nell'orizzonte lunare pietrificato. Indossai subito anche io lo scafandro e uscii: nella mia casa, quell'individuo non avrebbe mai messo l'ombra di un piede.

Cominciammo a discutere fuori, a 200 gradi sotto zero anche se il sangue già mi bolliva. A mia richiesta, il tipo esibì un contratto d'acquisto incellofanato, ereditato dal nonno e risalente al... 1970! Sissignori. Pareva che già a quell'epoca intraprendenti affaristi avessero venduto abusivamente pezzi di Luna a un imprecisato numero di creduloni. Possibile? Intanto sul contratto del nonno risultava nientemeno che l'avallo del Demanio di New York, perché non era stata abolita (pare non lo sia tuttora) una legge dell'Ottocento, che consentiva ai pionieri del Far West di accaparrarsi i "terreni incolti e abbandonati". Ed è vero che una convenzione fra alcuni stipulata un secolo dopo, nel 1967, vietava alle nazioni di vantare pretese sui corpi celesti, ma secondo Waxman essa non era applicabile agli individui singoli, e a difesa citava sentenze d'epoca! Al mio fermo rifiuto, il bellimbusto minacciò l'immediato intervento di ruspe lunari.

Io, sfrattato dalla Luna!

Bene. Sarò un attaccabrighe, ma stavolta - c'era una splendida volta stellata, tutto l'universo mi è stato testimone - col guantone dello scafandro gli ho mollato un classico uppercut allo stomaco. Reale, non via Rete.

Credo anche si sia trattato del primo cazzotto lunare!

Vittorio Catani

Tratto da questo sito.

E adesso, il racconto di Generalissimus:

Il pianeta in quarantena

Erano le due di notte dell’estate del 1978 in quel di Marcianise, ridente (si fa per dire) cittadina della Provincia di Caserta.

Era Luglio, ma in quel mese le temperature non avevano mai oltrepassato i 29°, né tantomeno l’umidità si era fatta sentire, cosa che stava rendendo sopportabile, per non dire piacevole quell’estate, ma d’altronde le cose andavano così prima che il riscaldamento globale cominciasse la sua folle corsa al galoppo.

L’unica “stranezza” di quel mese, se così si può dire, furono un paio di giornate di nebbia.

Nella zona industriale di quella città, su cui svettava una torre radio alta 200 metri, edificata 30 anni prima su un terreno che apparteneva al filosofo Benedetto Croce, si aggirava lentamente un’Alfa Romeo Giulia di seconda mano di colore blu.

A bordo di questa vettura si trovavano due giovani, o per meglio dire giovinastri del luogo, tali Pasquale e Salvatore.

Essi, poco più che ventenni, provenivano da famiglie che si trovavano poco al di sotto del ceto medio cittadino.

Non erano dotati di una cultura degna di questo nome, e una normale conversazione con loro lo avrebbe rivelato dopo trenta secondi massimo.

Vabbè, facciamo dieci.

Costoro trascorrevano la giornata per lo più con la loro comitiva, rincorrendo le gonnelle più ammirate della città, e, occasionalmente, se proprio non c’era niente da fare, lavorando negli esercizi commerciali di proprietà dei loro genitori, che speravano un giorno di ereditare.

Ma perché i due protagonisti di questa storia si trovavano in quel luogo a quell’ora? Beh, sappiate che i loro amici erano tutti partiti per una breve villeggiatura a Castel Volturno, ma Pasquale e Salvatore, non avendo denaro a sufficienza per contribuire alle spese, avevano preferito, una volta tanto, di non comportarsi da scrocconi, e di rimanere in città per non gravare sulle finanze dei loro amici.

Non avendo nulla da fare, decisero di trascorrere la serata nell’unico cinema della città, l’Ariston, dove quella sera era in programmazione "L’Albero degli Zoccoli".

I due però, ritenendo la pellicola proiettata decisamente noiosa, si erano fatti cacciare dalla maschera per via dei continui schiamazzi e delle loro chiacchiere ad alta voce, che stavano infastidendo non poco gli altri spettatori che invece avevano riconosciuto la pregevole fattura dell’opera di Ermanno Olmi.

Trovatisi di nuovo senza nulla da fare, i nostri si erano risolti a concludere la nottata… Alla ricerca della compagnia delle sacerdotesse di Venere che operavano nei dintorni della zona industriale.

Anche questo loro intento, però, era stato frustrato dall’insuccesso, e i due, avanzando mestamente in quella Giulia del 1967 comprata usata dal padre di Salvatore non senza sacrifici, stavano dialogando nel dialetto puteolano tipico del loro quartiere di provenienza.

Se non avete mai messo piede a sud del Fiume Garigliano, non preoccupatevi di non riuscire a comprendere il loro eloquio, perché il testo sarà dotato di traduzione simultanea.

“Mannàggia ‘a misèria fetente, Pascà! Pèggio ‘e accussì nun ce puteva jì!” [Perdincibacco, Pasquale, le cose non potevano prendere una piega peggiore].

“A chi ‘o dìci, Salvatò! ‘A prìmma era brùtta cómme ‘a mòrte, ‘a sicónda era ‘na vécchia e ‘a tèrza era ‘na chiattóna esaggerata!” [Non posso che essere d’accordo, Salvatore, la prima peripatetica da noi incontrata era molto al di sotto dei normali standard di bellezza, la seconda era evidentemente in là con gli anni e la terza tendeva palesemente all’obesità].

“E dóppo è arrivata pùre ‘a Municipale a ce rómpere…” [Ah, no, eh! Niente parolacce! Questo dovrebbe essere un racconto per tutti! Già è tanto che abbia dovuto riferire di come avete trascorso le ultime ore di questa serata, cercate perlomeno di tenere a freno la lingua, altrimenti è cartellino rosso per tutti e due!]

“Capo, e fatemi finire di parlare, sennò i primi a non capirci siamo noi! Volevo dire è arrivata pùre ‘a Municipale a ce rómpere ‘a pìzza!” [Ah, va bene, allora posso andare avanti: e come se non bastasse poi si sono palesate le forze di polizia municipale ad interrompere bruscamente il nostro giro di ricognizione].

“Ma mo’ che facìmmo, Salvatò? Ce ne jìammo a càsa?” [E adesso come potremmo impegnare il nostro tempo libero, Salvatore? Ci dirigiamo alle nostre rispettive abitazioni?]

“Ma sì, jà, prìmma che pàtemo scopre che me sò pigliàto ‘a màchina sòja annascùso ‘e ìsso” [Sarebbe meglio, altrimenti prima o poi mio padre si accorgerà che sto utilizzando l’automobile di sua proprietà dopo essermene impadronito a sua insaputa]

Detto questo, Salvatore fece un’inversione a U, imboccò un senso vietato per abbreviare il tragitto, e inserì nell’autoradio Pioneer della Giulia la musicassetta (ovviamente pirata) Cappelle, ultimo album della band demenziale napoletana degli Squallor, alzando al contempo il volume a livelli considerati dannosi per la salute da tutte le organizzazioni sanitarie conosciute.

Nonostante il fracasso, i due continuarono tranquillamente a fare conversazione come se la radio fosse spenta:

“Allóra, Salvatò, cómme stà fràteto?” [Ordunque, Salvatore, come se la sta passando tuo fratello?]

“E cómme adda stà, Pascà? Chìll’abbunàto s’è fatto caccià r’a scòla!” [Cosa dovrei dirti, mio caro sodale? Quel ragazzo dotato di scarsissimo acume intellettuale si è fatto espellere dall’istituto scolastico da lui frequentato].

“Uà, e cómme ha fàtto?” [Poffarbacco, come è riuscito in ciò?]

“Ma no, niente, ha scrìtto ‘nu sàcco ‘e maleparòle cóntro ‘o preside ‘ncòppa ‘o mùro r’a classe sòja” [Ma no, nulla di particolare, ha semplicemente scritto una marea di improperi contro il dirigente scolastico del suo istituto sul muro della sua classe].

“E s’è fàtto piscà!” [E lo hanno colto con le pive nel sacco!]

“Ma è naturale! Chìllo s’è firmato cu nòmme e cugnòmme! Ma cómme se fa?” [Ovviamente! Il ragazzo ha firmato il suo atto vandalico col suo nome e cognome! Ti sembra una cosa logica da fare?]

Pasquale eruppe in una sguaiata e fragorosa risata, che però venne interrotta da un evento del tutto in aspettato: nel cielo terso di quella notte comparve prima un lampo, poi una specie di meteora che si andò a schiantare con gran fragore contro un edificio industriale a poca distanza da dove si trovavano in quel momento Pasquale e Salvatore.

Quest’ultimo, avendo visto tutto lo spettacolo, inchiodò di colpo, rischiando di far sbattere la testa del suo amico, che viaggiava senza la cintura di sicurezza allacciata, contro il parabrezza.

Ancora stupito per quello che aveva visto, Salvatore si rivolse al suo amico:

“Màmma r’o Carmine, Pascà! Aie vìsto?” [Nostra Signora del Monte Carmelo, Pasquale! Hai visto?]

“Cómme, no! Ma ca cos’è?” [Certo che l’ho visto, ma di cosa potrebbe essersi trattato?]

“Jamme a vedè!” [Andiamo a constatare di persona!]

“No, Salvatò, ma si pàzzo? E si fòsse pericolòso?” [Ma cosa dici, Salvatore, sei uscito di senno? E se rivelasse pericoloso?]

“E si invéce fòsse ‘nu satellite r’i Communisti? Ce o’ pigliammo, ce o’ purtàmmo ‘a casa e ce facimme e’ meliàrdi!” [E se invece fosse un satellite sovietico precipitato? Ce ne impossessiamo, lo trasportiamo fino a casa nostra e troviamo un modo per ricavarne miliardi di lire]

Pasquale si batté il palmo della mano sulla fronte e disse: “Uà, ma tiène ‘na càpa tànta, Salvatò! Nun ce avèvo penzàto, currimmo, prìmma che s’appresenta quaccherùno!” [Perdindirindina, Salvatore, sei geniale! Non avevo considerato questo aspetto della faccenda, precipitiamoci sul luogo dell’incidente prima che si palesino presenze indesiderate].

Pasquale non aveva ancora finito di esternare questo suo pensiero che Salvatore era già partito sgommando nel buio della zona industriale.

* * *

Se i due avessero saputo cosa li aspettava davvero sul luogo dello schianto sarebbero corsi con le mani nei capelli a gambe levate fino a casa e ci sarebbero rimasti chiusi un giorno intero, come aveva fatto qualche anno prima un loro amico che era andato a vedere di nascosto "L’Esorcista" e ne era rimasto sconvolto.

Non tanto perché si sarebbero trovati davanti qualcosa di più spaventoso del demone assiro Pazuzu protagonista del film dell’orrore precedentemente citato, quanto perché avrebbero visto qualcosa di estremamente inconsueto, talmente inconsueto da risultare… Alieno! Eh, si, perché il bagliore e lo schianto a cui avevano assistito Pasquale e Salvatore era stato causato da una navicella aliena mandata in esplorazione sul nostro pianeta da una civiltà extrasolare distante svariati anni luce dal nostro pianeta.

La navicella, grande quasi quanto una piccola utilitaria, aveva subito un inspiegabile guasto e, dopo aver sfondato la recinzione e il muro di una fabbrica, adesso si trovava immobile al centro di quello che sembrava un magazzino.

Si aprì un portello laterale, e da esso ne uscirono due rappresentanti di una razza di alieni aviformi alti poco meno di 80 cm, ricoperti di un piumaggio nero e dotati di un corto e tondeggiante becco arancione e di occhi gialli simili a quelli di una taccola.

Se Pasquale e Salvatore se li fossero trovati davanti in quel momento, li avrebbero scambiati per un noto personaggio italiano dei cartoni animati, o al massimo per dei grossi merli parlanti.

Il primo dei due visitatori provenienti da un altro pianeta esordì, passandosi una mano sulla testa, lamentandosi del dolore: “Ohi ohi ohi, Fulos, che cosa è successo?”

“Non lo so proprio, Iaso, all’improvviso tutti i sistemi sono andati in avaria e ho perso il controllo, non ho potuto fare altro che cercare di limitare i danni.”

“Chissà dove siamo finiti? Secondo te potremo andarcene?”

“Dando uno sguardo all’esterno direi di sì, ma dovrei fare un controllo più approfondito. Mettiamoci gli esoscheletri potenzianti da lavoro e spostiamo la navetta, prima che gli abitanti di questo pianeta ci scoprano, avremo sicuramente fatto un bel po’ di rumore.”

I due così fecero e dopo aver sistemato il loro mezzo di trasporto dietro una pila di casse abbastanza alta da occultare la vista loro e della loro navicella ad eventuali avventori, si misero a ripararla in fretta e furia.

“Meno male, i danni sia interni che quelli esterni non sono affatto gravi, basterà una riparazione sommaria e potremmo partire prima che qualcuno si accorga della nostra presenza”.

“Ma Iaso, e i danni che abbiamo fatto noi? Non credi che qualcuno potrebbe insospettirsi?”

“Non possiamo pensare a tutto, Fulos: la cosa più importante in questo momento è non farci scoprire. Ricordi cosa hanno detto all’università? Massima segretezza! Abbiamo avuto un incidente, ma non tutto è perduto.”

“Accidenti, Iaso, forse invece sì! Molla tutto e nasconditi, sento che sta arrivando qualcuno!”

I due extraterrestri così fecero e si misero in attesa.

Gli aneddoti erotici conditi da divagazioni umoristiche e nonsense (nonché da una buona dose di turpiloquio) della D’Annunziata degli Squallor diffusi nell’aria a tutto volume dallo stereo della Giulia con a bordo Pasquale e Salvatore, stavano preannunciando il loro arrivo sulla scena del "disastro".

I due, accortisi dello squarcio nella recinzione causato dall’incidente della navicella, vi entrarono con un po' di difficoltà con tutta l’auto e la fermarono davanti all’apertura che si era creata nel muro dell’edificio industriale dove ora si trovavano i due alieni con la loro astronave.

Spensero l’auto e Pasquale disse al suo amico: “Lassa ‘e fanale appicciati, o si nò nun verìmmo niénte” [Per favore, lascia gli anabbaglianti dell’autovettura accesi, altrimenti sarà difficile riuscire a distinguere qualcosa].

“Vabbuò, però facìmmo amprèssa, o si nò se scàrreca ‘a battarìa e pàtemo chi ‘o sènte” [E così sia, ma sarebbe opportuno sbrigarci, altrimenti la batteria dell’automobile si scaricherà e questo provocherà la rabbia del mio genitore].

I due così fecero e si avviarono ad esplorare quella specie di magazzino, ignorando in compagnia di chi fossero.

Pasquale e Salvatore però non trovarono altro che le macerie del muro abbattuto dalla navicella. La loro delusione per non aver trovato alcun tesoro proveniente dallo spazio era palese:

“Salvatò, ma ccà nun ce stà niénte!” [Salvatore, ma codesto luogo è privo di qualsiasi cosa che ci possa interessare]

L’attenzione di Salvatore però era stata attirata da qualcosa di non meno attraente per lui di una qualche apparecchiatura spaziale ad altissima tecnologia che gli avrebbe fatto guadagnare qualche soldo in più (anche se neanche lui aveva chiaro in mente come).

Salvatore chiamò a sé l’amico e gli fece vedere che cosa aveva scovato: al centro di quella stanza c’era un enorme pallet carico di lattine di Coca Cola.

I due, o per meglio dire i quattro, considerata la presenza dei due piccoli alieni, erano infatti finiti senza accorgersene nella fabbrica della nota bibita analcolica, aperta l’anno prima, e quel pallet stracolmo di lattine era pronto ad essere spedito chissà dove il mattino seguente.

A proposito dei visitatori provenienti da un altro mondo, essi stavano osservando di nascosto gli eventi con malcelato timore:

“Fulos, guarda! Abitanti di questo pianeta!”

“Oooh! Sono… orribili! E senti com’è gutturale la loro lingua! Ma cosa staranno dicendo?”

“Purtroppo il traduttore si è rotto nello schianto, non potremo mai saperlo.”

“Ma sanno di noi?”

“Sembra che non si siano accorti della nostra presenza, per fortuna. A quanto pare sono rimasti attratti da quella piattaforma di carico… Ma… Cosa c’è sopra?”

I due extraterrestri cercarono di dare uno sguardo più attento al pallet che adesso era oggetto delle attenzioni dei due umani, ma appena videro che cosa c’era sul bancale trasalirono e dovettero fare sforzi enormi per non urlare dal terrore:

“Iaso! Siamo finiti senza volerlo in un deposito di armi! E che armi! Quelle sono…”

“Sì, hai visto bene! Granate ad antimateria!”

“Ma sono illegali in tutti i sistemi stellari conosciuti!”

“Meno male che non ci siamo andati a sbattere contro con la navetta quando siamo precipitati, altrimenti sarebbe successo un disastro! Dobbiamo avvertire le autorità della Repubblica, così che prendano provvedimenti!”

Pasquale e Salvatore, intanto, erano quasi rapiti dallo spettacolo che gli si parava davanti:

“Marò, Pascà! Guarda quanta Coca Cola!” [Maria Vergine e Madre, Riconciliatrice di Tutti i Popoli e Nazioni, Pasquale, osserva la quantità spropositata della famosa bevanda analcolica che ci si para innanzi!]

Dopo aver osservato per un po’ la pila di lattine, Pasquale se ne uscì dicendo:

“Purtàmmacelle a càsa, Salvatò!” [Trafughiamole e trasportiamole alle nostre rispettive abitazioni!]

“Ma sì pàzzo, Pascà? E si ce scoprono?” [Il tuo cervello ha subito un corto circuito, Pasquale? E se scoprissero la nostra malefatta?]

“E cómme ce scoprono? Nun ce stà nemmànco ‘o guàrdio! Quànno arrivano ‘i carabbiniéri nùje stammo già a càsa da mo’!” [E di grazia, come faranno a scoprirci? In questo edificio non è nemmeno presente un guardiano, quando sul posto si faranno vive le forze dell’ordine noi saremo già arrivati alle nostre case da tempo]

Non appena ebbe finito di dirlo, Pasquale tirò fuori dalla tasca un coltellino con lama pieghevole che usava sempre per piccoli lavori di giardinaggio, sbancalò il pallet e prese una delle lattine di cola.

Questa scena, però, fece pietrificare dal terrore i due osservatori di un altro pianeta: “Iiiii! Cosa fa quel pazzo? Perché ha preso una delle granate?

 Pasquale aprì la lattina, ma anche quel gesto venne equivocato: “L’ha innescata! Moriremo tutti!”

Pasquale iniziò a bere la lattina tutta d’un fiato, scatenando l’incredulità dei due extraterrestri:

“Si sta… nutrendo dell’antimateria contenuta nella granata? E non ne risente in alcun modo? Ma questo non ha alcun senso!”

Pasquale terminò la sua bevuta, accartocciò la lattina con la mano con la quale la stava reggendo e si produsse in una poderosa eruttazione. Dopodichè lanciò alle sue spalle l’involucro ormai prosciugato della più piccola goccia, che atterrò alle spalle dei due alieni rimasti allibiti a fissare la sua traiettoria di volo.

“Uà, Pascà, sì pròpio ‘nu puórco!” [Acciderbolina, Pasquale, il tuo comportamento si addice più alle fiere che agli esseri umani], disse Salvatore leggermente contrariato dallo spettacolo al quale aveva appena assistito, ma il suo amico replicò:

“E ca vuò, era càvera! Jà, mo’ ajutàme a carrecà ‘a màchina!” [Purtroppo la bevanda non era stata conservata nel modo ottimale per poter fruire al meglio di tutte le sue qualità! Adesso, per cortesia, aiutami a caricare le lattine sulla tua autovettura!]

“E vabbuò, tànto, a essere onèsto, si overamènte truvavàmo ‘nu satellite nun sapévo pròpio ca me n’eva fà.
A chistu pùnto è assàje mèglio ‘a Coca Cola” [E sia, tanto, se proprio vogliamo essere onesti se ci fossimo davvero imbattuti in un satellite precipitato non avrei avuto alcuna idea di come gestire la cosa, a questo punto è molto meglio aver trovato della Coca Cola]

I due si misero così di buona lena a caricare le lattine di cola sulla Giulia blu di proprietà del padre di Salvatore.

Quando si accorsero che era impossibile caricare ulteriormente l’autovettura, i due salirono a bordo, accesero il motore e fecero lentamente manovra per andarsene, mentre Salvatore salutò quel luogo esclamando: “Arrivederci, Americani! E grazie di tutto!” [Se non avete capito nemmeno questa mi arrendo!]

Quando la Giulia fu a debita distanza dal magazzino, i due visitatori extraterrestri trovarono finalmente il coraggio di uscire dal loro nascondiglio.

“Un pianeta popolato da selvaggi che si nutrono di granate ad antimateria come se niente fosse! Ma dove siamo capitati?”

“Non lo so e non lo voglio sapere, tutto quello che so in questo momento è che voglio andarmene da qui il prima possibile! Quanto tempo ci vorrà per riparare la navetta, Iaso?”

“Meno del previsto, fortunatamente, se ci mettiamo al lavoro saremo pronti ad andarcene entro cinque minuti.”

“Bene, non voglio incontrare altri squallidi abitanti di questo pianeta.”

I due alieni riuscirono a riparare in tempo il loro mezzo di trasporto e a partire non visti per il loro luogo d'origine.

“Uff, ce l’abbiamo fatta!”

“Già, ma abbiamo visto di che cosa sono capaci gli esseri che vivono su questo pianeta.”

“Giusto, dobbiamo avvisare tutte le autorità competenti. Non voglio neanche immaginare che cosa potrebbero fare in giro per la galassia se scoprissero i segreti del volo interplanetario.”

“Brrr! Mi vengono i brividi!” “Per adesso non c’è altra scelta! Dobbiamo far sì che questo pianeta venga messo in quarantena. Nessuno vi si potrà avvicinare, né tantomeno si potranno avere contatti di qualsiasi genere con gli abitanti della superficie. Poi, più avanti, si deciderà il da farsi”.

“Già, isolamento totale, al momento è l’unica soluzione, crederanno che lo spazio intorno a loro sia privo di vita, ma non capiranno mai che in realtà sono proprio i popoli dello spazio che si trovano nelle loro vicinanze a tenerli deliberatamente all’oscuro dell’esistenza di forme di vita diverse dalla loro. Forza, Iaso, torniamo a casa il più velocemente possibile”.

Detto questo, la navetta con a bordo i due extraterrestri aviformi si allontanò sempre di più da quel pianeta dove non avrebbe mai più fatto ritorno.

Generalissimus

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Novelle di Sandro Degiani

Il Console Pharaon Ulysses Kursk 1943 Capoverde 1944 New York 1946 Jevah Ritorno al Passato La minaccia del Krang Il Bianco muove e dà matto in tre mosse Gatto di Bordo Pilota Anche gli Dei devono morire Il Valore di un giorno Viaggio di un secondo Briciole Breve Storia del primo McDonald su Marte Volpiano Sud

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